ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Opinioni  
23 Dicembre 2019


La riforma della prescrizione nel tempo della passione (triste) per la punizione


1. Nei primi anni 2000, la funesta profezia di Giorgio Marinucci si è realizzata. In troppi processi, le vittime e la società hanno dovuto apprendere che la «protezione offerta sulla carta dalla giustizia penale era solo un inganno»[1]. Da allora si è acuita la percezione che il controllo penale non assicurava il benchmark di un’ordinata convivenza civile. In queste condizioni si sarebbe dovuto comprendere che l’essenza di una politica criminale “razionale” è indissolubilmente legata alla progettazione delle soluzioni dei molti aspetti di questo problema a partire dalla farraginosità, inconcludenza e soverchia lunghezza del processo penale, tra gli altri elementi di criticità il più acuto e specifico della realtà italiana[2]; avrebbe dovuto consolidarsi la consapevolezza del rischio che la diffusa percezione dell’ineffettività del sistema potesse tramutarsi in «una rabbiosa e incontenibile domanda di “legge ed ordine” (o, come si ama dire oggi, di “tolleranza zero”): nella domanda, cioè, di un sistema penale improntato al massimo della severità, sordo ad ogni esigenza di garanzia e di umanità del trattamento penitenziario, un sistema nel quale le pena detentiva rappresenti non l’ultima ratio, ma l’unica ratio, l’ergastolo, lungi dall’essere eliminato, conquisti spazi crescenti e torni magari a profilarsi l’ombra sinistra della pena di morte»[3]. La politica criminale, troppo a lungo, si è occupata di altro e, anche per l’effetto di ulteriori fattori concorrenti (terrorismo, flussi migratori, crisi economica, evoluzioni-involuzioni del sistema della comunicazione, tra gli altri), la prognosi di Emilio Dolcini si è pienamente realizzata.

 

2. Viviamo – si dice – l’epoca delle “passioni tristi” [4] tra le quali, diventa sempre più intensa la mai sopita[5] passione per la punizione[6].

Non mette conto di ordinare gli argomenti che sollecitano una resistenza, innanzitutto culturale, alle manifestazioni più acute e pericolose di questa tendenza, ma non si ricorda mai abbastanza che sul punto si «registra la capacità del governo politico delle questioni penali di essere sintonico rispetto al consenso sociale ben più di quanto sia stata capace la dottrina penalistica ad intervenire proficuamente nel dialogo»[7], i cui ragionamenti – al netto delle difficoltà di penetrazione, insite nel carattere formalizzato del linguaggio giuridico – non appaiono  (appunto) empatici e sono controintuitivi[8] rispetto allo zeitgeist (secondo – se non altro – la rappresentazione che i media autopoieticamente accreditano – o perlomeno concorrono ad accreditare[9] – della società).

Anche per questo, occorre una modulazione di frequenze.

La nostra – com’è stato altresì notato – è anche l’epoca della “sensologia”, che segna il primato del sentire sul pensare e nella quale neo-fanatismo e neo-scetticismo si saldano e si confondono per sottrarsi a qualsiasi possibilità di smascheramento[10], nel milieu, persino orripilante, dei mislogoi, dell’analfabetismo funzionale, della retrotopia[11], del sovranismo psichico[12]. Etichette, lacerti di una definizione della psicologia sociale, tutta ancora da comprendere, di un popolo, comunque, incattivito[13], di popoli incattiviti[14]. Bisogna tenerne conto. Non si deve progettare una politica criminale a prescindere dal diritto penale, ha poco senso ragionare di politica criminale e prescindere dal flusso di relazioni tra la politica e la società, che nel complesso gioco di reciproci rispecchiamenti e influenze sono sempre instabili e mutevoli. In questo contesto, il garantismo non può limitarsi a denunciare le pre-comprensioni empiricamente[15] e spesso (anche) assiologicamente infondate delle tesi contrarie. Oggi, se il garantismo vuole avere una chance deve esso stesso emanciparsi sia dai limiti del “formalismo”[16] sia dai limiti di un’impostazione ideologica[17] per confrontarsi, non senza cautela ma a viso aperto, con le ragioni delle “emozioni sociali”[18], del “sentire” della società, evidenziandone le insidiose contraddizioni, le banalizzazioni più ottuse[19], ma anche le buone intenzioni: l’idea di una giustizia punitiva senza processo (e diritto) penale[20], per un verso, l’aspirazione ad un sistema capace di snidare le troppe sacche di privilegio e impunità, per l’altro. Un diritto penale “solo per alcuni” è un alibi potente delle iniziative legislative che imboccano la scorciatoia della repressione “a priori”, che non ha “tempo da perdere” con le garanzie ma esercita il fascino di apparire genuinamente by the people e for the people, “uguale per tutti”.

