1. L'assoluzione dal reato di istigazione e aiuto al suicidio pronunciata nei giorni scorsi dalla Corte di Assise di Massa (perché il fatto non sussiste nel primo caso e perché non costituisce reato nel secondo) nei riguardi di Marco Cappato e Mina Welby – accusati di avere accompagnato a morire in una clinica svizzera, il 13 aprile 2017, Davide Trentini, affetto da sclerosi multipla a decorso cronico progressivo, ormai invalido e con necessità di assistenza continua – spinge a riflettere, in attesa del deposito delle motivazioni, su come il dibattito odierno sull’autodeterminazione individuale in ambito terapeutico si sia spostato dal versante del rifiuto di cure vitali ai nuovi spazi di liceità di talune condotte di agevolazione al suicidio, così come riconosciuti dalla Corte costituzionale nella doppia pronuncia (ordinanza n. 207 del 2018[1] e sentenza n. 242 del 2019[2]) con la quale è stata dichiarata la parziale illegittimità dell’art. 580 c.p., per violazione degli artt. 2, 13 e 32, co. 2, Cost.
2. Come si ricorderà, la sentenza n. 242 – originata, nell’ambito della ben nota storia di Fabiano Antoniani, dai dubbi di legittimità sollevati, con ordinanza 14 febbraio 2018, dai giudici della Corte di Assise di Milano nel processo a carico sempre di Marco Cappato – ha escluso la punibilità "di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017 (ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale, con modalità equivalenti), agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”. Al fine di scongiurare il rischio di abusi per la vita di persone in situazioni di estrema vulnerabilità, la Corte ha altresì individuato alcune garanzie procedimentali legittimanti la decisione di alcuni pazienti di liberarsi dalle proprie sofferenze attraverso la somministrazione di un farmaco atto a provocare rapidamente la morte (delineando, sul fronte penalistico, un meccanismo di esclusione della responsabilità penale fondato su una giustificazione procedurale); la verifica di tali condizioni è stata affidata, “in attesa della declinazione che potrà darne il legislatore”, a strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale, cui spetterà vagliare anche “le relative modalità di esecuzione, le quali dovranno essere evidentemente tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze”.
Nondimeno, l’importanza dei valori in gioco ha portato a richiedere, quale ulteriore requisito, “l’intervento di un organo collegiale terzo, munito delle adeguate competenze”, idoneo a “garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità”; sempre nell’attesa delle scelte legislative, il compito è stato affidato ai comitati etici territorialmente competenti, già investiti di funzioni consultive “che involgono specificamente la salvaguardia di soggetti vulnerabili e che si estendono anche al cosiddetto uso compassionevole di medicinali nei confronti di pazienti affetti da patologie per le quali non siano disponibili valide alternative terapeutiche”. Quanto all’obiezione di coscienza del personale sanitario (altro snodo di estrema problematicità), ci si è limitati ad osservare come, con la declaratoria di illegittimità costituzionale, si escluda solo “la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici”, restando pertanto affidato “alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato.
3. L’inevitabile residuare di significative incertezze – nonostante le sentenze assolutorie dapprima della Corte di Assise di Milano e ora di quella di Massa – conferma l’indifferibilità di un intervento del legislatore, chiamato a portare a compimento il percorso aperto in sede giurisprudenziale. Non va dimenticato come la prima decisione assunta dalla Corte costituzionale nel 2018 fu quella di rinviare la trattazione, mossa dal proposito di consentire al Parlamento, in nome dell’invocato “spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale”, l’esercizio delle proprie prerogative. Già all’epoca, dettando le coordinate di razionalità dell’auspicato intervento legislativo, la Corte aveva intrapreso una preziosa opera di bilanciamento di interessi e beni contrapposti (autodeterminazione individuale da una parte e protezione della vita dall’altra) che ora il legislatore (sollecitato – ma in parte pure aiutato – dai giudici costituzionali) è chiamato a completare, restituendo adeguata tutela alla dignità umana nella più drammatica e delicata fase della vita, quella terminale; è questo il significato dell’auspicio conclusivo contenuto nella sentenza n. 242 a che “la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore, conformemente ai principi precedentemente annunciati”.
Seppure i segnali non siano propriamente incoraggianti, una ripresa del cammino parlamentare appare ormai ineludibile e non potrà che muovere dal contributo offerto dai giudici costituzionali, a partire dalle condizioni in presenza delle quali ritenere lecita l’assistenza al suicidio e dal loro grado di vincolatività[3].
4. Sul fronte penalistico, in particolare, la valutazione andrà estesa alla ‘soluzione tecnica’ da prediligere per concretizzare l’esigenza di adeguamento costituzionale: esclusione della tipicità ovvero, come pare preferibile, scriminante procedurale? Nel primo caso, intervenendo direttamente sull’articolo 580 c.p.; nel secondo, coerentemente col percorso argomentativo seguito dalla Corte, operando nel corpo della legge n. 219 del 2017 (in particolare sull’art. 2): ciò che è certo è che occorrerà meglio tipizzare condizioni e presupposti di liceità e individuare adeguati rimedi per scongiurare eccessi di burocratizzazione che possano spersonalizzare e ridurre a mere formalità le procedure da seguire per legittimare agevolazioni al suicidio. Lo sforzo di addivenire a un esatto inquadramento non può dirsi privo di risvolti pratici: non sfugge, infatti, come solo spostandosi sul versante dell’esclusione della tipicità si potrà addivenire a un proscioglimento “perché il fatto non sussiste” e come, di contro, optando per una soluzione in termini di scriminante (accedendo a una teoria tripartita o quadripartita del reato), la formula assolutoria di cui all’art. 530 c.p.p. non potrà non essere “il fatto non costituisce reato”, difettando, a fronte della configurabilità del fatto tipico, l’elemento dell’antigiuridicità. E ancora, unicamente abbracciando una concezione bipartita del reato, per la quale la causa di giustificazione rappresenta un elemento negativo del fatto, il giudice potrà invocare la più ampia formula perché “il fatto non sussiste”[4].
