D.l. 25 marzo 2020, n. 19 (“Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19”)
1. Premessa. – Con il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (“Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19”), il Governo si è preoccupato di realizzare un’opera di riordino del caos normativo e sanzionatorio determinatosi nella situazione emergenziale in atto, anche per effetto della concorrente attività normativa dello Stato, delle regioni e dei comuni. Sappiamo che il paese sta affrontando un’emergenza senza precedenti, che vede in prima linea medici e infermieri e chiama i cittadini a comportamenti responsabili, per tutelare la salute pubblica. Difficoltà nella gestione, anche normativa, della situazione che stiamo vivendo – come quelle registrate nei giorni scorsi – sono del tutto comprensibili. Quando però i gesti più comuni della nostra quotidianità sono oggetto di limitazioni e di divieti, disposti da provvedimenti che si affastellano di giorno in giorno e che non sono uniformi sull’intero territorio nazionale o regionale; quando su quei gesti quotidiani, e sulle attività lavorative – comprese le libere professioni, il commercio e l’industria – converge la minaccia di sanzioni diverse e non coordinate da parte dello Stato, delle regioni e finanche dei comuni, l’incertezza regna e il diritto rischia di perdere l’essenziale funzione regolatoria che deve possedere di fronte all’emergenza: contribuire a superarla, orientando i comportamenti dei cittadini, che devono trovare agevolmente nel diritto la risposta alla domanda su ciò che si può o non si può fare, su ciò che si deve o non si deve fare, per il bene comune.
Il senso di smarrimento che ha determinato la produzione normativa multilivello, nei giorni scorsi, ha reso opportuno l’intervento del Governo attraverso la decretazione d’urgenza; ha reso opportuna un’opera volta ad aggiustare in corsa la normativa di base dell’emergenza COVID-19, ricomponendo e coordinando un quadro normativo complesso, nella consapevolezza della necessità non solo di migliorare l’azione di prevenzione della diffusione del coronavirus, ma anche – e forse soprattutto – nella consapevolezza che la legislazione dell’emergenza deve preoccuparsi di rispettare i principi dello Stato di diritto nel quale viviamo e continueremo a vivere, passata la tempesta. Per quanto eccezionale, infatti, l’emergenza è un’evenienza fisiologica anche nello stato di diritto, contemplata da plurime disposizioni della Costituzione così come della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Ricordarlo non fa male, e il decreto-legge n. 19 del 2020 ne fornisce l’occasione, in uno dei momenti più difficili della storia dell’Italia repubblicana e, senz’altro, degli ultimi decenni: il diritto dell’emergenza può e deve essere conforme ai principi superiori dell’ordinamento.
2. Il riassetto del diritto dell’emergenza COVID-19. – L’architrave del complesso normativo edificato nelle scorse settimane attorno all’emergenza coronavirus è stato rappresentato fino a ieri dal d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, che ha costituito la base legale – invero molto traballante – per legittimare misure limitative di libertà e diritti fondamentali (le c.d. misure di contenimento) attraverso una serie di d.p.c.m. – dei quali si è perso il conto – e di svariati provvedimenti regionali (a questo proposito si rinvia all’ampia analisi contenuta in un recente contributo di Carlo Ruga Riva, pubblicato su questa Rivista). Quello stesso d.l., all’art. 3, co. 4. aveva previsto una sanzione penale, richiamando l’art. 650 c.p., per l’inosservanza delle misure di contenimento della diffusione del virus.
Ebbene, l’importanza del d.l. n. 19/2020 si coglie considerando come lo stesso, all’art. 5, abroghi il d.l. n. 6/2020 (salvo alcune disposizioni di rilievo molto marginale), andando così a sostituire l’architrave della disciplina dell’emergenza. I primi tre articoli del decreto-legge delineano un nuovo assetto, che ruota attorno ai seguenti cardini:
a) l’estensione delle misure di contenimento del virus – se necessario – all’intero territorio nazionale. Come da noi auspicato in un precedente contributo, pubblicato su questa Rivista, viene così sanata dal d.l. n. 19/2020 la mancanza della base legale delle misure introdotte, al di fuori delle ‘zone rosse’, sulla base del d.l. n. 6/2020, nato come provvedimento volto a disciplinare misure di estensione locale, in quanto circoscritte a quelle sole zone;
b) il carattere tassativo delle misure limitative – nel complesso 29 tipologie –, ora elencate (nell’art. 2) senza più riprodurre la clausola in bianco delle eventuali “ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza” adottabili con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Viene così evitato un vulnus al principio della riserva di legge – anche questo avevamo auspicato nel citato contributo pubblicato in questa Rivista – che la Costituzione prevede quale condizione e garanzia per limitare l’esercizio di libertà fondamentali, come quelle di cui agli artt. 16 (libertà di circolazione) e 41 (libertà di iniziativa economica) della Costituzione. Non è d’altra parte priva di significato, nella prospettiva del principio della riserva di legge e del tentativo di restituire un ruolo centrale al Parlamento, pur nell’emergenza, la previsione secondo cui “il Presidente del Consiglio o un Ministro da lui delegato riferisce ogni quindici giorni alle camere sulle misure adottate ai sensi del presente decreto” (art. 2, co. 5);
c) l’adeguatezza specifica e la proporzionalità al rischio effettivamente presente, su base locale o nazionale, come criteri che legittimano l’adozione delle misure limitative per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020 (termine dello stato di emergenza dichiarato il 31 gennaio 2020) e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del virus (art. 1); una previsione questa che, nel dare rilievo alla adeguatezza rispetto al fine preventivo, alla proporzione rispetto al sacrificio di diritti e libertà fondamentali e al carattere temporaneo delle misure, sembra coerente con i principi del sistema, a partire dal fondamentale canone della ragionevolezza (art. 3 Cost.). È inoltre previsto (art. 2) che “per i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità”, le misure sono adottate dopo aver sentito un apposito comitato tecnico scientifico;