A prescindere dalla questione delle forme e dell’intensità dell’(eventuale) engagement, solo proponendosi come protagonista della “lotta per il diritto”, sensibile alle istanze dell’uguaglianza “sostanziale” e ostile alle regole/dinamiche che alimentano il “darwinismo giudiziario”[21], la penalistica italiana sarà credibile quando evidenzierà (tra gli altri) il rischio dell’eterogenesi dei fini. Altrimenti sarà difficile evitare il fallimento. I motivi del pessimismo non mancano. Nulla consente di dare per scontata persino la comune comprensione della correlazione tra la libertà degli esclusi e la libertà di chi è libero[22]. Anzi, potrebbe essere fondato il timore che sfugga ai più questa corrispondenza[23], che non tutti siano consapevoli che la prospettiva di una “giustizia” punitiva senza processo penale ovvero di un processo senza diritto penale, lungi dal concorrere alla realizzazione dell’uguaglianza, è all’opposto la premessa di un sistema punitivo forte con i «portoricani» ma (ancora più) umile e defilato con «Wall Street», secondo la felice metafora di Alessandri[24]. Nel limite di un rigoroso rispetto dei principi costituzionali e convenzionali, l’esperienza penalistica nazionale è chiamata a contrastare il dominante «one-way ratchet» approach[25], rifiutando senza esitazioni il percolato della “perenne emergenza”[26] ma senza indulgere nella precomprensione “pseudo-garantista” che ogni ipotesi di snervamento del sistema sia, a prescindere, ex se “buona” (così come – non guasta ribadire – dev’essere fermamente respinto il cliché simmetrico che sia ex se “buono” ogni rinvigorimento del potenziale punitivo del sistema).

 

3. Le stesse coordinate valgono per la prescrizione. Massima considerazione per l’osservazione che l’estinzione del reato ex art. 157 c.p. «mentre l’autorità giudiziaria è in moto, e una sentenza di primo grado è stata pronunciata, ha il sapore amaro dell’ingiustizia e dell’impunità (se vi è stata condanna o una assoluzione messa in discussione), al di là delle pur possibili e non insignificanti considerazioni di tipo economico, sul dispendio inutile di risorse pubbliche»[27]. Sulle ragioni e le radici di questa istanza di riforma dell’istituto, che la novella dell’art. 159, co. 2[28] intercetta maldestramente, contra factum e in contrasto con la Costituzione e la Convenzione europea, bisogna riflettere, sapendo cogliere quanto possa essere irritante (o incomprensibile) per il sentire comune (riflesso o costituito dai media/social) un istituto «strutturalmente ambiguo» come la prescrizione[29], gravemente indiziato – per giunta – «come sospetto strumento di diseguaglianza»[30]. In questa prospettiva, senza indulgere nelle compulsioni delle leggi ad casum e senza lasciarsi sedurre da velleità palingenetiche, che certo non possono essere realizzate intervenendo su questa disciplina (né con il bisturi, né con il machete)[31], nella situazione data, la soluzione più saggia e ragionevole sarebbe stata (o avrebbe potuto essere) proprio quella di non intervenire (in attesa di apprezzare i risultati delle riforme approvate poco più di un anno prima) o, al massimo, di procedere ad una revisione chirurgicamente calibrata della disciplina vigente.

La caratura sostanziale della prescrizione implica che un intervento con l’ambizione di essere organico non possa prescindere da una riforma “globale” del sistema ovvero (perlomeno) da una revisione delle fattispecie e delle cornici edittali, che nel contesto socio-politico attuale sembra una prospettiva più da temere che da auspicare. Con la «grandissima cautela» che richiede la previsione di deroghe alla disciplina generale fondate sulle esigenze di talune «tipologie criminose»[32], si sarebbe potuta adottare una strategia di “differenziazione”[33] della regolamentazione temporale di alcuni reati. Forse, nelle condizioni date sarebbe stato il “male minore”.

Solo a titolo di esempio. Il legislatore avrebbe potuto intervenire nel caso, segnalato dalla Corte EDU[34], di alcune manifestazioni della responsabilità colposa, diverse dai sinistri stradali e dagli infortuni sul lavoro, per le quali, pur in presenza di difficoltà di accertamento persino maggiori, la durata dei termini prescrizionali non è stata adeguata. Vale lo stesso per il delitto di tortura[35] e per alcune contravvenzioni (es. artt. 659 e 674 c.p.) che, nonostante l’apparato sanzionatorio bagatellare, sono l’unico argine preventivo-repressivo nei confronti di alcune devastanti forme di inquinamento. Per converso, una riforma seria, anzi serena, della prescrizione avrebbe dovuto considerare il tema del rapporto con la recidiva e i vasti ambiti della parte speciale del diritto penale per i quali i termini di prescrizione, attualmente in vigore, sono (già) persino esorbitanti e, comunque, disnomici rispetto all’entità delle offese in gioco e alla natura del processo di accertamento. La “riforma” ha perso l’occasione, ad esempio, per riconoscere un’espressione applicativa alla disposizione dell’art. 157, co. 5, c.p. sulla prescrizione triennale dei reati puniti con pene diverse da quella detentiva o pecuniaria. Dopo che la Consulta[36] e la Suprema Corte hanno escluso che questa regola potesse valere la materia penale devoluta alla competenza del Giudice di pace, spettava al legislatore di rivedere il testo per renderlo operativo, innanzitutto, per i reati di cui al d.lgs. 274/2000 che, invece, come la strage, l’omicidio, l’associazione di tipo mafioso, subiranno, senza alcuna plausibile ragione, il medesimo regime dell’art. 159, co. 2, c.p.

