Il contributo è pubblicato sul numero 2/2020 di Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale. Per accedervi, clicca qui.
Abstract. La morte di George Floyd, sottoposto alla tecnica di polizia nota come knee-on-neck, riscopre drammaticamente lacerazioni che nella storia americana trovano nella questione del razzismo un punto di convergenza. Al tempo stesso, l’elevato numero di morti in fermi, arresti e operazioni di law enforcement richiama la necessità di intervenire sull’uso della forza nelle pratiche di polizia, che costituisce negli Stati Uniti un argomento di dibattito e di studio da molti decenni. Dopo una breve ricostruzione dei fatti di Minneapolis e delle proteste che ne sono seguite, il saggio discute i principali risultati della ricerca sulla police brutality al fine di rilevare come la vulgata delle “mele marce” non riesca a cogliere la complessità della questione relativa ai limiti dell’agire di polizia. L’intento è di mostrare come le scelte d’azione del singolo poliziotto si costruiscano in un delicato equilibrio tra diversi processi di legittimazione e nell’intersezione tra soggettività, situazione contingente, sapere istituzionale e sistema culturale. In questa prospettiva, sul finale saranno forniti alcuni spunti per riflettere sul contesto italiano ed europeo.
SOMMARIO: 1. La questione del razzismo. – 2. La ricerca criminologica sulla police brutality e la vulgata delle mele marce. – 3. Legittimità e limiti del policing. – 4. Andare oltre la split-second syndrome. – 5. E in Italia? Qualche spunto di discussione.