Note a margine di una questione di legittimità costituzionale sull’applicazione retroattiva dell’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020.
1. Ampio spazio è stato dato dalla nostra Rivista, nei mesi scorsi, a una questione di particolare rilievo, che la Corte costituzionale affronterà a metà novembre: se sia compatibile con il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole all’agente (art. 25, co. 2 Cost.) la disciplina emergenziale, introdotta dall’art. 83, co. 2 e 4 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (conv. I. 24 aprile 2020, n. 27), che ha stabilito, relativamente ai procedimenti penali, la sospensione del corso della prescrizione del reato.
Ricordiamo in breve, a beneficio dei lettori, che la sospensione della prescrizione del reato è stata disposta dal citato art. 83, a decorrere dal 9 marzo 2020 (ci trovavamo all’inizio della c.d. fase 1 dell’emergenza sanitaria) con tre diversi termini finali, due dei quali ad oggi già decorsi (si veda, per il dettaglio, il § 2 di un nostro precedente contributo, raggiungibile cliccando qui):
a) fino all’11 maggio 2020, in relazione ai procedimenti oggetto di sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto, compresi i procedimenti sub iudice, le cui udienze sono state rinviate ex lege a data successiva all’11 maggio (“fase 1 dei rinvii”) – cfr. art. 83, co. 4;
b) fino al 30 giugno 2020, in relazione ai procedimenti le cui udienze sono state rinviate dai capi degli uffici giudiziari a data successiva al 30 giugno 2020 (“fase 2 dei rinvii”, iniziata dal 12 maggio 2020) – cfr. art. 83, co. 9;
c) fino al 31 dicembre 2020 – o alla data fissata per l’udienza, se precedente – nei procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di cassazione e pervenuti alla cancelleria della Corte nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, quando si tratti di procedimenti non rinviati, a richiesta del difensore, a carico di soggetti che siano sottoposti o possano essere sottoposti a limitazioni della libertà personale in applicazione di pene, misure cautelari, misure di sicurezza e misure di prevenzione – cfr. art. 83, co. 3-bis (inserito in sede di conversione). Una questione interpretativa relativa a tale disciplina (al concetto di “procedimenti pendenti…e pervenuti in cancelleria") è peraltro oggetto di una rimessione alle Sezioni Unite – già segnalata dalla nostra Rivista – la cui trattazione è stata rinviata il 24 settembre scorso all’udienza del 26 novembre p.v., in attesa della decisione della Corte costituzionale.
Salva l’ultima ipotesi ora considerata, la sospensione del corso della prescrizione non opera in relazione ai procedimenti non rinviati ed esclusi dalla sospensione dei termini, ai sensi dell’art. 83, co. 3, lett. b) e c) del d.l. n. 18/2020.
2. La logica di fondo dell’intervento emergenziale dello scorso, drammatico, mese di marzo, è dunque quella di una generale temporanea sospensione dei procedimenti e dei processi penali, realizzata attraverso la sospensione dei termini processuali e il rinvio delle udienze, alla quale è stata correlata una corrispondente sospensione del corso della prescrizione del reato.
Va subito detto che è una logica del tutto coerente con i principi generali che regolano, da quasi un secolo, l’istituto della prescrizione del reato. Sin dalla versione originaria (1930), l’art. 159, co. 1 c.p. stabilisce infatti che “il corso della prescrizione rimane sospeso…in ogni caso in cui la sospensione del procedimento [o del processo] penale è imposta da una particolare disposizione di legge”. La ratio di questa disposizione è così illustrata da Vincenzo Manzini: la sospensione della prescrizione, conseguente alla sospensione del procedimento, “è una sosta giustificata dalla ragione che il ricordo del reato e gli elementi probatori vengono conservati e alimentati dall’Autorità, anche quando il procedimento penale è attualmente ostacolato in modo assoluto; e determinata dalla convenienza di frustrare gli espedienti dilatori cui potrebbero ricorrere gli interessati a far sì che la prescrizione si maturi prima del tempo occorrente a togliere l’ostacolo al procedimento penale”[1]. Il codice penale, insomma, àncora la sospensione della prescrizione alla sospensione del procedimento penale, come un effetto automatico. Infatti, con le parole di un altro grande penalista del passato, Francesco Antolisei, “è ben naturale che, non potendosi iniziare o proseguire il procedimento penale, si apra una parentesi nel corso della prescrizione, la quale riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione”[2].
Manzini osserva in particolare come la disposizione codicistica, che lega la sospensione della prescrizione del reato alla sospensione del procedimento penale, ignota al codice del 1889[3], sia stata da taluno ricondotta alla logica che, nel diritto civile, ispira il principio ‘contra non valentem agere non currit praescriptio’; principio che informa ancora oggi la disciplina dell’art. 2942 c.c. (‘Sospensione per la condizione del titolare’): nel diritto civile, il termine prescrizionale non decorre a detrimento di chi è impossibilitato ad agire (come i minori e gli interdetti per infermità di mente, privi di rappresentante legale, e i militari in tempo di guerra). Lo stesso principio varrebbe rispetto alla prescrizione penale (a beneficio, per così dire, dell’‘attore pubbico’), secondo una tesi – è Manzini a ricordarlo[4] – sostenuta nella Relazione Vigliani al progetto di codice penale del 1874. A tale tesi l’illustre penalista obietta tuttavia che, nel diritto penale, diversamente da quanto accade nel diritto civile, la ratio della sospensione della prescrizione non risiede in condizioni soggettive di impossibilità di agire, da parte dei rappresentanti dello Stato (tanto è vero, osserva Manzini, che la prescrizione corre anche quando il p.m. non ha avuto notizia del reato perseguibile d’ufficio): “la ragione della sospensione sta tutta nel fatto che si è in presenza di un processo pendente o quanto meno di un’iniziativa dell’Autorità competente a procedere; non solo non si ignora, ma si procede o quanto meno si manifesta la volontà di procedere…”[5]. Come ha scritto Mario Romano, a rilevare, nell’art. 159, co. 1 c.p., è l’oggettiva “impossibilità per il giudice di iniziare o proseguire l’accertamento del reato”, perché la legge, “per varie e differenti ragioni”, impone una sospensione del procedimento o del processo[6].
