1. Rendere omaggio all’impegno scientifico e alla dedizione per l’insegnamento di un Maestro contemporaneo della procedura penale è l’intento meritorio della preziosa raccolta “Studi in onore di Roberto E. Kostoris”.
Polifonia suggestiva e d’eccellenza, dove le voci di validissimi Autori, italiani e stranieri, intrecciano quelle dei cinque allievi patavini Curatori dell’opera: Pier Paolo Paulesu, Marcello Daniele, Silvia Signorato, Massimo Bolognari e Alvise Boldrin, vivaci testimoni delle plurime generazioni di una scuola florida e capace di rinnovarsi grazie al contributo attento del “loro” Professore.
A lui dedicato, con gratitudine e ammirazione, il libro disvela la stima e l’affetto che Roberto Kostoris ha saputo coagulare, anche da parte dei colleghi. Fra le attestazioni più sentite, lo scritto in apertura a firma di Margareth Helfer, Verena Murschetz e Francesco A. Schurr, dal titolo “Roberto E. Kostoris: un Strafprozessrechtslehrer alla Leopold-Franzens-Universität di Innsbruck”, che ne celebra il ventennale insegnamento di Diritto processuale penale presso l’ateneo enipontano, dove dal 2010 è stato insignito del prestigioso incarico di Honorarprofessor.
Animato da uno spirito precursore e d’avanguardia, nel corso della sua intensa carriera accademica Roberto Kostoris non soltanto ha sondato in profondità i capisaldi del sistema domestico ma si è, con entusiasmo e passione, aperto verso tematiche innovative e di frontiera, coltivando con i colleghi di altri Paesi collaborazioni feconde per il progressivo radicarsi della cultura processuale penale europea, che gli studi in suo onore vengono ora a ricomporre in un felice simposio.
Proprio l’obiettivo di ripercorrere l’itinerario della sua vasta produzione scientifica, scandito dagli interessi di ricerca che lo hanno nel tempo caratterizzato, si riflette con precisione nella chiara articolazione del volume, suddiviso tra “Scenari interni e riforme” (Parte Prima) e “Scenari sovranazionali” (Parte Seconda).
In ciascuno dei due ambiti, Autori italiani e stranieri, alternandosi con gli allievi, offrono un ricchissimo parterre di saggi - diciannove in totale, equamente distribuiti nelle due porzioni - su temi loro cari che, al contempo, denotano tratti affini alla multiforme sensibilità intellettuale di Roberto Kostoris. Con il quale, attraverso lo scritto, si apre un dialogo ideale e avvincente (ne sono traccia i plurimi rimandi bibliografici alle sue stesse opere), fortemente evocativo della predisposizione reciproca allo scambio e al confronto, ciò che affiora persino dalla scelta linguistica di sperimentare interazioni incrociate tra idiomi differenti (taluni studiosi italiani si esprimono in lingua spagnola o inglese e, viceversa, gli studiosi stranieri utilizzano talora la lingua madre, altre volte quella inglese o finanche l’Italiano).
2. Forte di un legame d’amicizia trentennale, a Roberto Kostoris quale lettore-modello si rivolge appunto, esplicitamente, Renzo Orlandi nel saggio che apre la Parte Prima del volume, conversando a distanza circa “La duplice radice della presunzione d’innocenza”: il risultato è un’indagine diacronica sul significato di un principio cardine eppure mutevole dell’accertamento penale, alla cui caratura ha contribuito la manovra reticolare della giurisprudenza e delle fonti sovranazionali (Corte e.d.u., Grande Camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito; direttiva 2016/343/UE) nel solco della quale si è innestato il recente e controverso intervento del legislatore italiano (d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188). Lungo le fondamenta della materia processuale penale, ma dall’opposta prospettiva di chi esercita l’accusa, muove anche la disamina “Bases constitucionales de la persecución penal en democracia” di Javier Augusto De Luca, che fotografa un pubblico ministero – Ministerio Público Fiscal – in bilico tra stereotipi persecutori e il più alto ruolo di custodio de la ley, qui rivisitato in chiave moderna alla luce del Principio de Oportunidad nella selezione dei casi sui quali avviare le indagini, entro i limiti stabiliti dalla legge.
