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11 Aprile 2023


La Corte costituzionale riconosce la funzione risocializzante della libertà vigilata applicata al condannato ammesso alla liberazione condizionale

Corte cost., sent. 11 aprile 2023, n. 66, Pres. Sciarra, Red. Zanon



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Segnaliamo ai lettori il deposito, in data odierna, della sentenza n. 66/2023, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze – aventi ad oggetto le disposizioni che disciplinano l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata al condannato all’ergastolo ammesso alla liberazione condizionale – escludendo in particolare un contrasto tra tale meccanismo e la finalità rieducativa della pena.

Riportiamo di seguito il comunicato stampa che ha accompagnato la pubblicazione della decisione.

«La libertà vigilata, quando applicata al condannato ammesso alla liberazione condizionale, non è una misura di sicurezza e neppure una sanzione aggiuntiva, ma la prosecuzione, in forme meno afflittive, della pena già subìta in origine. Liberazione condizionale e libertà vigilata costituiscono infatti un tutt’uno, e si delineano, unitamente considerate, come una misura alternativa alla detenzione.

La libertà vigilata è dunque una sorta di “prova in libertà”, finalizzata, analogamente alle altre modalità di esecuzione extra-muraria della pena, a favorire il graduale reinserimento del condannato nella società.

Lo ha stabilito la sentenza 66 del 2023 (redattore Nicolò Zanon), dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Firenze su due disposizioni del codice penale (articoli 177, secondo comma, e 230, primo comma, numero 2).

Il Tribunale dubitava che queste ultime fossero lesive del principio di ragionevolezza e di quello della finalità rieducativa della pena (articoli 3 e 27 della Costituzione), in quanto: prevedono l’obbligatoria applicazione della libertà vigilata al condannato all’ergastolo ammesso alla liberazione condizionale; ne stabiliscono la durata nella misura fissa di cinque anni; non consentono al magistrato di sorveglianza di far cessare anticipatamente l’esecuzione della misura.

La sentenza chiarisce, invece, che la disciplina censurata non determina alcun “automatismo irragionevole”. Il periodo di libertà vigilata ha infatti l’obiettivo di verificare la tenuta della prognosi di “sicuro ravvedimento” già effettuata in sede di concessione della liberazione condizionale e consente l’espiazione, in forma meno afflittiva, della pena così sostituita. Non è irragionevole che ciò avvenga per un periodo fisso, poiché la pena originariamente inflitta è già stata commisurata, questa sì doverosamente, alle specificità della situazione concreta.

Del resto, l’ammissione alla liberazione condizionale dischiude l’accesso alla definitiva estinzione della pena, una volta che ne sia decorsa l’intera durata. Per il condannato all’ergastolo, che può accedere alla libertà condizionale solo dopo aver trascorso in carcere ventisei anni, il periodo di libertà vigilata non può che avere una durata prestabilita e fissa, ed è accompagnato da prescrizioni ed obblighi modulabili ad opera della magistratura di sorveglianza, alla luce delle peculiarità del caso concreto e del principio costituzionale di risocializzazione previsto dall’articolo 27 della Costituzione».