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22 Luglio 2020


Tempo, punizione e processo: le indubbie connessioni tra la ragion d’essere della prescrizione e la durata ragionevole del processo. La prospettiva dell’improcedibilità dell’azione


Lo scritto ripercorre, con qualche aggiunta e l’inserimento delle note, la Relazione al convegno "La questione prescrizione. Dagli espedienti politici alla cultura e tecnica giuridica", organizzato dall’Associazione tra gli studiosi del processo penale “G.D.Pisapia”, dall’associazione italiana dei professori di diritto penale e dall’università degli studi di Milano (3 luglio 2020).

 

1. Ho già avuto modo di introdurre una precedente riflessione sul tema sottolineando come il tempo, nel suo lento ma inesorabile scorrere e con la capacità di collocare nella giusta dimensione tutte le vicende, rappresenti la misura del mondo, del suo essere e del suo divenire[1]; e, quindi, inevitabilmente, anche del livello di efficienza e civiltà del processo.

Il tempo, in verità, incide in egual misura, anche se da diverse angolazioni e con prospettive non perfettamente omologhe, sull’idea di punizione[2], sulla sua ragion d’essere e sul modo attraverso cui detta punizione trova la sua realizzazione effettiva e, quindi, sulle dinamiche processuali[3].

In questa dimensione ontologica si inserisce il tema della prescrizione che, collegando il decorso del tempo alla punizione ed al procedimento di verifica della responsabilità, rappresenta un argomento cruciale per la civiltà giuridica e per la stessa qualità della democrazia. L’idea di un processo che possa durare in eterno e/o di una eterna possibilità di punire lascia, infatti, allo stesso modo, interdetti e mina, alle fondamenta, il senso comune di giustizia.

Se è, in astratto, censurabile l’idea di punire a distanza di un tempo troppo lungo (con l’eccezione, tutta politica, dei reati imprescrittibili), ugualmente critica è la celebrazione del procedimento diretto alla verifica della responsabilità con tempi irragionevoli. E tra i due segmenti non può non riconoscersi una relazione. Il secondo ha, peraltro, un’espressa copertura costituzionale e convenzionale (artt. 111 comma 2 Cost e 6 CEDU) che consente di illuminare con maggiore chiarezza anche il primo.

In quest’ottica, l’assetto introdotto dalle disposizioni che modificano la prescrizione, contenute nella legge n. 3 del 9.1.2019 (c.d. spazzacorrotti), nasconde al proprio interno un’evidente criticità, laddove prefigura una dimensione addirittura innaturale: fermare con un tratto di penna gli effetti del tempo che scorre[4].

Sul tema della prescrizione e dei suoi ultimi assetti legislativi si sono occupate, in modo molto critico, le Camere penali italiane e la stessa Accademia, attraverso la voce della Associazioni nazionali dei processualisti e dei penalisti[5] ma anche con singoli interventi.

Un dato, però, non può essere sottaciuto anche perché mette in risalto un’evidente criticità: l’emendamento che ha dato la stura all’ultima modifica della disciplina della prescrizione, è stato, nel modo, nel contesto normativo già novellato qualche mese prima, e nella qualità dell’intervento legislativo, davvero frettoloso e, per certi versi, stravagante; ed ha introdotto una riforma con una latitudine che neppure il fascismo aveva raggiunto.

È indiscutibile che, almeno sotto il profilo degli effetti concreti, l’art. 111 comma 2 Cost. vada in netta collisione con la possibile celebrazione di un processo di durata potenzialmente illimitata e renda la riforma Bonafede, che tale evenienza consente, oggettiva (e radicalmente) illegittima[6].

Le due vie (quella della prescrizione e della durata ragionevole del processo), nel concreto divenire della giustizia umana, per quanto sforzi si possano fare per tenerle distinte, inevitabilmente, in uno o più punti, si incontrano e parlano la stessa lingua.

È indubbio che, nella prassi quotidiana, un numero davvero elevato di procedimenti e di processi vengono neutralizzati dal decorso del tempo e qui si annida una oggettiva criticità, che non è, però, rappresentata dalla prescrizione in sé, ma dalla sua incidenza sui numeri delle regiudicande: in questo senso, però, il problema risiede nella eccessiva durata del processo e la conseguente ed inevitabile estinzione del reato. Per risolvere il problema non si può, però, far scomparire, con una magia anche poco riuscita, il tempo rifiutando gli effetti deleteri che il suo scorrere determina.

 

2. Cercherò di sviluppare il ragionamento partendo da una considerazione generale. Il trascorrere del tempo non è indifferente alle vicende del reato e della pena e non è indifferente alle vicende del processo. Il suo decorrere influenza naturalmente entrambi i segmenti, ed è un inesorabile incedere. Pensare di fermare il tempo è impossibile, oltre che innaturale; è una mera finzione, perché il suo scorrere continua impassibile e produce effetti a prescindere dai desideri del “potere”. Bloccarlo, poi, nel corso della vicenda processuale è solo un esercizio per distanziare ulteriormente il comune pensare dal formalismo giuridico e giudiziario, rendendo il secondo sempre più incomprensibile.

