1. Le novità “cronologiche” portate dall’art. 36, primo comma, del DL n. 23 si misurano con una terminologia che potrebbe apparire ambivalente. Questo il testo che interessa: “Il termine del 15 aprile 2020 previsto dall’art. 83, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 è prorogato all’11 maggio 2020. Conseguentemente il termine iniziale del periodo previsto dal comma 6 del predetto articolo è fissato al 12 maggio 2020.”.
Da un lato, quindi, il termine del 15 aprile 2020, contenuto nel testo del primo e secondo comma dell’art. 83 del DL n. 18, è prorogato all’11 maggio 2020; dall’altro, “il termine iniziale del periodo previsto dal comma 6 del predetto articolo”, per trascinamento consequenziale, “è fissato al 12 maggio 2020”. Perché, ci si chiede, non prorogare entrambe le date? O anche rifissarle insieme? La spiegazione potrebbe risiedere nella natura dei termini, il primo dei quali, identificandosi con una data terminale, è suscettibile di slittamento in avanti con conseguente prosecuzione del periodo “cuscinetto”, già definito in 38 giorni, per ulteriori 26, giungendo così fino a 64 giorni. Il secondo, dal canto suo, pur protratto al 12 maggio, non “prorogherebbe” alcunché, avendo natura iniziale integrando esso soltanto l’avvio di un intervallo temporale.
La “rifissazione” – e non una “sostituzione” – del termine iniziale del comma 6 a ben vedere porta con sé un riflesso, astratto se si vuole e giuridicamente sottile, sugli eventuali provvedimenti che alcuni dirigenti possano avere già adottato in costanza del precedente regime temporale, nel senso che essi resterebbero formalmente legittimi per il periodo 16 aprile-11 maggio (oggi coperto pure da sospensione ex lege), con la conseguenza (discendente dalla nuova decorrenza) di doverli variare nel merito e anzitempo (rispetto alla nuova data del 12 maggio) e in assenza delle possibili diverse stime sanitarie attestate ad un momento cronologicamente più avanzato.
Diversamente, una mera sostituzione di data, quale tecnica solitamente utilizzata in punto di differimento di termini – vedi da ultimo il DL n. 162/2019 (c.d. milleproroghe) convertito con modificazioni nella L. n. 8/2020 – avrebbe giocoforza determinato la naturale caducazione di quei provvedimenti, fondati su una scadenza non più vigente.
2. Proviamo adesso ad intendere il senso e la portata del comma 2 che così recita: “La disposizione di cui al comma 1 non si applica ai procedimenti penali in cui i termini di cui all’art. 304 del codice di procedura penale scadono nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020”.
Analizzando partitamente l’enunciato e scindendo di conseguenza le problematiche che esso pone occorre intanto interrogarsi su cosa debba intendersi per il dichiarato esonero di tale novero di procedimenti dalla disciplina di scivolamento temporale di cui al primo comma del neo art. 36. Altro non può ritenersi, a ben vedere, che ciò che la disposizione stessa afferma; e cioè che quella somma di procedimenti ricade sotto l’integrale vigenza dell’art. 83 del DL n. 18 e pertanto anche per le previsioni temporali che esso contiene.
Da tale premessa discende l’inevitabile corollario per il quale, per l’intervallo 16 aprile – 30 giugno 2020 (comma 6), i capi degli uffici giudiziari sono chiamati ad adottare un provvedimento alla stregua del criterio di cui alla lett. g) del comma 7 dell’art. 83 DL n. 18[1]. Con l’effetto che, fermo l’attuale assetto normativo d’emergenza, i dirigenti vengono così impegnati due volte a pronunciarsi sulle misure del comma 7; una prima, riconducibile ai soli Presidenti di Tribunale e di Corte d’Appello ed esclusivamente limitata alla decisione se trattare o meno quella categoria di procedimenti d’imminente perenzione cautelare – novero per il quale appare invero scontata una determinazione positiva alla trattazione, suggerita peraltro dalla medesima formulazione della norma – una seconda, attestata per il periodo 11 maggio-30 giugno, volta all’adozione da parte questa volta dell’intero comparto dirigenziale dello spettro d’interventi previsto dal menzionato comma 7.