Resta urgente, inoltre, l’opera di razionalizzazione della «sequenza procedurale»[37] ma un conto è focalizzare l’attenzione sulla riprogrammazione di ogni frammento dell’attività del giudizio (inteso in senso lato) altro è bersagliare le “garanzie”. Nessuno potrebbe seriamente contestare la necessità di riordinare il funzionamento del sistema-processo, a cominciare dalle modalità di acquisizione della notizia di reato[38], fino alla conclusione. È lecito dubitare, invece, che sia corretto focalizzare l’attenzione prevalentemente nell’ottica di semplificazione del rito, rinunciando ad alcuni passaggi – si pensi, persino, all’appello – laddove la chiave di volta per la progettazione di un processo penale più efficiente si coglie, innanzitutto, nella prospettiva di una rigorosa, quasi ossessiva, ricerca delle soluzioni per la più razionale organizzazione del sistema[39]: Total Quality Management. Tag a parte, si tratta di pensare al coinvolgimento di ogni risorsa umana del sistema giustizia e di ripensare ogni atto del procedimento in modo che lo ius dicere fluisca meglio e più rapidamente. Del resto, le verifiche empiriche avvalorano la massima di esperienza che i “fatti” relativi all’organizzazione (in particolare) incidono sui tempi della prescrizione più delle regole e le regole sull’organizzazione incidono sui numeri dei reati prescritti più della disciplina stessa del tempori cedere[40].

Molto più controverso, invece, è il discorso relativo alle garanzie e non solo per la maggiore complessità e delicatezza della definizione di ciò che è superfluo e ciò che è necessario. Se l’ottica è appunto quella di affrancare il “rito” da regole e prassi che determinano vischiosità, rallentamenti, paralisi del flusso procedurale, guardando senza preclusioni in ogni direzione di intervento possibile, non si può che condividere l’auspicio di concepire «soluzioni normative tese a disincentivare comportamenti della parti strumentali al prolungamento del processo al di là della sua “ragionevole durata” e, in particolare, volti alla prescrizione»[41]. Nella misura in cui non è stato già soddisfatto, dev’essere condiviso l’impegno – efficacemente ritratto nella relazione della c.d. Commissione Grosso – di evitare che la prospettiva della prescrizione possa realisticamente essere assunta a obiettivo di strategie difensive, con effetti pratici di appesantimento e allungamento dei processi. Bisogna accettare, quindi, l’ipotesi che non ogni garanzia sia necessaria o comunque giusta. In questa prospettiva, ragionando di un futuro molto remoto e soprattutto di un sistema che sia riuscito a bilanciare efficienza e salvaguardie difensive, questa valutazione potrebbe anche essere estesa alla prescrizione. Qui ed ora, invece, l’istituto prescrizionale resta «imprescindi­bile garanzia dell’individuo»[42].

La gara contro il tempo del processo penale non si vince né eliminando il traguardo né concependo il giudizio come se fosse un’auto da corsa. To add speed, add lightness – la formula di Colin Chapman, leggendario fondatore della Lotus – non vale per il processo penale. Eliminare gli argini temporali o di garanzia del processo potrebbe sembrare una soluzione efficiente, ma «l’efficienza non basta a rendere accettabile il venir meno» di un presidio «di giustizia»[43]. Del resto, lo stesso alleggerimento di una vettura da competizione in nessun caso potrebbe essere realizzato eliminando i freni o il volante.

 

 

[1] G. Marinucci, Bomba ad orologeria da disinnescare, in Il Sole 24 ore, 19 marzo 1998. All’appello fece eco l’editoriale di G. Conso, Non dimenticarsi delle vittime specie di fronte al rischio prescrizione, in Dir. pen. proc., 1998 (3).