Dal punto di vista giuridico, il fenomeno del tempo è regolato dall’istituto della prescrizione che guarda, insieme, al reato, alla punizione ed al processo. Basta pensare, senza addentrarsi in dispute dommatiche e solo per fare degli esempi, agli istituti della sospensione e dell’interruzione del decorso della prescrizione per cogliere le significative interrelazioni col le dinamiche processuali; alla rinunziabilità della prescrizione; alla regola dell’art. 129 comma 2 c.p.p.. D’altronde il concetto di punizione non è distonico rispetto all’accertamento dei suoi presupposti ed all’applicazione della sanzione (fatti questi sicuramente processuali).

Ed anche se la giurisprudenza costituzionale ha considerato la prescrizione come un istituto di diritto penale sostanziale, incidente sulla finalità di rieducazione della pena[7] (i cui effetti sarebbero nefasti a troppa distanza dal fatto), è indubbio la sua operatività, prima della riforma, copriva (e copre per i molti fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore) l’intero arco temporale che separa la commissione del reato dalla sentenza irrevocabile[8] e riconosce all’interno della disciplina del processo puntuali riferimenti.

Accanto alla dottrina penalistica attestata sulla dimensione spiccatamente sostanzialistica dell’istituto[9], altri, in una prospettiva meno rigida, hanno rintracciato le (tradizionali) ragioni che sostengono, dal punto di vista teorico, l’istituto della prescrizione in entrami i contesti e precisamente: a) nell’affievolirsi delle esigenze che giustificano la punizione, trascorso un certo tempo dalla commissione del reato e b) nell’accrescersi col tempo delle difficoltà di ricostruzione probatoria del fatto, con ripercussioni negative sull’esercizio del diritto di difesa[10].

Il profilo può essere anche spiegato attraverso una sintesi meno raffinata: se il decorso di un lasso temporale supera limiti ragionevoli, la stessa punizione diventa incomprensibile e illogica, perdendo (essa) i connotati essenziali di giustizia e tradendo tutti gli obiettivi che la caratterizzano: resterebbe solo un atto di forza, spesso inutile e solo dannoso; ma anche il giusto processo, attraverso il quale viene condotto l’accertamento, ne riceve un significativo danno. Per l’imputato innocente, poi, l’accertamento ritardato è ancor più problematico, laddove diventa il “gratuito elargitore” di una pena superflua ed ingiusta (il processo stesso).

Anzi, per l’imputato innocente l’unico tempo che conta è quello del processo. E nell’ottica della presunzione di non colpevolezza anche le ragioni dell’oblio sono proiettate sull’accertamento piuttosto che sulla condanna.

In questa prospettiva, il diritto all’oblio, ad essere dimenticati dall’ordinamento, ha certamente una ratio riconoscibile e fondata sull’idea stessa di punizione, ma deve essere, però, valutato nella doppia prospettiva statica (ragion d’essere dell’intervento punitivo) e dinamica (accertamento della responsabilità: la punizione, infatti vive dentro il processo ed è soggetta alle sue regole); e si combina col diritto ad essere giudicati in tempi brevi per realizzare, a tutto tondo, la presunzione di innocenza.

Insomma: se la prescrizione è una garanzia finalizzata ad evitare l’applicazione di una pena a eccessiva distanza dal fatto, non può esserle estranea la funzione di evitare che una persona venga processata in un tempo non congruo o irragionevole.

Restano esclusi da questa linea di ragionamento i reati imprescrittibili, per i quali, a dire il vero, la soluzione condivisa ha una prevalente natura politica.

Operare la torsione di questi concetti (abbastanza scontati) sembra un espediente “politico” o dialettico per sostenere la legittimazione della neutralizzazione del decorso del tempo durante il processo.

 

3. Va fatta, ora, un’ulteriore precisazione. Il decorrere del tempo influenza la punizione, non il reato quale “fatto” che, ledendo o mettendo in pericolo “un bene protetto” crea una lesione nel contesto sociale. Il fatto illecito penalmente rilevante, infatti, una volta comparso nel mondo degli eventi naturali, non evapora ma lascia le sue tracce indelebili nel tempo e nello spazio. Quel che scompare o si attenua è solo l’esigenza di punire e prima ancora di accertare in modo definitivo per poi punire. Ciò succede per le ragioni appena accennate e per tutte le altre che sono state evidenziate dalla dottrina, anche se con accenti diversi.

