*Testo rivisto dell’intervento del 24 febbraio 2023 in occasione del corso, tenutosi in Trapani a cura della struttura territoriale SSM di Palermo e dalla ANM di Trapani: La lotta alla criminalità organizzata attraverso l’attacco ai patrimoni illeciti, il risanamento delle aziende e la tutela della concorrenza, in memoria di Giangiacomo Ciaccio Montalto.
1. Le misure di prevenzione patrimoniali rappresentano – sin dal 1982 – un terreno di fertile evoluzione ‘pretoria’ dell’intervento giurisdizionale in tema di criminalità organizzata.
La svolta storica dei primi anni ottanta dello scorso secolo, con la legge n. 646 del 1982, è stata indubbiamente quella di ripensare l’azione di contrasto al crimine organizzato, indirizzandola anche sul terreno patrimoniale e del controllo delle imprese.
Ciò deriva da una considerazione per certi versi tanto banale quanto vera : se il finalismo ‘ontologico’ della associazione mafiosa (art.416 bis comma 3 c.p.) è essenzialmente quello di acquisire direttamente o indirettamente la gestione o il controllo di attività economiche, concessioni, appalti e servizi pubblici, diventando in tal modo un soggetto incidente nel mercato dei beni e servizi è su ‘quel’ terreno che deve muoversi l’azione statale tesa al recupero di legalità, in una duplice direzione: eliminazione degli strumenti produttivi di redditività illecita / verifica delle modalità di alterazione della libera concorrenza e possibile correzione .
L’intervento, recuperatorio e/o preventivo che sia, richiede, pertanto, piena consapevolezza della capacità delle organizzazioni criminali di accumulare risorse monopolizzando settori di mercato e, sul versante della cognizione, capacità di analisi degli assetti aziendali e delle strategie di intervento tese ad alterare la competitività.
Passare dell’analisi dei comportamenti individuali (fenomeno, peraltro, da non abbandonare) a quella degli assetti economici ed aziendali degli operatori di mercato è operazione necessaria sul piano funzionale e culturale ma – al contempo – estremamente complessa.
Per quanto si tenda a costruire – specie sul piano della cd. prevenzione amministrativa – una griglia di indicatori normativi della contaminazione, il fenomeno da investigare è non solo amplissimo ma ricco di sfumature che colorano il gioco delle relazioni intersoggettive come un arcobaleno non sempre distinguibile in concreto.
A fronte di situazioni di chiara ‘derivazione mafiosa’ (investimento a monte illecito di denaro accumulato dalla organizzazione e riversato in strutture aziendali in termini, ad es., di finanziamento iniziale della attività) si accompagnano forme di agevolazione estremamente più sfumate (aiuto prestato dalla organizzazione per semplificazione della attività di reperimento delle commesse, sistematico o episodico che sia) o addirittura di imposizione correlata al controllo del territorio (ad es. in tema di trasporto dei prodotti o di fornitura di materie prime).
Si tratta di un contesto che – in una visione meno ruvida della giurisdizione preventiva – va anzitutto «compreso» dalla magistratura specializzata nelle sue dinamiche funzionali, al fine di calibrare l’intervento secondo canoni di proporzionalità e razionalità nell’impiego delle risorse di cui disponiamo.
Occorre non soltanto la capacità di individuare le relazioni tra le persone ma quella di analizzare gli assetti aziendali, ricostruire le fonti di finanziamento e le modalità operative delle realtà economiche ‘sospette’.
2. Queste, in estrema sintesi, le premesse logiche e storiche della costruzione di uno «strumentario differenziato» in campo di misure di prevenzione patrimoniali, incrementato in modo particolarmente consistente con l’intervento di novellazione del 2017 (la legge n.161).
Il laboratorio di idee rappresentato, in particolare, dalla Commissione Fiandaca, già aveva individuato nel 2013 [1] le linee-guida dell’intervento, riassumibili nei due concetti di proporzionalità e flessibilità.
Accanto alle tradizionali misure tendenzialmente ablative del sequestro e della confisca (artt. 20 e 24 del d.lgs. n.159/2011) si valorizza lo strumento della amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche (art.34) e, soprattutto, si inserisce la misura del controllo giudiziario delle aziende (art. 34 bis). Misure, le due ultime citate, che mirano non tanto allo spossessamento ma all’accompagnamento delle aziende al recupero di condizioni di legalità, con una tecnica di ‘intrusione’ nelle dinamiche di funzionamento.
