1. È configurabile l’epidemia omissiva? – È una domanda non nuova, ma rarissima in giurisprudenza. L’ha riportata prepotentemente sulla scena un esserino piccolo un milione e mezzo di millimetro, il notissimo SARS-CoV-2. È una domanda della quale si parla tanto e che pare proprio avere un futuro, anche quando in udienza non andremo più con la mascherina, torneremo in aula a fare lezione e in sala a fare i convegni.
Diamo quindi alla domanda tutta l’attenzione che merita.
L’epidemia è prevista dall’art. 438 c.p., che punisce: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni...”. Riguardo alla forma omissiva viene in considerazione una disposizione di assai più frequente applicazione e cioè l’art. 40 II co. c.p., sull’omesso impedimento dell’evento che si ha l’obbligo giuridico d’impedire.
Alla domanda se sia configurabile l’epidemia omissiva, la giurisprudenza di legittimità ha risposto una volta sola e ha risposto: no. Ciò è avvenuto con la sent. Cass. Sez. IV, 9133/18, Giacomelli, Pres. Piccialli, est. Tornesi[1]. Riferendosi all’art. 438 c.p., così testualmente la motivazione: “La norma evoca, all’evidenza, una condotta commissiva a forma vincolata di per sé incompatibile con il disposto dell’art. 40, comma 2, cod. pen., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera”.
È convincente questa motivazione? Poniamoci il dubbio. Accogliamo l’invito di Norberto Bobbio: il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze.
Per chiarezza espositiva del discorso che segue, scomponiamo la motivazione giurisprudenziale in un sillogismo:
– l’art. 40 II co. c.p. è inapplicabile ai reati a forma vincolata
– l’epidemia è un reato a forma vincolata
– l’art. 40 II co. c.p. è inapplicabile all’epidemia
Analizziamo le due premesse. Prendiamole così come sono. Mettiamo solo un punto interrogativo alla fine di ognuna. Insinuiamo il dubbio trasformando le due affermazioni in domande.
È evidente che se dovesse cedere anche solo una delle premesse, crollerebbe l’intero edificio motivazionale. Ma non è detto che ciò avvenga. Sono solo prove di resistenza.
2. L’art. 40 II co. c.p. è inapplicabile ai reati a forma vincolata? – La sentenza Giacomelli, prima citata e come detto, ritiene l’applicabilità dell’art. 40 II co. c.p. ai soli reati a forma libera. Questo sorprende, perché la giurisprudenza è solita esprimersi in senso contrario[2]. Anche le due sentenze di merito sul caso della sentenza avevano ritenuto l’applicabilità. Tuttavia l’essere in minoranza o addirittura soli non dice nulla circa la plausibilità dell’opinione che si sostiene: la plausibilità di un’opinione non si basa sul numero dei suoi sostenitori, ma sulle ragioni che si pongono a base.
Vediamo allora le ragioni a base dell’incompatibilità fra i reati a forma vincolata e l’art. 40 II co. c.p. La sentenza Giacomelli non le richiama, perché evidentemente le dà per scontate, essendo istituzionali.
L’incompatibilità sorge quando la fattispecie incriminatrice, per il suo contenuto, può essere integrata solo da una condotta attiva[3]. Ad es., la truffa, che richiede la realizzazione di artifici o raggiri, non realizzabili in forma omissiva[4]. Sono ragioni di legalità: si deve evitare che venga punito per una fattispecie di reato chi non ne realizza tutti i requisiti costitutivi. Si può opporre che l’art. 40 II co. c.p. subordina l’equivalenza fra l’azione e l’omissione alla sola sussistenza dell’obbligo giuridico d’impedire l’evento[5].
Ma non si tratta comunque di un’incompatibilità assoluta, bensì relativa, perché occorre stabilire di volta in volta se la fattispecie incriminatrice, per il suo contenuto, sia suscettibile di realizzazione anche in forma omissiva.
