ISSN 2704-8098
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  Opinioni  
24 Maggio 2020


Che la pandemia non diventi l’occasione per accelerare le soluzioni sulla prescrizione e sulle sue ragioni costituzionali


1. La pandemia del Covid19 ha portato il caos nell’amministrazione della giustizia penale: una situazione dominata da quotidiane incertezze per tutti i suoi attori, cominciando da imputati e detenuti. In questa situazione vogliamo esprimere qualche considerazione, e qualche dissenso, rispetto ad una ricognizione che è stata svolta sulle pagine di questa Rivista a proposito di questioni, in tema di prescrizione, poste dal D.L. 17 marzo 2020 n. 18[1].

Non può che essere condivisa la ribadita centralità del principio di irretroattività nell’ ambito del concetto di legalità penale: uno zoccolo duro che non dovrebbe essere soggetto alle erosioni che, disgraziatamente, hanno inciso sugli altri due corollari – determinatezza/tassatività e riserva di legge parlamentare. Con i tempi che corrono è comunque apprezzabile ribadire – anche se lo davamo per scontato – che quando la prescrizione del reato sia maturata prima dell’entrata in vigore del decreto, essa debba operare in modo oggettivo, senza essere aggravata dai tempi di sospensione di una norma successiva: l’effetto del tempo già trascorso è “fulminante”, determinando la obbligata dichiarazione giudiziale di estinzione del reato.

È poi inequivocabile il testo nel prevedere la sospensione per “i procedimenti e i processi in corso”: è escluso un computo della prescrizione che prolunghi i tempi anche per fatti risalenti e non ancora tradottisi, quanto meno, in una iscrizione nominativa prevista dall’ art. 335 c.p.p.  Anche in questo caso è utile sottolineare anche l’ovvio. Quanto vale ormai la lettera della legge in una “società punitiva” e con giudici “di scopo”?

 

2. Qualche dissenso. Quando si richiama il “diritto vivente”, che considera la prescrizione del reato un istituto di natura sostanziale, sottratto come tale al principio tempus regit actum”, si utilizza una categoria – “diritto vivente” – che assume significati diversi a seconda dei contesti istituzionali a cui si riferisce. Una categoria che nasce confrontandosi con la questione del rapporto tra testo e interpretazione giudiziale della legge ordinaria e descrive l’incedere della giurisdizione ordinaria, che sedimenta progressivamente la morfologia delle norme in sede applicativa. Significato, a parer nostro, assai diverso con l’utilizzo del sintagma a proposito dei detti della Corte costituzionale. La sua natura anfibia – giurisdizionale e “normativa”, se pure questa ultima ormai estesa in base alla pluralità di moduli decisori – proietta sulle sue decisioni un valore vincolante che non appartiene, neppure oggi, alle Sezioni unite della Cassazione. Così mentre l’overruling continua ad appartenere alla fisiologia del diritto vivente di fonte giurisprudenziale, pur non essendo escluso dalla giurisdizione costituzionale, guardando al ruolo e alla esperienza della Consulta, resta evento raro e prudente, orientato anche a ridurre l’influenza dei mutamenti intervenuti nella sua composizione.

In tema di prescrizione, come è noto, la Corte ha ribadito recentemente, e a chiare lettere, il suo orientamento consolidato in favore della natura sostanziale dell’istituto: e questo nel contesto di un confronto con la Corte di giustizia, conclusosi con un condiviso regolamento di confini in materia di diritti individuali fondamentali compromessi dal diritto penale.

 

3. Il nodo non è solo di natura lessicale, senza peraltro sottovalutare l’importanza del glossario nel diritto penale. Il richiamo che  viene fatto al “diritto vivente”, sembra invece lasciar intendere che l’attuale emergenza metta in luce la necessità di un mutamento di indirizzo anche della Consulta. Insomma vien da pensare che l’eccezionalità e l’imprevedibilità della pandemia riproponga questione che da tempo – quanto meno dall’inizio di questo secolo – ha visto impegnato il dibattito di parte dei giuristi sull’idea di una preferibile definizione processuale dell’istituto della prescrizione.

Dibattito che è stato accompagnato dalla strumentale demonizzazione dello stesso istituto in sede politica, producendo un’ibridazione già nella legge Orlando, portata a compimento nel rapinoso incedere della “spazza corrotti”. Siamo sicuri che una scelta di tal fatta– la collocazione processuale dell’istituto - possa riproporsi e guadagnare nuove chances, cogliendo l’occasione delle conseguenze nella amministrazione della giustizia penale prodotte da un’emergenza sanitaria? Non potrebbe questo diventare il cavallo di troia per espugnare la cittadella delle garanzie in occasione di situazioni ricondotte ad un concetto di emergenza dai confini incerti e soggetta alle più diverse strumentazioni autoritarie e liberticide? Un’opzione razionale e graduata tra la tesi sostanzialistica e quella processuale non è da escludere a priori, ma non può essere un prodotto governato dalla logica dell’emergenza.

Optare per la legittimità di una norma che stabilisce una disciplina retta dalla regola del tempus regit actum può avere il sapore sgradevole di un colpo di mano, che si aggiunge alle novità legislative già citate. Assegnare un privilegio all’adempimento delle funzioni punitive – messe in difficoltà dall’incedere della pandemia – significa dettare un apriori che travolge il bilanciamento che si deve realizzare comunque attraverso l’istituto della prescrizione sostanziale: nel confronto tra diritto all’oblio e ragioni della memoria, accanto ad altri principi costituzionali messi in gioco dalla freccia del tempo.

Se poi la questione vien riportata sulla ragionevole durata del processo – tornando a una riflessione generale e incorso – contemperata con l’estinzione del reato per decorso del tempo, sarebbe paradossale che significato e valore dei due concetti vengano individuati prendendo spunto da un’emergenza, che certo non fa capo a una responsabilità dello Stato, ma, tanto meno, a quella del cittadino indagato o imputato.

 

4. Un’osservazione quest’ultima, che ricade sull’ulteriore argomento. Si invoca infatti quella nozione di legalità che alla certezza del diritto vorrebbe sostituire quella della prevedibilità della decisione giudiziaria. Ma è proprio la vicenda di cui ci occupiamo a mostrare un altro limite di detta sostituzione, vista la radicale imprevedibilità dell’accaduto. Almeno se la valutazione si riporta, come dovrebbe, al momento della commissione del fatto. Diversamente la giustificazione dà per dimostrato ciò che dovrebbe essere oggetto della dimostrazione, con l’accettazione di una nozione di legalità meramente processuale. Pensiamo insomma che la sospensione della prescrizione prevista dal decreto in commento anche ai fatti precedenti la sua entrata in vigore per i quali sia sorto un procedimento violi il principio di irretroattività. Se i flutti del contagio investono anche questo nucleo essenziale della garanzia del principio di legalità, mal ne incorrerebbe a un corretto svolgersi della giustizia penale. Nè l’oggettiva impossibilità o i ritardi conseguenti nello svolgimento dell’attività giurisdizionale valgono a rovesciare l’assunto per chi creda  che ciò che viene implicato dall’istituto della prescrizione sia anche una garanzia sostanziale della persona, che modella l’incedere della pena nel rispetto del profilo costituzionale del reato e dei suoi principi.