[2] T. Padovani, Fuga dal carcere e ritorno alla sanzione. La questione delle pene sostitutive tra efficacia della sanzione ed efficienza dei meccanismi processuali, in Sistema sanzionatorio: effettività e certezza della pena, Atti del convegno di Gallipoli, 27-29 ottobre 2000, a cura Centro studi Enrico de Nicola – Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Giuffrè, Milano, 2002, p. 92. Su 41 membri sottoposti a rilevazione (6 non fornivano informazioni), nel 2014, l’Italia risultava il paese con la maggiore(/peggiore) durata media dei processi penali in primo grado. I giudizi sono circa 200 giorni più lunghi rispetto alla media degli altri paesi europei. Anche nel rapporto del 2018 (studio nr. 26), l’Italia si è “piazzata” all’ultimo posto. Nel 2016, in media i processi penali di primo grado hanno avuto una lunghezza di 310 giorni, 182 in più rispetto alla media di 138. Nessuno dei paesi censiti ha fatto peggio. In entrambi i documenti, la Commissione giudica non accettabile la situazione nazionale anche se non manca di sottolineare – dato di assoluto rilievo – che nel nostro paese l’85% (84% nel 2016) dei reati è costituito da «sever criminal cases», per i quali sono necessari indagini e processi lunghi e complicati. Cfr. il commento di S. Aduasio – G. Losappio, Il rapporto 2016 (per il 2014) della “Commissione europea per l’efficienza della giustizia” in seno al Consiglio d’Europa, in Dir. pen. cont. (26 gennaio 2017).

[3] E. Dolcini, Il castigo sia moderato, ma certo, in Sistema sanzionatorio, cit., p. 32.

[4] M. Benasayag – G. Schmit, Les passions tristes. Souffrance psychique et crise sociale (2003), trad.it., Milano, Feltrinelli, 2005 (ivi ulteriori rimandi all’etimo spinoziano della locuzione).

[5] Primi anni del ‘900, nello scompartimento di III classe di un treno che da Narbonne procede verso Nîmes, si discute delle strategie repressive da adottare per punire gli autori dei reati contro il patrimonio. Un «enorme minchione, che dall’alto della sua pancia sorride alle cose, alla gente e alla vita», secondo la vivida descrizione di A. Gide (Souvenirs de Cour d’Assises, trad. it. di G. Vigorelli, Sellerio, Palermo, 1994, pp. 112-119) ammonisce: «quella è gente, che, dopo un po’, ricomincia subito da capo». Occorre una pena rimozionale (in tutti i sensi), altro che rieducazione e lavoro carcerario: la pena (ovviamente perpetua, date le premesse) dovrebbe consistere nel costringere i detenuti a «pompare acqua, giù in fondo a un canale; quando non pompano, l’acqua sale; così sono costretti a lavorare». Che orrore, esclama una passeggera ma un’altra lapidariamente conclude: «Meglio ammazzarli tutti». L’umiltà del male (6°ed., Laterza, Bari, 2011), secondo l’efficace etichetta di F. Cassano. R. Dahrendorf (Economic opportunity, civil society, and political liberty, trad. it., Laterza, Bari-Roma, 1995, p. 53), circa venticinque anni fa, racconta un episodio che esprime un mood analogo: «quando accadde che a Singapore un giovane americano (che aveva distrutto delle automobili) fu condannato alla fustigazione, in Occidente insieme alle vibrate proteste ci fu anche molta maligna soddisfazione privata. La pena della fustigazione, si disse nei bar di mezza Europa, andrebbe reintrodotta anche da noi; bisognerebbe dare più poteri alla polizia, rendere più dura la vita carceraria, ripristinare la pena di morte».

[6] D. Fassin, Punir. Une passion contemporaine, trad. it. a cura di L. Alunni, Feltrinelli, Milano, 2018. In Italia, tra i primi a citare l’opera V. Manes, Diritto penale no-limits. Garanzie e diritti fondamentali come presidio per la giurisdizione, in www.questionegiustizia.it (26 marzo 2019), nota 98; D. Pulitanò, Tempeste sul diritto penale. Spazzacorrotti e altro, in Dir. pen. cont., 2019 (3), p. 235.

[7] M. Pellissero, Politica, consenso sociale e dottrina: un dialogo difficile sulle riforme attuate e mancate del sistema sanzionatorio, in Arch. pen., 2019 (1), pp. 23-24.

[8] V. Manes, Intervento, in Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo, in Atti del Convegno di Milano, 10-11 maggio 2019, cdp.

[9] «La componente dell’insicurezza derivante dalla rappresentazione della criminalità è un dato strutturale che caratterizza l’informazione televisiva italiana tanto che osservando cosa accade al di fuori dell’Italia, ci si accorge che il TG1 – in alcuni anni – ha 3 volte in più le notizie del telegiornale britannico e 44 volte di quello tedesco. Dal confronto con i principali notiziari pubblici europei, si conferma un’anomalia tutta italiana sia per quantità sia per tipo ai fatti criminali»: P. Della Sala, I dati della paura, la paura dei dati, in DPU, 2019 (5), p. 59 (anche in Dir. pen. cont. 29 settembre 2019) (ivi ulteriori riferimenti).

[10] M. Perniola, Del sentire, II ed., Einaudi, Torino, 2002, cap. I (Il già sentito).

[11] Z. Bauman, Retrotopia, VIII ed., Laterza, Bari-Roma, 2018.