Qui ci interessa l’epidemia. E allora chiediamoci: la diffusione di germi patogeni, richiesta dall’art. 438 c.p., può realizzarsi anche in forma omissiva?
La risposta è sì: il non fare qualcosa può produrre la diffusione. Ad es., in un ampio ambiente ospedaliero c’è un paziente affetto dal virus SARS-CoV-2 a contatto con altri pazienti e con il personale sanitario: ci sono quindi i presupposti per la diffusione e si omette di inibire la diffusione, che si allarga a macchia d’olio, anzi che corre come l’acqua. L’omissione consiste nel non inserire il dovuto ostacolo alla diffusione.
Questo avviene anche nella fattispecie colposa, dove gioca un ruolo fondamentale la regola cautelare che integra la fattispecie incriminatrice. Più precisamente gioca un ruolo lo scopo, il fine di questa regola. Al riguardo la domanda suona: la diffusione di germi patogeni è ciò che la regola cautelare mira a prevenire?
Ci deve essere cioè coincidenza fra l’oggetto di previsione legislativa e l’oggetto di prevenzione cautelare. Se c’è questa coincidenza e l’inosservanza della regola cautelare produce la diffusione, non può che derivarne la punibilità: il fatto è conforme alla fattispecie.
Ad es., la regola cautelare: “Isola il paziente sospetto Covid-19 prima ancora di avere la conferma laboratoristica della positività del tampone”. Il fine è evidente: quello di evitare la diffusione. O certe regole cautelari relative all’ambiente di lavoro, ad es., l’informazione sul rischio biologico da agenti infettivi o la fornitura dei dispositivi di protezione individuale[6].
Altre regole cautelari hanno uno scopo di meno agevole individuazione. Ad es., “Va posta in diagnosi differenziale un’infezione da Covid-19 di fronte ad un quadro clinico di tosse, febbre e dispnea unito a un quadro radiologico di addensamenti polmonari bilaterali, simmetrici, periferici”. In questa regola spicca quale fine la cura del paziente, ma ad esso potrebbe aggiungersi l’allarme di diffusione del virus alle persone a contatto con il paziente, se si omette l’approfondimento diagnostico in direzione Covid-19.
Altre regole hanno invece all’evidenza solo il fine della cura del paziente. Ad es., “Non somministrare l’idrossiclorochina ad un paziente Covid-19 che presenta carenza di enzima G6PD”.
In conclusione sul punto: l’epidemia colposa è configurabile nella forma omissiva, tutte le volte in cui la regola cautelare inosservata ha come scopo l’ostacolare la diffusione dei germi patogeni.
Ciò, beninteso, non significa sovrapporre l’omissione alla componente omissiva della colpa, data dal non fare quanto la regola cautelare raccomanda e in quanto tale presente in tutte le ipotesi di colpa. L’omissione è qui intesa come dato naturalistico e cioè il non inserimento del fattore ostacolante su un processo causale già in atto e che costituisce il presupposto per la diffusione, ad es., omesso isolamento di un paziente Covid-19.
L’azione è qui intesa anch’essa in senso naturalistico e cioè come realizzazione del fattore che dà avvio a un processo causale. Ad es., paziente che contrae il SARS-CoV-2 da personale sanitario durante il trasporto in autoambulanza per l’uso di devices contaminati e poi ricoverato in ambiente ospedaliero pulito, che in conseguenza si sporca.
3. L’epidemia è un reato a forma vincolata o libera? – O anche in altre parole: è punibile qualunque condotta che cagiona un’epidemia o solo la condotta espressamente prevista dalla legge? O anche: con qualunque modalità commissiva o solo con una certa modalità?
È un’affascinante domanda d’inquadramento dogmatico della fattispecie.