Quel che conta, in questa sede, è affermare che la prescrizione non può intervenire, neutralizzandone gli effetti, sul reato in quanto evento naturalisticamente inteso, ma piuttosto sull’azione di accertare e punire, che si rivela inutile, inopportuna, dannosa, e probatoriamente problematica all’interno del processo.

La prescrizione penalistica non è, poi, identica al suo omologo civilistico. Non è tanto e solo l’inerzia di chi esercita il diritto (la pretesa punitiva nel nostro caso) a rilevare.

La prescrizione penalistica ha, infatti, una funzione che travalica quella tipica e generale dell’omologo istituto civilistico, perché serve, tra l’altro, anche ad impedire ad una condanna troppo tardiva di realizzare i suoi effetti negativi, senza, peraltro, esplicare alcuna delle virtuose prerogative.

Il tema, nella sua dimensione ontologica, è stato affrontato, sia pure in relazione ad una fattispecie particolare (i c.d. eterni giudicabili e la relazione con la prescrizione), dalla Corte costituzionale che ha avuto modo di puntualizzare come la ratio della prescrizione “è legata, tra l’altro, sia all’affievolimento progressivo dell’interesse della comunità alla punizione del comportamento penalmente illecito, valutato, quanto ai tempi necessari, dal legislatore, secondo scelte di politica criminale legate alla gravità dei reati, sia al “diritto all’oblio” dei cittadini, quando il reato non sia così grave da escludere tale tutela”[11].

L’indisponibilità dell’azione penale rafforza la peculiarità della versione penalistica dell’istituto.

La convinzione che la prescrizione non sia un farmaco per curare la lentezza del processo, evidente patologia del sistema, contiene un’indiscutibile verità che non può essere, però, estremizzata fino ricavarne la incomunicabilità tra i due versanti. La prescrizione rappresenta un modo per impedire l’effetto devastante di una condanna a distanza di molti anni dal fatto (e per evitare che un innocente resti sotto scacco per un tempo indefinito). La declaratoria di estinzione intervenuta nel corso del processo non è un male in sé nella misura in cui si oppone ad un evidente arbitrio[12]. La condanna a siderale distanza dal fatto è sempre un’ingiustizia: bisogna solo stabilire qual è il tempo che separa la giustizia dall’arbitrio.

Insomma, impedire che dopo un periodo di tempo particolarmente lungo l’imputato possa essere sottoposto alla pena è un atto di civiltà e di coerenza costituzionale. A questa esigenza è funzionale, tradizionalmente, la prescrizione, che interviene, dunque, nel rapporto tra tempo e condanna. In questa ottica, non si può affermare la sua eccentricità rispetto alla durata ragionevole del processo. E se pure può sostenersi che la disciplina della prescrizione del reato non abbia la diretta funzione di consentire la durata ragionevole del processo, cosa sulla quale non concordo pienamente, è indubbio che, in concreto, essa impedisce al processo di durare un tempo biblico, opponendosi almeno agli irragionevoli eccessi.

 

4. Dopo aver premesso che, sul piano dei principi, l’istituto della prescrizione corrisponde ad un’esigenza di garanzia del sistema penale[13], va detto che essa, dal punto di vista dogmatico, può essere ricostruita marcando i tratti sostanziali o quelli processuali[14]. Disputa interessante ma utile solo parzialmente a risolvere la questione centrale.

Non mi convince l’impostazione di chi le attribuisce una natura (prevalentemente) sostanziale[15]. La necessità di assicurare la copertura dell’art.25 comma 2 Cost. non è un argomento decisivo, anche perché non esiste antinomia tra l’applicazione del divieto di irretroattività sfavorevole ed una declinazione in termini processuali della disciplina della prescrizione penale[16]. La giurisprudenza della Corte EDU sembra orientarsi nel senso di riconoscere la richiamata garanzia anche oltre il perimetro ristretto del diritto penale sostanziale.

Sul piano dei fondamenti giuridici, vi è un unanime accordo sulla opportunità di coltivare l’idea di un tempo determinato di sopravvivenza del reato e/o della possibilità di punire il futuro colpevole. In questo senso, il c.d. diritto all’oblio, il diritto cioè ad essere dimenticato (nella prospettiva delle punizione ovviamente) dallo Stato dopo il trascorrere di un congruo tempo ha una sua oggettiva riconoscibilità. Dopo un certo periodo la collettività perde, tranne in caso eccezionali, interesse a punire.

La stessa Corte costituzionale, nella sentenza Taricco[17], ha dato rilievo al c.d. diritto all’oblio, bilanciandolo con l’interesse a perseguire i reati da parte dello Stato fino a quando l’allarme sociale non è cessato. La logica del bilanciamento degli interessi contrapposti legittima l’ottica garantista della prescrizione.