d) il carattere primario e centrale della competenza statale nell’adozione delle misure limitative. Resta infatti confermato, come già nella previsione dell’art. 3 del d.l. n. 6/2020, che le misure sono adottate di regola con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i (o su proposta dei) presidenti delle regioni interessate, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome (nel caso di misure che riguardino l’intero territorio nazionale). E si conferma altresì la previsione che attribuisce al Ministro della Salute il potere di adottare le misure limitative con ordinanza, ai sensi dell’art. 32 l. n. 833 del 1978 (legge istitutiva del servizio sanitario nazionale) solo “nelle more” dell’adozione dei d.p.c.m. e “nei casi di estrema necessità e urgenza”;
e) la competenza eccezionale delle regioni attribuita per introdurre in via d’urgenza misure limitative, tra quelle tipizzate dall’art. 1 del decreto-legge, e solo nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, con efficacia limitata fino a tale momento. Le misure possono essere adottate dalle regioni in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso. La potestà è attribuita alle regioni “esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale”;
f) il divieto per i sindaci di adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza in contrasto con le misure statali o che siano relative ad attività non di loro competenza ovvero relative ad attività produttive o di rilevanza strategica per l’economia nazionale.
3. Le sanzioni per l’inosservanza delle misure. – Di particolare rilievo, non solo per i penalisti, è poi la nuova disciplina sanzionatoria applicabile per l’inosservanza delle misure (art. 4): un profilo d’immediato interesse per tutti i cittadini, considerato che ognuno di noi destinatario di una o più misure (a partire dalle limitazioni all’allontanamento dalla propria residenza) e che è di conseguenza esposto, appunto, alle sanzioni per l’inosservanza.
3.1. La contravvenzione abrogata. - Il d.l. n. 6/2020 aveva sanzionato l’inosservanza delle misure limitative attraverso una disposizione dal seguente tenore, contenuta nell’art. 3, co. 4: “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale”. Tale disposizione viene ora abrogata. Essa configurava una figura di reato autonoma rispetto a quella della inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, di cui all’art. 650 c.p. La fattispecie coniata per far fronte all’emergenza coronavirus, infatti, era interamente descritta nel d.l. n. 6/2020 ed era pertanto dotata di autonomia precettiva (“il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto”): il rinvio all’art. 650 c.p. operava, come abbiamo sostenuto in altra sede, solo quoad poenam, cioè al fine della individuazione della sanzione (l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro; si trattava pertanto di una contravvenzione). Questa circostanza è rimasta in ombra, anche nella comunicazione ufficiale, tanto è vero che nel monitoraggio quotidiano dei controlli sulle misure di contenimento, pubblicato nella home page del sito del Ministero dell’Interno, si è fatto riferimento espresso al numero di “persone denunciate ex art. 650 c.p.”.
È un’inesattezza di non poco conto, se si considera che la contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., secondo l’orientamento della giurisprudenza prevalente[1], sanziona l’inosservanza di provvedimenti individuali e concreti rivolti a persone determinate, e non l’inosservanza di atti normativi generali e astratti, come quelli che vengono in rilievo nel caso di specie. È questa una lettura che da un lato mette(va) l’art. 650 c.p. fuori gioco rispetto all’emergenza COVID-19 – nella sua componente precettiva – e che, dall’altro lato, pone la disposizione stessa al riparo da altrimenti inevitabili censure di illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio della riserva di legge in materia penale. Non violano l’art. 25, co. 2 Cost., infatti, norme penali che sanzionano l’inottemperanza a ‘classi’ di provvedimenti della p.a., centrale o periferica: “il singolo provvedimento amministrativo, del quale la legge punisce l’inosservanza, è infatti estraneo al precetto penale, perché non aggiunge nulla all’astratta previsione legislativa: è solo un accadimento concreto che va ricondotto nella classe di provvedimenti descritta dalla norma incriminatrice”[2]. Sono invece in contrasto con il principio della riserva di legge le norme penali che puniscono l’inosservanza di atti normativi generali e astratti di fonte sublegislativa, che non si limitano alla specificazione tecnica del precetto (secondo la logica della riserva tendenzialmente assoluta), ma contribuiscono a descriverlo, individuando ad esempio i divieti funzionali alla prevenzione del contagio da COVID-19[3]. In quest’ultima ipotesi, nella tradizione penalistica, si parla notoriamente di norme penali in bianco; e a tale categoria (nella quale è spesso ricondotto impropriamente l’art. 650 c.p.) era in parte riconducibile l’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020, con riferimento alle misure atipiche di cui all’art. 2: le “ulteriori misure”, non meglio precisate, rimesse alle autorità competenti. Anche per questa ragione il d.l. n. 19/2020, preoccupato di allineare il più possibile la disciplina dell’emergenza ai principi costituzionali, ha per un verso escluso la possibilità di misure di contenimento atipiche, rimesse all’autorità amministrativa, e, per un altro verso, ha rinunciato al modello sanzionatorio dell’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, penalmente sanzionata.
