1. La Collana Procedura penale “speciale”. Manuali, diretta da Marta Bargis ed edita da Giappichelli, si arricchisce del nuovo volume dedicato alla Procedura penale esecutiva, coordinato da Massimo Ceresa-Gastaldo e con i contributi, oltreché del medesimo Autore, di Hervé Belluta, Carlo Fiorio, Rossella Fonti, Daniele Vicoli e Daniela Vigoni.
Nel rispetto dello spirito della Collana – nata per rispondere alle esigenze didattiche dei corsi di procedura penale progredita –, il volume viene a rappresentare un fondamentale riferimento rispetto all’insegnamento del diritto dell’esecuzione penale.
Cogliendo appieno le prospettive evolutive della materia – sempre più autonoma rispetto al pur contiguo insegnamento del diritto penitenziario – il Manuale si concentra sul giudicato e sulla relativa esecuzione, includendo peraltro nella trattazione – con una scelta che merita pieno apprezzamento – l’intero novero dei rimedi revocatori o modificativi della res iudicata, inclusivo non solo di quelli tradizionalmente affidati alla giurisdizione esecutiva, ma pure delle impugnazioni straordinarie: le “tendenze espansive” di entrambe le tipologie di rimedi – anche quali strumenti di adeguamento ai dicta delle Corti sovranazionali – rendono infatti ormai indispensabile, a maggior ragione in chiave didattica, una loro trattazione unitaria e approfondita, non sempre possibile, per la vastità dei programmi, nei corsi “base” di procedura penale.
2. Sul piano metodologico, va positivamente sottolineata, in primo luogo, la grande attenzione dedicata allo sviluppo storico tanto del “sistema esecuzione” nel suo complesso – onde metterne in luce la progressiva finalizzazione ad obiettivi di mitigazione, in chiave rieducativa, di un apparato sanzionatorio di anacronistica severità –, quanto dei singoli istituti, spesso oggetto di un susseguirsi di interventi normativi confusi e incoerenti, dalla cui analitica ricostruzione non può prescindersi per interpretare adeguatamente la disciplina attuale (si pensi, in particolare, al tormentato e complesso regime dei meccanismi sospensivi dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione). Va rimarcata, poi, la ricchezza dei richiami al “diritto vivente”, indispensabili in una materia che – più di altre – ha visto la giurisprudenza costituzionale e di legittimità assumere compiti “paralegislativi”: emblematica, da questo punto di vista, l’individuazione per via pretoria dell’incidente esecutivo quale rimedio rispetto ad illegalità sanzionatorie discendenti da sentenze costituzionali o delle Corti europee, attraverso una lettura estensiva degli artt. 666 e 670 c.p.p.
Di grande utilità si dimostra altresì la scelta – trasversale – di integrare nella trattazione della dimensione interna degli istituti della fase esecutiva i richiami fondamentali ai corrispondenti istituti di cooperazione giudiziaria.
3. Passando al dettaglio dell’opera, nell’Introduzione, di Massimo Ceresa-Gastaldo, si mette in luce il «lacerante conflitto interiore» che ha progressivamente alterato, nel nostro ordinamento, la consequenzialità logica fra previsione legislativa della pena, relativa applicazione giudiziale, ed effettiva esecuzione. Complice un apparato sanzionatorio, oltreché incentrato quasi integralmente sulla pena detentiva, di severità draconiana – e come tale “inadattabile” alle finalità rieducative costituzionalmente imposte per il solo tramite della commisurazione giudiziale della sanzione –, è attraverso gli istituti e gli organi della fase esecutiva che si cerca un riallineamento a quelle finalità, per mezzo di interventi sul quomodo e sul quantum della sanzione, volti a favorirne, laddove possibile, l’espiazione extra moenia. Ciò che, peraltro, da un lato mette in crisi il precetto di legalità della pena – per recuperare il quale servirebbe un’organica riforma della normativa sostanziale –, dall’altro induce nell’opinione pubblica, e talora negli stessi “addetti ai lavori”, sensazioni di “ineffettività” della sanzione definitivamente irrogata, che conducono a deplorevoli effetti collaterali, come l’impiego in chiave (neanche troppo velatamente) punitiva delle misure cautelari, in palese spregio dell’art. 27 comma 2 Cost.