È stata, giustamente, messa in rilievo[18], però, la natura Stato centrica di quest’ultima argomentazione e, quindi, la sua parzialità nell’affrontare in modo esaustivo i profili connessi alla legittimazione dell’istituto in esame.

Il passaggio del tempo e la sofferenza della sottoposizione al processo incidono, infatti, anche sulle garanzie della persona, sulle funzioni stesse della pena e sulla sua prevalente ratio rieducativa. Dopo una certo tempo, si realizzano situazioni che incidono profondamente sull’esigenza di punire e di accertare: (1) le persone cambiano, anche radicalmente, e potrebbero non essere più le stesse che hanno commesso il reato; (2) ugualmente l’esigenza di ricucire la lesione determinata dalla commissione del reato diventa sempre meno presente nell’interesse della collettività e meno utile nell’ottica della prevenzione generale e speciale ; (3) il trascorrere del tempo acuisce la dimensione afflittiva del processo stesso, il quale rappresenta in sé una pena che non può essere fatta scontare all’infinito o per un tempo indeterminato, soprattutto quando il soggetto non verrà riconosciuto come colpevole; (4) il decorso del tempo rende difficoltoso l’accertamento e lo stesso giusto processo.

La definizione sostanziale dell’istituto si apre, in tal modo, inevitabilmente ad una pluralità di profili processuali che ne contaminano la natura.

 

4.1. Per chiarire il pensiero, bisogna partire dalla convinzione secondo cui il processo penale non è un modo per combattere fenomeni criminali, ma un percorso legale di accertamento condotto nel rispetto delle garanzie fondamentali della persona, nell’ambito delle quali rientra, ai sensi dell’art 111 comma 2 Cost., il diritto ad un accertamento temporalmente di durata ragionevole. Il tempo ragionevole dell’accertamento è, infatti, tempo che riguarda il processo.

Il tempo di vita della “punizione” ricomprende anche il tempo necessario all’accertamento.

Purtroppo, nel nostro sistema penale, la individuazione di un tempo massimo per punire (e prima ancora di accertare) ha come unica copertura normativa la disciplina della prescrizione, che finisce per tutelare anche i diritti dell’imputato nell’ottica della presunzione di innocenza: annichilire il decorso del tempo trasforma l’imputato in un presunto colpevole, nei confronti del quale l’accertamento può anche essere infinito.

Nella valutazione dei rapporti tra tempo e punizione entrano, però, in gioco anche ulteriori profili. Tentando una sintesi molto approssimativa, si possono sottolineare alcune garanzie di diretta derivazione costituzionale e convenzionale che, in via generale, rappresentano ulteriori referenti dell’istituto della prescrizione e che hanno natura prettamente processuale.

L’art. 111 Cost. comma 2 Cost. esplicita il principio della ragionevole durata del processo[19] che, dunque, non può essere eterno e neppure durare un tempo indefinito, pena la palese violazione del precetto costituzionale.

L’art. 6 della CEDU, stabilendo che ogni persona ha diritto ad un equo processo che deve essere celebrato “entro un tempo ragionevole”, esprime la necessità di un tempo di celebrazione del processo predeterminato e, al fondo, contrasta in modo netto con la possibilità stessa di restare sotto processo senza limiti temporali, potenzialmente all’infinito.

L’art. 27, comma 3, Cost. collega, poi, la finalità necessariamente rieducativa della pena alla (relativa) “attualità” della punizione rispetto al fatto. Nella stessa direzione ontologica e con maggiore vigore, l’art. 27 comma 2 Cost., nel sancire la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva vieta ogni forma di giurisdizione eterna, indeterminata, e non distingue affatto tra sentenza di primo grado e di appello: la regola è una costante che continua a scandire la garanzia fino al passaggio in giudicato della sentenza. L’inefficienza del sistema non può essere scaricata sull’individuo, presunto innocente. Non si può sostituire il principio del in dubio pro reo con l’altro in dubio pro republica[20].

L’art. 24 comma 2 Cost. esprime il fondamentale valore del diritto di difesa, efficace solo se espletato pienamente entro un tempo ragionevole. Solo in questa direzione, infatti, può avere valenza il diritto di difendersi provando, base ontologica della garanzia che la rende strumentale al contraddittorio quale principio fondamentale della giurisdizione.

L’art. 111 Cost., nell’esaltare il diritto al contraddittorio nella sua completezza, inevitabilmente pone l’accento sull’oralità e sull’immediatezza come baricentri intorno ai quali si muove l’asse del giusto processo. Essi, come ha sottolineato la Corte costituzionale nella sentenza 132 del 2019, possono diventare meri simulacri se non sono inseriti in rigide scansioni temporali capaci di valorizzare la concentrazione e se intervengono ad eccesiva distanza dal fatto[21].