Al di là della descrizione dei singoli presupposti, su cui torneremo, l’idea di fondo che anima l’intervento del 2017 è stata quella della attribuzione al giudice della prevenzione del potere di «cogliere» sin dall’inizio del procedimento le differenze tra le diverse possibili relazioni tra l’impresa e l’organismo mafioso condizionante.
Si chiede al Tribunale, in altre parole, di «qualificare» la relazione – anche attraverso un possibile accrescimento cognitivo promosso ex officio – al fine di intervenire, ove necessario, con la misura di prevenzione maggiormente adeguata al caso (dalla ablazione alla ...correzione).
La dimostrazione della intentio legis è data dal novellato testo dell’articolo 20, lì dove il Tribunale è chiamato a delibare la domanda di sequestro proveniente dalla parte pubblica.
In sede di proposta di sequestro – il che presuppone la considerazione, da parte del soggetto pubblico proponente, di un soggetto portatore di pericolosità e di una relazione tra tale soggetto e uno o più beni – il Tribunale può ritenere sussistenti non già i presupposti tipici della misura richiesta (disponibilità dei beni in capo al portatore di pericolosità + sproporzione con il reddito di costui o relazione diretta tra attività illecita e beni sub specie frutto o reimpiego) ma, in alternativa, proprio quelli della amministrazione giudiziaria (art. 34) o del controllo giudiziario delle aziende (art. 34 bis), in tal senso « conformando ex officio» l'esito della richiesta.
Il legislatore si preoccupa, altresì, di fornire al Tribunale uno strumento di accrescimento della conoscenza (senza cognizione non vi è giurisdizione) proprio al fine di orientare la scelta iniziale, con possibilità di restituzione degli atti all’organo proponente per ritenuta incompletezza (art. 20 comma 2).
Da ciò non soltanto si desume che le misure ‘alternative’ della amministrazione o del controllo risultano affidate al prudente apprezzamento del giudice di prevenzione investito da una domanda di sequestro, ma soprattutto che lo sforzo richiesto al Tribunale della Prevenzione è quello di realizzare – sia pure in prima approssimazione – una calibrata (e proporzionata) qualificazione della «relazione» intercorrente tra i beni in questione ed il soggetto indicato come portatore di pericolosità tipica.
A tal fine, lì dove non ci si trovi in presenza di una relazione definibile in termini di ‘avvenuto investimento’ da parte del soggetto pericoloso ( del profitto delle condotte illecite nei beni) o di una strumentalizzazione funzionale di una azienda al fine di consentire l'esercizio di attività economica da parte del soggetto appartenente al gruppo criminale (casi tipici di adozione del sequestro in vista della confisca) risulta possibile applicare le misure della amministrazione o del controllo, con graduazione della intensità dell’intervento giudiziario, in chiave di potenziale «recupero» dell’ente economico ad una diversa condizione operativa, ove si sia constatata l’esistenza:
a) di una coartazione di volontà o di una agevolazione stabile (non propriamente dolosa e/o frutto della coartazione) realizzata dall’azienda verso persone portatrici di pericolosità qualificata (qui va disposta l'amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili per lo svolgimento della attività economica, ai sensi dell'art. 34, con modalità gestionali affini a quelle del sequestro tipico);
b) di un semplice pericolo di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa (l'agevolazione è occasionale, dunque ‘non perdurante’) con applicazione in tal caso del controllo giudiziario di cui all'art.34 bis, consistente in una sorta di 'vigilanza prescrittiva', nelle forme e con le modalità di cui al comma 2 della medesima disposizione (obblighi di comunicazione di determinate attività o, in alternativa, nomina di un amministratore giudiziario con funzioni controllo ed eventuali prescrizioni) .
Sul piano delle intenzioni, dunque, si percorre con decisione la strada della diversificazione e della proporzionalità, fermo restando che tutte le misure di prevenzione – per essere tali – devono ‘intercettare’ una condizione di pericolosità (del soggetto e/o dell’ente economico) e devono mirare a ridurla.
