1. Il DPCM del 3 novembre scorso ha disposto che “è sospeso lo svolgimento delle prove preselettive e scritte delle procedure concorsuali pubbliche e private e di quelle di abilitazione all’esercizio delle professioni, a esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati sia effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica[…]” (art. 1 comma 9 lett. z). Alle 13:00 del giorno successivo (4 novembre 2020) il Ministro della Giustizia Bonafede annuncia su Facebook (anziché in Parlamento dove era in corso un’interrogazione sul punto, ma l’assoluta irritualità delle comunicazioni dei rappresentanti istituzionali sembra ormai essere divenuta la regola, anziché l’eccezione…) “il rinvio delle prove scritte degli esami d’avvocato, programmate per il 15-16-17 dicembre”, ipotizzando che le prove si possano “tenere nella primavera del 2021”.
E per quanto riguarda le prove orali attualmente in corso in tutta Italia relative alla sessione 2019? Per queste, a detta del Ministro, non vi sarebbe problema: “le prove orali proseguiranno perché è possibile, al momento, implementare modalità che garantiscano la sicurezza e la salute dei candidati e dei membri delle commissioni”. La criptica nota del Ministro non chiarisce se con ciò si alluda all’adozione di modalità di svolgimento delle prove orali “da remoto”, come sembrerebbe ragionevole ritenere, nel contesto delle misure restrittive adottate dal DPCM.
E invece no: una nota inviata il 5 novembre dal presidente della commissione centrale per gli esami di avvocato istituita presso il Ministero della Giustizia e indirizzata a tutte le sottocommissioni distrettuali appare di tutt’altro avviso: “Come si evince dal tenore letterale la disposizione in questione, di stretta interpretazione, non si applica alle prove orali le quali, pertanto, potranno continuare a svolgersi secondo le indicazioni già rese note dalla Commissione Centrale in sede di individuazione dei criteri di valutazione per l’abilitazione all’esercizio della professione forense”.
2. La lettura dell’art. 1 comma 9 lett. z) del DPCM 4.11.2020 operata dal presidente della commissione centrale, avv. Alberto Marchesi – che comunque non ha certo il valore giuridico di una interpretazione autentica – appare tutt’altro che convincente per diverse ragioni:
a) il tenore letterale della disposizione è in realtà ambivalente: il pronome “quelle” può essere riferito tanto alla locuzione “prove preselettive e scritte” (come ritiene l’avv. Marchesi), quanto al solo sostantivo “prove” (come sembrerebbe più logico e coerente ritenere);
b) è tutto da dimostrare che la disposizione sia “di stretta interpretazione”: sembra piuttosto che – non trattandosi di una disposizione limitativa di diritti fondamentali ed essendo invece una disposizione volta a tutelare un bene di portata costituzionale come la salute pubblica – una interpretazione sistematica e ragionevolmente estensiva sia assolutamente corretta e raccomandabile;
c) lo svolgimento delle prove orali degli esami da avvocato in presenza è del tutto irragionevole e contrastante con le altre disposizioni del DPCM (ad es. quelle previste per l’attività didattica in scuole e università);
d) lo svolgimento delle prove orali con modalità telematiche era già stato espressamente consentito dal legislatore (con il c.d. “decreto ristori” del 19.5.2020 n. 34) ed autorizzato dal Ministero nel corso del mese di settembre – ossia nel contesto di una situazione epidemiologica molto meno grave di quella attuale – e non aveva dato luogo a significative criticità, né dal punto di vista tecnico, né dal punto di vista della qualità e serietà delle prove di esame;
e) la pretesa di continuare a svolgere le prove orali in presenza espone il calendario degli esami alla spada di Damocle di continui rinvii – con evidente pregiudizio per gli interessi dei candidati, oltre che della funzionalità dell’intero sistema – ogniqualvolta si verifichino casi di positività di uno dei commissari o anche soltanto di contatto diretto o indiretto degli stessi con soggetti positivi al Covid.
Per tutte queste ragioni sembra evidente che lo svolgimento delle prove orali con modalità (almeno prevalentemente) telematiche sia l’unica strada capace di garantire veramente gli interessi in gioco, vale a dire:
a) l’interesse dei candidati a concludere le prove orali in tempi ragionevoli e comunque prima dell’avvio delle prove scritte della sessione successiva;
b) l’interesse pubblico a non sovraccaricare di candidati le prove scritte della sessione successiva, già programmate per il dicembre 2020 ed ora rinviate a data da destinarsi;
c) l’interesse infine alla salvaguardia della salute pubblica (oltre che della salute individuale di commissari, candidati e personale amministrativo), che è ovviamente l’interesse primario perseguito dal DPCM.
