*Pubblichiamo il testo dell’intervista a Roberto Bartoli, Professore di Diritto penale nell’Università di Firenze, realizzata da Lorenzo Tombelli, Presidente dell’Associazione Università per la legalità, nell’ambito del Convegno Criminalità mafiosa: memoria e cultura della legalità, dedicato a Pier Luigi Vigna e Gabriele Chelazzi, tenutosi a Firenze il 25 marzo 2022, i cui atti sono in corso di pubblicazione in un volume con lo stesso titolo del Convegno, a cura di Carlotta Conti.
D: Professore, quando le proponemmo di intervenire sulle misure di prevenzione manifestò una certa ritrosia, perché?
Perché ogni volta che si affronta il tema delle misure di prevenzione si incontrano enormi difficoltà e conseguentemente si avverte un grandissimo imbarazzo.
D: Quali difficoltà?
Le difficoltà nascono dal fatto che le misure di prevenzione costituiscono un paradigma della penalità decisamente diverso dalla pena e dalle misure di sicurezza, peculiarissimo, vorrei dire eccezionale. Da un lato, assieme alle misure di sicurezza, quelle di prevenzione non si basano sul concetto di responsabilità per un reato che si è commesso in passato, ma sul concetto di pericolosità per un reato che si potrebbe commettere in futuro. Quindi le misure di prevenzione, assieme a quelle di sicurezza, divergono dalla pena per il presupposto giuridico fondamentale che attiene al destinatario della misura: invece della responsabilità, si fondano sulla pericolosità. Dall’altro lato, però, le misure di prevenzione si differenziano anche dalle stesse misure di sicurezza, perché mentre queste ultime presuppongono comunque l’accertamento della commissione di un reato/quasi reato, le misure di prevenzione invece prescindono dall’accertamento della commissione di un fatto di reato. Insomma: la pena, basandosi sul concetto di responsabilità, non può che presupporre l’accertamento di un fatto; le misure di sicurezza, pur non basandosi sul concetto di responsabilità, ma su quello di pericolosità, necessitano comunque dell’accertamento di un fatto; le misure di prevenzione si basano invece sulla pericolosità e prescindono dall’accertamento di un fatto.
D: Per questo lei ritiene che si tratti di un paradigma eccezionale?
Senza alcun dubbio. La circostanza che si basino sulla pericolosità e sul mancato accertamento di un fatto, colloca le misure di prevenzione più che al limite della penalità, direi ben al di là del limite. Potremmo dire che al limite si collocano le misure di sicurezza, che si basano sulla pericolosità, ma anche sull’accertamento di un fatto. Ma le misure di prevenzione sono oltre il limite, proprio perché, oltre che sulla pericolosità, si basano anche sul mancato accertamento di un fatto di reato.
D: Ma così ragionando non si dovrebbe concludere nel senso che le misure di prevenzione, in quanto oltre il limite, sono costituzionalmente illegittime?
Sta introducendo un punto centrale, forse il più centrale, vale a dire il problema della stessa legittimità tout court delle misure di prevenzione. Solo poche battute anticipatrici di un discorso sul quale torneremo in seguito. Le misure di prevenzione hanno ricevuto un’indubbia copertura costituzionale sia a livello nazionale che europeo, e quindi sono da considerare legittime, anche in considerazione delle forti argomentazioni utilizzate[1]. Tuttavia, paradossalmente, è proprio questa legittimità che deve fare alzare il livello di guardia. Ed infatti, scartati gli opposti estremismi di chi vorrebbe abolirle (perché costituzionalmente illegittime) e di chi vorrebbe regolarizzarle senza alcuna criticità (perché costituzionalmente legittime), è ragionevole e di buon senso intraprendere la strada di ammetterle contenendole. Ma è proprio lungo questa strada caratterizzata da un’“ammissione con contenimento” che si pongono i maggiori problemi. Da un lato, essendo oltre il limite, dovremmo relegarle nella assoluta eccezionalità. Dall’altro lato, però, si è assistito a una costante e progressiva estensione del loro ambito applicativo. Si pensi all’incremento – mi si lasci dire – sconsiderato delle ipotesi di pericolosità qualificata, ricomprendenti oggi anche delitti come la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis), i maltrattamenti (art. 572: fattispecie di per sé delicatissima) e gli atti persecutori (art. 612-bis), come anche all’estensione della confisca a tutte le tipologie di soggetti pericolosi.