3.2. Il ruolo dell’art. 650 c.p. – Fatta questa precisazione sull’autonomia precettiva dell’abrogata norma incriminatrice, va detto che il rinvio al trattamento sanzionatorio dell’art. 650 c.p. è subito parso discutibile: anche e proprio per questo la nuova contravvenzione ha avuto vita molto breve. L’art. 650 c.p. è notoriamente un reato bagatellare punito con le pene alternative dell’arresto (fino a tre mesi) o dell’ammenda (fino a 206 euro). È una contravvenzione per la quale è possibile l’oblazione, ai sensi dell’art. 162 bis c.p., e che consente pertanto la definizione del procedimento penale pagando 103 euro e ottenendo così l’estinzione del reato (per non dire che ad esiti analoghi può arrivarsi attraverso il procedimento per decreto ex art. 459 c.p.p.). Secondo i dati disponibili sul sito del Ministero dell’Interno, in due settimane, tra l’11 e il 24 marzo, sono state denunciate per il reato di cui parliamo circa 100.000 persone. Si tratta di un reato procedibile d’ufficio, per il quale l’autorità giudiziaria – alle prese con la problematica gestione della macchina della giustizia, nel periodo dell’emergenza e in quello successivo, nel quale riprenderà l’ordinaria attività sospesa e rinviata – sarebbe stata chiamata a gestire altrettanti fascicoli, con enorme dispendio di tempo, risorse ed energie. Ciò a fronte di un esito irrisorio (il pagamento di 103 euro), al quale sarebbe peraltro stato possibile giungere solo nei casi in cui il pubblico ministero avesse richiesto al g.i.p. l'emissione di un decreto penale di condanna o avesse esercitato in altro modo l’azione penale. Diversamente, come è più che verosimile, la sorte dei procedimenti avviati con l’attività di controllo, in atto su tutto il territorio nazionale con enorme impiego di preziose energie da parte delle forze dell’ordine, sarebbe stata quella della morte per prescrizione del reato, negli armadi delle procure italiane, già pieni di fascicoli.
3.3. La riscoperta di un’anticaglia: l’art. 260 r.d. n. 1265/1934. – Bene ha fatto allora il Governo a tornare sui suoi passi con il d.l. n. 19/2020 abrogando la norma incriminatrice di cui all’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020. L’abrogazione dell’incriminazione mette peraltro fine al problema, affacciatosi nella prassi, relativo alla repressione dell’inosservanza delle misure attraverso la più severa incriminazione prevista dall’art. 260 del testo unico delle leggi sanitarie (art. 260 r.d. n. 1265/1934), disposizione tuttora in vigore che punisce “chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo”. Trattandosi di contravvenzione punita con le pene congiunte dell’arresto e dell’ammenda (ora inasprite dal decreto-legge in commento) non è soggetta ad oblazione, il che, da notizie circolate in questi giorni, ne ha comportato la riscoperta, tra le anticaglie penalistiche, da parte di alcune procure italiane. Senonché il tentativo di individuare nell’ordinamento un’incriminazione più severa – per comprensibili finalità di prevenzione generale – è oggi superato dall’introduzione della nuova disciplina sanzionatoria, della quale subito si dirà. Si è trattato peraltro, a nostro avviso, di un tentativo discutibile, considerato che al pari dell’art. 650 c.p., anche la citata disposizione ci sembra debba essere letta, in conformità al principio della riserva di legge, come disposizione che sanziona l’inosservanza di provvedimenti individuali e concreti del potere esecutivo (ovvero di atti normativi generali e astratti con mera funzione di specificazione tecnica); si tratta pertanto di una disposizione fuori gioco rispetto all’inosservanza delle misure di contenimento dell’epidemia da COVID-19 (lo conferma, come si dirà, una previsione oggi contenuta nell’art. 4, co. 1 del d.l. in commento). D’altra parte, l’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020 si presentava chiaramente come disposizione eccezionale e speciale, potendosi così superare la pur possibile obiezione rappresentata dalla clausola “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, con la quale esordiva l’abrogata norma incriminatrice (una clausola che acquisiva significato se riferita, ad esempio, ai delitti contro la pubblica incolumità).