Il primo capitolo, a cura di Rossella Fonti, è dedicato al Giudicato, di cui analizza la formazione – con particolare riguardo al fenomeno, di matrice giurisprudenziale, del c.d. giudicato progressivo, ricostruito sino ai più recenti sviluppi, che hanno portato ad investire le Sezioni unite della configurabilità e dei limiti, addirittura, di un’esecuzione frazionata – e gli effetti preclusivi, vincolanti, esecutivi. Risalta, in tale contesto, l’approfondita analisi del ne bis in idem, attraverso la lettura “interattiva” del complesso sistema delle fonti interne, internazionali e sovranazionali: grande attenzione è prestata, in questa prospettiva, alla nozione più spiccatamente naturalistica di idem factum recentemente accolta dalla Corte costituzionale – anche sulla scorta delle indicazioni della Corte di Strasburgo –, nonché al problema dei rapporti fra ne bis in idem e c.d. doppio binario sanzionatorio, tuttora in attesa di soluzione definitiva, tra fughe in avanti e revirements – minuziosamente ricostruiti dall’Autrice – tanto dei giudici europei, quanto di quelli nazionali.
Nel successivo capitolo dedicato all’Esecuzione del giudicato, Daniele Vicoli si occupa dell’azione esecutiva, evidenziandone le funzioni di raccordo – quando sia in gioco l’esecuzione della pena detentiva – con la giurisdizione rieducativa. Al di là della ricostruzione della complessa disciplina, frutto di stratificazioni normative di non facile lettura, l’Autore rileva come i provvedimenti demandati al pubblico ministero – l’ordine di esecuzione e il provvedimento di cumulo, il decreto di computo della custodia cautelare e delle pene sine titulo, i provvedimenti sospensivi della carcerazione – implichino margini di discrezionalità tali da non giustificarne la tradizionale qualificazione alla stregua di atti “amministrativi” di natura pressoché automatica, e da richiedere invece – in ragione del forte e immediato impatto sulla libertà personale – l’intervento dell’organo giurisdizionale, oggi garantito soltanto in seconda battuta, attraverso l’attivazione “postuma” dell’incidente ex art. 666 c.p.p.
È invece curata da Carlo Fiorio, nell’ambito del medesimo capitolo, l’analisi delle procedure decisionali della fase esecutiva, nei profili statici – a partire dai criteri di individuazione del giudice dell’esecuzione, la cui coincidenza, di base, col giudice che ha deliberato il provvedimento da eseguire, può suscitare riserve rispetto al principio costituzionale di imparzialità – e dinamici, attraverso l’esame del modello procedimentale “partecipato” e di quello de plano. L’Autore sottolinea l’importanza di valorizzare appieno quelle garanzie di giurisdizionalità post rem iudicatam – su tutte il contraddittorio, la parità delle armi, il diritto alla prova – che, già sollecitate dal legislatore delegante del 1987 e rinforzate dai riflessi sulla giurisdizione esecutiva del novellato art. 111 Cost., risultano tantopiù indispensabili a fronte della progressiva erosione, per effetto della relativizzazione del giudicato, dei confini tra la giurisdizione di cognizione e quella esecutiva.