Il fatto tipico del reato di epidemia è descritto dall’art. 438 c.p. in questi termini: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni…”. La preposizione “mediante”, cioè “per mezzo di”, è significante di un mezzo di commissione: appunto quello della diffusione di germi patogeni. E questa analisi grammaticale ci spedisce verso una conclusione obbligata: l’epidemia è un reato a forma vincolata: si perfeziona solo se cagionata mediante la diffusione di germi patogeni[7]. Non è quindi punibile la commissione con altro mezzo, con altra modalità, ad es., mediante sostanze tossiche o radioattive.
Ci siamo però limitati a chiederci come deve essere commessa un’epidemia perché sia punibile, senza prima chiederci che cosa essa sia.
E cioè la domanda:
– come deve essere commessa un’epidemia?
deve essere preceduta dalla domanda:
– che cos’è un’epidemia?
È un ordine logico che rispettiamo sempre, anche senza accorgercene. E anche nei ragionamenti non giuridici. Prima ci chiediamo che cosa è successo e poi come è successo. Pensiamo, ad es., “Sono fuori dal sito che stavo visitando (che cosa è successo), devo avere cliccato accidentalmente dove non volevo (come è successo)”. Diciamo quid e di quomodo, mossi dalla nostalgia liceale, riattivata di recente dai ricordi di letture manzoniane di un’altra storica epidemia.
Chiediamoci quindi prima: che cos’è un’epidemia?
Per dare una risposta possiamo attingere a due fonti: il linguaggio comune o la scienza medica, a seconda che riteniamo che il termine “epidemia”, che figura nell’art. 438 c.p., costituisca elemento descrittivo o normativo della fattispecie incriminatrice. Analizziamolo sia come elemento descrittivo che come elemento normativo. Ricordiamo quel fondamentale insegnamento di Francesco Angioni, secondo il quale l’umile esegesi è il più fedele servitore del principio di legalità.
Elemento descrittivo. Per dargli definizione usiamo l’Enciclopedia Treccani: “Epidemia. Manifestazione collettiva d’una malattia (colera, influenza ecc.), che rapidamente si diffonde fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto in dipendenza da vari fattori, si sviluppa con andamento variabile e si estingue dopo una durata anche variabile”.
Salta agli occhi la diffusione quale modalità del fenomeno epidemico, esemplificato nel colera e nell’influenza e quindi in processi fisiopatoligici che hanno il primum movens in germi patogeni. La diffusione di questi ultimi costituisce la base del fenomeno, essendo gli altri elementi solo qualificanti la diffusione: velocità della stessa, ambito di persone e di spazio coinvolti, andamento ed esaurimento nel tempo[8].
Quindi secondo il linguaggio comune: non può esistere epidemia senza la diffusione di germi patogeni.
Elemento normativo[9]. La sentenza Giacomelli, citata in apertura, richiama una nozione di epidemia accreditata dalla scienza medica e cioè “… ogni malattia infettiva o contagiosa suscettibile, per la propagazione dei suoi germi patogeni, di una rapida ed imponente manifestazione in un medesimo contesto e in un dato territorio colpendo un numero di persone tale da destare un notevole allarme sociale e un correlativo pericolo per un numero indeterminato di individui”. Questa nozione è imperniata sulla diffusione di germi patogeni, perché pone la propagazione, sinonimo di diffusione, come causa del fenomeno, che rientra quindi nella nozione di epidemia.
Anche intendendo quindi il termine “epidemia” come elemento normativo, la diffusione di germi patogeni è l’essenza dell’epidemia.
Qual è quindi la funzione che svolge nell’art. 438 c.p. il richiamo alla diffusione di germi patogeni?
È una funzione chiarificatrice, quella di meglio descrivere il fatto tipico. Senza però nulla aggiungere in termini di tipicità del fatto, già tutta racchiusa nel sostantivo “epidemia”.
In sintesi: l’epidemia non è un reato a forma vincolata, perché il legislatore non ha selezionato una modalità di commissione, ma ha solo preso atto dell’unica modalità di commissione. È un reato a forma naturalisticamente vincolata, non giuridicamente.
