ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Articolo  
28 Marzo 2022


L’incidenza dei limiti all’aumento della pena ex art. 99, comma 6, c.p.: l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite

Cass., Sez. II, ord. 14 dicembre 2022 (dep. 8 febbraio 2022), n. 4439, Pres. Rago, rel. Recchione, ric. Cirelli



1. Con l’ordinanza in commento, la seconda sezione penale della Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite una questione relativa all’incidenza della disciplina dei limiti all’aumento della pena in materia di recidiva sulla qualificazione della stessa quale aggravante ad effetto speciale, nonché sulle ricadute in punto estensione del termine prescrizionale, anche quale effetto di atti interruttivi, ex artt. 157 e 161 c.p.

Nel caso di specie, il ricorso in Cassazione riguardava la condanna per due condotte di ricettazione realizzate dell’imputato, giudicato colpevole in passato di delitti simili. In particolare, la difesa sosteneva che tali reati dovessero ritenersi prescritti, alla luce della corretta interpretazione degli artt. 157, comma 2, e 161, comma 2, del codice.

Relativamente al primo episodio, si evidenziava che la recidiva non era stata neppure contestata e non poteva quindi esplicare l’effetto estensivo sul termine di prescrizione previsto dall’art. 157 c.p.; quanto al secondo, si sottolineava invece che la recidiva specifica e infraquinquennale, seppur riconosciuta in astratto, non aveva comportato alcun aumento di pena in concreto. In ragione della mancata incidenza sul calcolo della pena, la difesa riteneva che essa non potesse incidere sul termine di prescrizione; d’altronde, nel caso di specie, l’effetto estintivo si sarebbe prodotto anche in caso di effettiva applicazione dell’art. 157, comma 2, c.p., considerato che l’aumento ivi disciplinato avrebbe dovuto essere circoscritto al quantum derivante dall’applicazione dell’art. 99, comma 6, c.p., che sancisce un limite all’innalzamento della pena in conseguenza della riconosciuta recidiva.

Infine, anche l’aumento previsto in materia di interruzione, ex art. 161, comma 2, c.p., avrebbe dovuto essere escluso in ragione dell’asserita prevalenza dell’art. 99, comma 6, c.p. sulle disposizioni di cui all’art. 99, comma 2 e 4, c.p., richiamate in seno alla disciplina in materia di atti interruttivi.

La seconda sezione, rilevata l’esistenza di un conflitto giurisprudenziale sul punto, rimetteva alle Sezioni Unite la soluzione del duplice quesito di diritto “se il limite della pena correlato al riconoscimento della recidiva qualificata previsto dall’art. 99 comma 6 cod. pen. (a) incida sulla qualificazione della recidiva prevista dai commi 2 e 4 dell’art. 99 cod. pen. come circostanza “ad effetto speciale”, (b) influisca sulla determinazione del termine di prescrizione”.

 

2. L’intervento chiarificatore richiesto alle Sezioni Unite, in particolare, attiene alla corretta interpretazione della disciplina complessiva degli effetti diretti e indiretti della recidiva: se i primi si riferiscono all’aumento del carico sanzionatorio dettato dalla maggiore pericolosità e colpevolezza di chi, avendo già riportato una condanna per un delitto non colposo, torni a delinquere, i secondi discendono invece dalla considerazione di numerosi istituti per cui la legge prevede un regime nel complesso più gravoso ove sia riconosciuta la recidiva, specie se reiterata. Si pensi, a titolo esemplificativo, a quanto avviene in materia di amnistia e indulto, di liberazione condizionale, di riabilitazione, nonché alla disciplina del bilanciamento di circostanze[1], della continuazione[2], della prescrizione della pena oltre che, per quanto di più specifico interesse nel caso di cui si tratta, di prescrizione del reato[3].

All’indomani della L. 5 dicembre 2005, n. 215, in particolare, la disciplina ex art. 157 c.p. stabilisce che sul termine di prescrizione, calcolato sulla base del massimo di pena edittale, non incidono le circostanze, salvo che si tratti di circostanze per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa o per quelle ad effetto speciale; in tali casi, si deve tenere conto dell’aumento massimo previsto per l’aggravante. La recidiva, pertanto, incide sul termine prescrizionale tutte le volte in cui comporta un aumento di pena superiore ad un terzo, vale dire in tutti i casi ad esclusione della recidiva semplice, ex art. 99, comma 1, c.p.

Quanto alla disciplina dell’interruzione, l’art. 161 c.p. prevede invece che il termine di prescrizione, che ricomincia a decorrere da capo in conseguenza ad eventuali atti interruttivi, non possa mai essere superiore di un quarto del tempo necessario a prescrivere; tale tetto viene, però, innalzato alla metà nei casi di recidiva aggravata e di due terzi nei casi di recidiva reiterata.

Ne deriva una disciplina connotata, nel complesso, da un atteggiamento fortemente repressivo, suscettibile di tradursi in conseguenze significative, e via via più pesanti, a seconda che si tratti di recidiva semplice, aggravata, reiterata semplice, o reiterata aggravata.

La severità della disciplina viene però temperata da alcune disposizioni, di primario interesse per la questione di cui si tratta: il regime degli aumenti previsti in ragione della maggiore pericolosità e colpevolezza del soggetto che torni a delinquere, in particolare, è mitigato dall’art. 99, comma 6, c.p., il quale stabilisce che l’aumento per la recidiva non possa mai «superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo»[4].