3. È noto che l’evoluzione applicativa degli istituti ‘alternativi al sequestro’ si è manifestata, in questi ultimi anni, quasi esclusivamente sul terreno del controllo giudiziario delle aziende (art. 34 bis) ed in particolare sull’istituto del controllo ‘su domanda’ dell’impresa destinataria di informazione interdittiva prefettizia (art.34 bis comma 6).
Il dato empirico andrebbe approfondito al fine di comprenderne le effettive ragioni, sul piano della ‘direzione delle indagini’ svolte dai possibili proponenti e/o su quello della vischiosità delle abitudini operative della componente giurisdizionale, ma simile approfondimento non può qui realizzarsi.
Ci si limita, pertanto, ad esporre talune riflessioni sulle questioni di maggior interesse emerse sul controllo giudiziario.
3.1 Come ogni istituto radicalmente innovativo (la domanda di sottoposizione alla particolare misura di prevenzione proviene qui dalla parte privata) il controllo su domanda ha scontato una iniziale diffidenza degli operatori pratici nonché ha richiesto la necessaria ‘concretizzazione giurisprudenziale’ dei presupposti regolativi, per certi versi ancora in progress.
Nell’illustrare alcuni degli snodi interpretativi di maggior interesse, occorre una riflessione preliminare sulla costruzione normativa dell’istituto e sulle recenti innovazioni apportate con il testo del d.l. n.152 del 2021.
Il primo punto di criticità sta – a nostro parere – in quella parte della previsione di legge che richiede la compresenza non soltanto della informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’art. 84 comma 4 (presupposto ineludibile) ma della avvenuta impugnazione del provvedimento prefettizio innanzi agli organi di giustizia amministrativa.
Sul piano storico, la prima idea di articolato normativo (Commissione Fiandaca) prevedeva solo il primo step (la informazione interdittiva) ma non anche il secondo (l’impugnazione dell’atto)[2], in una con la sospensione degli effetti dell’interdittiva correlata all’accoglimento della domanda di controllo.
Sta di fatto che diversi equivoci concettuali sull’istituto in esame sono derivati, a nostro parere, proprio dalla introduzione – in sede di redazione legislativa – dell’obbligo, per l’impresa, di impugnare il provvedimento inibitorio prefettizio, con una sorta di ‘incoerenza’ delle prospettive di asserzione della parte privata nei due ambiti giurisdizionali, specie per come si è evoluta la giurisprudenza di legittimità.
Se l’informazione interdittiva si basa sul censimento di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese (art. 83 comma 3) l’impugnazione del provvedimento davanti al giudice amministrativo dovrà basarsi – per forza di cose – sulla prospettazione di inesistenza della contaminazione tra ente economico e soggetti portatori di pericolosità.
Ma la domanda rivolta al giudice della prevenzione, secondo l’approdo interpretativo rappresentato da Sez. Un. 2019 Ricchiuto [3] dovrà – di contro - sostenere l’esistenza del pericolo concreto di infiltrazione mafiosa, con agevolazione meramente occasionale dell’attività della organizzazione (rapporto sussistente ma non strutturale), sì da creare le condizioni per una prognosi favorevole di riallineamento dell’impresa a condizioni di legalità.
Dunque, una netta divaricazione di contenuti della domanda di controllo (rispetto alla impugnazione già proposta) paradossalmente imposta dalla legge, lì dove si vincola l’accoglimento della domanda di controllo volontario alla avvenuta impugnativa del provvedimento prefettizio.
È un cortocircuito logico, lì dove l’impresa voglia usufruire del controllo volontario innanzi al giudice della prevenzione, che inquina non poco gli assetti tra le giurisdizioni (di prevenzione da un lato e amministrativa dall’altro) da sempre improntati alla reciproca autonomia[4].
In altre parole, la obbligatoria impugnazione del provvedimento prefettizio ne implica la contestazione dei presupposti di fatto (dunque inesistenza del condizionamento mafioso), lì dove la domanda di controllo volontario – per trovare accoglimento – deve predicare l’esistenza del condizionamento (secondo l’approdo delle Sezioni Unite del 2019) sia pure in termini di occasionalità ed emendabilità.