3. La disciplina emergenziale introdotta dall’art. 83 d.l. n. 18/2020 è pertanto coerente con la disciplina generale dell’art. 159 c.p. Non tutte le cause di sospensione della prescrizione ivi previste sono integrate da vere e proprie ipotesi di sospensione del procedimento o del processo penale (si pensi ad es. alle rogatorie all’estero, nel corso delle indagini); è però vero il contrario e, cioè, che tutte le ipotesi di sospensione del procedimento o del processo penale – previste dalla legge (dal codice penale, dal codice di procedura penale o da leggi speciali) – integrano cause di sospensione della prescrizione del reato, in virtù della clausola generale di cui all’art. 159, co. 1 c.p. L’effetto sospensivo è stabilito, una volta per tutte, da quest’ultima disposizione, che rinvia alle fattispecie sospensive del procedimento o del processo penale, ovunque previste per legge. Ciò significa pertanto che non è necessario che la disposizione la quale, di volta in volta, disciplina un’ipotesi di sospensione del procedimento o del processo penale ribadisca – come nel caso dell’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020 – la correlata sospensione del corso della prescrizione del reato: questo effetto, infatti, si produce già per effetto della citata clausola generale. La previsione della sospensione della prescrizione, in presenza di un’ipotesi legalmente prevista di sospensione del procedimento o del processo penale, è superflua e, al più, serve a ribadire la regola generale già prevista dal codice penale, fugando possibili dubbi. In assenza di una definizione legale della sospensione del procedimento o del processo penale, infatti, può risultare dubbio, in questo o in quel caso, se si versi in un’ipotesi di vera e propria sospensione, che estenda i suoi effetti al regime della prescrizione del reato. Esplicitando la sospensione del corso della prescrizione il legislatore risolve ogni possibile dubbio sulla natura della fattispecie sospensiva disciplinata e, pertanto, sulla sua riconducibilità alla previsione dell’art. 159, co. 1 c.p.; fermo restando che l’effetto sospensivo del corso della prescrizione è (già) prodotto, appunto, dalla disposizione del codice penale.
L’elenco delle ipotesi di sospensione del procedimento o del processo penale, con correlata sospensione del corso della prescrizione, è particolarmente ampio. Alcune ipotesi sono contemplate nello stesso art. 159 c.p. (non ve ne sarebbe ragione, per via di quanto già si è detto): il caso più evidente è rappresentato dalla sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi dell’art. 420 quater c.p.p. (art. 159, co. 1, n. 3 bis c.p.p., inserito dalla l. n. 67/2014). Altre ipotesi sono previste dal codice di procedura penale e da leggi speciali. Un’ampia rassegna può da ultimo leggersi nelle motivazioni di una sentenza della V Sezione della Corte di cassazione (n. 25222/2020, est. Caputo), pubblicata in questa Rivista. Accanto a ipotesi di sospensione del corso della prescrizione collegate a istituti processuali (ad es., in occasione dell’introduzione del c.d. patteggiamento allargato, onde valutare l’accesso al nuovo rito speciale), vengono richiamate leggi introduttive di condoni, sanatorie o istituti affini, nonché – con maggiore affinità rispetto al caso in esame – leggi che hanno previsto la sospensione del procedimento e del processo penale in occasione di eventi sismici, come nel caso del terremoto in Abruzzo (art. 5 d.l. 28 aprile 2009, n. 77).
4. Così ricostruito il quadro normativo – e ancor prima la ratio ad esso sottesa – veniamo ora al problema di diritto intertemporale, portato all’attenzione della Corte costituzionale dalle ordinanze di rimessione di alcuni giudici di merito (tribunali di Siena, di Roma e Crotone), di cui pure si è dato conto su questa Rivista. L’art. 83 d.l. n. 18/2020, nel sospendere per alcuni mesi la prescrizione del reato, ha di fatto spostato in avanti il termine finale della prescrizione, in cui si produce l’effetto estintivo con conseguente venir meno della punibilità del fatto sub iudice. Per definizione la sospensione emergenziale interessa procedimenti o processi in corso e, pertanto, fatti commessi prima del d.l. n. 18/2020, che si rivela, per l’indagato o per l’imputato, una legge sopravvenuta con effetti in malam partem[7]. Può essere invocato il principio di irretroattività ex art. 25, co. 2 Cost. per impedire quegli effetti? Può il d.l. n. 18/2020 impedire la declaratoria di prescrizione del reato, che senza la sospensione sarebbe intervenuta nel periodo di sospensione? (è solo questa, si noti, l’ipotesi in cui la questione è rilevante e ammissibile nel giudizio davanti alla Corte costituzionale).
In dottrina e in giurisprudenza sono state prospettate tesi e soluzioni diverse, che è utile richiamare.