Sempre nel contesto degli scenari interni sono collocati due scritti avvinti nella comune sfida ai tradizionali paradigmi giuridici, oramai imposta da un’evoluzione rapida e incessante che ha investito in pieno lo stesso processo penale. Significativo che a farsene carico siano gli allievi Pier Paolo Paulesu e Silvia Signorato, fedeli all’insegnamento del Maestro di interpretare il presente con lo sguardo tenacemente proteso al futuro. L’uno, affrontando il nodo dirompente “Intelligenza artificiale e processo penale. Una lettura attraverso i principi”, si interroga su quale sia il «confine tra l’uso e l’abuso tecnologico», nel percorso che attraversa il settore cautelare e le dinamiche probatorie (mediante l’impiego di «strumenti predittivi della IA ai fini decisori») sino a lambire la possibilità di prevedere l’esito di future decisioni su casi simili (veri e propri «strumenti di predizione decisoria» basati sulla IA). Il secondo contributo, nella consapevolezza che la postmodernità reca con sé «l’esigenza di diritti nuovi e di declinazioni sempre nuove dei diritti noti», schiude al tema “Diritto alla privacy ed esigenze investigative, tra incertezze normative e criticità sistematiche”, declinato secondo il discrimine tipicità e atipicità degli atti di indagine nel raccordo con l’art. 8 C.e.d.u. e l’art. 189 c.p.p. (in premessa, una profonda gratitudine verso il Professore quale esempio di rara libertà di pensiero, rigore scientifico e passione per l’arte capaci, insieme, di illuminare gli studi giuridici).
I restanti saggi della Parte Prima sono, invece, rivolti alle prospettive di riforma originate, anzitutto e specialmente, dalla legge 27 settembre 2021, n. 134 («Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari»). Nell’attesa del provvedimento che vi avrebbe dato attuazione (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150), esperti qualificati indirizzano acute riflessioni su taluni aspetti salienti oggetto dell’imminente novella, a cominciare dal discusso istituto, questo invero di applicazione immediata (art. 2 commi 2 lett. a, 3, 4 e 5 legge n. 134 del 2021), diretto a correggere le disfunzioni del mutato regime della prescrizione del reato, materializzatosi a partire dal 1° gennaio 2020 (art. 159 comma 2 c.p., come modificato dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3). Con il titolo “Annotazioni minime sull’improcedibilità disciplinata dall’art. 344-bis c.p.p.”, Emanuele Fragasso vi dedica una dotta trattazione per mettere in luce «il vizio della manifesta illogicità» della nuova previsione, nella misura in cui sancisce l’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, senza fissare una disciplina analoga in ordine al giudizio di primo grado.
Introduce nel comparto articolato delle direttive di delega della legge n. 134 del 2021 l’adiacente contributo di Serena Quattrocolo, con l’obiettivo di scandagliare il tema, carsico, relativo a “Presenza e assenza dell’imputato nel processo: nuove linee di tendenza nella riforma in corso”. Riannodati i prodromi della materia, nella staffetta indefessa tra Corte di Strasburgo (Corte e.d.u., Sez. II, 18 maggio 2004, Somogy c. Italia; Corte e.d.u., Sez. I, 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia; Corte e.d.u., Grande Camera, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia), legislatore (legge 22 aprile 2005, n. 60; legge 28 aprile 2014, n. 67), fonti europee (direttiva 2016/343/UE) e giudici di legittimità (Cass. pen., sez. un., 28 novembre 2019, n. 23948), l’elaborato prende in esame i tratti più innovativi della manovra da ultimo condensata nella delega (art. 1 comma 7) - su tutti, il proscioglimento per mancata conoscenza della pendenza del processo e la disciplina derogatoria per il latitante - senza tralasciare le futuribili implicazioni connesse alla riscrittura contestuale della disciplina delle notificazioni (art. 1 comma 6) e alla programmata implementazione del processo penale telematico (art. 1 comma 5).
A completare il quadro, nella medesima cornice della legge di delega n. 134 del 2021 si segnalano i due saggi, contigui, incentrati sui compositi criteri direttivi in materia di impugnazioni (art. 1 comma 13). Segnatamente, il loro travagliato iter (art. 7 d.d.l. n. 2435, c.d. riforma Bonafede; proposte di emendamenti al d.d.l. n. 2435, elaborate dalla Commissione costituita con decreto del 16 marzo 2021 dal nuovo Ministro della giustizia Marta Cartabia, c.d. Commissione Lattanzi; art. 1 comma 13 legge n. 134 del 2021, c.d. riforma Cartabia) trova una puntuale ricostruzione nello studio “Ripercorrendo le impugnazioni penali: dalla “riforma Bonafede” alla “riforma Cartabia””, a firma di Marta Bargis, con il pregio di portare allo scoperto la «via del declino» che segna il passaggio dalle proposte, rivoluzionarie, della Commissione Lattanzi al modesto distillato della riforma Cartabia. È, invece, di Paolo Ferrua il focus intitolato “La riforma Cartabia: verso una restrizione dei motivi di appello”, pregno di rilievi critici sulla prospettata riforma dell’impugnazione nel merito in rapporto al modello accusatorio di processo penale, dove non mancano presagi poco rassicuranti sul dilagare delle inammissibilità dell’appello (ma anche del ricorso per cassazione) quali «frutti avvelenati della improcedibilità».