Inoltre, l’esistenza del presupposto della avvenuta impugnazione, al di là dei temi di merito sin qui espressi, ha contribuito a ‘schiacciare’ la dimensione fenomenica del controllo giudiziario volontario sull’effetto legale favorevole per l’impresa (la sospensione degli effetti della interdittiva prefettizia) più che sulla sua dimensione giuridica di «misura di prevenzione ad ogni effetto» connotata da indubbia afflittività (le prescrizioni sono quelle più stringenti dell’art.34 bis comma 2 lett. b) e dal possibile transito in una dimensione ablativa.
Ne sono esempio affermazioni per cui il controllo dovrebbe perdurare (in funzione meramente ancillare) solo fin quando permane la pendenza del giudizio amministrativo, rinvenibili anche in alcune decisioni di legittimità. Si tratta, a parer nostro, di una prospettiva erronea, in ragione del fatto che proprio la autonomia delle giurisdizioni e l’esistenza di un limite legale di durata del controllo giudiziario (art. 34 bis comma 2) portano a ritenere che l’avvenuta adozione della interdittiva prefettizia sia una mera occasio che porta innanzi al giudice della prevenzione il «tema fattuale» rappresentato dalla qualificazione (in termini anche di possibile inesistenza) della relazione tra l’ente economico e la consorteria mafiosa.
Il Tribunale della Prevenzione, secondo i principi generali, interviene solo lì dove ravvisi – in via autonoma – l’esistenza della condizione di pericolosità.
3.2. Ed è proprio su tale aspetto (la interferenza tra giudizio di prevenzione e giudizio amministrativo sulla interdittiva o comunque il modo in cui va considerata l’interdittiva prefettizia) che si registrano alcune ricadute interpretative nel cui ambito si intravede l’emersione di un nuovo contrasto di giurisprudenza.
Ci si riferisce, in particolare, alle ipotesi in cui in sede di esame della domanda dell’impresa (esame oggi rafforzato sul piano cognitivo dalla maggior ampiezza del contraddittorio, in virtù della novellazione del secondo periodo dell’art.34 bis realizzata tramite il d.l. n.152 del 2021[5]) il Tribunale si trovi di fronte ad un quadro fattuale da cui non emerga alcuna effettiva relazione tra l’impresa ed i soggetti portatori di pericolosità (inesistenza di condotte agevolative o di reali tentativi di infiltrazione, pur attestati come esistenti nel provvedimento prefettizio).
Secondo un indirizzo interpretativo di legittimità [6], pur posteriore a Sez. Un. 2019 Ricchiuto, in simile caso la domanda dell’impresa di adozione del controllo dovrebbe essere accolta, al solo scopo di rimuovere (temporaneamente) gli effetti inibitori della interdittiva prefettizia.
In simile approccio la decisione del prefetto assumerebbe un significato di ‘mero fatto’ insindacabile, che legittima (in una con la sua impugnazione) l’adozione della misura di prevenzione patrimoniale[7].
Ad essere decisiva, al fine di accogliere la domanda, non sarebbe pertanto la constatazione della esistenza di una «condizione di pericolo» quanto la necessità di consentire la prosecuzione dell’attività economica dell’impresa[8].
La lettura offerta da tale indirizzo è contrastata da altro orientamento (v. Sez. I n. 10578 del 2023; Sez. I n. 15156 del 2023) nel cui ambito si realizza una diversa considerazione dei contenuti resi da Sez. Un. 2019, Ricchiuto, nel senso del necessario e autonomo apprezzamento da parte del Tribunale della Prevenzione della «esistenza» del pericolo concreto di infiltrazione mafiosa (in termini di agevolazione occasionale) che giustifica l’adozione della misura di prevenzione.