4.1. La tesi favorevole all’applicazione del principio di irretroattività fa leva sulla natura sostanziale della prescrizione del reato, riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza italiana, a partire da quella della Corte costituzionale (si rinvia ai §§ 5 e ss. di un nostro precedente contributo, pubblicato in questa Rivista). La riferibilità del principio di irretroattività ex art. 25, co. 2 Cost. all’istituto della prescrizione del reato, sul presupposto della sua asserita natura sostanziale e non processuale, è stata affermata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 24/2017 e con la sentenza n. 115/2018, nell’ambito e come esito della nota vicenda Taricco, in rapporto alla disciplina dell’interruzione del corso della prescrizione e, in particolare, del prolungamento del termine per effetto di atti interruttivi (prolungamento che, in quel caso, sarebbe conseguito dalla disapplicazione della disciplina interna in contrasto con il diritto UE, e non da una modifica normativa). Il precedente del caso Taricco, insomma, secondo la tesi favorevole all’applicazione dell’art. 25, co. 2 Cost.[8], aprirebbe la strada all’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici a quibus, non a caso, anche e proprio richiamando quella sentenza, che – va riconosciuto – fa apparire l’odierna questione, quanto meno, non manifestamente infondata.
4.2. La soluzione contraria all’applicazione dell’art. 25, co. 2 Cost. è stata sostenuta con due diversi ordini di argomentazioni: uno che ritiene astrattamente applicabile, ma derogato, il principio di irretroattività; uno che, invece, ritiene non applicabile quel principio.
4.2.1. Nel primo ordine di argomentazioni si iscrive la tesi secondo cui il principio di irretroattività verrebbe astrattamente in rilievo, data la natura sostanziale della prescrizione, ma non sarebbe in concreto applicabile in ragione dell’asserita natura derogabile del principio stesso, sacrificato sull’altare dell’emergenza. E’ la tesi fatta propria da una sentenza con la quale la III Sezione della Cassazione (n. 21367/2020) ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale. La tesi, per le ragioni che ho cercato di illustrare in un contributo pubblicato su questa Rivista, al quale rinvio, si espone a mio avviso a radicali e assorbenti critiche, condivise in dottrina[9]: il principio di irretroattività è un superiore principio di civiltà del diritto inderogabile, per pacifica giurisprudenza (anche costituzionale) e dottrina, nonché per espressa disposizione dell’art. 15, co. 2 Cedu (rilevante come parametro interposto di legittimità costituzionale attraverso l’art. 117, co. 1 Cost.). Deroghe ai principi fondamentali in periodi di emergenza, per quanto animate da ragioni di giustizia sostanziale, sono quanto di più pericoloso per la solidità dello stato di diritto. Il rischio di aprire una breccia in un principio fondamentale del diritto penale è tanto concreto quanto preoccupante. Il principio di irretroattività non tollera bilanciamenti; è in tal senso, come ho scritto altrove, un ‘principio intollerante’[10].
4.4.2. Nel secondo ordine di argomentazioni, pure addotte per escludere l’applicazione del principio di irretroattività nel caso in esame, si iscrivono tre diverse tesi.
a) Una prima tesi fa leva sul criterio formale della natura della prescrizione del reato, cioè sullo stesso criterio utilizzato da chi ritiene applicabile l’art. 25, co. 2 Cost. La via imboccata è però qui quella esattamente opposta: non si tratterebbe di un istituto sostanziale, bensì di un istituto processuale, soggetto in caso di modifiche normative al principio tempus regit actum. La soluzione è prospettata non già inquadrando l’intero istituto della prescrizione del reato nel diritto processuale penale, bensì riconoscendo all’istituto medesimo natura ancipite – in parte sostanziale (per la sua natura di causa di esclusione della punibilità) e in parte processuale (per la sua capacità di operare a procedimento e processo in corso). In particolare, la disciplina della sospensione del corso della prescrizione, ancorata alla sospensione del procedimento o del processo penale, come nel caso dell’art. 83 d.l. n. 18/2020, avrebbe natura processuale e, come tale, sarebbe estranea alla sfera di applicazione dell’art. 25, co. 2 Cost.; con la precisazione – suggerita dalla tecnica argomentativa del distinguishing – che mentre la disciplina dell’interruzione della prescrizione (oggetto, si ricorderà, del caso Taricco) avrebbe natura sostanziale, e sarebbe pertanto soggetta al principio di irretroattività, non altrettanto potrebbe dirsi di quella relativa alla sospensione. E’ questa in particolare la tesi sostenuta, sulle pagine di questa Rivista, da Roberto Bartoli.
b) Una seconda tesi, che ho personalmente sostenuto in un contributo pubblicato sulle pagine di questa Rivista, giunge allo stesso risultato attraverso un criterio sostanziale: decisiva, ai fini dell’applicabilità del principio di cui all’art. 25, co. 2 Cost., non è la formale qualificazione della prescrizione del reato come istituto sostanziale o processuale – frutto di un etichettamento che può risultare opinabile, in rapporto a una complessa disciplina a cavallo tra diritto e procedura penale – bensì la funzione di garanzia assegnata dalla Costituzione al principio di irretroattività. Lo ha confermato anche di recente la Corte costituzionale (sent. n. 32/2020), sottolineando, tra l’altro, come “la collocazione topografica di una disposizione non può mai essere considerata decisiva ai fini dell’individuazione dello statuto costituzionale di garanzia ad essa applicabile”. Ebbene, a mio avviso nessuna delle rationes del principio di irretroattività – di recente richiamate dalla citata sentenza n. 32/2020 della Corte costituzionale – è vulnerata da una disposizione che, dopo la commissione del fatto-reato, e prima che il termine di prescrizione sia maturato, ne sospenda il corso per un certo motivo.
Non si tratta di tutelare il cittadino contro l’abuso del legislatore (Corte cost., sent. n. 32/2020), che renda punibile (o punisca più severamente) un fatto non punibile (il termine non è maturato e quel fatto è ancora punibile); né è in gioco la “certezza delle libere scelte d’azione” (Corte cost., sent. n. 364/1988) e, quindi, la garanzia della libertà personale del cittadino.