3.4. Il nuovo illecito amministrativo punitivo di cui all’art. 4, co. 1. – A fronte del dato, monitorato quotidianamente, relativo al numero di persone che risultano avere violato le prescrizioni imposte con le misure di contenimento del COVID-19, il Governo – seguendo una strada che anche noi avevamo indicato nel più volte richiamato contributo come opportunamente percorribile – è tornato sui suoi passi abbandonando l’opzione penale, quanto meno di regola, e presidiando l’osservanza delle misure con un nuovo illecito amministrativo punitivo. Ad essere sanzionata, dall’art. 4, co. 1 del d.l. n. 19/2020, è l’inosservanza delle misure indicate dall’art. 1, co. 2 – al cui elenco rinviamo – adottate ai sensi dell’art. 2, comma 1 (dal Presidente del Consiglio dei Ministri) ovvero dell’art. 3 (dai Presidenti delle regioni). Da segnalare che il mancato richiamo dell’art. 2, co. 2 – attribuibile a una svista (?) – rende in modo irragionevole non sanzionabile ai sensi dell’art. 4, co. 1 d.l. n. 19/2020 l’inosservanza delle misure adottate con ordinanza del Ministro della Salute.
Secondo la regola generale di cui all’art. 3, co. 1 l. n. 689/1981, il nuovo illecito amministrativo può essere realizzato sia con dolo sia con colpa. Il rimprovero dell’agente presuppone la conoscenza o quanto meno la conoscibilità della misura inosservata, cioè del provvedimento che la dispone; l’errore incolpevole sul fatto esclude la responsabilità (art. 3, co. 2 l. n. 689/1981). La responsabilità è altresì esclusa, ai sensi dell’art. 4 l. n. 689/1981, quando il fatto (ad es. l’allontanamento dall’abitazione) sia commesso per stato di necessità (per evitare il pericolo di un danno grave alla persona propria o altrui: ad es., per acquistare un farmaco o per soccorrere una persona in pericolo, se non esistono alternative alla violazione della misura disposta dall’autorità). Sempre in base all’art. 4 l. n. 689/1981, potranno venire in rilievo, quali cause di giustificazione del fatto, la legittima difesa, l’adempimento di un dovere e l’esercizio di una facoltà legittima: purché, si intende, doveri e facoltà siano invocabili nonostante le misure limitative adottate sulla base del decreto-legge in esame; sempre che, in altri termini, quelle misure non limitino anche e proprio i doveri e le facoltà che diversamente potrebbero venire in rilievo come cause di giustificazione. Da ultimo, in base all’art. 5 della l. n. 689/1981 è configurabile il concorso di persone nell’illecito amministrativo, con la conseguenza che ciascuno dei concorrenti sarà sottoposto alla relativa sanzione.
È prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 3000 euro, raddoppiata in caso di reiterazione della “medesima disposizione”. L’espressione, infelice, si presta a una duplice lettura: quella che ravvisa la reiterazione in caso di violazione dell’art. 4, co. 1 (la “disposizione” che configura l’illecito), quale che sia la misura di contenimento inosservata; quella, restrittiva e nel dubbio preferibile, che invece riferisce il concetto di “disposizione” alla misura di contenimento e, pertanto, interpreta la reiterazione come una sorta di ‘recidiva’ specifica.
Per la violazione di alcune misure, relative ad attività commerciali, professionali e d’impresa, è prevista inoltre la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni. In caso di reiterazione dell’illecito (sempre da intendersi, ci sembra, come ‘recidiva’ specifica), la sanzione amministrativa accessoria è applicata nella misura massima (30 giorni), cioè in misura fissa; una previsione questa di sospetta legittimità costituzionale alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittime le pene accessorie fisse già previste per la bancarotta fraudolenta (Corte cost. sent. n. 222/2018); ciò qualora si riconoscesse il carattere punitivo (sostanzialmente penale) della misura. La misura può essere peraltro applicata in via cautelare, nell’immediatezza del fatto. All’atto dell’accertamento della violazione, “ove necessario per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione, l’autorità procedente può disporre la chiusura provvisoria dell’attività o dell’esercizio per una durata non superiore a 5 giorni. Il periodo di chiusura provvisoria è scomputato dalla corrispondente sanzione accessoria definitivamente irrogata, in sede di sua esecuzione”. Quanto all’esecuzione della misura, ragione vuole, nel silenzio del decreto-legge, che essa debba avere luogo dopo il periodo di sospensione dell’attività di cui si tratta, disposto quale misura di contenimento.