Si è sostenuto in particolare in dette decisioni – da ultimo – che ad essere ostativa all’accoglimento della domanda di controllo ‘volontario’ è, da un lato, la constatazione (da parte del Tribunale della prevenzione) della esistenza di una condizione di agevolazione «perdurante» dell’impresa a vantaggio di realtà organizzate, inquadrabili come realtà associative di stampo mafioso, se ed in quanto tale condizione – al momento della domanda di ammissione – renda negativa la prognosi di ‘riallineamento’ dell’impresa a condizioni operative di legalità e competitività. Ma al contempo, è ostativa all’ammissione anche la constatazione di ‘assenza della relazione’ (anche pregressa) tra azienda ed organizzazione criminale esterna, proprio in ragione dei parametri interpretativi offerti da Sez. Un. Ricchiuto: [..] dopo le precisazioni espresse dalle Sezioni Unite di questa Corte nel citato arresto, la valutazione «autonoma» del Tribunale della prevenzione ai fini di cui all’art.34 bis comma 6, pur basandosi sui contenuti della informazione prefettizia (e su eventuali allegazioni di parte) deve necessariamente individuare i presupposti fattuali cui l’art.34 bis comma 1 subordina l’applicazione dell’istituto : a) l’esistenza di una relazione tra l’impresa ed i soggetti portatori di pericolosità qualificata; b) l’occasionalità delle forme di agevolazione tra la prima e l’attività dei secondi; c) la prognosi favorevole in termini di ‘efficacia’ del controllo a scongiurare il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose.
In tale momento applicativo la «giurisdizionalità piena» del sistema della prevenzione esclude che il Tribunale possa considerare – sul punto della esistenza o meno della relazione sub a – intangibili le valutazioni espresse dall’organo di prevenzione amministrativa, fermo restando che la decisione emessa in sede di prevenzione (in tal caso reiettiva) non ‘tocca’ l’esistenza della informazione interdittiva prefettizia [..] [9].
È pertanto auspicabile un ulteriore intervento dell’organo di composizione dei conflitti, a fronte della emersione di due orientamenti nettamente diversi ed entrambi asseritamente ‘derivanti’ dalle considerazioni espresse nella più volte citata decisione Sez. Un. del 2019.
Il punto di maggior interesse, nel descritto contesto, sta nella considerazione per cui la misura di prevenzione patrimoniale (quale è quella del controllo) andrebbe adottata solo se il Tribunale della Prevenzione, nella propria autonomia valutativa, si convince della esistenza del pericolo concreto di infiltrazione. In caso contrario (inesistenza in fatto del pericolo concreto) se è vero che l’effetto del diniego sarebbe la perdurante vigenza della interdittiva prefettizia (smentita sul piano valutativo dal Tribunale) è altrettanto vero che il controllo giudiziario perderebbe la propria vocazione di misura di prevenzione, diventando strumento atipico di salvaguardia della continuità aziendale [10].
4. Almeno altri due aspetti meritano di essere – almeno – citati sul piano della interpretazione giurisprudenziale dei parametri legislativi.
4.1 Il primo riguarda la tipologìa di provvedimenti amministrativi la cui emissione consente di rivolgere al Tribunale della Prevenzione la domanda di controllo.
Emerge, su tale punto, la tendenza della giurisprudenza – a nostro avviso pienamente condivisibile, per quanto sinora detto – a ritenere ammissibile la domanda di adozione del controllo giudiziario anche a fronte di provvedimenti diversi dalla ‘prima interdittiva’ (art. 84 comma 4 d.lgs. n.159 del 2011) ma aventi effetti analoghi.
In tale direzione va anzitutto segnalata Cass. Sez. II n. 2156 del 2023, ove si è ritenuta ammissibile la domanda di controllo introdotta da una impresa destinataria di diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, operanti in settori particolarmente a rischio di cui all’art.1 comma 52 della legge n.190 del 2012 (cd. white list). In motivazione si sottolinea che [..] l’equivalenza dei presupposti legittimanti il diniego della iscrizione nella white list con quelli che comportano l’adozione della interdittiva determina una sostanziale equiparazione tra i due istituti [..] pertanto una interpretazione costituzionalmente orientata impone la parificazione delle due situazioni.
Ancora, va evidenziato che in più arresti (v. in particolare Cass. Sez. I n. 42646 del 2022) è stata ritenuta ammissibile – anche in ragione dei chiarimenti apportati da Corte Cost. n.57 del 2020 in tema di temporaneità della interdittiva antimafia – la domanda di sottoposizione al controllo giudiziario posteriore al diniego di aggiornamento della interdittiva (art. 91 comma 5 d.lgs. n.159 del 2011). È evidente, infatti, che il provvedimento reiettivo – in quanto tale – rinnova la lesione e consente la formulazione della domanda di controllo, fermo restando che il giudizio di merito dovrà necessariamente avere ad oggetto un novum rispetto a precedenti valutazioni giurisdizionali, se esistenti.