Nel terzo capitolo, intitolato agli Interventi sul giudicato nella fase esecutiva, Daniela Vigoni analizza gli ambiti di intervento del giudice dell’esecuzione, classificandoli alla luce, da un lato, del modello procedimentale di riferimento – partecipato o de plano –, dall’altro, delle modalità di “incisione” del giudicato, in termini, rispettivamente, selettivi (a fronte dei conflitti pratici ex art. 669 c.p.p.), sospensivi (in conseguenza dell’accertata mancanza o non esecutività del titolo fondante l’esecuzione, ex art. 670 c.p.p.), ricostruttivi (in applicazione post-iudicatum della disciplina del concorso formale e del reato continuato, giusta l’art. 671 c.p.p.), modificativi (dinnanzi alle vicende estintive ex artt. 672 e 676 c.p.p.), risolutivi (nei casi lato sensu di abolitio criminis, ex art. 673 c.p.p.), complementari e supplenti (nelle residue situazioni di cui agli artt. 674 e 675 c.p.p.). Particolare attenzione è dedicata alle “nuove frontiere” aperte dalla giurisprudenza di legittimità alla giurisdizione esecutiva, prima fra tutte – sul presupposto che gli artt. 670 e 666 c.p.p. offrano copertura normativa ad interventi sul giudicato non specificamente previsti dal codice di rito – l’emenda o la rideterminazione della pena illegale, in primis a fronte della declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma penale incidente sul solo trattamento sanzionatorio. L’Autrice mette giustamente in evidenza, peraltro, alcune contraddizioni di tale orientamento, non sempre univoco quanto ai margini di discrezionalità lasciati al giudice esecutivo nell’operazione di ricalcolo.
L’ultimo capitolo, a cura di Hervé Belluta, è dedicato alla Rimozione del giudicato e tratta precipuamente delle impugnazioni straordinarie – revisione “tradizionale” ed europea, ricorso straordinario per cassazione, rescissione del giudicato –, senza tralasciare un cenno, in coordinamento col capitolo precedente, ai rimedi revocatori demandati al giudice esecutivo. L’Autore mette in rilievo la rinnovata funzione delle impugnazioni straordinarie, quali strumenti volti a porre in discussione il «certo», espresso dal giudicato, a tutela non solo del «vero» – nella logica della revisione “tradizionale”, funzionale a riconoscere l’innocenza in una prospettiva eminentemente sostanziale –, ma anche del «giusto», sul presupposto che, a salvaguardia dei diritti fondamentali della persona, non sia più possibile sacrificare sull’altare della procedura la fairness processuale. Proprio in questa seconda prospettiva si inquadrano le impugnazioni straordinarie di più recente conio: la revisione “europea” – frutto dell’intervento additivo con cui la Corte costituzionale ha individuato lo strumento per riaprire il processo in adeguamento alle sentenze della Corte di Strasburgo che abbiano riscontrato violazioni processuali –, e la rescissione del giudicato, quale rimedio “restitutorio” in favore dell’imputato erroneamente giudicato in assenza. Sempre sul piano generale, l’Autore dà conto della progressiva espansione dell’ambito delle impugnazioni straordinarie – a partire dalla revisione “tradizionale”, per arrivare agli strumenti più nuovi – ad opera del “diritto vivente”, fra l’altro in termini curiosamente antitetici rispetto ai «decrescenti margini di operatività» tracciati, per analoga via, alle impugnazioni ordinarie. Il fenomeno, partito da lontano – si pensi alla sentenza delle Sezioni unite (2001) che incluse fra le “nuove prove”, suscettibili di fondare la revisione, anche quelle già note ed acquisite, ma non valutate del giudice di cognizione –, è tuttora in corso: ne rappresenta un esempio, quanto ancora alla revisione “tradizionale”, la riconosciuta esperibilità del rimedio al fine di “rileggere” dati probatori già esaminati alla luce dei nuovi metodi e tecniche offerti dal progresso scientifico; quanto, invece, alle ulteriori impugnazioni straordinarie, può ricordarsi l’utilizzo in adeguamento ai dicta convenzionali, oltreché della revisione europea, del ricorso straordinario per cassazione, quando il vizio riscontrato a Strasburgo si sia verificato nel giudizio di legittimità.
4. In conclusione, si vuole ancora evidenziare come – molto opportunamente, data la destinazione “elettiva” del Manuale agli studenti dei corsi progrediti, già in possesso delle nozioni processuali fondamentali –, l’esaustiva trattazione di ciascun “problema esecutivo”, attraverso l’esposizione della disciplina normativa e dei diversi orientamenti dottrinari e giurisprudenziali, sia sempre accompagnata dagli spunti critici frutto della sensibilità dei singoli Autori: ciò potrà offrire un utile stimolo rispetto allo sviluppo, negli studenti, delle capacità personali di rielaborazione critica.