È prevista una circostanza aggravante qualora il mancato rispetto delle misure di contenimento avvenga mediante l’utilizzo di un veicolo. In questa ipotesi le sanzioni sono aumentate fino a un terzo, con la conseguenza che l’illecito potrà essere punito con una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 4000 euro.
La competenza ad irrogare le sanzioni per le violazioni delle misure di cui all’art. 2, co. 1, disposte con d.p.c.m., viene attribuita al prefetto; quella ad irrogare le sanzioni per le misure disposte ai sensi dell’art. 3 dalle regioni viene invece attribuita alle regioni stesse. Per l’esecuzione delle misure e per il relativo accertamento il Prefetto si avvale delle forze di polizia e, ove occorra, delle forze armate (previsione, quest’ultima, eccezionale e che testimonia la complessità della gestione dei controlli, attività di rilievo cruciale nell’azione di contrasto alla diffusione dell’epidemia in corso). La disciplina applicabile per l’accertamento delle violazioni è, per espressa previsione normativa, quella generale di cui alla l. n. 689/1981. È fatto altresì espresso richiamo alla disciplina introdotta dall’art. 103 d.l. n. 18/2020 per quanto riguarda la sospensione del termini del procedimento amministrativo, fino al 15 aprile 2020.
L’art. 4, co. 3 prevede pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta, rinviando alla disciplina prevista dal codice della strada nell’art. 202, co. 1, 2 e 2.1. Ferme restando le eventuali sanzioni amministrative accessorie, entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione è possibile pagare la sanzione pecuniaria nell’ammontare minimo di 400 euro; se il pagamento avviene entro 5 giorni, la misura della sanzione è ridotta del 30%: ammonterà pertanto a 280 euro.
3.5. I rapporti tra il nuovo illecito amministrativo e altri illeciti. – Per quanto riguarda i rapporti con altri illeciti, l’art. 4, co. 1 si apre con la clausola “salvo che il fatto costituisca reato”. Ciò rende inapplicabile la disciplina generale di cui all’art. 9 l. n. 689/1981, secondo cui quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale. Il nuovo illecito amministrativo, pertanto, non sarà applicabile quando il fatto sanzionato – cioè l’inosservanza delle misure di contenimento – integri un reato: è il caso della nuova contravvenzione prevista dall’art. 4, co. 6 del decreto-legge, come si dirà subito, per l’inosservanza della quarantena da parte di chi sia risultato positivo al virus. L’illecito amministrativo potrà invece concorrere con i reati configurabili a fronte della commissione di fatti diversi connessi all’inosservanza delle misure di contenimento (ad es., le lesioni colpose, l’omicidio colposo, l’epidemia colposa, ovvero, nei limiti in cui siano configurabili, i reati di falso).
Per evitare la morte in culla del nuovo illecito amministrativo – a fronte della clausola di cui si è detto –, il legislatore nell’art. 4, co. 1 ha è escluso espressamente l’applicabilità dell’art. 650 c.p. e di “ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità”. È stato così fugato ogni dubbio, stabilendo che l’inosservanza delle misure di contenimento non possa integrare le contravvenzioni di cui agli artt. 650 c.p. e 260 r.d. 1265/1934. La formulazione della disposizione sembrerebbe peraltro escludere altresì il concorso con altre sanzioni amministrative previste da leggi attributive di poteri per ragioni di sanità, tanto ad enti statali quanto a enti locali, comprese le ragioni.
3.6. La nuova contravvenzione di ‘inosservanza della quarantena’. – A una nuova figura di reato è affidata la prevenzione e la repressione dell’inosservanza di una sola delle misure limitative disciplinate dal decreto-legge, ritenuta meritevole di un regime sanzionatorio differenziato e ben più rigoroso in ragione del massimo grado del pericolo che essa comporta, per la salute pubblica e per l’effettività dell’azione di contrasto dell’epidemia in corso. Si tratta della violazione del “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus”. La misura è disciplinata dall’art. 2, co. 1 lett. e) del decreto-legge. Non integra invece la contravvenzione in esame – bensì l’illecito amministrativo di cui si è detto – l’inosservanza della “quarantena precauzionale” prevista quale misura limitativa dall’art. 2, co.1, lett. d) del decreto-legge per i soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che sono rientrati dall’estero.
Il legislatore, ribadendo una scelta infelice sotto il profilo del drafting normativo, ha individuato la sanzione attraverso un rinvio quoad poenam, questa volta all’art. 260 r.d. n. 1265/1934, come modificato dall’art. 4, co. 7 del d.l. n. 19/2020. È stata infatti contestualmente inasprito il trattamento sanzionatorio per il ‘redivivo’ reato contravvenzionale previsto dal testo unico delle leggi sanitarie del 1934, punito ora con l’arresto da 3 a 18 mesi e l’ammenda da 500 a 5000 euro. La comminatoria delle pene congiunte dell’arresto e dell’ammenda esclude la possibilità dell’oblazione. Trattandosi di contravvenzione, potrà essere commessa con dolo o anche solo con colpa, il tentativo non sarà punibile, e la recidiva non sarà configurabile.