[13] “Cattivismo”, redditizio elettoralmente, che spiega «il trend prevalente negli interventi legislativi sulla parte speciale (quelli in cui viene presentata la linea politica di fronte al problema “criminalità e sicurezza”) è di espansione del penale e di crescente severità punitiva. Securitarismo di destra e giustizialismo di sinistra vanno spesso nella medesima direzione, differenziandosi nella individuazione dei campi in cui si invoca più penale»: D. Pulitanò, Quale agenda per la giustizia penale?, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2013 (3), p. 63.

[14] Il problema non è solo italiano: «Una delle maggiori e meno trattabili debolezze della democrazia americana è la sua incapacità di creare e mantenere una politica criminale razionale. Le politiche criminali sono perennemente perverse: gli elettori invocano l’adozione di nuovi reati e di sentenze più severe e nessun gruppo di interesse sollecita le lobby a contrastare la tendenza»: D.K. Brown., Democracy and decriminalization, in Texas Law Review, 2007, n. 86 (2), pp. 223-224. «La Francia attraversa il periodo più repressivo della sua storia recente, in tempo di pace»: D. Fassin, Punir, cit., p. 12. Accenna all’evoluzione nella medesima direzione del diritto penale tedesco e brasiliano V. Manes, Diritto penale no-limits, cit., p. 4. Ancora più in generale, con riferimento all’esperienza europea, G. Insolera, Una discesa nel Maelstrom, in www.discrimen.it (20 settembre 2018), p. 13 (anche in Represión penal y estado de derecho. Homenaje al Profesor Gonzalo Quintero Olivares, a cura di J.M. Tamarit Sumalla – F. Morales Prats, Fermín – R. García Albero, t. 1°, Thomson Reuters Aranzadi, 2018): «Fatte le debite differenze, è accaduto, e sta accadendo in altri paesi europei, quanto gli uomini del novecento ben conoscono: la presa del potere da parte di forze ostili a regole e principi della Costituzione vigente, attraverso le garanzie procedurali assicurate proprio da quella stessa Costituzione». In termini, ad es. S. Mig Puir, Evoluzione politica e involuzione del diritto penale, in Democrazia e autoritarismo nel diritto penale, atti del Convegno di Roma, 6 novembre 2009, a cura di A.M. Stile, ESI, Napoli, 2011, p. 117.

[15] Un impegno che troppo spesso viene eluso per saltare piè pari alla denuncia assiologica. Cfr. per un’indagine che tenta di coniugare l’analisi alla luce dei principi e il fact-checking G. Losappio, Il congedo dalla prescrizione nel processo penale. Tempus fu(g)it, in Dir. pen. cont., 2019 (7-8), p. 5.

[16] Il «rigido legalismo non può che generare formalismo, e il formalismo genera nichilismo. E anche se oggi taluno sembra parlar volentieri di nichilismo giuridico, c’è bisogno di ben altro nel difficile momento in cui il giurista si trova, in mezzo alla più incisiva crisi delle fonti dell’età moderna e post-moderna»: P. Grossi, Il volto attuale dell’illecito penale (a proposito di un recente libro di Massimo Donini), in Quad. fior., XXXV, 2006, p. 1046. Nell’ambito della letteratura penalistica da ultimo appunto M. Donini, Garantismo penale oggi, in Criminalia, 2019 (p. 3) (open source in discrimen.it 16 dicembre 2019) e in precedenza il volume (cui si riferisce la recensione di Grossi) Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia tra differenziazione e sussidiarietà, Milano, Giuffrè, 2004, cap. IX.

[17] In tal senso, le si condivida o meno (in tutto o in parte), meritano di essere attentamente considerate le non accomodanti riflessioni con le quali D. Pulitanò (Tempi del processo e diritto penale sostanziale, in Per una giustizia penale più sollecita: ostacoli e rimedi ragionevoli, Atti del convegno di Milano (18 marzo 2005) e Lecce (14-15 ottobre 2005), a cura Centro studi Enrico de Nicola – Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Giuffrè, Milano, 2006, p. 34) pone al vaglio dell’esperienza la reale consistenza delle “ragioni” che ideologicamente(/tralatiziamente), da Beccaria in poi, solleciterebbero l’imputato a sottrarsi all’“ansia da durata del processo”. In the fact – si sostiene – «la celerità del processo» non sarebbe un diritto che mobilita «l’impegno di imputati e difensori, in assenza di puntuali incentivi. Nella generalità dei casi, o v’è l’interesse ad allungare i tempi, o, pur in presenza di un teorico interesse contrario, prudenza induce ad adattarsi alla macchina processuale, senza cercare di affrettarne la conclusione».