Nemmeno può dirsi che la sospensione del procedimento o del processo penale, con correlata sospensione del corso della prescrizione, era imprevedibile e ha frustrato le scelte difensive. Al momento del fatto-reato era infatti già vigente l’art. 159 c.p. – cioè la regola che àncora la sospensione della prescrizione alla sospensione del procedimento o del processo penale, disposta per legge, quale ne sia la ragione – e, d’altra parte, la disciplina della sospensione (così come dell’interruzione) della prescrizione – come ben sanno avvocati e magistrati – è tale da impedire per definizione la certezza del calcolo del termine finale, che dipende da una serie incontrollabile di variabili (tra queste, l’eventualità, appunto, che sia sospeso per legge il procedimento o il processo penale; ma anche, ad esempio, l’eventualità che il p.m. proceda a una rogatoria all’estero, che uno dei difensori chieda il rinvio di una o più udienze per un legittimo impedimento, ovvero che venga sollevata d’ufficio una questione di legittimità costituzionale e che il giudizio, davanti alla Corte, venga rinviato a causa di una…emergenza sanitaria!).
In definitiva – si noti – la tesi in esame non esclude la natura sostanziale della prescrizione del reato, ma ritiene che ad essere decisiva sia, più che la formale qualificazione dell’istituto, l’operatività della ratio di garanzia correlata al principio di irretroattività; ratio che ha la sua ragion d’essere, in caso di allungamento del termine di prescrizione, se quel termine è già maturato e il legislatore, in modo abusivo, rende punibile un reato non più punibile, perché prescritto. E’ questa la tesi sostenuta, tra l’altro, da Marinucci e Dolcini[11], da Roxin[12], dalla Corte costituzionale tedesca (1969)[13] e dalla Corte Suprema degli Stati Uniti in Stonger v. California (2003); ed è una tesi coerente con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’art. 7 Cedu, disposizione (parametro interposto di legittimità costituzionale ex art. 117, co. 1 Cost.) che non osta a un allungamento dei termini di prescrizione quando i reati addebitati non siano ancora prescritti (Coëme e a. c. Belgio, 2000)[14].
c) Una terza e ultima tesi, infine, ritiene che il principio di irretroattività ex art. 25, co. 2 Cost., non sia invocabile, nel caso di specie, perché già al tempo del fatto era vigente la regola dell’art. 159, co. 1 c.p., che come sappiamo fa dipendere la sospensione della prescrizione del reato dalla sospensione del procedimento o del processo penale. Non si mette in discussione la natura sostanziale della prescrizione del reato; si osserva tuttavia come l’introduzione dell’art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020 non abbia dato luogo a una successione di leggi penali-sostanziali, essendo la regola della sospensione della prescrizione, correlata alla sospensione del procedimento/processo, già vigente al tempo della commissione del fatto di reato. Si è realizzata invece una successione di leggi processuali penali, soggetta al principio tempus regit actum, nella misura in cui il legislatore ha introdotto un’ipotesi di sospensione del procedimento/processo, che integra l’ipotesi normativamente già prevista dalla disposizione, sostanziale, di cui all’art. 159, co. 1 c.p. E’ questa una tesi che ho pure prospettato sulle pagine di questa Rivista (dapprima nel commentare criticamente le ordinanze di rimessione del Tribunale di Siena, nonché quelle dei Tribunali di Crotone e di Roma) e che ha trovato conferma in due decisioni della Corte di cassazione, che hanno ritenuto per tale via manifestamente infondate questioni di legittimità costituzionale analoghe a quelle rimesse alla Corte costituzionale dai citati giudici di merito[15].
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5. La tesi da ultimo richiamata, prevalente nella giurisprudenza della Cassazione, rappresenta forse la via più lineare per risolvere la complessa questione di legittimità costituzionale garantendo l’efficacia della funzione giurisdizionale in tempi di pandemia. Ciò senza richiedere alla Corte costituzionale rivisitazioni – non agevoli, a così breve distanza dal caso Taricco – della propria giurisprudenza sulla natura della prescrizione del reato o sull’applicazione del principio di irretroattività quando i termini prescrizionali non siano maturati. La tesi deve però fare i conti con l’obiezione principale che le viene opposta e che, secondo i giudici a quibus, non consentirebbe un’interpretazione conforme a Costituzione. Quella tesi sembra infatti aggirare surrettiziamente il principio di irretroattività, nella misura in cui consente l’applicazione retroattiva della disciplina che introduce, ex novo, la sospensione del procedimento e del processo penale a causa dell’emergenza Covid-19. In particolare, sarebbe illegittima, per contrasto con l’art. 25, co. 2 Cost., l’interpretazione che attribuisca natura mobile al rinvio operato dall’art. 159, co. 1 c.p. alla “particolare disposizione di legge” che imponga la sospensione del procedimento/processo penale[16]. L’efficacia sospensiva della prescrizione potrebbe essere cioè correlata solo alle cause sospensive del procedimento, o del processo, previste dalla legge al momento della commissione del fatto: non a quelle introdotte successivamente, come nel caso dell’art. 83 d.l. n. 18/2020.