Sembra, allora, abbastanza evidente che, al di là delle dispute dogmatiche, la prescrizione rechi in sé e valorizzi sul pano delle garanzie connotati tipici di natura sostanziale e di natura processuale (forse, questi ultimi addirittura prevalenti).

Quel che non mi pare dubitabile è che, sul piano dei valori fondamentali e della stessa civiltà giuridica democratica, dopo un certo tempo non sia più possibile punire e prima ancora accertare la sussistenza del reato. Con questa impostazione collide radicalmente la scelta di bloccare il decorso del tempo dopo la sentenza di primo grado: a tacer d’altro, si riconosce alla sentenza di primo grado un valore che l’art. 27 comma 2 Cost. decisamente non le assegna.

Peraltro, in tal modo, l’attuale normativa sulla prescrizione finisce per consegnarsi alla parte peggiore della disciplina processuale, sorda al principio della ragionevole durata del processo.

Ed in attesa di una riforma che attui il precetto costituzionale, non possiamo far finta che la prescrizione guardi ad altro e si occupi di altro e non della relazione tra tempo e ratio della punizione, che è elemento qualificante del giusto processo, cioè del luogo ove si verifica la responsabilità e la punizione.

 

4.2. Il punto critico della riflessione è legato alla relazione tra la prescrizione, tradizionalmente intesa, ed il principio della durata ragionevole del processo. Io credo – come già in parte ho affermato - che tra i due poli esista una connessione indiscutibile. Non sono esattamente sovrapponibili, ma neppure sideralmente distanti.

Concordo, infatti, con chi ricollega saldamente i due ambiti evidenziando come “fino ad oggi la prescrizione ha costituito, nella prassi applicativa, la sanzione per la violazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo”[22].

Purtroppo, allo stato l’unica regola che riguarda il decorso del tempo in relazione alla punizione è interna alla disciplina della prescrizione, sicchè è inevitabile riconoscerle una diretta, anche se parziale, incidenza sulla ragionevole durata del processo. E la ritengo una disciplina non soddisfacente. di retroguardia, limitata solo ad evitare gli arbitri più eclatanti.

Mentre, infatti, la disciplina della prescrizione, per come è stata normata negli ultimi decenni (e fino a prima della riforma Buonafede), guardava ad una frazione temporale ampia, quella dell’oblio e del tempo massimo per la possibile condanna definitiva, il principio costituzionale della ragionevole durata dovrebbe curarsi di tutelare le garanzie attraverso l’individuazione di una tempistica concreta di svolgimento del processo, richiedendo tempi certi e ragionevoli per le singole scansioni procedurali. Sotto questo profilo, le distanze tra i due poli non sono non misurabili con il metro della distinzione concettuale, quanto piuttosto con quello della strumentalità reciproca. Se, cioè, fissare un tempo massimo per la punizione indica il perimetro temporale entro il quale il processo deve concludersi, a prescindere da quando è iniziato, prevalendo il diritto all’oblio, stabilire i tempi certi del processo assicura i diritti fondamentali dell’imputato all’interno del perimetro stesso.

Preferirei, allora, in prospettiva, una disciplina della prescrizione che si limiti a fissare solo la durata massima della punibilità, lasciando ad una diversa (rigida) normativa sui tempi delle scansioni procedurali il compito di regolare, all’interno di questo contenitore, la durata dei singoli gradi del processo, mediante l’introduzione dell’istituto dell’improcedibilità dell’azione quale sanzione per i casi di inosservanza.

Solo in tal modo possiamo distinguere il tempo dell’oblio da quello dell’accertamento, senza correre il rischio di contaminare istituti, anche solo parzialmente, diversi e senza, però, sguarnire l’imputato di garanzie essenziali.

Da un lato, dunque, un tempo massimo, decorrente dalla data di commissione del reato, inderogabile, per giungere alla punizione, che avrebbe anche il compito di neutralizzare quei casi in cui la scoperta del fatto interviene a distanza di molto tempo.

Da altro lato, invece, la previsione di tempi certi per la durata dei singoli segmenti procedurali.

La combinazione di queste due discipline potrebbe rappresentare un modo per affrontare l’annoso dilemma del rapporto tra tempo, punizione e accertamento.

 

5. La prescrizione dell’azione o, per meglio dire, la sua improcedibilità è un tema sul quale, sia pur con accenti differenti ed approdando a risultati non omologhi, la dottrina processualpenalistica[23] ha più volte riflettuto.

Il profilo è stato valutato, in passato, anche dalla Commissione Riccio che, nella relazione di accompagnamento alla bozza di legge delega di riforma del codice di procedura penale, sottolineava le premesse giuridiche della nuova sistemazione normativa proposta.