D: E quindi ecco l’imbarazzo.
Esatto: come raggiungere un equilibrio riguardo a uno strumento che collocandosi oltre il limite dovrebbe essere relegato ai margini in quanto eccezionale e tuttavia conosce una notevolissima estensione, una regolarizzazione, addirittura avallata dalle stesse giurisdizioni di garanzia costituzionale? Il piano inclinato non solo ha dato i suoi frutti, tossici e avvelenati, ma ha messo radici profonde nell’ordinamento. E chi se la sentirebbe oggi di affrontare una crociata contro le misure di prevenzione? Il rischio è di essere etichettati come utopisti fuori dalla realtà.
D: Come uscirne allora?
In presenza di queste difficoltà e di questo imbarazzo, a mio avviso s’impone la necessità di compiere scelte drastiche e coraggiose, radicali, che inducano a un vero e proprio ripensamento delle misure di prevenzione. Occorre spostare sempre di più la riflessione sul costituzionalismo e sui principi di garanzia, non tanto per strumentalizzare il costituzionalismo a fini politici, ma per porre limiti costituzionali alla politica e quindi per porre in evidenza le notevoli e numerose aporie di queste misure eccezionali ma regolarizzate, invitando a una maggiore responsabilità e a una maggiore limitazione del loro impiego. Insomma, occorre ridestare la coscienza civile e costituzionale dell’intera comunità giuridica (magistrati, avvocati, giuristi) da un torpore nel quale sembra essere caduta. Se volete vi dico subito come la penso.
D: Ce lo dica.
In estrema sintesi, penso che le misure di prevenzione siano strumenti eccezionali che si giustificano proprio per la criminalità organizzata, mentre non dovrebbero trovare spazio al di fuori di queste forme di criminalità.
D: Ci può spiegare meglio?
Certamente. E per farlo provo ad evidenziare alcune aporie che stanno alla base delle misure di prevenzione.
D: Ci dica la prima aporia.
La prima aporia potremmo definirla “storico-genetica”. L’origine storica delle misure di prevenzione non è soltanto come misure di polizia, ma ancor prima come misure che non esitiamo a definire statalistico-autoritarie. Certo, genesi autoritaria con il senno di poi, con gli occhi di oggi, ma pur sempre genesi autoritaria. Vedete, c’è una grandissima differenza tra la genesi e la storia della pena e la genesi e la storia, per la verità molto breve, delle misure di sicurezza e delle misure di prevenzione. La pena, prima ancora che essere sanzione statale, è sanzione sociale, indispensabile per la convivenza pacifica, nata con l’uomo e la sua convivenza sociale: certo, quando poi il potere pubblico è divenuto forte, se ne è appropriato concentrandola monopolisticamente nelle proprie mani, con tutti i rischi di strumentalizzazione del reo ed esigenze di garanzia che conosciamo. Le misure di sicurezza e quelle di prevenzione nascono invece con lo Stato: nascono soprattutto una volta che lo Stato ha accentrato nelle proprie mani il potere punitivo, e quindi, a ben vedere, nascono svincolate da una vera e propria esigenza sociale, ma sono perfetta espressione di un’esigenza esclusiva dei detentori del potere punitivo statale, che strumentalizza ulteriormente la violenza per perseguire obiettivi di controllo prima e al di là dei reati. Tutto ciò è dimostrato dal fatto che in origine le misure di prevenzione erano del tutto sganciate dai fatti di reati, colpivano categorie soggettive, vale a dire gli oziosi/vagabondi e i dissidenti politici. Nessun fatto di reato, ma soltanto giudizi sulla persona: la valutazione e le conseguenze non erano connesse a ciò che si era compiuto, ma a ciò che si era. In epoca repubblicana si prova a correggere tutto questo e si cerca di realizzare un nuovo paradigma della prevenzione, costituzionalmente orientato, e da qui il tentativo di spostare l’asse del paradigma delle misure di prevenzione dalla persona al fatto, valorizzando il sospetto di commissione di reati. Ma il tema è: questo spostamento è realmente avvenuto oppure il sistema continua a restare interamente concentrato sulla persona?