[18] Il tema è oltremodo complesso e altrettanto articolato in un cluster di correlazioni in bilico sugli abissi del paradosso e, persino, dell’aporia. Random. Si critica il diritto penale “artificiale” perché non corrisponderebbe alla cultura comune (e anche per questo non sarebbe consistente con il principio di colpevolezza e il principio-criterio di offensività) ma si prova orrore per il diritto penale che si sintonizza con le emozioni sociali. Si enfatizza il principio di legalità, ma si demonizza il consenso alla base delle maggioranze parlamentari che approvano leggi smaccatamente by the people, per cui si è persino sostenuto «che il Parlamento italiano non ha e non merita di avere il monopolio della democrazia»: P. Grossi, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., p. 1054. Né la complessità dell’intreccio può essere risolta concettualizzando le differenze, sottili o meno, tra i termini di questa relazione: consenso, cultura, emozioni/sentimenti collettivi. Le escursioni dello statuto concettuale, in questo contesto, perdono rilievo sul piano fenomenologico. Del resto, un rischio ben più consistente bisogna evitare. La ripulsa per l’uso strumentale del «disgusto», quale leva di una legislazione penale rimozionale che realizzerebbe un irrazionale proiezione dell’angoscia per la morte su persone e gruppi vulnerabili (M. Nussbaum, Hiding from Humanity. Disgust, Shame, and the Law, trad.it., Carocci, Roma 2005, p. 32), non deve indurre a sussulti o vere e proprie euforie positivistiche. Com’è stato efficacemente osservato, l’ancoraggio «del sentimento di giustizia a reazione condivise scatenate da casi vivi sembra evidenziarne … anche l’intrinseco e ineliminabile dinamismo, che lo connota storicamente come in costante evoluzione sulla base dei casi vivi e delle condizioni sociali e culturali dell’epoca. Le reazioni alla disciplina della prescrizione, dunque, spesso esprimono il grado delle garanzie che, secondo il sentimento di giustizia di una certa comunità in un particolare transito storico, sono considerate accettabili e compatibili con una efficace lotta al crimine e con una adeguata tutela delle relative vittime. Sarebbe oltremodo pericoloso trascurare queste “emozioni giuridiche” implicite nelle discussioni sulla prescrizione: in queste discussioni, infatti, pur essendo raramente menzionato in modo esplicito, viene costantemente evocato il confronto con il “sentimento di giustizia”. La considerazione di questa componente sentimentale implicita consente, infatti, di apprezzare la drammaticità delle scelte applicative che si compiono in materia di prescrizione e di valutare quanto i singoli “casi giuridici” possano condizionare non solo le reazioni popolari, ma anche le stesse dottrina e giurisprudenza»: T.E. Epidendio, Prescrizione, legalità e diritto giurisprudenziale: la “crisi” del diritto penale tra le Corti, in Dir. pen. cont., p. 10 e 12. Altrettanto pericoloso ovviamente è – come ha fatto il legislatore con la l. n. 3 del 2019 (e non solo) – travalicare i limiti costituzionali e convenzionali, pur di cercare di prosciugare sacche di privilegio e, comunque, di impunità.

[19] Come i più recenti «approcci ai temi della pena, della sicurezza urbana e della legittima difesa condividono l’elemento comune della semplificazione dei problemi che sottostanno a questioni molto complesse» (M. Pellissero, Politica, consenso sociale e dottrina, cit., p. 34), la riforma della prescrizione costituisce una traduzione in termini banalizzanti e semplificatori del fascio di problemi intrecciati al traliccio della (ir)ragionevole durata del processo.

[20] Diffusamente G. Insolera, Il processo senza prescrizione, in www.discrimen.it (11 dicembre 2018), p. 1; Id., Il dialogo tra le Corti è interrotto? Implicazioni e ricadute della vicenda “Taricco”, in www.legislazionepenale.eu (4 febbraio 2019), p. 8. Cfr. altresì Così, G.M. Flora, Verso un diritto penale senza prescrizione?, in Studi in onore di Armando Veneto, a cura di N. Raimondi, Rubettino, Soveria Mannelli, 2015, p. 53.

[21] C. Giostra, La prescrizione: aspetti processuali, in Per una giustizia penale più sollecita, cit., p. 89.

[22] «Il “diritto penale dei privilegi”, nello spirito antiumanista delle società tardo-moderne, inasprisce le ostilità verso i “cattivi delinquenti”, che devono essere trattati come nemici da neutralizzare in una logica di guerra alla “vera criminalità”, come “non persone” da rinchiudere, abbandonare e dimenticare in carceri simili a gironi infernali»: S. Canestrari, I volti di un “diritto penale del privilegio”, in ius17@unibo.it, 2011 (1), p. 34.

[23] Induce al pessimismo il cortocircuito comunicativo innescato dallo “splendore del supplizio” cui è stato sottoposto un estradato al rientro in Italia, con l’esibizione delle manette e l’auspicio delle massime autorità che “marcisse in galera”. All’argomento che l’ergastolano, in quanto uomo, ha diritti la replica prevalente, secondo la rappresentazione mediatica dell’opinione pubblica, è stata che l’élite garantista (presumibilmente anche radical chic) voleva sottrarre il “condannato” «alla dura e perenne realtà della pena da scontare»: D. Brunelli, Introduzione  ad un Confronto di idee su: «Diritto penale di lotta versus diritto penale di governo: sconfiggere l’incomunicabilità o rassegnarsi all’irrilevanza», in Arch. pen., 2019 (1), p. 2.

