Corte cost., sent. 10 marzo 2022, n. 63, Pres. Amato, Red. Viganò
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Segnaliamo ai lettori il deposito della sentenza n. 63 del 2022, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 12, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (t.u. immigrazione), limitatamente alle parole «o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti».
La Corte ha ritenuto che l’aggravamento sanzionatorio previsto per questa classe di condotte di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare – reclusione da cinque a quindici anni – fosse in contrasto con il principio di proporzionalità della pena; all’esito della caducazione dell’aggravante, tali condotte sono destinate a rientrare nella fattispecie base di cui all’art. 12, comma 1, t.u. imm., che prevede la reclusione da uno a cinque anni.
In attesa di ospitare contributi di illustrazione e commento, ricordiamo che in questa Rivista è stata pubblicata una nota di Stefano Zirulia all’ordinanza di rimessione del Tribunale di Bologna.
Si riporta di seguito il comunicato stampa ufficiale che ha accompagnato il deposito della sentenza della Corte costituzionale.
«È manifestamente sproporzionata la pena da cinque a quindici anni di reclusione, prevista dal Testo unico sull’immigrazione per chi abbia aiutato qualcuno a entrare illegalmente nel territorio italiano utilizzando un aereo di linea e documenti falsi. Le elevatissime pene stabilite per le ipotesi aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione si possono ragionevolmente spiegare solo in chiave di contrasto al traffico internazionale di migranti, gestito da organizzazioni criminali che ricavano da questa attività ingenti profitti, ma sono evidentemente sproporzionate rispetto a situazioni diverse, nelle quali non risulta alcun coinvolgimento in tali organizzazioni.
Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 63, depositata oggi (redattore Francesco Viganò), dichiarando fondata una questione sollevata dal Tribunale di Bologna.
Il Tribunale doveva giudicare una donna nigeriana accusata di aver fatto entrare in Italia su un aereo di linea la figlia e la nipote, rispettivamente di tredici e otto anni, utilizzando documenti che ne attestavano falsamente la nazionalità senegalese.
La Consulta ha rilevato che il reato di favoreggiamento dell’immigrazione - punito nella forma base con la reclusione da uno a cinque anni - è funzionale al controllo dei flussi migratori e, quindi, alla tutela di interessi pubblici di grande rilievo, come gli equilibri del mercato del lavoro, le risorse limitate del sistema di sicurezza sociale, l’ordine e la sicurezza pubblica.
Le ipotesi aggravate, per le quali sono previste pene assai più severe, sono invece a tutela – oltre che del controllo dei flussi migratori – degli interessi del migrante, che in queste ipotesi è la “vittima” del reato. Si pensi ai casi in cui lo straniero trasportato rischia la propria vita o incolumità, ad esempio in imbarcazioni di fortuna, o è sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, come quando viene nascosto in celle frigorifere destinate al trasporto di merci.
Un caso come quello giudicato dal Tribunale di Bologna è, però, molto lontano da questi reati e non può ragionevolmente giustificare una pena stabilita, nel minimo, in cinque anni di reclusione.
Da un lato, chi utilizza un mezzo di trasporto internazionale, come un aereo di linea, deve necessariamente sottoporsi a tutti gli ordinari controlli di frontiera, che rendono più facile identificare gli stranieri privi di autorizzazione all’ingresso nel territorio italiano. Dall’altro, è vero che usare un documento falso significa aver commesso un reato per procurarselo, ma i reati di falsità documentale sono ordinariamente puniti, nell’ordinamento italiano, con pene di gran lunga inferiori a quella prevista per il favoreggiamento aggravato.
Pertanto, in assenza di altre circostanze aggravanti, fatti come quello giudicato dal Tribunale dovranno invece essere puniti – ha concluso la Corte – con la più contenuta pena della reclusione da uno a cinque anni prevista dal primo comma dell’articolo 12 del Testo unico, in concorso con quella prevista per il reato di utilizzazione di documenti falsi».