È proprio attorno a tale limite quantitativo – e alle possibili ricadute dello stesso sul tempo necessario per prescrivere il reato – che ruota la questione deferita alle Sezioni Unite.

 

3. Dirimente, insieme alla distinzione tra effetti diretti e indiretti, appare inoltre la differenza sussistente tra recidiva contestata, ritenuta o applicata, a più riprese valorizzata dalla stessa giurisprudenza chiamata a confrontarsi con l’istituto di cui si tratta[5]: mentre la prima si riferisce al fatto che l’accusa abbia formalmente contestato l’art. 99 c.p. all’imputato[6], la seconda attiene al riconoscimento della recidiva da parte dal giudice all’esito della valutazione relativa ai presupposti sostanziali della stessa, e la terza implica che essa abbia avuto altresì un’incidenza effettiva sulla quantificazione della pena, anche solo paralizzando l’effetto di una circostanza attenuante nell’ambito del giudizio di bilanciamento[7].

Quanto alla specifica disciplina dettata in materia di calcolo del termine prescrizionale, è oggi pacifico che la mancata contestazione della recidiva impedisce in radice che la stessa possa essere presa in considerazione ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato.[8] Sembra quindi che, almeno in relazione al primo episodio, possa dirsi pienamente condivisibile la censura della difesa: poiché la recidiva non era stata neppure contestata dal Pubblico Ministero, la produzione degli effetti – diretti e indiretti – previsti per legge dovrebbe risultare del tutto esclusa.

D’altronde, in linea con quanto sancito dalle Sezioni Unite nel 2010[9], anche il mancato riconoscimento della recidiva da parte del giudice sembrerebbe impedire la produzione degli effetti della stessa sul tempo necessario per prescrivere[10]: tale assunto deriva dal superamento dell’idea della recidiva quale status, e dall’evoluzione significativa che, in tale materia, ha condotto a ritenere che essa debba operare facoltativamente non solo quanto agli effetti diretti, ma anche quanto agli effetti indiretti[11].

Maggiori incertezze sembrano tuttora sussistere, invece, nei casi in cui la recidiva, benché contestata e ritenuta, non abbia prodotto alcun effetto sanzionatorio. Più che al rapporto tra accertamento della recidiva ed effetti della stessa[12], oggetto in passato di attenzione della giurisprudenza di legittimità, sembra oggi che la discussione si rivolga al rapporto tra applicazione della recidiva ed effetti ulteriori della stessa, e quindi – lato sensu – al rapporto tra effetti diretti e indiretti dell’istituto.

La tesi difensiva, sul punto, sembra mettere un accento particolare proprio sull’applicazione concreta della recidiva: si sostiene infatti che, ove la circostanza non abbia prodotto l’aumento sanzionatorio previsto in astratto, per l’operatività del limite di cui al comma 6 dell’art. 99 c.p., non potrebbero ritenersi sussistenti neppure gli effetti indiretti che, di regola, da essa discendono; o, quantomeno, tali effetti sarebbero da ritenersi limitati in misura corrispondente al temperamento prodotto sul piano sanzionatorio.

 

4. Sulla questione dell’incidenza della recidiva “temperata” sul termine di prescrizione, a ben vedere, la giurisprudenza si è pronunciata in più occasioni, nel passato, pervenendo a soluzioni non univoche.

Nella sentenza Graniello del 2019[13], ad esempio, la quinta sezione aveva sostenuto che l’art. 99, comma 6, c.p. non muta la qualificazione di circostanza ad effetto speciale della recidiva, che di conseguenza incide sul termine di prescrizione ai sensi dell’art. 157, comma 2, c.p: nondimeno, in tale occasione i giudici avevano ritenuto che l’estensione del termine dovesse essere limitata al tempo corrispondente all’aumento temperato, e non anche a quello tipico. Al contempo, la Corte aveva escluso che tale limitazione potesse precludere l’estensione prevista ex art. 161, comma 2, c.p., destinata a operare in ogni caso in cui il reato fosse aggravato dalla recidiva ex art. 99, comma 2 o 4, c.p.

In un’altra pronuncia, pur non preoccupandosi di chiarire se la recidiva “temperata” ai sensi dell’art. 99, comma 6, c.p. continuasse ad essere circostanza ad effetto speciale, la Corte aveva ritenuto che la contrazione dell’aumento sanzionatorio dovesse incidere anche sull’estensione del termine di prescrizione, in considerazione del principio di favor rei[14]. Anche in questo caso, peraltro, la Corte non aveva messo in discussione che potesse dirsi comunque operante la disciplina dell’interruzione, ex art. 161, comma 2, c.p.

In una decisione del 2020,[15] invece, la Corte aveva sostenuto che la recidiva perde la sua qualifica di circostanza ad effetto speciale ogniqualvolta l’aumento di pena prodotto per effetto dell’art. 99, comma 6, c.p. sia in concreto inferiore ad un terzo: da tale considerazione discenderebbe l’impossibilità di ritenere operante la disciplina ex art. 157, comma 2, c.p., che ricollega l’effetto estensivo del tempo della prescrizione alla natura ad effetto speciale della circostanza di volta in volta considerata.

Rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale da rimettere alle Sezioni Unite, l’ordinanza prende posizione su entrambi gli aspetti controversi: mentre sulla possibilità di qualificare come circostanza ad effetto speciale la recidiva che, in virtù dell’art. 99, comma 6, c.p., abbia comportato un aumento di pena inferiore ad un terzo, i giudici si allineano all’impostazione della sentenza Graniello, sull’incidenza della recidiva temperata sul termine di prescrizione, invece, la Corte ritiene di non condividere nessuno degli indirizzi proposti, sposando una soluzione nel complesso più severa di tutte le precedenti. La seconda sezione, invero, non solo rifiuta l’orientamento che ravvisa nell’art. 99, comma 6, c.p. un meccanismo idoneo a dequotare la recidiva da circostanza ad effetto speciale a circostanza ad effetto comune, ma nega altresì che il minore aumento sancito dall’operatività della norma in questione possa incidere sulla determinazione del termine di prescrizione, escludendo l’effetto estensivo o limitandolo al quantum di aumento effettivamente comminato.

 

5. Il ragionamento si fonda, anzitutto, sulla distinzione tra regime sanzionatorio e statuto della prescrizione, in cui la Corte ravvisa due discipline che, pur correlate, rimangono distinte e connotate da una differente “proiezione finalistica”. Mentre lo statuto della sanzione avrebbe lo scopo di adeguare la pena alla gravità della condotta, secondo le cadenze imposte dal rispetto dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità, oltre che di colpevolezza, la disciplina della prescrizione sarebbe finalizzata a «stabilire, in via generale ed astratta, quale sia il tempo durante il quale lo Stato conserva l’interesse a perseguire le condotte penalmente rilevanti». E così, poiché «il criterio moderatore di cui all’art. 99, comma 6, cod. pen. integra lo statuto della “sanzione” e non quello della “prescrizione”», ad esso non può che essere riconosciuta una «operatività limitata alla determinazione individuale della pena […] [senza] nessuna incidenza sulla identificazione del segmento temporale durante il quale lo Stato conserva l’interesse all’accertamento della condotta illecita».

In altri termini, poiché l’istituto della prescrizione, operando in relazione alla pena edittale, risulta improntato ad una logica di proporzionalità tra gravità in astratto e durata del termine, esso non può essere condizionato dalla sanzione in concreto comminata: tarando il tempo per prescrivere sul quantum di pena specificamente inflitto con le precedenti condanne, si verrebbe a determinare un effetto di «individualizzazione del tempo della prescrizione, ontologicamente incompatibile con la sua natura di elemento “di struttura” del reato».

A sostegno del proprio ragionamento, la Corte mette l’accento sulla natura sostanziale dell’istituto della prescrizione, quale elemento che concorre «a strutturare il divieto». La triade “condotta-sanzione-prescrizione”, in altre parole, sarebbe sempre da determinare in astratto e in via generale, in virtù dei principi di legalità, determinatezza e prevedibilità. E perché possa dirsi improntata a requisiti di «generalità, astrattezza e prevedibilità», la disciplina della prescrizione dovrebbe rispondere a previsioni omogenee per tutti i consociati, indipendenti dai casi individuali e conoscibili a priori: da ciò discenderebbe l’incompatibilità con la previsione di un tempo dell’oblio flessibile, «dipendente dalla specifica biografia criminale dell’accusato emergente dai pregressi accertamenti processuali».

Secondo l’opinione della seconda sezione, invero, la sentenza con cui si commina la pena «è “legge del caso concreto” e non può concorrere a definire le norme penali che, si ripete, devono essere generali, ovvero indipendenti da mediazioni processuali, ontologicamente individuali».

 

5.1. Accanto alle considerazioni generali ora richiamate, inoltre, la seconda sezione sviluppa alcuni argomenti ulteriori, fondati sulla valorizzazione del dato letterale e dell’evoluzione giurisprudenziale registrata in materia di circostanze del reato e recidiva, specie in rapporto con la disciplina della prescrizione.

Quanto all’argomento letterale, la Cassazione sottolinea il fatto che le norme in materia di prescrizione che danno rilievo alla recidiva – e quindi gli artt. 157 e 161 c.p. qui in discussione – non facciano alcun riferimento al limite ex art. 99, comma 6, c.p. L’art. 157 c.p., a ben vedere, si riferisce unicamente all’aumento di pena “massimo” previsto per la circostanza: tale locuzione, secondo la Corte, starebbe a indicare l’aumento massimo in astratto, a prescindere da eventuali temperamenti sanzionatori in concreto, su cui possa incidere, ad esempio, il meccanismo di cui all’art. 99, comma 6, c.p.

Con riguardo alla disciplina dell’interruzione, d’altro canto, l’irrilevanza dell’art. 99, comma 6, c.p. sembrerebbe emergere in modo ancora più evidente: a differenza dell’art. 157 c.p., invero, l’art. 161 c.p. stabilisce in via autonoma che il riconoscimento della recidiva determina una «estensione “fissa” del termine (della metà o di due terzi), a seconda che la recidiva riconosciuta sia quella prevista dall’art. 99 comma 2 cod. pen., o quella indicata dall’art. 99 comma 4 cod. pen.».