[24] A. Alessandri, Il ruolo del danno patrimoniale nei nuovi reati societari, in Società, 2002, p. 802.

[25] D. K. Brown., Democracy and decriminalization, cit., p. 223-224.

[26] S. Moccia, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, Esi, Napoli, 2001; P. Troncone, La legislazione penale dell'emergenza in Italia. Tecniche normative di incriminazione e politica giudiziaria dallo Stato liberale allo Stato democratico di diritto, Jovene, Napoli, 2001. Nella materia in esame E.M. Ambrosetti, Politica criminale e riforma della prescrizione del reato, in Politica criminale e cultura giuspenalistica. Scritti in onore di Sergio Moccia, a cura di A. Cavaliere – C. Longobardo – V. Masarone – F. Schiaffo – A. Antonino, ESI, Napoli, 2017, p. 417.

[27] G.L. Gatta, Prescrizione bloccata dopo il primo grado: una proposta di riforma improvvisa ma non del tutto improvvisata, in Dir. pen. cont. (5 novembre 2018).

[28] «Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell'irrevocabilità del decreto di condanna». Sulla riforma, senza pretesa di completezza, prima dell’approvazione: T.P adovani, Fine-processo mai: e la Costituzione ?, in Il dubbio, 1 novembre 2018; A. Alessandri, Una proposta a forte rischio di incostituzionalità, in Il sole 24 ore, 3 novembre 2018 G. Insolera, Il processo senza prescrizione, cit., p. 1; F. Giunta, La prescrizione, ovvero chi odia, ama, ivi (13 novembre 2018), p. 1; G.L. Gatta, Prescrizione bloccata dopo il primo grado, cit.; Id., Sulla riforma della prescrizione del reato, bloccata dopo il giudizio di primo grado, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 2345; G. Insolera, La riforma giallo-verde del diritto penale: adesso tocca alla prescrizione, in Dir. pen. cont. (9 novembre 2018), p. 1; Id., Sulla riforma della prescrizione: “peggio la pezza del buco”, in www.quotidianogiuridico.it (13 novembre 2018); M. Guglielmi – R. De Vito, Quale futuro per il garantismo? Riflessioni su processo penale e prescrizione, in www.questionegiustizia.it (20 novembre 2018), p. 1. Dopo l’approvazione: G. Flora, La nuova riforma dei delitti di corruzione: verso la corruzione del sistema penale?, in La nuova disciplina dei delitti di corruzione. Profili penali e processuali (l. 9 gennaio 2019, n. 3 c.d. “spazzacorrotti”), Pacini, Pisa, 2019, p. 20; G.L. Gatta, Una riforma dirompente: stop alla prescrizione del reato nei giudizi di appello e di cassazione, in Dir. pen. cont. (21 gennaio 2019); V. Manes, Sulla riforma della prescrizione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 557; E. Dinacci, Prescrizione del reato e principi costituzionali nel sistema del diritto penale, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2019, p. 184; G. Losappio, Il congedo dalla prescrizione nel processo penale, parte III; P. Tandura, La sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado: considerazioni a margine della discussa novità introdotta dalla legge “spazza-corrotti”, in Riv. pen., 2019, p. 743. Da ultimo nell’imminenza dell’entrata in vigore della norma: D. Pulitanò, La giustizia penale e il tempo, in questa Rivista, 2019 (12), p. 15; R. Bartoli, Prescrizione: soltanto un equilibrio ci può salvare, ivi, 9 dicembre 2019; G.L. Gatta, Prescrizione del reato e lentezza del processo: male non cura male. Riflessioni e proposte per uscire dall’impasse della riforma Bonafede, ivi, 9 dicembre 2019; R. Cantone, Riformare la prescrizione del reato garantendo la ragionevole durata del processo: un’occasione da non perdere, ivi, 18 dicembre 2019. Sulla proposta di legge A.C. 2059 (primo firmatario on. Costa) di abrogazione dell’art. 159, co. 2, D. Pulitanò, Osservazioni sulla proposta di bloccare il corso della prescrizione. A proposito del Progetto di legge n. A.C. 2059 (Costa e altri), ivi, 9 dicembre 2019.

[29] D. Pulitanò, Tempi del processo e diritto penale sostanziale, cit., p. 44. In termini corrispondenti F. Giunta – D. Micheletti, Tempori cedere. Prescrizione del reato e funzioni della pena nello scenario della ragionevole durata del processo, Giappichelli, Torino, 2003, p. 63; C. Giostra, La prescrizione: aspetti processuali, cit., p.84; S. Silvani, Il giudizio del tempo. Uno studio sulla prescrizione del reato, il Mulino, Bologna, 2009, p.15 (che a sua volta cita l’analogo giudizio di Carrara); R. Bartoli, Prescrizione: soltanto un equilibrio ci può salvare, cit.