Si diceva: “La prescrizione del reato “certifica” l’oblio della collettività rispetto a fatti pregressi; la prescrizione del processo, la non ulteriore protraibilità della pretesa punitiva nei confronti di un soggetto, atteso che dopo un certo lasso di tempo l’accertamento del fatto-reato è ritenuto minusvalente rispetto al pregiudizio recato all’imputato dall’ingiustificato prolungarsi del procedimento giudiziario. Fenomeni differenti anche in ordine alle conseguenze del loro operare: la prescrizione del reato produce un effetto preclusivo erga omnes; la prescrizione del processo soltanto nei confronti dell’imputato.

Il tempo della punibilità è un tempo cronologico, un tempo vuoto o, meglio, indifferente a tutto ciò che si materializza durante il suo fluire (indifferente, in particolare, alla condotta dei soggetti interessati); un tempo, il cui strumento di misurazione è il calendario.

Il tempo dell’agire giudiziario è invece fenomeno giuridico – scandito dall’interazione dei protagonisti, dal susseguirsi di fatti interruttivi e sospensivi – il cui strumento di misurazione è la norma. Il tempo della prescrizione del reato scorre in modo lineare e costante, mentre quello del processo in modo discontinuo, conoscendo pause e riprese”[24].

Sono tempi diversi ed intrecciati; ma nessuno dei due può essere bloccato prima della sentenza definitiva.

Il profilo fonda sulla considerazione secondo la quale l' esercizio della pretesa punitiva dello Stato “si qualifica sul piano ontologico e razionale in termini di tempo per l' oblio del fatto all’interno della comunità sociale, oltre che per realizzare la presunzione di innocenza; ed in questi termini si prescrive la rinunzia a far valere la pretesa punitiva dello Stato: tempo e pretesa sono in rapporto funzionale con i tempi della giurisdizione; il tempo, cioè, è un elemento essenziale del processo”[25].

Si sente anche oggi l’esigenza di connotare, de iure condendo, la relazione tra tempo e punizione in modo più complesso e completo.

Riassumendo: se la fissazione di un tempo massimo per addivenire alla punizione (prescrizione) svolge il ruolo di individuare il limite dell’oblio e della possibilità di accertare la responsabilità e irrogare la sanzione, la disciplina della ragionevole durata del processo (improcedibilità dell’azione) richiede scansioni per il corretto funzionamento del giusto processo e la realizzazione del progetto costituzionale (art. 111 comma 2 Cost)..

In questa ottica, la prescrizione processuale non potrebbe mai essere considerata un male o una patologia del sistema, ma semmai una virtuosa componente dell’ordinamento a tutela della durata ragionevole del processo[26], cioè di un valore di rilievo fondamentale.

La contemporanea presenza dei “due orologi[27], di due diverse modalità di calcolo del tempo, è strumentale a garantire la tenuta democratica del sistema. Oggi è tutto scaricato sulla prescrizione del reato che, peraltro, può durare anche venti/trenta anni, un tempo, cioè, decisamente irragionevole. La combinazione dei due momenti potrebbe segnare un passo avanti nella sistemazione, anche teorica, della materia.

La prospettiva dell’improcedibilità (prescrizione dell’azione), potrebbe essere, in concreto, ancorata all’individuazione di tempi certi e inderogabili per la celebrazione delle singole fasi e gradi del processo, attraverso la fissazione di scansioni ravvicinate che rendano effettivi i principi di oralità ed immediatezza, concentrazione e contraddittorio. Il termine dovrebbe essere diversificato a seconda della gravità del reato ed essere suscettibile di allungamento nelle ipotesi di particolare complessità del giudizio. Mai può essere superato il tempo massimo individuato come prescrizione del reato.

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 132 del 2019 già richiamata[28], ha messo in evidenza, attraverso un inatteso obiter dictum, che la celebrazione del processo, con scansioni non ravvicinate, rende il contraddittorio e l’immediatezza un mero simulacro. L’affermazione in fondo conferma quel che molti pensano. Ma a differenza dell’orizzonte indicato dalla Consulta, si avverte la pressante necessità di invertire la rotta e realizzare quello che il codice di procedura penale aveva pensato e normativizzato: è ora, cioè, che le regole assumano un predominio sulle prassi. Il processo deve essere celebrato con udienze ravvicinate e stabilendo termini stringenti per la sua conclusione si possono indurre prassi virtuose.

Ugualmente, per appello e cassazione dovrebbe essere fissato un termine, diversificato posta la differente natura delle due impugnazioni, per la conclusione di ognuno dei singoli gradi.

Peraltro, la fissazione di un termine per la celebrazione del giudizio di appello metterà fine, spero, alle ricorrenti e incomprensibili dispute sulla opportunità dell’istituto, liberandolo dai sospetti (infondati) di partecipare in modo significativo al decorrere del tempo massimo fissato per la prescrizione del reato, e restituendogli il ruolo centrale di garanzia costituzionale[29].