Ai sensi dell’art. 161 c.p., perciò, sembra sufficiente l’accertamento giudiziale della recidiva specifica o reiterata, ex art. 99, comma 2 e 4, c.p., a prescindere dall’aumento di pena effettivamente generato all’esito del giudizio: e ciò spiegherebbe anche perché i precedenti citati nell’ordinanza non avessero mai messo in dubbio che l’effetto di cui all’art. 161, comma 2, c.p. dovesse continuare a prodursi.

A differenza degli arresti giurisprudenziali del passato, nondimeno, dall’art. 161, comma 2, c.p. la seconda sezione pare ricavare un ennesimo argomento a sostegno dell’indifferenza, anche ai sensi dell’art. 157, comma 2, c.p., dell’aumento concreto di pena, dovendo l’interprete, in entrambi i casi, riferirsi all’aumento “tipico e generale”, previsto dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 99 c.p., e non a quello “specifico e individuale” dato dall’applicazione dell’art. 99 comma 6 c.p.

In altre parole, secondo la Corte, sarebbe opportuno tenere nettamente separati «il piano della determinazione “in astratto” della pena (necessaria per calcolare quale debba essere il tempo necessario alla prescrizione per un determinato reato), con quello della determinazione della stessa “in concreto”, attività quest’ultima che ha il limitato fine di commisurare la sanzione individuale inflitta alla effettiva gravità della condotta».

 

5.2. Quanto alla possibilità di riconoscere la natura di circostanza ad effetto speciale anche a quegli elementi che, in concreto, non abbiano determinato un aumento superiore a un terzo, nell’ordinanza si sostiene che la produzione in concreto di un aumento di pena inferiore a quello richiesto ex art. 63, comma 3, c.p, quale conseguenza del meccanismo di cui all’art. 99, comma 6, c.p., non osta alla qualificazione della recidiva come aggravante ad effetto speciale.

Sul punto, l’argomentazione della seconda sezione trae la sua forza da una serie di pronunce passate, che sembrerebbero avvalorare la tesi secondo cui l’aumento determinato in concreto non è idoneo a mutare la qualificazione della circostanza, correlata sempre all’idea dell’aumento di pena in astratto. In questo senso, la Corte si allinea alla sentenza Graniello, già citata[16], con cui la Cassazione si era espressa nel senso di escludere che l’aumento, quand’anche comminato in misura inferiore ad un terzo, potesse incidere sulla qualificazione della circostanza: affinché sia considerata a effetto speciale, invero, è sufficiente che la stessa sia suscettibile di determinare, a livello astratto, l’aumento richiesto ex art. 63, comma 3, c.p.

La seconda sezione ritiene invece prive di pregio le conclusioni opposte cui era pervenuta altra parte della giurisprudenza, che, ancora di recente, si era espressa apertamente sull’impossibilità di riconoscere, nella recidiva “temperata” ex art. 99, comma 6, c.p., una circostanza ad effetto speciale[17]. Secondo l’indirizzo giurisprudenziale citato, in particolare, tale soluzione troverebbe conferma nell’autorevole precedente con cui le Sezioni Unite hanno statuito che la circostanza indipendente ex art. 609-ter c.p., nella versione precedente alla riforma del 2019, non fosse da qualificarsi ad effetto speciale, poiché l’aumento non superava il terzo della forbice edittale ordinaria[18].

Come correttamente evidenziato nell’ordinanza di rimessione, però, il richiamo alla soluzione assunta in merito all’art. 609-ter c.p. non appare pertinente: un conto è, come nel caso della circostanza indipendente, escludere o riconoscere la natura ad effetto speciale in relazione all’aumento, pur sempre generale e astratto, inferiore o superiore ad un terzo rispetto alla pena base; tutt’altro far discendere la medesima conseguenza, in punto qualificazione, dal rilievo dell’aumento in concreto comminato dal giudice.

In relazione a tali casi, al contrario, i precedenti giurisprudenziali inducono alla soluzione che nega il riflesso della comminatoria in concreto sulla qualificazione della circostanza: si pensi alle pronunce che, in relazione al criterio moderatore ex art. 63, comma 4, c.p., escludono che esso possa elidere la qualificazione in termini di circostanza ad effetto speciale ed obliterarne gli effetti in punto estensione del termine di prescrizione[19].

 

5.3. Avendo argomentato a sostegno della natura di circostanza ad effetto speciale anche della recidiva “temperata” ai sensi dell’art. 99, comma 6, c.p., la Corte si sofferma infine a considerare la questione dell’incidenza della stessa sul termine di prescrizione. Il dato letterale, in questo senso, sembrerebbe correlare l’aumento della prescrizione al mero ricorrere di una circostanza ad effetto speciale. Nondimeno, come anticipato, la stessa giurisprudenza che in passato aveva argomentato a favore della natura di circostanza ad effetto speciale della recidiva “temperata” aveva poi concluso nel senso di ritenere che il limite ex art. 99, comma 6, c.p. dovesse incidere sull’aumento massimo del termine di prescrizione ex art. 157, comma 2, c.p.