D: Altra aporia?
Un’altra aporia, come già accennato, attiene allo stesso fondamento costituzionale. Facendo leva sulla pericolosità sociale che contraddistingue sia le misure di sicurezza che le misure di prevenzione, non si è esitato a ricondurre le misure di prevenzione all’art. 25, comma 3, Cost. Tuttavia c’è da chiedersi se misure di sicurezza e misure di prevenzione siano davvero “analoghe”. Ebbene, sempre come già accennato, a me pare che siano realtà diverse, anzitutto in virtù della circostanza che mentre le misure di sicurezza presuppongono l’accertamento di un fatto, le misure di prevenzione no. Ma le differenze attengono anche ad altro.
D: Per esempio?
Concentriamoci sulle misure di sicurezza. Lasciamo da parte quelle per il non imputabile, che meritano un discorso a sé, in quanto connesse a un fattore incapacitante che, anche grazie alla cooperazione del sapere scientifico, consente di compiere un giudizio di pericolosità del tutto peculiare, come anche di differenziare in termini di contenuti e scopi le misure di sicurezza dalle pene. I problemi si pongono per le misure di sicurezza personali detentive per i soggetti imputabili. Ebbene, non sussistono tanto problemi sul piano della pericolosità, ma piuttosto sul piano della proporzione. Sul piano della pericolosità, le misure di sicurezza per l’imputabile non pongono problemi perché è presente l’accertamento di un fatto, con la conseguenza che risulta possibile compiere un giudizio di pericolosità sulla persona in ordine alla commissione di futuri reati proprio perché l’autore ha già realizzato un reato accertato. Ed infatti, il giudizio di pericolosità opera nella sostanza mediante tre passaggi: accertamento di un fatto di reato (ad esempio furto); elaborazione della pericolosità c.d. astratta, costituita dai precedenti relativi a fatti realizzati e accertati, che consente di individuare i caratteri dei reati precedentemente commessi; giudizio di attualità del pericolo, compiuto mediante la comparazione tra il fatto accertato e la pericolosità astratta desunta dai precedenti relativi a fatti accertati: fatti identici diversi o analoghi, maggiore o minore distanza temporale tra i fatti commessi etc. E’ piuttosto sul piano della proporzione che le misure di sicurezza pongono problemi. Ed infatti, il principio di proporzione risulta violato se le misure di sicurezza hanno un contenuto analogo a quello della pena anche perché, com’è noto, si eseguono dopo la pena. E nel nostro ordinamento esistono misure di sicurezza detentive che nella sostanza hanno lo stesso contenuto della pena, come ad esempio la colonia agricola.
D: Quindi anche le misure di sicurezza per l’imputabile sono illegittime?
Non esito a ritenere che quelle detentive siano attualmente illegittime, ma vi sono margini per risolvere i problemi di legittimità delle misure di sicurezza per l’imputabile, nel momento in cui si mantengono soltanto quelle che hanno un contenuto diverso da quello della pena e sono orientate nel senso di limitare la libertà di circolazione, come nel caso della libertà vigilata.
D: E rispetto alle misure di prevenzione cosa accade?
Rispetto alle misure di prevenzione, le cose stanno in maniera decisamente diversa. A ben vedere, non pongono problemi di proporzione, perché sul piano afflittivo non possono limitare la libertà personale potendo limitare soltanto quella di circolazione, con la conseguenza che non si assiste a una duplicazione dell’afflittività che le renderebbe sproporzionate. Certo, si potrà comunque porre un problema di proporzione in concreto, ma non in astratto. Diversamente, però, le misure di prevenzione pongono problemi proprio sul piano della pericolosità, perché manca l’accertamento di un fatto e questi problemi sono molto difficili da risolvere.