4. Considerazioni conclusive. – Sarà ovviamente la lettrice/il lettore a giudicare se le premesse del sillogismo in apertura hanno retto alle prove di resistenza.
Ma c’è da aggiungere qualcosa di apparente insignificanza sul piano giuridico, ma assai spesso di decisiva importanza. Qualcosa di ovvio, anche se talvolta negato: il peso del caso concreto nella questioni giuridiche. Il peso emotivo del caso concreto.
La sentenza Giacomelli aveva ad oggetto un caso di omessa depurazione di un acquedotto, con diffusione di germi patogeni causante disturbi gastroenterici a circa 1.500 persone, risoltisi per lo più in pochi giorni e senz’alcun decesso.
Davvero ben poco rispetto a quello che è derivato dalla diffusione del SARS-CoV-2 e che potrebbe pesare sulla giurisprudenza. E qui neppure una parola per descrivere il dolore che abbiamo visto e sentito. Non quindi per spargere collante emotivo su ragionamenti giuridici. Non per questo.
Ma solo perché non si sottovaluti il peso del dolore.
[1] Per la lettura di questa sentenza, clicca qui. Anche in Dir. pen. cont., 20 giugno 2018, con nota di Felicioni, Un'interessante pronuncia della Cassazione su epidemia, avvelenamento e adulterazione di acque destinate all'alimentazione.
[2] Ex plurimis: Sez. VI, 28301/16, Dolce, est. Ricciarelli, Rv. 267829; Sez. III,Sez. 3, 53102/16, Mimun, est. Andreazza, Rv. 268554.
[3] Fiandaca – Musco, Diritto Penale, Parte Generale, Zanichelli, 2005, 550: “Occorre scartare dal novero dei reati di evento quelli caratterizzati da elementi strutturali che possono accedere soltanto ad una condotta positiva”.
[4] Al riguardo appare discutibile quella giurisprudenza che nella truffa ritiene la punibilità del silenzio maliziosamente serbato. Ex plurimis: Sez. VI, 23079/18, Blasetti, est. Rago, Rv 272981.
[5] V. sul punto: Marinucci – Dolcini – Gatta, Manuale di Diritto Penale, Parte generale, Giuffrè, 2018, 254.
[6] In argomento: Cupelli, Obblighi datoriali di tutela contro il rischio di contagio da Covid-19: un reale ridimensionamento della colpa penale?, in questa Rivista, 15 Giugno 2020, nonché tutti i contributi correlati.
[7] Di recente in dottrina per la natura di reato a forma vincolata dell’epidemia: Brucellaria, in Dolcini –Gatta, Codice Penale Commentato, art. 438 c.p., II, Wolters Kluwer, 2015, 1933; Petrini, in Pulitanò, Diritto penale, Parte Speciale, I, Giappichelli, 2019, 154. Per la natura di reato a forma libera, ma con mezzo vincolato: Corbetta, in Marinucci – Dolcini, Trattato di diritto penale, Parte Speciale, I delitti contro l’incolumità pubblica, II, Cedam, 2014, 67 e Provolo, in Forti – Seminara – Zuccalà, Commentario Breve al Codice Penale, art. 438 c.p., Wolters Kluwer-Cedam, 2017, 1412. Luca Agostini, Pandemia e "penademia": sull'applicabilità della fattispecie di epidemia colposa alla diffusione del Covid-19 da parte degli infetti, in questa Rivista, 30 Aprile 2020, 233.
[8] Anche la tradizionale definizione dell’epidemia, data in dottrina, ruota intorno alla diffusione: “manifestazione collettiva di una malattia che rapidamente si diffonde fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto e si estingue dopo una durata più o meno lunga” Battaglini – Bruno, Incolumità Pubblica (delitti contro la), in Novissimo Digesto Italiano, VIII, 1962, UTET, 559.
[9] In argomento, per tutti: Risicato, Gli elementi normativi della fattispecie penale, Giuffrè, 2004.