La seconda sezione sembra invece preferire una soluzione diversa, sancendo l’irrilevanza del limite individualizzante di cui all’art. 99, comma 6, c.p. rispetto alla prescrizione. Oltre a fondare il proprio ragionamento sul dato letterale e sulla natura di circostanza ad effetto speciale della recidiva aggravata o reiterata, la Corte insiste altresì sui precedenti giurisprudenziali che, in materia di bilanciamento in equivalenza o soccombenza con le circostanze attenuanti, hanno sancito che la recidiva, ove riconosciuta, debba continuare a produrre l’effetto estensivo sul termine di prescrizione, anche qualora non abbia poi inciso sulla pena in concreto. Nel riferirsi all’orientamento giurisprudenziale secondo cui la prescrizione è da ritenersi indifferente al bilanciamento con eventuali circostanze eterogenee, l’ordinanza rinvia a numerose pronunce precedenti[20], tra cui spicca, in particolare, una recente sentenza delle stesse Sezioni Unite[21].

Nel caso di specie, la Cassazione aveva concluso escludendo l’effetto indiretto dell’aumento del termine di prescrizione, in considerazione dell’impossibilità di ravvisare un riconoscimento – neppure implicito – della recidiva nella mancata concessione delle attenuanti generiche in virtù dei precedenti penali dell’imputato[22]; in tale occasione, nondimeno, i giudici si erano espressi chiaramente nel senso di ritenere che «il fatto stesso di aver operato il giudizio di bilanciamento presuppone il riconoscimento della recidiva»[23].

Altrettanto, dunque, dovrebbe dirsi dell’art. 99, comma 6, c.p., che, operando quale limite all’aumento della pena per il ricorrere della recidiva, presuppone non solo il suo riconoscimento da parte del giudice, ma anche la sua applicazione: rispetto all’aggravamento di pena derivante dalla disciplina della recidiva, infatti, l’art. 99, comma 6, c.p. si limita a fissare un limite quantitativo.

In questo senso, potendosi ritenere applicata la recidiva, e dovendosi riconoscere alla stessa natura di circostanza aggravante ad effetto speciale, l’ordinanza conclude nel senso dell’irrilevanza, ai fini della disciplina ex artt. 157 e 161 c.p., del limite sanzionatorio fissato dall’art. 99, comma 6, c.p. Alla luce delle considerazioni svolte, perciò, la seconda sezione ritiene possibile sconfessare i precedenti citati, chiamando le Sezioni Unite a prendere posizione sul punto.

* * *

6. Dopo aver tratteggiato l’impianto argomentativo dell’ordinanza, ed in attesa della decisione delle Sezioni Unite, sembra possibile ora svolgere qualche considerazione sulla bontà della soluzione accolta dalla seconda sezione e sulla tenuta delle argomentazioni che la giustificano: in questo senso, mentre sulla qualificazione della recidiva come circostanza ad effetto speciale sembrano potersi condividere gli argomenti spesi dalla Corte, maggiori perplessità sorgono in relazione al ragionamento legato alla necessaria astrattezza e generalità della prescrizione, e alla sua pretesa insensibilità alle vicende legate al piano della sanzione in concreto.

Se è vero, infatti, che il legislatore del 2005 ha compiuto una chiara scelta nel senso di non riconoscere alcuna incidenza sul tempo della prescrizione alle circostanze attenuanti e aggravanti, quali elementi che hanno la funzione precipua di individualizzare la sanzione in considerazione delle peculiarità del fatto, è altrettanto vero che l’art. 157 c.p. continua oggi ad attribuire specifico rilievo alle circostanze aggravanti c.d. autonome, nonché a quelle ad effetto speciale. Sembra allora che in questa disciplina sia già ravvisabile una certa individualizzazione del termine di prescrizione, che, specie quando si ricollega all’aggravante dell’art. 99, commi 2 e seguenti, c.p., si giustifica proprio in ragione di quella «specifica biografia criminale dell’accusato» di cui l’ordinanza vorrebbe invece sostenere la totale irrilevanza.

Neppure l’argomento letterale, d’altro canto, sembrerebbe risolutivo, quantomeno con riferimento alla disciplina ex art. 157, comma 2, c.p., posto che il tenore letterale della norma non osta a un’interpretazione che, per aumento massimo, intenda quello risultante dalla disciplina complessiva ex art. 99 c.p., comprensiva del comma 6. Anche in questo caso, peraltro, poiché il limite è dettato dalla legge in via generale ed astratta, ed è solo la sua incidenza concreta a mutare a seconda delle vicende giudiziarie del singolo imputato, non sembrerebbe smentita la valenza sostanziale della disciplina del tempo dell’oblio, né la sua prevedibilità: rispetto a tale ultimo aspetto, oltretutto, non sembra irrilevante il fatto che l’art. 99, comma 6, c.p. determini effetti pro reum, e possa dunque giustificare una lettura diversa da quella proposta dall’ordinanza in commento.

 

7. Una breve riflessione sul tema di cui si tratta, da ultimo, merita di essere svolta anche a partire dalle argomentazioni fatte proprie dalle Sezioni Unite in materia di bilanciamento di circostanze, richiamate in precedenza: la pronuncia, invero, sembra evidenziare alcuni spunti meritevoli di approfondimento, in quanto suscettibili di orientare l’interprete rispetto alla soluzione di questa ed ulteriori questioni problematiche.