5.1. L’obiezione è senz’altro suggestiva ma, a mio avviso, infondata. Per superarla è anzitutto assai significativo, ma forse non sufficiente, ricordare, come ha fatto in modo pregevole la Cassazione nella citata sentenza n. 25222 del 2020 (Sez. V), che nei non pochi casi in cui la giurisprudenza di legittimità si è occupata di questioni relative a nuove ipotesi di sospensione del procedimento/processo e della prescrizione del reato mai era stato prima posto il problema della possibile violazione del principio di irretroattività, pur a fronte dell’applicazione dello ius novum in rapporto a procedimenti per fatti antecedentemente commessi. E’ così ad esempio in relazione alla disciplina adottata in occasione del terremoto in Abruzzo, ovvero di quella relativa al nuovo istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, del quale ha beneficiato, al netto della sospensione della prescrizione, chi aveva commesso il fatto-reato in un momento precedente.
Occorre a mio parere chiedersi perché quel problema non si è mai posto e la risposta, verosimilmente, va ricercata tornando a considerare la logica della disciplina dell’art. 159 c.p., che ha una storia lunga quasi un secolo. Orbene, le cause di sospensione del corso della prescrizione sono sempre integrate, logicamente, da evenienze successive rispetto alla commissione del reato, cioè al dies a quo del termine prescrizionale. E si tratta sempre di accadimenti futuri e incerti: la richiesta di una autorizzazione a procedere o di una rogatoria all’estero, il deferimento della questione ad altro giudizio (ad es., alla Corte costituzionale o alla Corte di Giustizia dell’UE), il legittimo impedimento delle parti o dei difensori a partecipare a una o più udienze, la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, ecc. Si tratta in particolare di accadimenti che non necessariamente rientrano nella sfera di dominio dell’indagato o dell’imputato, cioè dipendono da una loro iniziativa: è così ad esempio per le cause sospensive integrate da attività del pubblico ministero (es., una rogatoria all’estero), del giudice (ad es., una questione di legittimità costituzionale sollevata d’ufficio) o del difensore di un’altra parte (una richiesta di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento della parte civile).
Da sempre, come si è detto, l’art. 159 c.p. annovera tra le cause sospensive – accanto a quelle appena richiamate –“ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge”. Il codice penale individua cioè una causa sospensiva di carattere generale, ancorata alla sospensione legale del procedimento o del processo penale e da essa dipendente. Il carattere generale di questa fattispecie sospensiva risiede in ciò, che essa è individuata facendo rinvio all’eventualità che una particolare disposizione di legge imponga – quale ne sia la ragione – la sospensione del procedimento o del processo penale (o dei termini della custodia cautelare). Si tratta – questo è a mio parere il punto decisivo – di una fattispecie descritta in modo sufficientemente preciso, che fa riferimento a un’eventualità – la circostanza che il procedimento/processo possa essere sospeso per effetto di una disposizione di legge, quale che sia e quale ne sia la ragione – del tutto intellegibile e prevedibile; il che, di per sé, come si è detto, mette fuori gioco la ratio di garanzia dell’art. 25, co. 2 Cost.
La “disposizione di legge” che, di volta in volta, dispone la sospensione del procedimento o del processo non aggiunge nulla alla descrizione della fattispecie sospensiva della prescrizione di cui all’art. 159 c.p., che è completa e non viene integrata da quella disposizione di legge. Non si tratta, infatti, di una fattispecie sospensiva ‘in bianco’, che prende corpo – e contenuto – attraverso la disposizione di legge richiamata. Si tratta piuttosto di una fattispecie sospensiva descritta attraverso un elemento normativo (il concetto di “particolare disposizione di legge”); e le norme richiamate dagli elementi normativi non integrano la legge penale: rappresentano solo i criteri (o parametri) di applicazione degli elementi normativi stessi (dotati, nel testo della norma penale, di autonomia concettuale e funzionale)[17]. Esse servono cioè – nel caso che ci occupa – ad accertare se la fattispecie sospensiva – compiutamente descritta dalla legge – risulta integrata o meno nel caso concreto. E la logica della sospensione del corso della prescrizione del reato vuole che il momento in cui si deve accertare se la fattispecie sospensiva è integrata sia un momento sempre successivo alla commissione del fatto di reato (non si tratta cioè, come per la fattispecie incriminatrice, di valutarne l’integrazione al momento del fatto).
Da quanto si è detto risulta che la disposizione di legge che determina la sospensione del procedimento/processo penale non dà vita a una nuova causa sospensiva, dopo la commissione del fatto: rappresenta solo il presupposto per l’integrazione di una causa sospensiva già prevista dalla legge al momento del fatto. L’art. 83 d.l. n. 18/2020, in altri termini, non ha dato luogo a una successione di leggi penali, bensì a una successione di leggi extrapenali (processuali) richiamate da un elemento normativo della legge penale: un fenomeno, questo, che per giurisprudenza prevalente, anche delle Sezioni Unite, non è riconducibile alla disciplina dell’art. 2 c.p. e che, pertanto, non coinvolge l’art. 25, co. 2 Cost. (che come è noto eleva al rango costituzionale la regola dell’art. 2, co. 1 c.p.)[18].
6. Come ho cercato di mostrare, la questione che la Corte costituzionale è chiamata a risolvere non è per nulla semplice, perché coinvolge profili problematici diversi e di particolare rilievo. I più evidenti, sui quali già mi sono soffermato, riguardano la ratio e la natura della prescrizione del reato, nonché l’ambito di applicazione del principio di irretroattività in rapporto all’istituto stesso. Quello forse meno evidente, ma non meno importante, riguarda l’esercizio della giurisdizione in materia penale – la giustizia come funzione e come servizio – in periodi di emergenza. Qualche riflessione conclusiva, a riguardo, può forse essere utile al dibattito in corso.
