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04 Novembre 2020


La Cassazione esclude l'abolitio criminis dopo il ‘decreto rilancio’ per le condotte pregresse di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da parte dell’albergatore

Cass., Sez. VI, sent. 28 settembre 2020 (dep. 30 ottobre 2020), n. 30227, Pres. Mogini, Est. Villoni, ric. Di Bono



Segnaliamo ai lettori il deposito della prima sentenza della Corte di cassazione successiva al 'decreto rilancio' che si pronuncia sulla rilevanza penale, ai sensi del delitto di peculato (314 c.p.), del fatto antecedente dell’albergatore che abbia omesso di versare all’amministrazione le somme di denaro riscosse dai clienti a titolo di imposta di soggiorno.

La configurabilità del reato, in passato pacifica sul presupposto della riconducibilità dell’albergatore alla figura dell’incaricato di pubblico servizio, in quanto ausiliario dell’ente locale nella riscossione del tributo, è stata messa in discussione a seguito della norma (art. 180 d.l. n. 34/2020) che ha modificato la disciplina extra-penale del relativo rapporto tributario: il legislatore qualifica ora l’albergatore come “responsabile del pagamento dell’imposta”, in solido con il cliente, così facendo venire meno pro futuro la sua qualifica pubblicistica.

La questione problematica consiste nello stabilire se tale modifica abbia comportato una abolitio criminis, così determinando la non punibilità anche dei fatti pregressi in forza dell’art. 2 c. 2 c.p.

La Cassazione, con la sentenza qui pubblicata, accoglie la tesi negativa, sostenuta anche dalla Procura di Roma e, in dottrina, in un contributo del prof. Gian Luigi Gatta pubblicato in questa Rivista a commento della questione oggi decisa dalla Cassazione.

In linea con la ricostruzione proposta nei contributi citati, le motivazioni della sentenza (cfr. p. 6-7) escludono che la sopravvenienza normativa in esame abbia dato luogo a una successione di leggi penali, inquadrando invece il fenomeno nell’ambito della mera modifica di norme extra-penali non integratrici.

La disciplina dell’art. 2 è infatti da intendersi riservata alle ipotesi in cui la modifica normativa incide sulla portata della fattispecie legale astratta e dunque su «norme realmente integratrici della legge penale, come quelle di riempimento di norme penali in bianco o le norme definitorie»; da tale novero sono invece escluse «le norme richiamate da elementi normativi» della fattispecie, come quelle che consentono di ravvisare in concreto nel soggetto attivo la qualifica di incaricato di pubblico servizio, operando sul piano dei presupposti di fatto per l’applicazione della norma incriminatrice.

Riguardata in quest’ottica, allora, la novella del 'decreto rilancio' non ha alterato la fattispecie di peculato né direttamente né indirettamente, restando peraltro immutata la definizione di incaricato di pubblico servizio di cui all’art. 358: la modifica della disciplina tributaria implicitamente richiamata dall’art. 358 non ridonda in modifica della legge penale, restando quindi sottratta alla regola di retroattività prevista dall’art. 2 c. 2 per l’ipotesi di abolitio.

Si tratta quindi di applicare alla specifica questione esaminata il c.d. criterio strutturale che, come sottolineato nelle motivazioni, ha trovato accoglimento presso le Sezioni unite a far data dalle sentenze Magera (2007), Niccoli (2008) e Rizzoli (2009) – almeno a livello di principio (per una ricostruzione della questione della successione di norme “integratrici” e dei criteri di risoluzione nelle decisioni delle Sezioni unite si rinvia a un contributo di Gian Luigi Gatta pubblicato nel 2010 a commento di tali sentenze su Diritto penale contemporaneo).

La pronuncia odierna conferma la tenuta del criterio strutturale, che, da un lato, grazie alla sua natura logico-formale, offre uno strumento in grado di coniugare semplicità di applicazione e rispetto per le esigenze di prevedibilità della decisione giudiziale in tutte le ipotesi di modifica di norme a vario titolo richiamate dalla norma incriminatrice, e che, dall’altro lato, consente di dare soluzione ai casi di successione mediata secondo un parametro unitario rispetto ai casi (oggetto della sentenze delle Sezioni unite Giordano del 2003) di successione c.d. immediata, in cui si pone il problema di distinguere l’abolitio dalla mutatio di cui al c. 4 dello stesso art. 2. (per questa tesi, in dottrina, tra gli altri, G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme "integratrici": teoria e prassi, Giuffrè, 2008).

(Francesco Lazzeri)