Come specificato in un obiter dictum, invero, la Corte ritenne in quella sede di porre l’accento sulla circostanza secondo cui, «quando il giudice valuta la recidiva subvalente rispetto alle concorrenti attenuanti, egli esprime una valutazione di disfunzionalità della recidiva rispetto al programma di trattamento che comincia a delinearsi con la fissazione della pena da infliggere»[24], rispetto a cui è solo l’esistenza di una chiara disciplina legislativa – come quella dell’art. 157, comma 3, c.p. – a sancire comunque la produzione dell’effetto sul termine prescrizionale.

La considerazione della Corte in relazione al significato che assume la valutazione subvalente rispetto al principio di proporzionalità della pena, a ben vedere, restituisce l’immagine di un giudizio che non dovrebbe limitarsi a guardare al formale riconoscimento della recidiva, ma che ad esso dovrebbe associare anche un significato coerente con la valutazione nel complesso data alla ricaduta del reo: e tale valutazione non dovrebbe operare solo sul piano degli effetti diretti, ma anche di quelli indiretti, laddove questi siano comunque legati alla maggiore colpevolezza e pericolosità sottesa al riconoscimento della recidiva.

D’altro canto, come argomentato in passato dalla Cassazione in materia di interruzione della prescrizione ex art. 161, comma 2, c.p.[25] con considerazioni che possono ritenersi estese anche all’art. 157, comma 2, c.p., l’aumento della durata massima del termine previsto dalla legge risponde a una ratio di prevenzione, legata proprio al maggiore allarme sociale che desta il recidivo[26]. Tale scelta, nondimeno, sembrerebbe giustificata solo laddove la reiterazione dell’illecito sia realmente sinonimo di maggiore riprovevolezza e pericolosità: la disciplina della prescrizione, pertanto, non sembra immune alla prospettiva di una valutazione anche “funzionale”, probabilmente più in linea con i principi costituzionali, in quanto scevra di automatismi ed attenta al fondamento giustificativo degli effetti diretti e indiretti della recidiva.

Ferma restando la necessità di una formale contestazione e di un’effettiva dichiarazione di recidiva da parte del giudice, in definitiva, le Sezioni Unite sembrano suggerire che, nei casi di elisione dell’effetto diretto sulla pena, anche la produzione dell’effetto indiretto della stessa dovrebbe di regola seguire solo ove quest’ultimo non si riveli illogico rispetto alla valutazione sottesa al giudizio sulla pericolosità e colpevolezza che ha condotto ad annullare o attenuare gli effetti pratici della recidiva, salve le deroghe espressamente previste per legge. Ebbene, se con riguardo al bilanciamento tra circostanze eterogenee è lo stesso art. 157 c.p. a escludere il rilievo del risultato del giudizio effettuato dal giudice, altrettanto non potrebbe dirsi in relazione a meccanismi ulteriori che incidano sulla produzione degli effetti della recidiva, quale, ad esempio, l’art. 99, comma 6, c.p.

Posto, dunque, che anche gli effetti indiretti della recidiva sul termine di prescrizione possono dirsi «ispirati ad una logica di prevenzione, fondata su valutazioni legate alla maggiore pericolosità sociale del reo e alla sua minore sensibilità al processo di rieducazione»[27], sembra legittimo domandarsi se la Corte si soffermerà a considerare il rilievo che tale valutazione gioca anche nel caso di specie[28].

 

8. Simili conclusioni, ad ogni modo, necessitano di essere rapportate ad un istituto, quale quello delineato dall’art. 99, comma 6, c.p., che diverge in modo significativo dal bilanciamento delle circostanze. Anzitutto, poiché l’art. 99 comma 6 c.p. non rappresenta l’esito di una valutazione discrezionale compiuta dal giudice per parametrare il trattamento sanzionatorio alle peculiarità dell’episodio contestato, ma un limite legale fondato sull’esito dei precedenti giudizi; e, in secondo luogo, poiché esso non oblitera del tutto gli effetti della recidiva sul carico sanzionatorio, come accade in ipotesi di subvalenza della circostanza, ma ne attenua semplicemente l’estensione.

A differenza di quanto accade all’esito del giudizio di bilanciamento[29], infatti, nel caso dell’art. 99, comma 6, c.p., la recidiva “temperata” produce effetti sanzionatori principali, seppure limitati nel quantum. La valutazione di maggiore pericolosità e colpevolezza del reo, in questo senso, sembra pienamente confermata dall’aggravamento del trattamento sanzionatorio prodotto, su cui l’art. 99, comma 6, c.p. incide in misura soltanto quantitativa.

Sembra allora che la soluzione orientata a valorizzare la produzione di effetti diretti in misura ridotta, al fine di affermarne il riflesso anche sul piano degli effetti indiretti, debba essere valutata avendo riguardo al funzionamento e al significato del limite legale di cui all’art. 99, comma 6, c.p., chiedendosi, in particolare, se anch’esso sottenda una valutazione – fissata dalla legge in via presuntiva – che limita il maggiore disvalore collegato alla recidiva alla pena o alle pene in precedenza comminate.