Terremoti, epidemie e guerre sono eventi eccezionali che ostacolano l’esercizio della giurisdizione penale, rendendo difficile, se non impossibile, accertare fatti e responsabilità e rispondere alle attese di giustizia delle vittime. Quando eventi eccezionali impediscono il normale corso dell’attività giudiziaria, l’alternativa per lo Stato è tra alzare bandiera bianca – rinunciando alla pretesa punitiva e alla correlata tutela dei beni giuridici e delle vittime che li incarnano – oppure sospendere, assieme all’attività stessa, la prescrizione del reato. E’ quel che è avvenuto in occasione dell’emergenza sanitaria in corso e, come si è detto, in occasione di terremoti come quello che ha devastato alcuni anni fa l’Abruzzo. Ed è quel che avvenne durante la Seconda Guerra mondiale, con il Regio decreto-legge 3 gennaio 1944, n. 1 (“Norme per la sospensione del corso delle prescrizioni, dei termini di decadenza e dei termini processuali”).
Invocare il principio di irretroattività, a fronte di una disciplina vigente al tempo del fatto che già prevede come regola generale la sospensione della prescrizione in caso di sospensione del procedimento/processo penale – quale ne sia la causa – rispecchia una visione che, rispetto al problema in discussione, si concentra solo sull’indagato/imputato – sulle rispettive garanzie sostanziali e processuali; una prospettiva che sembra concepire la prescrizione come un mero diritto disponibile della difesa: nessuno si turba se l’emergenza Covid-19 viene invocata dall’imputato – come è avvenuto ad esempio nel procedimento Ruby ter a carico di Silvio Berlusconi – per chiedere il rinvio per legittimo impedimento dell’udienza, con correlata sospensione della prescrizione (ex art. 159, co. 1, n. 3 c.p.) e allungamento del relativo termine. Ed è altresì passata inosservata quella che a me pare una contraddizione rispetto alla generale invocazione dell’art. 25, co. 2 Cost da parte del mondo dell’avvocatura: la richiesta di vedere riconosciuto per legge il legittimo impedimento degli avvocati a comparire in udienza per l’emergenza sanitaria in corso – ribadisco, con correlato allungamento del termine di prescrizione. Perché il problema viene sollevato solo quando il “legittimo impedimento causa Covid” viene fatto valere dallo Stato, che amministra la giustizia a tutela delle vittime? A me sembra che ci troviamo di fronte a una prospettiva miope, che mette tra parentesi il problema – enorme – dell’amministrazione della giustizia in momenti di emergenza, quando impedimenti oggettivi rendono impossibile l’attività giudiziaria e la stessa funzione giurisdizionale.
L’intervento realizzato a marzo, con il d.l. n. 18/2020, ha preso atto del lockdown della giustizia penale. E non si può affatto escludere che un analogo intervento possa essere riproposto dal Governo nelle prossime settimane, trovandoci in questi giorni al cospetto di una recrudescenza della diffusione del virus. Se la Corte costituzionale dovesse accogliere la questione sollevata, il legislatore dell’emergenza si troverebbe con le mani legate e dovrebbe rassegnarsi – in caso di prolungata sospensione dell’attività giudiziaria – a correre il rischio di mandare in fumo l’attività giudiziaria svolta in rapporto a procedimenti destinati alla prescrizione, in assenza di una sospensione del relativo corso. E’ noto come la strada intrapresa dal legislatore, ribadita con il recente d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, sia al momento di non sospendere l’attività giudiziaria ma di celebrare le indagini e i processi in sicurezza, da remoto, entro determinati limiti, di consentire il deposito degli atti in forma telematica e di celebrare i processi senza pubblico, per evitare che avvocati, magistrati, testimoni, periti, ecc. entrino nei palazzi di giustizia, diventati focolai per la diffusione del virus. E’ dei giorni scorsi la notizia che, a Milano, uno screening con tampone rapido ha consentito di individuare 17 soggetti positivi su 600 tra magistrati, personale amministrativo e polizia giudiziaria.
Fermare l’attività giudiziaria, senza fermare il corso della prescrizione del reato, è proprio quel che l’art. 159 c.p. vuole evitare, per impedire che la prescrizione cancelli un reato che lo Stato ha interesse ad accertare – lo sta facendo – in vista della punizione dei responsabili (se ve ne sono) e della tutela dei beni giuridici e delle vittime coinvolte (il pensiero corre alle citate, ancora attuali, pagine di Manzini e Antolisei). Imporre la prosecuzione dell’attività giudiziaria, magari in presenza, senza l’impiego di tecnologie da remoto – in tendenziale conflitto con i principi del giusto processo – significa mettere a repentaglio la salute individuale e pubblica.
Se poi si considera il profilo della tutela dei beni giuridici e delle vittime, la questione che la Corte costituzionale è chiamata ad affrontare si colora di complessità se possibile ancor maggiore. Per toccare con mano la posta in gioco, si pensi ad esempio al caso oggetto della più volte citata sentenza della Cassazione (Sez. III, n. 21367/2020), che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale in esame dopo aver affermato il carattere derogabile del principio di irretroattività della legge penale, in ragione dell’emergenza in corso. Ebbene, al di là della soluzione, criticabile e criticata in punto di diritto, a colpire è la fattispecie concreta all’esame della III Sezione della Cassazione: una violenza sessuale perpetrata sul luogo di lavoro per dodici anni ai danni di una donna affetta da grave invalidità psico-fisica. Davvero è ragionevole ritenere che il ‘lockdown della giustizia penale’ – l’esigenza di tutelare la salute pubblica degli attori della giurisdizione e di tutti coloro che in essa sono coinvolti – possa determinare la prescrizione di quell’odioso e gravissimo reato, nonostante lo Stato stia celebrando, per quanto lentamente, un processo per accertare fatti e responsabilità? Chi volesse rispondere affermativamente, valorizzando la prescrizione del reato come una garanzia, un diritto o un’aspettativa legittima, e magari accollando (solo) allo Stato la colpa della lentezza del processo, che non si è concluso prima della pandemia, dimentica a mio avviso la vittima: una presenza intermittente sulla scena della giustizia penale, della quale non sempre e coerentemente ci si ricorda (pressoché mai nel dibattito in corso in questi anni sulla prescrizione del reato). Sullo Stato gravano obblighi di tutela, alcuni dei quali costituzionalmente o convenzionalmente imposti, e la prescrizione del reato comporta una mancata risposta dello Stato alla domanda di giustizia e di tutela delle vittime[19]; una manca risposta che nel recente passato, ha esposto il nostro paese a condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (Alikaj c. Italia, Cestaro c. Italia, Saba c. Italia)[20] e a ‘reprimende’ da parte di organismi internazionali che vigilano sull’attuazione di convenzioni in tema di contrasto a forme di criminalità, come la corruzione[21].