[30] G. Battarino, Il tempo del procedimento penale tra angoscia della prescrizione e buone prassi, in Quest. Giust., 2017 (1), p. 20.

[31] «L’esigenza prioritaria è prendere di petto i problemi del sovraccarico sul penale, in tutte le dimensioni: sostanziale, processuale, carceraria. Un’esigenza di giustizia, non solo di efficienza. Di tutto questo, la riduzione delle declaratorie di prescrizione (uno fra i tanti, e non il maggiore, dei mali della attuale macchina penalistica) dovrebbe essere un effetto; il fine di giustizia dovrebbe essere assai più ambizioso»: D. Pulitanò, Il nodo della prescrizione, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2015 (1), p. 29.

[32] F. Palazzo, La Riforma penale alza il tiro? Considerazioni sul disegno di legge A.S. 2067 e connessi, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2016 (1), p. 52.

[33] Sul tema, sotto profili diversi M. Donini, Il diritto penale differenziato. La coesistenza di classico e postmoderno nella penalità contemporanea, in Crit. dir., 2007, p. 277 (anche in Il tramonto della modernità giuridica. Un percorso interdisciplinare, a cura di M. Vogliotti, Giappichelli, Torino, 2008, p. 234); C. Perini, Adattamento e differenziazione della risposta punitiva nella “società del rischio”, in Dir. pen. cont. (30 marzo 2018). Un topos del fenomeno è l’art. 589-bis c. A. Massaro, Omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime: da un diritto penale “frammentario” a un diritto penale “frammentato”, ivi (20 maggio 2016); A. Roiati, L'introduzione dell'omicidio stradale e l'inarrestabile ascesa del diritto penale della differenziazione, ivi (1 giugno 2016).

[34] Corte EDU, sez. II, sent. 29 marzo 2011, ric. n. 47357/08.

[35] Cfr. in tal senso C. Pezzimenti, Tortura e diritto penale simbolico: un binomio indissolubile?, in Dir. pen. proc., 2018 (2), p. 152 («Il nuovo reato di tortura nasce come reato comune, tradendo lo spirito delle Convenzioni internazionali ed è soggetto al regime di prescrizione ordinario, con elevati rischi di impunità per i colpevoli»).

[36] C. Cost. ord., nn. 45 e 313 del 2012.

[37] M. Bargis, La prescrizione del reato e i “tempi” della giustizia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, p. 1405 (anche in Accertamento del fatto, alternative al processo, alternative nel processo, cit., p. 233).

[38] Offre utili spunti in tal senso G. Battarino, Il tempo del procedimento penale tra angoscia della prescrizione e buone prassi, cit., p. 15.

[39] Si pensi – come si è fatto notare – al recupero di “tempi morti” che si realizzerebbe se prevalesse la prassi di procedere immediatamente alla ri-notificazione degli atti senza attendere di agire in extremis con il risultato non infrequente di rendere necessario un nuovo differimento del giudizio per consentire l’ennesimo tentativo di consegna[39]. Un ulteriore cospicuo numero di rinvii sarebbe evitato se fossero adottare regole più stringenti sulla presenza dei testimoni in aula e prevalesse una prassi meno lassista nell’applicazione delle sanzioni pecuniarie e delle prescrizioni sull’accompagnamento coattivo del teste. Molte altre soluzioni migliorative sono possibili e sono state già formulate. In tal senso molto utile la lettura di G. Battarino, op. loc. ult. cit.

[40] Cfr. G. Losappio, Il congedo dalla prescrizione nel processo penale, cit., p. 25.

[41] M. Bargis, La prescrizione del reato e i “tempi” della giustizia penale, loc. cit. In termini, soprattutto, V. Grevi, Spunti problematici sul nuovo modello costituzionale di «giusto processo» penale (tra «ragionevole durata», diritti dell’imputato e garanzia del contraddittorio), in Id., Alla ricerca di un processo penale «giusto». Itinerari e prospettive, Giuffrè, Milano, 2000, p. 327; Id., Prescrizione reato ed effettività del processo tra sistema delle impugnazioni e prospettive di riforma, cit., p. 196; Id., Il principio della «ragionevole durata» come garanzia oggettiva del «giusto processo» penale, in Cass. pen., 2003, p. 3209.

[42] D. Pulitanò, Una confessione di Agostino e il problema della prescrizione, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2015 (1), p. 75. Cfr. altresì E. Marzaduri, commento Art. 1 l. cost. 23/11/1999, n. 2, in Leg. pen., 2000, pp. 771-772.

[43] G. Ubertis, Prescrizione del reato e prescrizione dell’azione penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 1019 (anche in Id., Argomenti di procedura penale, t. 3°, Giuffrè, Milano, 2011, p. 265).