5. In tale contesto, oltre a garantire un effettivo potenziamento del sistema di cure palliative, non si potrà non affrontare poi il tema dei ‘casi analoghi” diversi da quelli sottratti dalla Corte costituzionale alla punibilità ex art. 580 c.p.; fra questi, anche l’ipotesi di chi – come Davide Trentini – versi in condizioni di malattia grave e irreversibile (sovrapponibili a quelle di Antoniani), ma non sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale (come il respiratore artificiale) in quanto supportato unicamente da presidi farmacologici. Occorrerà chiarire se davvero, come ritenuto dai giudici di Massa, possa accedersi a un'interpretazione estensiva di quei 'trattamenti di sostegno vitale' evocati dalla Corte costituzionale tale da ricomprendervi anche le terapie farmacologiche antidolorifiche e antispastiche.
In definitiva, l'auspicio è che il legislatore vinca la tentazione di tergiversare ulteriormente accontentandosi delle decisioni dei giudici e superi la ritrosia sin qui manifestata nell’affrontare una questione tanto fondamentale quanto percepita, a livello politico, come elettoralmente non redditizia.
[1] Nell’ambito dell’amplissima bibliografia sviluppatasi sull’ordinanza n. 207 del 2018 della Corte costituzionale, appare in questa sede sufficiente rinviare, per una panoramica esaustiva della varietà di posizioni espresse sul versante costituzionalistico e penalistico, ai contributi apparsi nel volume collettaneo Il caso Cappato. Riflessioni a margine dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 207 del 2018, a cura di F.S. Marini e C. Cupelli, Napoli, 2019, e all’accurata ricostruzione, tanto dell’ordinanza quanto dell’intera questione, compiuta da G. Leo, Nuove strade per l'affermazione della legalità costituzionale in materia penale: la Consulta ed il rinvio della decisione sulla fattispecie di aiuto al suicidio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2019, 241 ss.
[2] La sentenza n. 242 del 2019 è stata tempestivamente pubblicata, il giorno stesso del deposito, in Sistema penale, 22 novembre 2019, con un primo commento di C. Cupelli, Il Parlamento decide di non decidere e la Corte costituzionale risponde a se stessa. La sentenza n. 242 del 2019 e il caso Cappato, ivi, 4 dicembre 2019; più approfonditamente, per tutti, S. Canestrari, Una sentenza "inevitabilmente infelice": la "riforma" dell'art. 580 c.p. da parte della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2019, 2159 ss.
[3] Nella medesima prospettiva evidenziata nel testo, va segnalata la presentazione, al Senato, di un disegno di legge di iniziativa dei Senatori Cirinnà, Cerno, De Petris, Mantero, Nencini, Nugnes e Rampi (A.S. 1494), comunicato alla Presidenza il 17 settembre 2019 e recante “Modifiche all’art. 580 del codice penale e alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, in materia di aiuto medico a morire e tutela della dignità nella fase finale della vita”, che si propone di affrontare e risolvere le questioni più rilevanti poste dalla Corte costituzionale. In estrema sintesi: a) si interviene sulla formulazione del primo comma dell’art. 580 c.p., differenziando le pene comminate per le due diverse fattispecie di istigazione e aiuto al suicidio; b) si modifica l’art. 2 della legge n. 219 del 2017, consentendo, su richiesta del paziente, la somministrazione, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, sia presso strutture sanitarie che a domicilio del paziente, di un farmaco atto a provocarne rapidamente e senza dolore la morte nei casi individuati dalla Corte costituzionale, con tuttavia l’esclusione, tra le condizioni che giustificano la richiesta di aiuto medico a morire, dell’essere il paziente “tenuto in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale”; tale condizione non viene riprodotta per includere nella disciplina dell’aiuto medico a morire anche quei pazienti che, sebbene non tenuti in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale (come ad esempio la ventilazione artificiale), siano comunque affetti da patologie gravi e irreversibili, fonte di sofferenze fisiche o psichiche intollerabili; c) si introduce una specifica causa di non punibilità, formulata in termini tali da coprire il più largo novero di ipotesi - includendo non solo l'art. 580 c.p., ma anche i delitti di cui agli articoli 575, 579 e 593 c.p. - ed in modo tale da valere anche per il passato. Sull’evanescente percorso parlamentare che ha poi condotto alla sentenza costituzionale n. 242 del 2019, si rinvia, per tutti, a C. Cupelli, Il cammino parlamentare di riforma dell’aiuto al suicidio. Spunti e prospettive dal caso Cappato, fra Corte costituzionale e ritrosia legislativa, in Dir. pen. cont., 19 aprile 2019.
[4] Sul rilievo delle formule di proscioglimento, e sulla loro configurazione attuale anche in rapporto alle opzioni della dogmatica penalistica, cfr., per tutti, M. Daniele, voce Proscioglimento (diritto processuale penale), in Enc. dir., Annali, vol. II, Milano, 2008, 894 ss.; F. Morelli, Le formule di proscioglimento. Radici storiche e funzioni attuali, Torino, 2014, passim e spec. 175 ss.