3. Ma di tutte queste considerazioni la nota del presidente della commissione centrale non sembra tenere minimamente conto, limitandosi a segnalare ”che è in corso di valutazione, sul piano normativo, la possibilità di reintrodurre la possibilità di svolgimento delle prove orali con modalità “da remoto”, secondo le indicazioni già contenute nel d.l. 34/2020, convertito nella l. 77/2020, che hanno perso efficacia in data 30.9.2020”.
Ad una sorta di “reviviscenza postuma” di quest’ultimo decreto (c.d. “decreto ristori”) ha effettivamente provveduto, pochi giorni or sono, il nuovo decreto “ristori bis” (d.l. 9.11.2020 n. 149), il quale – oltre ad alcuni importanti interventi in materia di giustizia penale legati all’emergenza epidemiologica da Covid-19, già segnalati su questa Rivista - ha introdotto all’art. 25 “misure urgenti in tema di prove orali del concorso notarile e dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense”. Anziché tuttavia introdurre misure di semplice e soprattutto immediata applicazione – come la drammatica urgenza della situazione epidemiologica in corso avrebbe razionalmente suggerito – il legislatore ha riprodotto il farraginoso meccanismo del precedente decreto estivo, prevedendo – ai fini dell’effettivo svolgimento delle prove orali con modalità di collegamento da remoto – la necessità di una “richiesta motivata dei presidenti delle sottocommissioni del distretto di Corte d’appello” e la conseguente possibilità (si badi bene, una mera “possibilità”!) da parte del presidente della commissione centrale di autorizzare le modalità telematiche per l’espletamento delle prove orali degli esami. Risultato: le sottocommissioni distrettuali stanno continuando - come se niente fosse accaduto, l’emergenza pandemica non esistesse e l’Italia non fosse composta di zone gialle, arancioni e rosse variamente ristrette nella libertà di movimento e di lavoro – a svolgere esami orali con la presenza fisica dei commissari, dei candidati e del personale amministrativo, nell’attesa dell’arrivo della fatidica autorizzazione ministeriale.
E tutto ciò, come se non bastasse, dopo l’esperienza già vissuta durante il primo “lockdown”, quando era in pieno corso nelle varie sedi distrettuali la correzione delle prove scritte dei medesimi esami di avvocato; correzione che – nell’inerzia del legislatore e del Ministero della Giustizia, incapaci di concepire modalità di correzione delle prove scritte che non comportassero la compresenza fisica dei commissari (fino alla tardiva e farraginosa soluzione del primo “decreto ristori” del 19 maggio scorso) – venne di fatto bloccata per tre mesi; mentre il resto del paese – dal mondo delle imprese alla pubblica amministrazione, dalla scuola all’università all’amministrazione della giustizia – sperimentava e attuava in tutti i settori nuove modalità di lavoro “agili”, anche per lo svolgimento di attività e procedure ben più complesse e delicate di quanto non siano gli esami di abilitazione alla professione forense.
4. Anche il preannunciato rinvio delle prove scritte della sessione 2020 ad una data ancora imprecisata – verosimilmente la primavera del 2021, sempre secondo le parole del Ministro Bonafede (ma tutto è vincolato ad una fine dello stato di emergenza pandemica che è ancora ovviamente impossibile da predeterminare) - a ben vedere, non è certo una soluzione (equivale in sostanza a nascondere la polvere sotto il tappeto) e rischia di provocare una serie di effetti negativi a cascata: un più che prevedibile rallentamento nel calendario delle prove orali attualmente in corso (a causa delle frequenti assenze giustificate di diversi candidati e commissari, variamente condizionate dall’emergenza sanitaria), un disorientamento ed un evidente pregiudizio nella programmazione del proprio futuro per i giovani neolaureati e, infine, un sovraccarico sulla macchina organizzativa della prossima tornata di esami di avvocato che sarà assai arduo affrontare (quanto più lontana sarà la data delle prove scritte, tanto più alto sarà infatti il numero dei candidati). Insomma, se la sessione di esami 2019 è stata segnata duramente dalla crisi del Covid-19, la futura sessione 2020 rischia già di nascere sotto i peggiori auspici, per l’incapacità del legislatore e del Ministero di trovare soluzioni alternative e innovative.
Se è vero infatti che è dai momenti di grave crisi che nascono anche le maggiori opportunità di rinnovamento, non si riesce davvero a comprendere perché non si colga l’occasione per individuare nuove modalità di svolgimento delle prove scritte e delle successive procedure di correzione, che – utilizzando al meglio le nuove tecnologie – riescano a prescindere dall’assembramento fisico delle persone (candidati, commissari e personale amministrativo), senza nulla sacrificare sul piano della serietà e affidabilità dei risultati.
Luigi Foffani
Professore Ordinario di Diritto penale nell’Università di Modena e Reggio Emilia
Componente della comissione per gli esami da avvocato del distretto di Corte d’Appello di Bologna