Non può né deve sfuggire che la categoria dei “procedimenti penali in cui i termini di cui all’art. 304 del codice di procedura penale scadono nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020” è del tutto analoga a quella già contemplata alla lett. b), prima parte, del comma 3 dell’art. 83 cit., sia pure quest’ultima riferita a scadenze cautelari intranee al periodo di sospensione. Sicchè mentre di quest’ultimo novero resta necessitata la trattazione nel periodo di sospensione ex lege 9 marzo-15 aprile (oggi 11 maggio), la trattazione della prima categoria di procedimenti è discrezionalmente decisa dal Presidente per il periodo successivo 16 aprile-30 giugno.
Resta da chiedersi ancora se la prima valutazione spettante al Presidente e riguardante i soli procedimenti ex comma 2 del neo art. 36 debba formularsi alla stregua dell’itinerario consultivo (“…sentiti l’autorità sanitaria regionale, per il tramite del Presidente della Giunta della Regione, e il Consiglio dell’ordine degli avvocati…d’intesa con il Presidente della Corte d’Appello e con il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello…”) che quel comma 7 disciplina in modo (forse troppo burocraticamente) analitico.
Senza azzardo pare ragionevole sostenere in proposito che, data la peculiarità di un recinto procedimentale così mirato e circoscritto e il fatto che la valutazione in parola sia limitata ai soli dirigenti giudicanti, il ricorso alla trafila di consultazioni ex comma 7 sia da ritenere incongruo se non superfluo, specie se si considera che appena poco più di venti giorni dopo gli stessi dirigenti, al pari di tutti gli altri, si vedranno coinvolti in analoga e ben più ampia statuizione previamente osservando l’intero circuito consultivo delineato dalla norma citata.
Ragioni di correttezza istituzionale e giuste prospettive di armonizzazione distrettuale conducono tutt’al più a sostenere che la determinazione del Presidente del Tribunale in ordine al novero di procedimenti ex comma 2 dell’art. 36 del DL n. 23 sia adottata opportunamente consultando il Presidente della Corte d’Appello.
Il punto cruciale della sintetica disposizione è tuttavia quello che interroga l’interprete sul significato da dare al richiamo, quanto alla scadenza dei termini, all’art. 304 c.p.p..
Intanto va subito sgombrato il campo da alcune suggestive ipotesi che vedrebbero coinvolti in tale novero procedimentale altresì i procedimenti in indagine preliminare. Al riguardo è proprio il richiamo all’art. 304 c.p.p. a delimitare il perimetro interessato dalla norma, dal momento che, disciplinando essa i casi di sospensione dei termini di custodia cautelare in corso di giudizio (ordinario e abbreviato) e di udienza preliminare, non possono che restarne pacificamente estranee le indagini preliminari.
Una breve esegesi, anzitutto, della disposizione in argomento. Essa costituisce una disciplina complementare, un corollario applicativo, del sistema dei termini di custodia cautelare, regolando i casi in cui i termini massimi ex art. 303 c.p.p. si sospendono per effetto di alcuni accadimenti sensibili. Trattandosi di disciplina astratta essa è suscettibile di concretizzarsi poi nel computo specifico che, in presenza di uno o più casi di sospensione, occorrerà effettuare per ogni termine di ciascun procedimento onde individuare l’esatta data di scadenza di ogni rispettivo termine custodiale. Il medesimo articolo stabilisce inoltre un tetto massimo invalicabile e di garanzia oltre il quale l’eventuale ulteriore sospensione non avrebbe più alcun effetto (comma 6).
Riassumendo, ai fini della questione in discorso può dunque correttamente concludersi che per ogni vicenda cautelare custodiale corre un termine fisso ex art. 303 c.p.p. secondo lo spettro di qualità e gravità delineato dalla norma; termine a sua volta suscettibile di eventuale allungamento per un periodo variabile a seconda delle ragioni di sospensione rilevanti in corso di processo ai sensi del più volte citato art. 304 c.p.p.. Ove poi il cumulo dei periodi specifici di sospensione dovesse far superare il tetto prescritto al comma 6 – ossia il doppio dei termini di fase secondo le specificazioni dettate dal medesimo comma e da quello successivo – sarà quel tetto ad operare, fungendo da limite massimo obiettivo e invalicabile.
Alcune considerazioni adesso sul riferimento a tale disposizione così come figurante al comma 2 dell’art. 36 del DL n. 23 e ciò allo scopo di offrirne una lettura consona all’intera normativa emergenziale.