Si tratta di un reato di pericolo per la salute pubblica, configurato, se non vediamo male, nella forma del reato di pericolo astratto; un pericolo che si fonda su una presunzione ragionevole perché sorretta da evidenze scientifiche ben note, quando si tratta dell’allontanamento dal luogo di isolamento di persona positiva al virus. Non dovrà pertanto essere accertato dal giudice il concreto pericolo causato da quella persona allontanandosi dall’abitazione. Ciò non toglie naturalmente che dovrà essere accertata a legittimità del provvedimento che dispone la misura (a tal proposito v. infra quel che si dirà a proposito della sostanziale mancanza di una base legale della quarantena).
Quanto infine ai rapporti con altre figure di reato, la nuova contravvenzione trova applicazione salvo che il fatto integri un delitto colposo contro la salute pubblica (art. 452 c.p.) – compresa l’epidemia – o comunque un più grave reato (doloso o colposo che sia). Rispetto al delitto di epidemia, in particolare, la contravvenzione si pone in un rapporto di gravità progressiva, sotto il profilo dell’entità del pericolo per la salute pubblica. L’epidemia colposa (punita con la reclusione da 1 a 5 anni) sarà configurabile, in luogo della contravvenzione in esame, se e quando si accerti che la condotta dell’agente ha cagionato il contagio di una o più persone e la possibilità di una ulteriore propagazione della malattia rispetto a un numero indeterminato di persone.
3.7. La sostanziale assenza di una disciplina legale della quarantena. – Requisito implicito della nuova fattispecie contravvenzionale è la legittimità della misura della quarantena, che il d.l. n. 19/2020 si limita a prevedere, nell’art. 2, co. 1, lett. e), senza disciplinarne tempi, modi e procedura. Manca nell’attuale quadro normativo – se non vediamo male – una disciplina organica della misura (chi è legittimato a disporla? per quanto tempo?); una misura che in quanto limitativa della libertà personale sembrerebbe dover sottostare ai limiti dell’art. 13 Cost. Ciò significa necessità della previsione legislativa dei casi e dei modi in cui la misura può essere disposta, con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, quanto meno nella forma della convalida. È vero che la quarantena non integra un propriamente un trattamento sanitario obbligatorio, ma è anche vero che per quell’ipotesi, che comporta una limitazione della libertà personale, la legge prevede per l’appunto un’articolata disciplina, che attribuisce al sindaco il potere di disporre il TSO in condizioni di degenza ospedaliera, salvo dover comunicare entro 48 ore al giudice tutelare il provvedimento, che deve essere convalidato entro le successive 48 ore (cfr. l’art. 35 della l. n. 833/1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale). La situazione di chi viene oggi messo in quarantena nella propria abitazione ovvero nella stanza di un ospedale o di un albergo requisito, non è dissimile, in termini di privazione della libertà personale, da quella di chi, sempre per ragioni sanitarie, è collocato in un ospedale per un TSO. A prescindere dalle indubbie ragioni a sostegno della quarantena, che nessuno discute, il problema, nella prospettiva delle garanzie e della tutela dei diritti individuali, è che una simile misura, che oggi interessa migliaia di cittadini, deve trovare nella legge – o quanto meno in un atto avente forza di legge – una disciplina dei presupposti di applicazione e della relativa procedura, che preveda appunto una convalida giudiziale, pur semplificata (ad es., attraverso un procedimento telematico). Una simile disciplina non può certamente essere affidata a un d.p.c.m., pur nella situazione di emergenza in atto. Simili rilievi mettono seriamente in dubbio il carattere legittimo del provvedimento la cui inosservanza dà luogo al nuovo reato; con la conseguenza che quel provvedimento, se ritenuto illegittimo, potrebbe essere disapplicato dal giudice penale, escludendo la responsabilità dell’agente per l’inosservanza. Bene farebbe allora il Parlamento, in sede di conversione del decreto-legge, a porre rimedio a una grave lacuna normativa, che rischia di pregiudicare l’effettiva applicazione della norma incriminatrice posta a presidio della più importante misura di contenimento dell’epidemia da coronavirus.
4. I profili di diritto intertemporale. - L’abrogazione della contravvenzione di cui all’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020 pone il problema della sorte da riservare ai fatti antecedentemente commessi. La ratio dell’intervento legislativo è evidentemente quella di rinunciare all’opzione penale, per non aggravare il carico giudiziario portandolo al collasso (si ricordino le 100.000 denunce), anche per l’effetto sinergico della forzata sospensione delle attività. Si è pertanto scelto di rinunciare alla pena – e soprattutto al processo penale – per affidare la risposta sanzionatoria a sanzioni amministrative, irrogate dal prefetto o dalle regioni.