4.2. Il secondo aspetto riguarda la possibilità o meno per l’impresa assoggettata a controllo di sollecitare un provvedimento di proroga e, più in generale, il possibile esito della procedura di controllo.
Il tema risulta ancora poco scrutinato in sede di legittimità, ma va segnalato che con sentenza Cass. Sez. I n. 47406 del 2022 è stata ritenuta la ricorribilità del diniego di proroga confermato, in sede di merito, dalla Corte di Appello di Catanzaro. Si è osservato in particolare che: [..] la legge prevede da un lato un limite di durata massimo della misura, pari ad anni tre, dall’altro impone al Tribunale che ha adottato la misura un dovere di verifica dell’andamento aziendale, come si evince dalle specifiche disposizioni contenute nel comma 4 dell’art. 34 bis d.lgs. n. 159 del 2011 (tra cui va ricordata quella che disciplina il possibile transito dal controllo giudiziario alla amministrazione giudiziaria). Lì dove la misura originariamente disposta abbia durata inferiore al limite di legge (nel caso in esame due anni), è pertanto da ritenersi che il Tribunale – anche su sollecitazione di parte, lì dove permanga l’interesse alla prosecuzione del controllo su domanda di cui al comma 6 – non possa sottrarsi al dovere di valutare i contenuti delle relazioni periodiche dell’amministratore giudiziario nominato ai sensi dell’art. 34 bis comma 2 lettera b d.lgs. n. 159 del 2011, nell’ottica di una ineludibile attualizzazione della situazione di fatto che ha determinato l’adozione dello strumento prevenzionale.
In tal senso, è da ritenersi che l’esistenza di un termine originariamente fissato, se inferiore al limite massimo, non implichi – in quanto tale – la cessazione della misura al momento della scadenza ma, analogamente a quanto previsto per lo strumento dell’amministrazione giudiziaria (art. 34 comma 6 d.lgs. n.159 del 2011), una rinnovata valutazione delle condizioni di fatto e dell’avvenuto o meno riallineamento stabile dell’impresa alle condizioni di legalità dell’azione economica [..].
Si tratta di un tema di indubbio interesse, atteso che la decisione indicata tende a sollecitare i giudici del merito a compiere, in ogni caso, una sorta di bilancio della vigilanza prescrittiva realizzata, anche al fine di orientare le scelte e le valutazioni della autorità amministrativa.
[1] Il testo della Relazione della Commissione Ministeriale istituita con D.M. 10 giugno 2013 è consultabile nell’archivio della rivista online Diritto Penale Contemporaneo.
Nel preambolo si indicano le modifiche di cui si parla nel testo, in larga misura recepite dalla legislazione successiva, nel modo che segue : [..] nel novero suddetto si inserisce anche una proposta di spiccato valore innovativo che tende all’obiettivo di modulare in maniera più moderna e flessibile il preesistente istituto della sospensione dell’amministrazione dei beni connessi ad attività economiche (artt. 3 quater e 3 quinquies, l. 575/1965), ridenominato più di recente “Amministrazione giudiziaria” dall’art. 34 del Codice Antimafia. Nella revisione proposta dalla Commissione, l’istituto in parola assume un rilievo di più ampio respiro e si sviluppa in una cornice di innovazione che include – oltre alla ridisciplina dei suoi contenuti normativi – l’introduzione di una nuova figura di controllo giudiziario e, in connessione, una modifica della disciplina delle interdittive prefettizie. Il complessivo obiettivo di fondo perseguito da questa nuova progettazione, che ne giustifica un rilievo autonomo sì da poter essere eventualmente valorizzata anche a prescindere dalle proposte relative alle altre aree tematiche prese in esame, consiste nel promuovere il disinquinamento mafioso delle attività economiche, salvaguardando al contempo la continuità produttiva e gestionale delle imprese [...].
[2] Il testo ipotizzato dalla Commissione ministeriale era il seguente:
6. Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’art. 84 possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lett. b) del comma 2 nelle forme previste dal comma precedente.