Il decorso del termine, senza la conclusione del processo, deve necessariamente comportare la estinzione dell’azione e quindi, di conseguenza, del processo. L’azione penale non può essere proseguita se il tempo rigidamente stabilito è trascorso invano.

 

 

[2] Cfr. le lucide riflessioni di Pulitanò, La giustizia penale e il tempo, in questa Rivista, 2 dicembre 2019; cfr. anche le successive riflessioni dello stesso Autore: Il dibattito sulla prescrizione. Argomenti strumentali e ragioni di giustizia, in questa Rivista, 19 febbraio 2020

[3] Mazza, La riforma dei due orologi: la prescrizione fra miti populisti e realtà costituzionale, in questa Rivista, 21 gennaio 2020; sullo stesso profili cfr. De Caro, La riforma della prescrizione e il complesso rapporto tra tempo, vicende della punizione e processo: le eccentriche soluzioni legislative e le nuove proiezioni processuali sulla prescrizione dell’azione e l’estinzione del processo, cit.

[4] Cfr. le condivisibili osservazioni di Manes, Sulla riforma della prescrizione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 557 ss.; diversa è, invece, l’opinione espressa da Gatta, Prescrizione del reato e lentezza del processo: male non cura male, in questa Rivista, 9 dicembre 2019

[5] Le Camere penali italiane hanno organizzato addirittura una maratona oratoria per contrapporti alla riforma della prescrizione; ed anche l’associazione italiana tra gli studiosi del processo penale in data e l’associazione dei professori di diritto penale, sono intervenute, con appositi documenti, sullo stesso tema in chiave critica.

[6] In tal senso Mazza, La riforma dei due orologi: la prescrizione fra miti populisti e realtà costituzionale, cit.

[7] Cfr., sul punto, le sentenze della Corte costituzionale n. 115 del 2018, n. 143 del 2014, n. 324 del 2008 e n. 393 del 2006.

[8] Cfr., in questa prospettiva, anche Manes, Sulla riforma della prescrizione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 557 ss.

[9] Come, ad esempio, Bartoli, Il nuovo volto della prescrizione: dalle concezioni garantiste alle concezioni stataliste, in questa Rivista, n. 4, 2020, 65 ss.; Rodorf, Notarella in tema di prescrizione penale, in Questione giustizia, 19 febbraio 2020.

[11] Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 2015 (che richiama la sentenza n. 23 del 2013).

[12] Cfr., sul punto, per una diversa impostazione, Gatta, Una riforma dirompente, cit.

[13]Per una ricostruzione dei profili di garanzia sottesi all’istituto cfr. Ubertis, Prescrizione del reato e prescrizione dell’azione penale, in Riv. it. Dir. e proc. pen., 2010, 3, 1016 ss. ; Manes, Sulla riforma della prescrizione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 557 ss.

[14] Bisogna anche evidenziare che la disputa sulla natura sostanziale e processuale ha registrato lo scetticismo di parte della dottrina che la ha definita “antichissima, ma irrisolvibile come il gioco dei concetti”: cfr. Marinucci, Relazione di sintesi, in Per una giustizia più sollecita: ostacoli e rimedi ragionevoli, cit., 143.

[15] Cfr. la rassegna delle varie posizioni di Epidendio, Prescrizione, legalità e diritto giurisprudenziale: la “crisi” del diritto penale tra le Corti, in Dir. pen. cont., 28 settembre 2017, p. 4; cfr. anche Losappio, Il congedo dalla prescrizione dal processo penale. Tempus fu(g)it, in Dir. pen. cont., n. 7/8, 2019, p. 5 ss. Per una prospettiva decisamente diversa cfr. Giostra, Il problema della prescrizione: aspetti processuali, anche in Giur. it., 2005, c. 2221; Riccio, La crisi della giustizia tra pressioni comunitarie e recessioni interne, in Arch. pen., 2019, 3, p. 1 ss. Più in generale, sul rapporto tra tempo/diritto penale e processo cfr. Leone, Il tempo nel diritto penale sostantivo e processuale, Napoli, 1974; Fiandaca, Tempo e diritto penale, in Diritto, processo, tempo, a cura del C.S.M., Frascati, 16-18 novembre 2000; Giunta, Micheletti, Tempori cedere. Prescrizione del reato e funzioni della pena nello scenario della ragionevole durata del processo, Giappichelli, Torino, 2003.

[16] Sul punto, Ubertis, Prescrizione del reato e prescrizione dell’azione penale, cit., 1018 e 1019.

[17] Corte costituzionale, Sent. n. 115 del 2018.

[18] Da Vittorio Manes, nel corso dell’audizione alla commissione giustizia della Camera dei deputati proprio sul tema della disciplina della prescrizione.