Per quanto espressa in modo tecnicamente non impeccabile, è indubbia la volontà del legislatore di procedere a una depenalizzazione, determinando ai sensi e per gli effetti dell’art.2, co. 2 c.p. la perdita di rilevanza penale (abolitio criminis) delle classi di fatti riconducibili al nuovo illecito amministrativo. Ciò significa, quanto ai fatti pregressi, che nessuno potrà essere chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020 (salva l’ipotesi della violazione della quarantena da parte del positivo al virus, tuttora penalmente rilevante ai sensi dell’art. 4, co. 6 d.l. n. 19/2020, agli effetti dell’art. 2, co. 4 c.p.). I procedimenti incardinati presso le procure italiane dovranno essere archiviati: tanto quelli correttamente avviati per il reato di cui all’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020, quanto quelli impropriamente iscritti nel registro delle notizie di reato a titolo di contravvenzione ex art. 650 c.p., che dovranno essere oggetto di previa riqualificazione giuridica del fatto (sarebbe d’altra parte del tutto irragionevole e contrario all’art. 3 Cost. continuare a perseguire ai sensi dell’art. 650 c.p. fatti uguali a quelli per i quali l’art. 4, co. 1 d.l. n. 19/2020 espressamente esclude l’applicabilità…proprio dell’art. 650 c.p.).
Il legislatore era preoccupato sia di evitare il collasso del sistema giudiziario, a fronte di 100.000 denunce presentate in due settimane, sia di non lasciare impuniti gli autori delle violazioni: un esito, quest’ultimo, nefasto sotto il profilo della prevenzione generale, quanto mai importante nell’attuale situazione di emergenza. Il primo obiettivo è stato raggiunto attraverso un’impropria depenalizzazione; impropria perché non si è trasformato un reato in illecito amministrativo, ma si è abolito un reato e si sono introdotte, in sostituzione, un illecito amministrativo e una contravvenzione configurati in modo diverso rispetto all'originaria contravvenzione. Il secondo obiettivo è stato raggiunto attraverso una norma transitoria, contenuta nell’art. 4, co. 8, che rende applicabili retroattivamente le nuove sanzioni amministrative.
Il testo della norma transitoria è il seguente. “le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507”. L’improprio riferimento alle disposizioni “che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative” – improprio perché nessuna formale sostituzione vi è stata – è al nuovo illecito amministrativo, che potrà essere pertanto contestato ai 100.000 denunciati ai sensi dell’art. 650 c.p. (rectius, art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020). Il richiamo degli artt. 101 e 102 della legge di depenalizzazione del 1999 è operato ai fini della disciplina della trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente, da parte dell’autorità giudiziaria.
In assenza di questa disciplina transitoria, si noti, il principio di irretroattività, operante anche per gli illeciti amministrativi punitivi, avrebbe impedito l’applicazione delle sanzioni del nuovo illecito amministrativo ai fatti commessi prima della sua introduzione. Ciò deve ritenersi pacifico, non solo per quanto disposto dall’art. 1 della l. n. 689/1981, ma ancor più per quanto affermato dalla Corte costituzionale (sent. nn. 196/2010 e 223/2018), che ha esteso la garanzia costituzionale del principio di irretroattività, di cui all’art. 25, co. 2 Cost. e all’art. 117, co. 1 Cost., in rapporto all’art. 7 Cedu, alle disposizioni che introducono (o inaspriscono) sanzioni amministrative di carattere afflittivo-punitivo, come quella in esame[4].
Per evitare un’analoga censura, in occasione dell’intervento di depenalizzazione del 2016 (d.lgs. n. 8/2016, art. 8, co. 3) – che pure aveva previsto l’applicabilità retroattiva delle sanzioni amministrative introdotte al posto di quelle penali – era stata introdotta una regola che impediva l’irrogazione retroattiva di una sanzione amministrativa pecuniaria “per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’art. 135 c.p.”. Il d.l. n. 19/2020 pare ispirato a una analoga preoccupazione, prevedendo che la sanzioni applicate retroattivamente siano irrogate nella misura minima, ridotta della metà. Ciò significa che i fatti pregressi saranno sanzionati con 200 euro di sanzione amministrativa pecuniaria.
La disciplina dell’art. 4, co. 8 d.l. n. 19/2020 è compatibile con il principio di irretroattività di cui all’art. 25, co. 2 Cost. se e nella misura in cui non comporti una punizione dell’agente più severa di quella al quale lo stesso avrebbe potuto andare incontro sulla base della legge vigente al tempo del fatto, e che era da lui prevedibile e calcolabile in quel momento (è questa, come si è detto, la logica alla base della norma transitoria del 2016, che il legislatore avrebbe potuto opportunamente richiamare). Ciò può a nostro avviso dirsi in relazione alla sanzione amministrativa pecuniaria, non superiore (anche se di una manciata di euro) al massimo dell’ammenda prevista per l’art. 650 c.p., alternativamente all’arresto. Il rinvio all’art. 102 del d.lgs. n. 507/1999 comporta peraltro la previsione del pagamento in misura ridotta, entro i primi 60 giorni dalla notifica della contestazione, e la possibilità di ridurre ulteriormente l’importo della sanzione. Non senza peraltro prospettabili difficoltà operative, considerato che l’art. 16 l. n. 689/1981, a sua volta richiamato, dalla disciplina del 1999, commisura le riduzioni ai limiti edittali delle sanzioni amministrative – riduzione di un terzo del minimo e del doppio del massimo – mentre nel caso di specie è comminata, per le sanzioni retroattivamente applicabili, come si è detto, una sanzione fissa di 200 euro: un ulteriore profilo, quest’ultimo, di dubbia legittimità, in rapporto ai principi di uguaglianza e di proporzione (la medesima sanzione è comminata per violazioni di differente gravità).