Ove si accogliesse la soluzione favorevole, in ogni caso, il limite sancito dalla norma in materia di recidiva potrebbe operare solo con riferimento a istituti che consentano una “modulazione quantitativa”. In tale senso, in linea con la sentenza Graniello[30], potrebbe al più sostenersi che l’estensione della prescrizione ex art. 157 c.p. si produca in misura pari all’aumento consentito ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 99 c.p., sposando un’interpretazione che, come già specificato, non sembra porsi in contrasto con il dettato letterale. Viceversa, rispetto all’interruzione, la disciplina normativa rende impossibile ipotizzare una rimodulazione dell’aumento, che è sancito dalla legge in misura fissa, e non anche sulla scorta dell’aumento di pena comminato per la circostanza aggravante.

Spetta ora alle Sezioni Unite fare chiarezza sul punto: non resta dunque che attendere per vedere se le aperture registrate in tema di circostanze e bilanciamento giocheranno un ruolo anche in questa sede, a conferma del trend di “rivisitazione funzionale” timidamente inaugurato nella giurisprudenza richiamata, o se la soluzione insisterà invece su altri dei numerosi profili della disciplina valorizzati nell’iter motivazionale dell’ordinanza.

 

 

 

[1] Si veda, in materia, A. Peccioli, Le circostanze privilegiate nel giudizio di bilanciamento, Torino, 2010, nonché, in merito alle più recenti pronunce di costituzionalità del meccanismo di blindatura, D. Notaro, Partecipazione anomala del recidivo reiterato nel reato altrui: non può escludersi l’applicazione dell’attenuante concorsuale, in Dir. pen. proc., 2021, 10, 1315 ss., F. Lazzeri, La rimproverabilità soggettiva come vincolo di proporzionalità della pena in una nuova sentenza della Corte costituzionale sull'art. 69 comma 4 (in relazione alla seminfermità mentale), in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 2, 1104 ss. e E. Penco, Offensività e colpevolezza nel controllo di costituzionalità in materia di recidiva e giudizio di bilanciamento, in Dir. pen. proc., 2021, 2, 260 ss.

[2] E. Aprile, Sull'applicazione della disciplina del reato continuato ai recidivi reiterati, in Cass. oen., 2016, 2, 569 ss., L. Facchini, Reato continuato e recidiva, in Studium Iuris, 2016, 11, 1331 ss.

[3] I c.d. effetti indiretti della recidiva sono ben sintetizzati in Cass. Pen., Sez. Un., 15 maggio 2019 (ud. 25 ottobre 2018), n. 20808, Schettino in Cass. Pen., 2020, 6, 2332-2333, con nota di A. Conz, L’effettivo riconoscimento della recidiva nel calcolo del termine di prescrizione del reato. Si vedano, altresì, i commenti di E.M. Ambrosetti, Le Sezioni Unite chiariscono il rapporto fra l’accertamento della recidiva e i suoi effetti, in Dir. pen. proc., 2020, 1, 84 ss. e E. Mattevi, Il riconoscimento della recidiva e i suoi effetti: opportune precisazioni delle Sezioni Unite e nuove aperture, in Giur. it., 2020, 3, 671 ss.

[4] Si veda S. Raimondi, La recidiva, Milano, 2014, 36, dove si evidenzia come «la scelta di conservare questa norma di chiusura, applicabile a tutte le recidive […], è del tutto ragionevole in quanto è destinata ad arginare alcuni degli eccessi di pena ai quali potrebbe portare l’attuale risposto dell’art. 99 c.p.».

[5] Rileva il numero elevato di questioni dinnanzi a Corte Costituzionale e Cassazione E.M. Ambrosetti, Le Sezioni Unite, cit., 84. Si vedano, tra le altre, Cass. Pen., Sez. Un., 27 maggio 2010, n. 35738, con nota di R. Bricchetti, La valutazione del giudice incide sulla pena e consente o esclude il patteggiamento allargato, in Guida dir., 2010, n. 45, 58 ss. e F. Rocchi, Il patteggiamento dei recidivi reiterati: un problema di “discrezionalità bifasica” o di politica legislativa?, in Cass. pen., 2011, 6, 2094 ss., in tema di patteggiamento, ma anche Cass. Pen., Sez. VI, 13 maggio 2009, n. 20960, in Guida dir., 2009, n. 29, 49 ss., per quanto attiene alla disciplina del reato continuato, e la recentissima Cass. Pen., Sez. Un., 29 gennaio 2021 (ud. 24 settembre 2020), n. 3585, in Dir. pen. proc., 2021, 10, 1324, con nota di E.M. Ambrosetti, Recidiva e procedibilità d’ufficio: un’inattesa svolta delle Sezioni Unite non esente da critiche.

[6] Sussiste l’obbligo, per il Pubblico Ministero, di contestare preventivamente la recidiva, allegandone il presupposto formale dato dalla previa condanna: si veda E.M. Ambrosetti, sub art. 99, in A. Cadoppi – S. Canestrari – P. Veneziani, Codice penale commentato con dottrina e giurisprudenza, Torino, 2018.

[7] Come sancito da Cass. Pen., Sez. Un., 5 ottobre 2010, n. 35738, con commento di G. Leo, Gli effetti preclusivi della recidiva reiterata non si producono quando il giudice ritiene di non applicare il relativo aumento di pena, in Dir. pen. cont., 18 ottobre 2010, e da Cass., Pen., Sez. Un., 23 giugno 2016, n. 31669, ma ribadito anche da Cass. Pen., Sez. Un., 15 maggio 2019 (ud. 25 ottobre 2018), n. 20808, Schettino, cit., 2330.