D: Ed eccoci quindi ad un’altra aporia: si potrebbe parlare di un’aporia strutturale.
E’ proprio così, strutturale e quindi “enormemente” sostanziale. Troppo spesso ci si è soffermati sui problemi di costituzionalità delle misure di prevenzione facendo riferimento ai principi formali e processuali. Benissimo, anche perché vi erano problematiche rilevantissime. Tuttavia legalità e processo di per sé non bastano a vagliare la reale legittimità di un sistema: creare un procedimento disciplinato dalla legge per un qualcosa che strutturalmente non sta in piedi, non è garanzia. Mi si permetta una provocazione che tuttavia non lo è, essendo la più triste realtà della nostra storia: la tortura è stata uno degli istituti più disciplinati in termini di regole procedurali eppure tutta quella disciplina atteneva a un qualcosa che andava semplicemente interamente eliminato: gli stessi campi di sterminio avevano vere e proprie regole[2]. Ebbene, se si va alla sostanza delle misure di prevenzione ci si rende conto che esse si basano su un’aporia strutturale micidiale.
D: Vediamola.
Anzitutto, vediamo perché il giudizio di pericolosità è così fondamentale. Al netto delle ipotesi che consistono in atti preparatori, problematiche sono le fattispecie di pericolosità generica e specifica, perché fondate su due livelli: da un lato, deve esserci il sospetto di commissione di un reato, vale a dire elementi di fatto dai quali si può ricavare il sospetto di commissione di un reato, insomma, indizi; dall’altro lato, si deve aggiungere il requisito della pericolosità sociale, più opportunamente definito come giudizio di attualità della pericolosità. Il nodo vero diviene questo giudizio di attualità della pericolosità, perché o questo giudizio c’è oppure sono problemi.
D: Perché è così importante il giudizio di attualità del pericolo per le misure di prevenzione?
Perché se tale giudizio manca, le misure di prevenzione divengono un surrogato del diritto penale, ovvero si applicano sanzioni a fatti rispetto ai quali manca la prova. Insomma, se ci si limita ad accertare gli elementi di fatto dai quali scaturisce il sospetto, senza andare a indagare l’attualità della pericolosità, il rischio è che il sistema delle misure di prevenzione sia un surrogato della responsabilità penale, per cui con le misure di prevenzione si colpisce coloro rispetto ai quali non si è in grado di provare la responsabilità.
D: Ed ecco porsi il problema della fattibilità di questo giudizio. Ebbene, questo giudizio è fattibile o no?
Sì, il giudizio è fattibile, ma in casi molto rari. Abbiamo visto come un giudizio di pericolosità razionalmente configurato si componga di tre fasi: accertamento di un fatto; pericolosità in astratto, vale a dire precedenti dai quali si ricavano le caratteristiche dei reati precedentemente commessi; attualità del pericolo mediante la comparazione tra precedenti e fatto accertato. Ebbene, per le misure di prevenzione, punti problematici sono due: il modo in cui sono impiegati i precedenti e la mancanza dell’accertamento di un fatto.
D: Perché i precedenti sono una questione centrale per il giudizio di pericolosità delle misure di sicurezza?
Perché da uno stesso precedente la giurisprudenza ricava sia gli elementi di fatto dai quali ricava poi il sospetto di reato, sia i precedenti per formulare la pericolosità in astratto, ma in questo modo si viene a creare una sovrapposizione che impedisce di compiere la comparazione che permette di determinare l’attualità del pericolo. Così, spessissimo, dai precedenti si ricavano gli elementi di fatto che fondano il sospetto, senza nemmeno accennare alla questione della pericolosità. Altrettanto spesso, ricavati dai precedenti gli elementi di fatto che fondano il sospetto, poi si ricava la pericolosità dagli stessi elementi di fatto, finendo così per sovrapporre piani che devono rimanere scissi.