I dubbi di legittimità costituzionale della disciplina transitoria di cui all’art. 4, co. 8 d.l. n. 19/2020 sembrano invece diventare certezze – e la violazione dell’art. 25, co. 2 Cost. pare evidente – in rapporto alla sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività (commerciale, imprenditoriale, ecc.), la cui applicazione retroattiva sembrerebbe consentita dal generico riferimento alle “sanzioni”, contenuto nella disposizione transitoria. Senonché un’interpretazione conforme a Costituzione esclude senz’altro una simile evenienza e deve indurre l’autorità amministrativa a non irrogare la predetta sanzione accessoria in relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 19/2020.
4.1. Validità temporale della nuova disciplina sanzionatoria. - Una notazione finale, sempre nella prospettiva del diritto intertemporale, deve essere riservata ai riflessi del carattere emergenziale della disciplina penale introdotta dal d.l. n. 19/2020. La disciplina dell’art. 4, relativamente alla nuova figura di reato, all’inasprimento delle pene per la contravvenzione di cui all’art. 260 r.d. n. 1265/1934 e al nuovo illecito amministrativo, non ha carattere temporaneo. Il termine del 30 luglio 2020, contenuto nell’art. 1, co. 1, non è quello di vigenza delle disposizioni, men che meno penali, del decreto-legge; è il termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, entro il quale possono essere adottate le misure di contenimento dell’epidemia, la cui inosservanza integra gli illeciti, penali e amministrativo, configurati dall’art. 4. Ciò significa che dopo quel termine gli illeciti non potranno più essere commessi, mancando il presupposto per la loro integrazione, ma non significa che cesserà di essere in vigore la disciplina oggi introdotta per far fronte all’emergenza. E se anche un domani dovesse intervenire un’abrogazione della disciplina penale di nuovo conio, le norme incriminatrici, introdotte con una legge penale eccezionale ai sensi dell’art. 2, co. 5 c.p. (un caso di scuola), sarebbero ultrattive.
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5. Conclusioni. - Nel complesso, il decreto-legge presenta luci ed ombre. Va salutato con favore, come si è detto in apertura, lo sforzo di fornire una base legale alle misure limitative e di coordinare l’azione dello stato, delle regioni e dei comuni nell’azione di prevenzione della diffusione del coronavirus. Altresì condivisibile è la scelta del legislatore – per nulla scontata – di tornare sui propri passi rinunciando al diritto e al processo penale per sanzionare l’inosservanza delle misure di contenimento (salvo quella più importante, il cui presidio sanzionatorio resta affidato al diritto e al processo penale). Solo chi non conosce la realtà del sistema penale può peraltro pensare che la depenalizzazione, in questa occasione, abbia il significato di una sostanziale mitigazione. In realtà siamo di fronte a un caso in cui – come anche la Corte costituzionale ha sottolineato in una recente decisione (n. 223/2018) – le sanzioni amministrative hanno un’incidenza sull’individuo (si pensi alla sanzione accessoria per le attività commerciali e imprenditoriali) e un’effettività (si pensi al tasso di riscossione) ben maggiore rispetto a quelle penali.
Non mancano come si è visto i profili problematici. Tra questi, pur con i limiti di una primissima lettura, il principale è a nostro avviso rappresentato dalla mancata disciplina della quarantena, nell’ambito di un atto avente forza di legge, come i principi costituzionali avrebbero imposto. Ribadiamo pertanto che sarebbe opportuno, in sede di conversione del decreto-legge, considerare questa esigenza. Lo impone il rispetto dei principi e delle garanzie, anche e soprattutto al tempo dell’emergenza: restiamo a casa, ma in uno Stato attento a garantire le nostre libertà e i nostri diritti fondamentali, senza pregiudizio per l’altrettanto fondamentale azione di tutela della salute pubblica. Si può e si deve fare.
[1] Cfr. F. Basile, sub art. 650, in E. Dolcini, G.L. Gatta (diretto da), Codice penale commentato, 4a ed., 2015, p. 1380.
[2] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di Diritto penale. Parte generale, 8a ed., 2019, p. 68.
[3] Ibidem., p. 66 s.
[4] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di Diritto penale. Parte generale, 8a ed., 2019, p. 113 s.