Riconoscere che la sospensione dei procedimenti o dei processi, in ragione di una pandemia (o di un terremoto o di un altro evento analogo) non può comportare la sospensione del corso della prescrizione in relazione a reati antecedentemente commessi, significa essere disposti a rinunciare alla tutela delle vittime, dei beni giuridici e degli eventuali diritti fondamentali coinvolti, in rapporto a un certo numero di reati (rectius, di fatti la cui natura di reato è in corso di accertamento). Di questo, a me pare, occorre per onestà intellettuale, e con sano realismo, avere piena coscienza. Il problema riguarda i soli reati prescrittibili (cioè la stragrande maggioranza), tra i quali, come testimonia il caso oggetto della citata sentenza della Cassazione, possono esservi reati gravissimi.
Si tratta pertanto di guardare alla prescrizione del reato non solo nella prospettiva dell’autore (dell’indagato/imputato) ma anche da quello della vittima e dello Stato, che esercita la funzione giurisdizionale e, attraverso il processo penale, manifesta l’interesse ad accertare fatti e responsabilità, in un quadro di garanzie costituzionali che devono sempre rappresentare il mezzo per raggiungere quel fine, e giammai per eluderlo.
7. Una notazione finale. Alla tesi da noi sostenuta potrebbe essere opposto un rilievo speculare e opposto: il disinteresse per l’imputato (o indagato) che, a fronte dell’emergenza sanitaria – e, in particolare della decisione del legislatore di sospendere il procedimento e il processo –, vede allontanarsi il dies ad quem della prescrizione del reato. Il problema, come è ben chiaro nel dibattito in corso in altri paesi, a partire dagli Stati Uniti d’America[22], è in verità, nella prospettiva dell’imputato, quello dei rischi per la ragionevole durata del processo (art. 111, co. 2 Cost. e 6 Cedu), che in via di principio deve essere garantita anche durante una situazione eccezionale. Senonché il carattere relativo del concetto stesso di ragionevole durata e, soprattutto, il carattere bilanciabile del relativo principio – che può sopportare temporanee limitazioni, se necessarie e proporzionate – sembrano legittimare il “lockdown della giustizia penale”, durante una pandemia, come ragionevole causa di allungamento della durata del processo. E nell’ipotesi di una prolungata sospensione del processo (si pensi all’ipotesi in cui il legislatore dell’emergenza Covid adottasse una nuova disciplina analoga a quella dell’art. 83 d.l. n. 18/2020), sarebbe ragionevole prevedere adeguati rimedi compensativi, anche in termini di riduzione della pena eventualmente inflitta in caso di condanna. Si tratterebbe di rimedi per un prolungamento ragionevole della durata del processo, che però non sarebbe equo far sopportare all’imputato.
La garanzia per l’imputato, insomma, non va cercata nel principio di irretroattività, ma va garantita sotto profili diversi, da parte del legislatore (come nell’ipotesi considerata) o del giudice. A quest’ultimo compete in particolare – si noti conclusivamente – il vaglio sulla ragionevolezza della previsione legislativa della sospensione del processo – richiamata, attraverso un rinvio mobile, dall’art. 159, co.1 c.p. – che può sempre essere sottoposta al sindacato della Corte costituzionale. E che nel caso dell’art. 83 d.l. n. 18/2020 si tratti di una sospensione ragionevole del processo non ci pare si possa francamente dubitare. Quel decreto-legge porta la data del 17 marzo 2020: un giorno prima della drammatica foto dei camion dell’esercito per le strade di Bergamo, intenti a trasportare bare.
[1] V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano secondo il codice del 1930, III, 1934, p. 443.
[2] F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, 16a ed. agg. da L. Conti, 2003, p. 773.
[3] V. Manzini, Trattato di diritto penale, cit., p. 452.
[4] Ibidem, p. 443, nota n. 1
[5] Ibidem.
[6] Così M. Romano, sub art. 159, in M. Romano, G. Grasso, T. Padovani (a cura di), Commentario sistematico del codice penale, III, 2 ed., 2011, p. 104.
[7] In dottrina nega questo assunto, presupposto per le questioni di legittimità costituzionale che sono state sollevate, D. Micheletti, Il regime intertemporale delle cause di sospensione della prescrizione penale, in Discrimen, 4 luglio 2020.
[8] Cfr. F. R. Dinacci, Psoriasi interpretative: la legge nel tempo in tema di prescrizione e termini di custodia nell’emergenza Covid. Alla ricerca di una “legalità” perduta, in Archivio penale, 2020, n. 2, p. 8 s.; G. Flora, “Covid regit actum”. Emergenza sanitaria, norme eccezionali e deroghe (“ragionevoli”?) ai principi costituzionali, in Penale. Diritto e procedura, 12 maggio 2020; O. Mazza, Sospensioni di primavera: prescrizione e custodia cautelare al tempo della pandemia, in Archivio penale, 2020, n. 1, p. 6 s.