Funge quasi da cerniera con il seguito dell’opera lo scritto che chiude la Parte Prima, prendendo in esame la riforma dell’ordinamento spagnolo per effetto del Regolamento (UE) 2017/1939 del 12 ottobre 2017 sull’istituzione della Procura europea. Con la dedica esplicita a Roberto Kostoris «gran europeísta» e, al contempo, «amigo y colega», ne tratteggia le ricadute Juan-Luis Gómez Colomer, al quale si deve l’analisi “La cohabitación en España del proceso penal especial en el que instruye la Fiscalía Europea, con los demás procesos penales en los que instruye un juez”, in una prospettiva utile alla comparazione, anche rispetto all’esperienza che ha interessato l’ordinamento italiano.
3. L’argomento è infatti ripreso, sebbene da un diverso angolo visuale, nella Parte Seconda del volume dedicata, appunto, agli “Scenari sovranazionali”. L’intelaiatura dei dieci saggi che la compongono si articola sui piani multilivello del sistema C.e.d.u., della Corte penale internazionale e della cooperazione giudiziaria in materia penale, assecondando interconnessioni tematiche e rifrazioni interne sulle quali la riflessione è aperta.
Lo si coglie in termini netti proprio nella disamina “Azione penale (e inazione) del pubblico ministero europeo” di Michele Caianiello, affine allo scritto del collega spagnolo ma, qui, incentrata più propriamente sul problematico rapporto di compatibilità tra le regole della Procura europea in materia di azione penale – «se agire (…) come agire (…) dove agire» sono i punti critici di un sistema votato al favor actionis – e i principi costituzionali dell’ordinamento interno (artt. 3, 24 e 112 Cost.). Tema che riecheggia, con le sue specificità, anche nello studio “Ibridismo e flessibilità dell’azione nel sistema della Corte penale internazionale”, di Massimo Bolognari: il quale, aprendosi a «una dimensione non più statocentrica del diritto processuale penale», secondo l’insegnamento di Roberto Kostoris, suo Maestro, descrive la natura «ambivalente» del Procuratore della Corte, analizza il principio di opportunità dell’azione penale e le forme atipiche di controllo, giurisdizionale e politico, operanti nel relativo sistema, per trarre le dovute conclusioni circa la fisionomia «ibrida» di questo nuovo modello di azione penale.
Alla Corte penale internazionale è, inoltre, dedicato l’attualissimo scritto “Is the International Criminal Court Jurisdiction Effective in the Event of an Aggression?”, a firma di Ioana Celina Paşca, che porta alla ribalta un quesito cruciale nella drammatica realtà del perdurante conflitto tra Russia e Ucraina. Mentre al concetto di «ibridazione», coniato da Roberto Kostoris per descrivere il contesto delle più recenti evoluzioni del processo penale, rimandano le riflessioni di Antonio Balsamo “Verso una strategia internazionale comune di contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata: le nuove frontiere processuali”, dove l’interrogativo concerne, più precisamente, la possibilità di estendere al contrasto alla criminalità di matrice terroristica la Convenzione di Palermo contro la criminalità organizzata internazionale, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 15 dicembre 2000: con l’auspicio di un rafforzamento della cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri dell’Unione europea e i Paesi terzi e di una reciproca assistenza nell’implementazione dei nuovi strumenti di ricerca della prova transnazionale, in specie la sorveglianza elettronica.
Ancor prima di affrontare i profili di giustizia penale internazionale e di cooperazione giudiziaria, la Parte Seconda dell’opera dedica, come detto, ampio spazio al sistema della “grande Europa” e, segnatamente, al giudizio di equità processuale (art. 6 C.e.d.u.) verso il quale proprio Roberto Kostoris ha indirizzato gli studi recenti.