D: Quindi impossibile uscirne?
No, se ne può uscire, ma i problemi permangono. Se ne può uscire affermando il principio secondo cui i precedenti impiegati per ricavare gli elementi di fatto che fondano il sospetto devono essere diversi da quelli che vengono impiegati per formulare la pericolosità in astratto, anche perché questi ultimi non possono che attenere a fatti che sono stati accertati. Ma ecco l’altro problema consistente nella mancanza di accertamento di un fatto nella applicazione delle misure di prevenzione: anche affermando il principio appena enunciato, si deve osservare come proprio perché si ha a che fare con sospetti, manca in realtà un fatto di reato sul quale fondare il giudizio di pericolosità, che invece è presente nelle misure di sicurezza. Insomma, la circostanza che con il passato delineato dai precedenti si confronti non un fatto accertato ma soltanto elementi di fatto che fondano un sospetto, impedisce di compiere un vero e proprio giudizio di attualità del pericolo.
D: Ma allora le misure di prevenzione non sono utilizzabili.
E’ questo il punto. Quanto affermato, vale per la criminalità diversa da quella organizzata. Per la criminalità organizzata il discorso è differente. Se si tratta di criminalità organizzata, proprio grazie al perdurare dell’organizzazione, mentre i sospetti di reato possono essere ricavati dai precedenti, l’attualità del pericolo può essere misurata attribuendo rilevanza alla persistenza o meno di legami con l’organizzazione, i quali devono essere accertati in termini reali ed effettivi. Certo, è ancora assente l’accertamento di un vero e proprio fatto di reato, ma v’è l’accertamento di una organizzazione criminale rispetto alla quale v’è il sospetto di appartenenza. Insomma, una particolare valutazione di pericolosità senza l’accertamento di un fatto si può fare solo rispetto a reati che consistono nelle organizzazioni criminali, mentre rischia di girare a vuoto in presenza di reati istantanei e mono-soggettivi.
D: Avendo analizzato queste numerose criticità, quali sono gli scenari futuri delle misure di prevenzione?
Come accennato, occorre un ripensamento radicale: bene che le misure di prevenzione siano applicate alla criminalità organizzata, mentre per le altre ipotesi di criminalità si dovrebbe avere il coraggio di eliminarle del tutto, nel nome di una piena conformità del nostro ordinamento ai principi costituzionali. Sia da parte della scienza giuridica che delle giurisdizioni costituzionali, è divenuta ormai urgente l’elaborazione di un costituzionalismo rinnovato che sappia porre limiti al nuovo autoritarismo espresso da questi istituti.
[1] Per la verità tra i due costituzionalismi vi sono differenze anche molto significative: mentre nella prospettiva europea si distingue nettamente tra pericolosità sociale del non imputabile, caratterizzata dalla presenza di un fattore incapacitante, pericolosità sociale dell’imputabile, comunque connessa a fattori condizionanti la capacità di intendere e di volere, e pericolosità sociale della prevenzione, sempre più concepita come un giudizio su atti cronologicamente prossimi alla realizzazione di un reato, nella prospettiva nazionale queste differenze si attenuano e si tende a un giudizio “unificato” che verte ancora molto sulla persona.
[2] Per esempio, nel campo di concentramento di Dachau vi era la regola che chi fosse sopravvissuto a tre esperimenti, poteva essere liberato, e una volta si pose il problema se applicare o meno questa regola a un prigioniero che per tre volte era sopravvissuto alla immersione nel ghiaccio per molte ore. Ciò aveva dato l’avvio a una corrispondenza “surreale” tra il direttore del Campo e gli uffici ministeriali competenti per stabilire se quella regola, mai applicata perché nessuno era mai sopravvissuto, fosse valida e da applicare al caso verificatosi: gli uffici alla fine risposero che la persona non doveva essere liberata ma direttamente giustiziata. Cfr. Il campo di concentramento di Dachau 1933-1945, Catalogo del Museo.