[8] Cass. Pen., Sez. II, 5 aprile 2011 n. 14248.

[9] Si veda, in particolare, Cass. Pen. Sez. Un., 27 maggio 2010, n. 35738, Calibè, dove si è stabilito che, ove il giudice abbia escluso la recidiva, non si producono neppure gli ulteriori effetti che la legge collega alla valutazione di accentuata riprovevolezza e pericolosità che la legge ricollega alla ricaduta.

[10] G. Romeo, In tema di incidenza della recidiva sulla prescrizione, in Dir. pen. cont., 23 novembre 2011 (nota a Cass. pen., Sez. VI, 7 novembre 2011, n. 40156).

[11] Così contraddicendo quell’orientamento che riteneva, invece, che “la nuova disciplina della recidiva […] ha sancito soltanto la facoltatività dell’aumento di pena e non anche degli altri effetti penali connessi alla recidiva” e che “la discrezionalità riguarda solo la scelta di aumento o meno di pena, fermo restando che, in ogni caso, la recidiva ha gli altri effetti penali per essa stabiliti dalla legge”: così Cass. Pen., Sez., VI, 27 febbraio 2007, n. 18302.

[12] E.M. Ambrosetti, Le Sezioni Unite, cit., 86.

[13] Cass. Pen., Sez. V, 24 settembre 2019, n. 44099, Graniello.

[14] Cass. Pen., Sez. VI, 7 luglio 2015, n. 51049, Volpe. Si veda altresì Cass. Pen., Sez. III, 24 febbraio 2021 (ed. 17 dicembre 2020), n. 7138, non citata nell’ordinanza di rimessione, dove si rileva che sarebbe «irragionevole calcolare, ai fini del computo della prescrizione, l’aumento massimo di pena astrattamente previsto, ove in concreto esso non potrà mai essere inflitto».

[15] Cass. Pen., Sez. III, 3 novembre 2020, n. 34949.

[16] Cass. Pen., Sez. V, 24 settembre 2019, n. 44099, Graniello.

[17] Cass. Pen., Sez. III, 3 novembre 2020, n. 34949.

[18] Cass. Pen., Sez. Un., 9 giugno 2017, 28953, in Cass. pen., 2017, 10, 3568 ss., con nota di A. Nocera, Circostanze indipendenti e ad effetto speciale: fine di un'endiadi.

[19] Così, tra le altre, Cass. Pen., Sez. VI, 15 maggio 2019, n. 23831 e Cass. Pen., Sez. II, 3 ottobre 2013, n. 47028.

[20] Cass. Pen., Sez. IV, 5 ottobre 2021, n. 38618; Cass. Pen., Sez. V, 13 giugno 2018, n. 32679; Cass. Pen., Sez. II, 30 gennaio 2019 (ud. 15 novembre 2018), n. 4687; Cass. Pen., Sez. IV, 8 febbraio 2018 (ud. 19 dicembre 2017) n. 6152; Cass. Pen., Sez. VI, 21 settembre 2016, n. 48954 e Cass. Pen., Sez. V, 27 maggio 2016, n. 41784.

[21] Cass. Pen., Sez. Un., 15 maggio 2019 (ud. 25 ottobre 2018), n. 20808, Schettino, cit.

[22] Si veda E. Mattevi, op. cit., 671 ss.

[23] Cass. Pen., Sez. Un., 15 maggio 2019 (ud. 25 ottobre 2018), n. 20808, Schettino, cit., 2332.

[24] Ibid., 2333.

[25] Cass. Pen., Sez. II, 21 luglio 2015, n. 31891.

[26] La stessa Corte Costituzionale, d’altro canto, ravvisa nella prescrizione un istituto che la legge «disciplina in ragione di una valutazione che viene compiuta con riferimento al grado di allarme sociale indotto da una certo reato e all’idea che, trascorso del tempo dalla commissione del fatto, si attenuino le esigenze di punizione e maturi un diritto all’oblio in capo all’autore di esso: Corte Cost., 26 gennaio 2017, n. 24, ma anche Corte Cost., 31 maggio 2018, n. 115 e Corte Cost., 14 febbraio 2013, n. 23.

[27] E. Mattevi, op. cit., 674.

[28] D’altro canto, come argomentato in passato dalla Cassazione in materia di interruzione della prescrizione ex art. 161, comma 2, c.p. (Cass. Pen., Sez. II, 21 luglio 2015, n. 31891), l’aumento della durata massima del termine rappresenta una scelta legittima del legislatore, imposta proprio dal maggiore allarme sociale che desta il recidivo: neppure la disciplina della prescrizione, pertanto, sembrerebbe immune da tale valutazione.

[29] E. Mattevi, op. cit., 674, dove si rileva come «il fatto che la circostanza subvalente finisca per non produrre alcun effetto sanzionatorio principale – anche se tecnicamente non dissolve la circostanza (che rimane un presupposto del bilanciamento) – non potrebbe essere ignorato».

[30] Cass. Pen., Sez. V, 24 settembre 2019, n. 44099, Graniello.