Suo allievo presso l’Ateneo di Padova sin dal 2002, è Marcello Daniele ad aprire il confronto su questo delicatissimo tema, non senza aver espresso la sua profonda gratitudine verso colui che ne ha sospinto, negli anni, le ricerche con una «miscela di classicità e di modernità davvero unica»: la stessa guida che percorre saldamente il saggio intitolato “Due declinazioni del contraddittorio”, incentrato sul diritto di esaminare i testimoni a carico (art. 6 § 3 lett. d C.e.d.u.). Dove, peraltro, si ha la cura di denunciare le «sinergie degenerative» e il «nefasto influsso» che l’approccio europeo, ancorato a parametri sfuggenti, quali la decisività delle dichiarazioni e le garanzie compensative, potrebbe esercitare sui giudici nazionali, se non instradato verso la salvaguardia dei fondamenti irrinunciabili del sistema processuale interno. Senza soluzione di continuità, lo stesso argomento è coltivato nello studio, immediatamente successivo, dal titolo “Principio de contradicción y Convenio europeo de derechos humanos”, a firma di Giulio Illuminati, in cui l’accento si sposta sulle pronunce – ciascuna, un leading case – della Corte di Strasburgo in materia di diritto al confronto (Thomas c. Regno Unito, 2005; Al Khawaja e Tahery c. Regno Unito, 2011; Schatschaschwili c. Germania, 2015), anche in relazione al giudizio di appello (Kashlev c. Estonia, 2016), per poi soffermarsi sulla diagnosi dei fattori di crisi che affliggono un principio basilare del processo penale quale il contraddittorio nella formazione della prova.
Quanto precede apre una nuova prospettiva di analisi, il cui fulcro diviene, più specificamente, il ruolo della giurisprudenza europea nella stessa definizione del concetto di processo equo. Ne dissertano, in successione e con pluralità di accenti, studiosi italiani e stranieri.
Tra i primi, Alvise Boldrin, allievo nonché autore di “La Corte di Strasburgo e l’utilizzo del ʻprecedenteʼ in materia di equità processuale”, avverte del rischio che usi impropri del case-law ad opera della Corte finiscano per «incrinare sia la prevedibilità che la certezza del diritto convenzionale» e, in ultima analisi, lo stesso «affidamento dei singoli individui nella tutela delle più importanti garanzie processuali». Alla sua disamina fa eco Maria Lucia Di Bitonto, con il contributo in lingua inglese “The Revolutionary Impact of the Court of Strasbourg’s Case-Law on the Idea of ʻRes Judicataʼ in the Italian System of Criminal Procedure”, che offre una ricognizione dei rimedi volti a dare esecuzione alle sentenze della Corte e.d.u. che abbiano accertato l’iniquità del giudicato interno, elaborati sino ad allora dalla sola giurisprudenza interna (il nuovo art. 628-bis c.p.p., che ora se ne occupa ex professo, sarebbe stato introdotto con il d.lgs. n. 150 del 2022, attuativo della riforma Cartabia). Materia al cui sviluppo hanno aggiunto importanti tasselli proprio gli studi di Roberto Kostoris, al quale va il ringraziamento per aver posto i diritti fondamentali a baricentro del sistema processuale penale.
Sul versante straniero, è Paolo de Sousa Mendes l’autore, in lingua italiana, del saggio “L’importanza della giurisprudenza della Corte di Strasburgo nel rafforzamento del principio del processo equo (sul profilo penale)”, le cui riflessioni vogliono rendere omaggio agli insegnamenti che Roberto Kostoris ha saputo in prima persona trasmettere in occasione di una conferenza tenuta nel 2018 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Lisbona. Il case-law di Strasburgo valorizza, altresì, l’intrigante ricostruzione “Lawyer-Client Privilege and Computer Searches in Law Offices: the CaseLaw of the European Court of Human Rights and the Need for Common Standards in Transnational Criminal Investigations in the EU”, di Lorena Bachmaier Winter, dove la tutela dei diritti fondamentali si lega alla spinosa questione dell’ammissibilità della prova raccolta all’estero, in particolare in esecuzione di un ordine europeo di indagine penale, nell’intreccio fra prova informatica, indagini transnazionali e tutela delle prerogative difensive.
4. A corredo di tanta ricchezza e profondità di contenuti, con la consapevolezza di quanto il formato “Studi in onore” sia tuttora poco diffuso tra le opere collettanee nella materia processuale penale, resta ancora da rimarcare il valore aggiunto della raccolta qui presentata: che risiede nella capacità di veicolare un messaggio, incoraggiante pur nelle difficoltà del contingente momento, sullo stato di salute della ricerca scientifica in campo giuridico, proprio in virtù delle sue innate proprietà “autorigenerative”. La dimostrazione, insomma, che il ritorno alle origini – l’aver “cura” dell’opera (e) dei Maestri – è fonte di slancio. Quello che sospinge, chi studia, a muovere il prossimo passo.