C. eur. dir. uomo, Sez. I, Contrada c. Italia (n. 4), 23 maggio 2023
Segnaliamo ai lettori la sentenza con cui, lo scorso 23 maggio, la Corte europea dei diritti dell’uomo, su ricorso presentato da Bruno Contrada, ha condannato l’Italia ritenendo che l’attuale disciplina in materia di intercettazioni (art. 266 ss. c.p.p.) violi l’art. 8 CEDU («diritto al rispetto della vita privata e familiare»).
Il difetto della disciplina italiana evidenziato dai giudici di Strasburgo si manifesta nel caso in cui l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni sia disposta nei confronti di soggetti non sottoposti a indagini preliminari, in quanto non indiziati di essere coinvolti nel reato. Ad avviso della Corte, “l’ordinamento italiano non contempla delle garanzie adeguate ed effettive che proteggano contro il rischio di abusi le persone coinvolte in un provvedimento di intercettazione che, non essendo accusate di essere coinvolte in un reato, restino estranee al procedimento”, non essendo loro attribuita la “facoltà di adire un’autorità giudiziaria al fine di ottenere un controllo effettivo della legalità e della necessità della misura” (§95).
Da un lato, la Corte sottolinea l’insufficienza della previsione di cui all’art. 269, co. 2, c.p.p., che consente a «tutti gli interessati» (e dunque anche alle persone non sottoposte alle indagini) soltanto di chiedere al giudice la distruzione della documentazione “non necessaria per il procedimento”, e non anche di ottenere un vaglio sulla legittimità e sulla necessità del provvedimento che autorizza le intercettazioni (§69 della sentenza). Dall’altro lato, i giudici evidenziano che, mentre la persona sottoposta alle indagini viene informata della conclusione delle operazioni di intercettazione e ha accesso alla documentazione rilevante, per i soggetti estranei al procedimento non è invece prevista alcuna notificazione, sicché questi potrebbero non essere mai messi al corrente del proprio coinvolgimento nelle operazioni stesse (§92 della sentenza).
Un siffatto quadro normativo, concludono i giudici di Strasburgo, si presenta carente sul piano della “qualità della legge” e inidoneo a limitare l’ingerenza nella vita privata a quanto “necessario in una società democratica” (§96).
Evidenziando un difetto strutturale della disciplina in materia di intercettazioni, la sentenza qui segnalata pare destinata ad avere seguito sul piano degli interventi legislativi. Restiamo allora in attesa di ospitare contributi di approfondimento e riflessioni per un dibattito de jure condendo.
(Dario Albanese)