[3] Come è noto, poste di fronte al tema della impugnabilità o meno del diniego di ammissione al controllo su domanda di parte (dunque a questione processuale) le Sezioni Unite della Suprema Corte (sent. n. 46898/2019) hanno ricostruito l’assetto dell’istituto del controllo volontario inquadrandolo – anche in ragione di precedenti arresti delle sezioni semplici – come sottopartizione della amministrazione giudiziaria di cui all’art.34, dunque come misura di prevenzione ad ogni effetto, con appellabilità del diniego. Da qui la precisazione circa l’obbligatoria verifica della occasionalità della agevolazione, parametro di cui all’art.34 comma 1 del d.lgs. n.159 del 2011.
Ed invero la citata decisione Sez. U Ricchiuto così precisa la direzione della verifica giurisdizionale: [..] con riferimento, poi, alla domanda della parte privata, che sia raggiunta da interdittiva antimafia, di accedere al controllo giudiziario, tale accertamento - e in ciò la motivazione della citata sentenza n. 29487 della Prima Sezione promuove prospettive non del tutto sovrapponibili alle conclusioni qui prese- non scolora del tutto, dovendo pur sempre il tribunale adito accertare i presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l'accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l'accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa. La peculiarità dell'accertamento del giudice, sia con riferimento alla amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata. L'accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non può, cioè, essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta […].
[4] Non vi è dubbio alcuno, infatti, che allo stato attuale della legislazione – ed in chiave di tutela dei principi – le valutazioni del Tribunale della Prevenzione e quelle del Giudice Amministrativo sono del tutto autonome (si veda, in termini generali sulla autonomia valutativa delle giurisdizioni quanto affermato da Cass. Sez. VI sent. n. 1893 del 2021 e da Sez. II n. 22083 del 2021), così come il Tribunale della Prevenzione non è vincolato ai contenuti espressi dal Prefetto nella adozione della interdittiva (secondo il generale principio della sindacabilità in sede giurisdizionale penale o di prevenzione, dell’atto amministrativo). Ciò crea, in rapporto a quanto illustrato nel testo, un pericoloso circolo vizioso (l’esito favorevole del periodo di controllo, ad esempio, non assicura dalla reiterazione della interdittiva) rimediabile – per adesso – solo attraverso la considerazione da parte della diversa autorità dei contenuti espressi dal Tribunale della Prevenzione ed il posteriore adeguamento spontaneo.
[5] Si tratta di una opportuna innovazione, tesa a rendere possibile la presa in carico della domanda della parte privata con maggior tasso di informazioni sulle situazioni di fatto che hanno determinato l’emissione del provvedimento prefettizio. In tale direzione, è auspicabile la deformalizzazione del contraddittorio camerale con apertura a sollecitazioni ex officio da parte del Tribunale su punti bisognosi di approfondimento.
[6] Ne sono espressione, tra le altre, Cass. Sez. VI n. 30168 del 2021; Sez. VI n. 27704 del 2021, Sez. II n.- 9122 del 2021.
[7] Una sorta di pre-requisito, definito nella decisione numero 9122 del 2021 un substrato della decisione riservata alla cognizione del giudice ordinario, come dato patologico già acquisito e non rivalutabile. Nella decisione n. 30168 del 2021 il provvedimento prefettizio viene indicato come presupposto da cui non si può prescindere anche in chiave di ‘accertamento già svolto’.
[8] Lo afferma in modo espresso la decisione n. 27704 del 2021:… è solo ove il pericolo di infiltrazione sia ritenuto più grave dal giudice della prevenzione che si può giustificare il rigetto, ma non certamente quando tale pericolo dovesse essere ritenuto inesistente, perché in tal caso ed a maggior ragione si giustificherebbe l’accoglimento dell’istanza, volta ad assicurare la continuità dell’impresa attraverso la sottoposizione al controllo giudiziario [...].
[9] Così, in motivazione, Sez. I n. 10578 del 2023.
[10] In sostanza, a parere dello scrivente, se il pericolo viene ritenuto insussistente non può essere adottata alcuna misura di prevenzione giurisdizionale e la sorte dell’interdittiva prefettizia resta affidata alle cure del giudice amministrativo.