[19] Per una ricostruzione generale del principio di ragionevolezza dei tempi del processo cfr. , per una impostazione generale, Aimonetto, La durata ragionevole del processo penale, Torino, 1997 ; Ciglioni, La ragionevole durata del processo penale, in G. Dean (a cura di), Fisionomia costituzionale del processo penale, Torino, 2007, p. 197 ss.; D’Aiuto, Il principio della ragionevole durata nel processo penale, Napoli, 2007; Ferrua, Il giusto processo, cit., p. 53 ss.; Grevi, Il principio della “ragionevole durata” come garanzia oggettiva del processo penale, in Cass. pen., 2003, p. 3024 ss.; Siracusano, La durata ragionevole, in Dir. pen. proc., 2002, p. 763.

[20] Ricavo anche questa affermazione dalla relazione svolta da Vittorio Manes alla Commissione giustizia della Camera dei deputati sul tema della prescrizione.

[21] Sulla sentenza 132 del 2019, in chiave fortemente critica, cfr. i contributi di Ferrua, Il sacrificio dell’oralità nel nome della ragionevole durata: i gratuiti suggerimenti della Corte costituzionale al legislatore, in Arch. Pen,, 2, 2019; Mazza, Il sarto costituzionale e la veste stracciata del codice di procedura penale, in Arch. Pen., 2, 2019; Negri, La Corte costituzionale mira a squilibrare il “giusto processo” sulla giostra dei bilanciamenti, in Arch. Pen, 2, 2019.

[21] Nella direzione della costituzionalità del principio cfr., De Caro, Il controllo della decisione, in Riccio, De Caro, Marotta, Principi costituzionali e riforma della procedura penale, Napoli, ed. 2001, 161 ss.; ugualmente De Caro, Filosofia della riforma e doppio grado di giurisdizione di merito, in La nuova disciplina delle impugnazioni dopo la “legge Pecorella”, a cura di A. Gaito, Torino, 2006, 1 ss. Una diversa prospettiva è rintracciabile in Spangher, Il doppio grado di giurisdizione, in Presunzione di non colpevolezza e disciplina delle impugnazioni, in Atti del Convegno dell’associazione tra gli studiosi del processo penale, n. 10, Milano, 2000, 104 secondo cui il diritto all’appello esprime rilevanti esigenze difensive ma non ha una dimensione costituzionale.

[22] Mazza, La riforma dei due orologi, cit.

[23] De Caro, La riforma della prescrizione e il complesso rapporto tra tempo, vicende della punizione e processo: le eccentriche soluzioni legislative e le nuove proiezioni processuali sulla prescrizione dell’azione e l’estinzione del processo, cit.; Giostra, La prescrizione: aspetti processuali, Per una giustizia penale più sollecita: ostacoli e rimedi ragionevoli, cit., 79 ss.; Mazza, La riforma dei due orologi: la prescrizione fra miti populisti e realtà costituzionale, cit.; Riccio, La crisi della giustizia tra pressioni comunitarie e recessioni interne, in Arch. pen., 2019, 3, 15; Ubertis, Prescrizione del reato e prescrizione dell’azione penale, cit., 1016 ss.

[24] Relazione di accompagnamento alla bozza di legge delega predisposta dalla C commissione di riforma del codice di procedura penale presieduta dal prof. Giuseppe Riccio.

[25] In tal senso, testualmente Riccio, La crisi della giustizia tra pressioni comunitarie e recessioni interne, in Arch. pen., 2019, 3, 15.

[26] In tal senso De Caro, La legge c.d. spazza corrotti: si dilata ulteriormente la frattura tra l’attuale politica penale, i principi costituzionali e le regole del giusto processo, in Processo penale e giustizia, 2/2019, 281 ss.

[27] Utilizzo una frase coniata da Oliviero Mazza (La riforma dei due orologi: la prescrizione fra miti populisti e realtà costituzionale, cit.) in modo leggermente diverso.

[28] Cfr. la nota 20 e la dottrina ivi citata.

[29] Nella direzione della costituzionalità del principio cfr., De Caro, Il controllo della decisione, in Riccio, De Caro, Marotta, Principi costituzionali e riforma della procedura penale, Napoli, ed. 2001, 161 ss.; ugualmente De Caro, Filosofia della riforma e doppio grado di giurisdizione di merito, in La nuova disciplina delle impugnazioni dopo la “legge Pecorella”, a cura di A. Gaito, Torino, 2006, 1 ss. Una diversa prospettiva è rintracciabile in Spangher, Il doppio grado di giurisdizione, in Presunzione di non colpevolezza e disciplina delle impugnazioni, in Atti del Convegno dell’associazione tra gli studiosi del processo penale, n. 10, Milano, 2000, 104 secondo cui il diritto all’appello esprime rilevanti esigenze difensive ma non ha una dimensione costituzionale.