[9] Cfr. G. De Francesco, Il torpore del ‘buon senso’ genera incubi. a proposito della prescrizione del reato, in Legislazione penale, 21 agosto 2020, p. 8 s.; V. Manes, Diritto dell’emergenza, sospensione della prescrizione e garanzie fondamentali: davvero bilanciabile” il principio di irretroattività?, in Giurisprudenzapenale.com, 7 luglio 2020; A. Massaro, La sospensione della prescrizione e il principio di irretroattività della legge penale alla prova dell’emergenza Covid-19: le questioni di legittimità costituzionale, in Osservatorio costituzionale, 5/2020, p. 178.
[10] Per un argomentato tentativo di legittimare deroghe al principio di irretroattività, bilanciabile in situazioni di emergenza per salvaguardare le ragioni del processo penale, v. T. E. Epidendio, Il diritto nello stato di eccezione ai tempi dell’epidemia da Coronavirus, in Giustizia insieme, 19 aprile 2020, parte II, § 5: “…come non pensare a quanto accaduto non molto tempo fa in relazione ad analoghe norme emanate in occasione dell’emergenza-terremoto, (caso gravissimo, ma non delle dimensioni globalmente apocalittiche della presente epidemia), in cui l’applicazione della sospensione a fatti pregressi non ha poi suscitato gran commozione o preoccupazione, per non dire attenzione, al carattere sostanziale della prescrizione. Per usare termini più franchi – e chiamare le cose con il proprio nome - questa temporanea e limitata “processualizzazione” della sospensione dei termini prescrizionali (perché di questo si tratta) sembra del tutto proporzionata alla eccezionalità della situazione e coerente con la stessa “giustiziabilità”, purché mantenga i caratteri di una temporaneità, non solo formale, ma anche sostanziale, il che vuol dire relativa brevità. Il punto da sottolineare è semmai il fatto che simili spinte verso la “processualizzazione” della prescrizione possono essere giustificate solo nel permanere dell’eccezione in senso debole, onde evitare rischi di improprie stabilizzazioni di discipline eccezionali, coerentemente con quanto si è fin qui argomentato”.
[11] G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 261. V. ora anche G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, 9a ed., 2020, p. 125 s.
[12] C. Roxin, Strafrecht. Allgemeiner Teil, I, 4 ed., 2006, p. 167 s.
[13] Bundesverfassungsgericht, 26 febbraio 1969.
[14] V., ivi, il § 149: “The extension of the limitation period brought about by the Law of 24 December 1993 and the immediate application of that statute by the Court of Cassation did, admittedly, prolong the period of time during which prosecutions could be brought in respect of the offences concerned, and they therefore detrimentally affected the applicants' situation, in particular by frustrating their expectations. However, this does not entail an infringement of the rights guaranteed by Article 7, since that provision cannot be interpreted as prohibiting an extension of limitation periods through the immediate application of a procedural law where the relevant offences have never become subject to limitation”.
[15] In dottrina v. anche L. Agostini, Sulla legittimità costituzionale della sospensione del corso della prescrizione del reato da COVID–19: un quadro di sintesi del diritto vivente in attesa della Consulta, in Giustizia insieme, 28 settembre 2020.
[16] Cfr. F. Malagnino, Sospensione dei termini nel procedimento penale in pandemia da Covid-19, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 4, p. 29; N. Madia, Tre questioni problematiche in tema di sospensione della prescrizione connessa all’emergenza Covid-19, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 5, p.3 s.
[17] Sia consentito rinviare, sul punto, a G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, 2008.
[18] Sia consentito ancora rinviare a G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit. V. anche, per un quadro degli orientamenti giurisprudenziali in tema di successione di norme richiamate da elementi normativi della legge penale, G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme "integratrici" nella recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, in Dir. pen. cont., 15 ottobre 2010.
[19] Sia consenti il rinvio, sul punto, a G.L. Gatta, Prescrizione del reato, ragionevole durata del processo e tutela dei beni giuridici, in Diritti umani e diritto internazionale, 2020, n. 2, p. 449 s.
[20] Corte EDU, Alikaj c. Italia (29 marzo 2011 - violazione art. 2 CEDU: “l’applicazione della prescrizione rientra incontestabilmente nella categoria di quelle ‘misure’ inammissibili secondo la giurisprudenza della Corte in quanto ha avuto come effetto quello di impedire una condanna”); Corte EDU, Saba c. Italia (1° luglio 2014 - violazione art. 3 CEDU: “… quando degli agenti dello Stato vengono imputati di maltrattamenti, è importante che i procedimenti non cadano in prescrizione”); Corte EDU, Cestaro c. Italia (7 aprile 2015 - violazione art. 3 CEDU: “nell’ambito della legislazione penale italiana, la prescrizione [… può] impedire non soltanto la punizione dei responsabili degli atti di ‘tortura’, ma anche degli autori dei ‘trattamenti inumani’”.
[21] Il pensiero corre in proposito, alle valutazioni periodiche del Group of States Against Corruption (GRECO), nell’ambito del Consiglio d’Europa, e al Working Group on Bribery (WGB), nell’ambito dell’OCSE.
[22] Rinvio, sul punto, alle considerazioni svolte in G.L. Gatta, "Lockdown" della giustizia penale, sospensione della prescrizione del reato e principio di irretroattività: un cortocircuito, in questa Rivista, 4 maggio 2020 (e, ivi, § 4).