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23 Dicembre 2020


Peculato dell'albergatore e revoca del giudicato per intervenuta (?) abolitio criminis: l'ordinanza del g.u.p. di Roma sul caso Paladino

GUP Roma, ordinanza 3 dicembre 2020, giud. Azzolini



1. Con l’ordinanza che può leggersi in allegato, il G.u.p. di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha disposto la revoca ex art. 673 c.p.p., per intervenuta abolitio criminis, della sentenza di patteggiamento per il delitto di peculato, pronunciata nei confronti del proprietario di un noto albergo del centro di Roma, per avere omesso di versare al Comune somme incassate a titolo di imposta di soggiorno, per circa due milioni di euro, tra il 2014 e il 2018.

La decisione è stata oggetto dei giorni scorsi di particolare attenzione da parte dei media, riguardando Cesare Paladino, padre della compagna del Presidente del Consiglio Conte; di qui anche un’interrogazione parlamentare rivolta nei giorni scorsi allo stesso Presidente dall’On. Michele Anzaldi. Il sospetto, nel dibattito pubblico, è che la riforma della disciplina sanzionatoria relativa all’omesso versamento della tassa di soggiorno da parte degli albergatori – disposta in piena emergenza Covid-19 con il decreto rilancio dello scorso mese di maggio (art. 180, co. 3 d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. in l. 17 luglio 2020, n. 77) – rappresenti una legge ad personam e non già, secondo le giustificazioni ufficiali, un intervento volto a favorire il settore alberghiero.

La tesi dell’abolitio criminis era peraltro già stata sostenuta dallo stesso giudice estensore in una precedente decisione già pubblicata dalla nostra Rivista e richiamata nella motivazione dell’ordinanza in esame. Analoga soluzione è stata adottata da altri giudici di merito, con provvedimenti pure pubblicati dalla nostra Rivista. Tra questi, il Tribunale di Perugia e il Tribunale di Rimini, che ha disposto il dissequestro del denaro oggetto della contestata appropriazione. La tesi che invece esclude l’abolitio criminis, e afferma la perdurante punibilità del peculato, è stata sostenuta, oltre che dalla Procura di Roma, in uno schema di parere negativo sull’istanza di dissequestro, dalla Corte di cassazione, che ad oggi si è espressa con due sentenze conformi della Sezione VI, entrambe pubblicate su questa Rivista (n. 30227/2020, Pres. Mogini, Est. Villoni, depositata il 30.10.2020 e n. 36317/2020, Pres. Bricchetti, Est. Calvanese, depositata il 17.12.2020, di prossima pubblicazione).

 

2. Va segnalato che l’ordinanza qui pubblicata, nel revocare la sentenza di patteggiamento, ritiene espressamente di non condividere l’opposta tesi (perdurante rilevanza penale del fatto) sostenuta dalla Cassazione nella sua prima sentenza in materia (Sez. VI, n. 30227/2020, cit.). La S.C., in quella prima occasione così come in una successiva e più recente sentenza (Sez. VI, n. 36317/2020), ha ritenuto che nel caso di specie non si sia verificata una successione di norme integratrici della legge penale - essendo rimasta invariata la fisionomia della fattispecie legale del peculato, come anche la definizione legale di incaricato di un pubblico servizio - e che, pertanto, non sia applicabile l’art. 2, co. 2 c.p. (e, di conseguenza, l’art. 673 c.p.p.). La soluzione della Cassazione è fondata sul c.d. criterio strutturale, oggi ritenuto decisivo dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione e dalla dottrina prevalente per accertare l’abolitio criminis; un criterio che, a parole, non viene contestato dall’ordinanza del g.u.p. di Roma.

Senonché il diverso esito – l’affermazione dell’abolitio criminis – sembra a nostro avviso essere conseguenza del fatto che l’ordinanza annotata in realtà non applica il criterio strutturale, bensì quello del ‘fatto concreto’ (secondo la logica del ‘prima punibile, ora non punibile, quindi non più punibile’). Si legge infatti nella motivazione dell’ordinanza, tra l’altro, che “deve necessariamente procedersi…al raffronto delle situazioni di fatto antecedenti e successive all’intervento legislativo per stabilire se la novella abbia preso in considerazione una fattispecie diversa da quella prevista dalle norme di cui agli articoli 314 e 358 c.p. ovvero abbia inciso, sia pur indirettamente, su quella in esame”. Il g.u.p. romano fa leva sull’espresso riconoscimento, da parte della citata sentenza della Cassazione (n. 30227/2020), di una “interferenza applicativa” della modifica della disciplina extrapenale rispetto a quella penale e – si legge nell’ordinanza annotata – “l’interferenza applicativa altro non è che la modifica della situazione di fatto complessivamente valutata che consente di affermare che il legislatore ha effettivamente inteso privare di rilevanza penale il comportamento dell’albergatore di cui si discute”.

 

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3. Nell’ideale dialettica tra la Cassazione e il g.u.p. di Roma, tutto sta allora nel chiarire il senso della citata “interferenza applicativa”, cioè il ruolo della disciplina extrapenale rispetto alla fattispecie del peculato. Orbene, a nostro avviso la Corte di cassazione, nelle citate pronunce, ha ben chiarito come quella disciplina non abbia natura integratrice della legge penale e – secondo la logica delle norme richiamate dagli elementi normativi della fattispecie (presenti, nel caso di specie, nella definizione legali di cui all’art. 358 c.p.) – funzioni da mero presupposto (giuridico) di applicazione della qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio; un presupposto – questo il punto – che deve essere valutato al momento della commissione del fatto. La fattispecie del peculato abbraccia i fatti commessi dall’albergatore allorché, sulla base della disciplina extrapenale vigente al tempo del fatto, era incaricato di pubblico servizio; il nuovo illecito amministrativo è riferibile invece ai fatti commessi oggi, allorché l’albergatore non è più incaricato di pubblico servizio bensì titolare di un obbligo tributario (in questo senso, esattamente, Cass. n. 36317/2020, pag. 13 della motivazione). Per questo, a nostro parere, la decisione annotata non è condivisibile.