Nel sancire l’inapplicabilità della disciplina di proroga temporale il secondo comma dell’art. 36 cit. fa cenno ai “procedimenti penali in cui i termini di cui all’art. 304 del codice di procedura penale scadono nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020”, senza cioè alcun mirato ed esclusivo riferimento ai termini massimi ex comma 6.
Ne discende, in punto di interpretazione letterale, che i termini alla cui scadenza si riferisce il comma 2 sono tutti quelli disciplinati dall’art. 304 c.p.p., ossia la gamma per così dire personalizzata di intervalli custodiali riguardanti ogni singolo imputato. E di quelli occorrerà effettuare il calcolo specifico onde verificare se la scadenza – ovviamente diversa per ogni singolo imputato in vinculis – ricada o meno nel semestre considerato.
In via concettuale, poi, ove si ragionasse nel senso di ritenere richiamati i soli termini massimi invalicabili di cui al comma 6, resterebbe incomprensibile il perché debbano operare in aggiunta termini così estesi e soltanto figurativi, dal momento che non per tutti gli imputati in custodia e per i processi a loro carico funziona il limite massimo del doppio di cui al comma 6 (cosa che invece ragionevolmente accade nei processi di criminalità organizzata e in genere in quelli di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. nei quali la sospensione opera in misura più estesa, facendo così scattare pressoché sempre la duplicazione del termine di fase).
Va fatta tuttavia una doverosa precisazione, imperniata sul concorso nella vicenda cautelare della sospensione ex lege discendente dalla decretazione d’urgenza; in particolare occorre interpellarsi se tale ultima sospensione si aggiunga o meno alla sospensione endoprocessuale ex art. 304 c.p.p..
Un esempio concreto può servire a comprendere meglio il delicato rilievo e anche a coglierne il possibile paradosso consequenziale. Ipotizziamo che nel periodo 9 marzo-11 maggio sia fissato un dibattimento a carico di imputati ristretti con scadenza dei termini ex art. 304 cit. (ossia considerate le sospensioni operanti) nel semestre successivo all’11 maggio. Ipotizziamo altresì che gli imputati e i loro difensori non abbiano chiesto che si proceda, sicché il processo viene rinviato al 10 giugno con la conseguenza che la custodia cautelare resta sospesa per l’intero intervallo di rinvio[2]. Ci si domanda allora se al termine già sospeso ex art. 304 cit. e scadente nel semestre successivo all’11 maggio si cumuli o meno l’intervallo di sospensione extraprocessuale discendente del decreto legge.
In verità, tenuto conto della diversità della fonte sospensiva, una risposta affermativa potrebbe ragionevolmente azzardarsi pur nel rispetto comunque del termine massimo del doppio ex comma 6. In tal caso potrebbe tuttavia verificarsi l’effetto di un possibile slittamento della data di scadenza oltre il semestre considerato, con il diabolico risultato di una fuoriuscita del processo dal recinto procedimentale selezionato al comma 2.
Diversamente, una risposta negativa al quesito renderebbe incomprensibilmente pleonastica, quanto alla durata della custodia cautelare, la sospensione ex lege di quest’ultima nel caso in cui gli imputati ristretti in custodia e i loro difensori non abbiano chiesto che si proceda per i processi (della categoria sensibile) fissati nel periodo 9 marzo-11 maggio.
Un cenno merita infine il caso in cui la scadenza custodiale ex art. 304 c.p.p. riguardi soltanto uno solo di più imputati di un processo cumulativo; ipotesi nella quale la soluzione più acconcia e rispondente ai principi appare quella di considerare siffatti processi, per così dire misti, comunque ricompresi nel catalogo procedimentale prescelto dal comma 2 dell’art. 36 DL n. 23.
[1] Tanto si desume anche dal contenuto sul punto della relazione illustrativa dell’art. 36: “La previsione di cui al comma secondo risponde all’esigenza di consentire ai capi degli uffici di adottare misure per la trattazione dei procedimenti nei quali i termini massimi di custodia cautelare vengano a scadenza nei sei mesi successivi all’11 maggio, a prescindere dalla richiesta che ne faccia l’imputato in custodia cautelare”.
[2] La sospensione dei termini di custodia in tal caso opera in forza del comma 4 dell’art. 83 del DL n. 18, per quanto la sua formulazione letterale non sia così pertinente e chiara, richiamandosi nel testo l’effetto sospensivo cautelare soltanto “nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini ai sensi del comma 2…”.