ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Recensione  
30 Dicembre 2022


F. Malzani, Le dimensioni della dignità nel lavoro carcerario, Giappichelli, 2022


1. La recente monografia di Francesca Malzani offre una brillante ed aggiornata trattazione dei profili del lavoro carcerario.

Nella prospettiva di Malzani, il pieno riconoscimento della dignità dei detenuti deve essere considerato lo strumento per eccellenza per rimediare alla loro particolare vulnerabilità e, per questa via, conseguire gli obiettivi di reinserimento sociale. Così delineati gli obiettivi dell’opera nel primo capitolo, la parte ricostruttiva affronta separatamente la disciplina del lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria (nel secondo capitolo) e quella del lavoro dei detenuti «nel mercato», alle dipendenze cioè dei soggetti privati che operano all’interno e all’esterno del carcere (oggetto del terzo capitolo), per poi affrontare, nel quarto capitolo, il tema dell’estensione ai detenuti delle misure di contrasto alla povertà.

 

2. La giustificazione della scelta della dignità come criterio interpretativo e valoriale per la rilettura critica dei vari istituti del lavoro carcerario si fonda sul doppio binario della realizzazione degli scopi costituzionali e di una ragione tutta interna al trattamento sanzionatorio, che appare, quest’ultima, la cifra distintiva della monografia.

Correttamente, Malzani osserva come la commissione del reato, e tanto più lo stato di detenzione, siano associati ad uno stato di vulnerabilitàessa è definita, come avviene per la povertà, per sottrazione (lack of): mancanza di potere, autonomia, istruzione, cultura, relazioni, censo o – nel caso del carcere - libertà», p. 4) e che la dignità della persona, valore ultimo dell’insieme delle norme costituzionali di diritto del lavoro, possa avere una valenza ripristinatoria dello stato di vulnerabilità e quindi di ausilio nella realizzazione dell’obiettivo di reinserimento sociale: «il trattamento serve a ridurre la vulnerabilità, ma ciò è possibile solo se la dignità della persona è rimessa al centro del percorso di rieducazione» (ancora p. 4). La dignità ha quindi in sé un’efficacia trattamentale e favorisce il reinserimento sociale. Al tempo stesso, ovviamente, garantire la dignità dei reclusi nel lavoro consegue ai principi fondamentali della Costituzione Italiana e della Carta di Nizza, di cui l’Autrice dà conto, in una ricostruzione dialogica con le norme vigenti dell’ordinamento penitenziario (p. 8 ss.).

Sempre nel primo capitolo Francesca Malzani offre al lettore un ampio excursus delle implicazioni più recenti della dignità in aree del diritto penitenziario contigue a quella del lavoro subordinato, in tema di tutela della salute, a proposito dei rimedi risarcitori in caso in caso di detenzione in spazio inferiore ai tre metri quadrati (ex art. 35 o. p. e art. 3 della CEDU, cfr. p. 21 ss.) e in tema di tutela dell’affettività dei detenuti, a proposito delle norme a presidio dei contatti con i famigliari e con la prole (p. 33 ss.), sempre nella prospettiva euristica per cui vi è un rapporto di condizionamento diretto tra azioni a tutela della dignità, modernità del sistema penitenziario e successo del progetto di reinserimento.

 

3. Lo scopo di promozione della dignità della persona, ovviamente, si realizza primariamente attraverso il lavoro («effetto salvifico», p. 44).

Il secondo capitolo dell’opera di Malzani ha il pregio di far scorgere l’alternativa, drammatica, tra l’interpretazione contemporanea, secondo cui il lavoro del detenuto per l’amministrazione penitenziaria è lavoro subordinato ordinario con il connesso corredo di obblighi e di diritti, e la storia del lavoro carcerario; sono preziose le notazioni di Malzani sulla disciplina degli anni Trenta, quando il lavoro carcerario era coattivo, in una visione paternalistica di lotta all’ozio, se non in ottica punitiva (p. 46). L’alternativa rispetto all’equivalenza – piena: causale, dogmatica, valoriale, di disciplina – tra lavoro del detenuto e della persona libera è accettare un tasso, sia pure variabile, di lavoro forzato, come sorprendentemente si coglie dalle osservazioni di Malzani della presenza nelle Convenzioni OIL sul lavoro forzato di tutte le caratteristiche del lavoro carcerario non retribuito (p. 48).

Il prosieguo della trattazione sul lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria ci offre un articolato quadro delle evoluzioni legislative e giurisprudenziali che conducono oggi la dottrina ad affermare che il lavoro carcerario non abbia alcuna diversità ontologica rispetto al lavoro libero (p. 54 ss.), per soffermarsi poi su quello che è oggi l’unico profilo di sensibile scollamento: l’art. 22 dell’ordinamento penitenziario, che ammette una decurtazione di due terzi della retribuzione rispetto al lavoro libero, per effetto di una tuttora non superata sentenza della Consulta del 1988, fondata su una supposta concorrente finalità formativa del contratto di lavoro con il detenuto. La sentenza, verosimilmente frutto del suo tempo e di inevitabili compromessi incentrati sui vincoli di compatibilità finanziaria dello Stato, è criticata da Malzani, che, riprendendo le categorie della dignità e della vulnerabilità enunciate nel primo capito, evidenzia come essa sia incorsa in un ragionamento improntato alla «infantilizzazione» (p. 77) e alla «semantica della vulnerabilità»” (ibidem).

Colpisce che, a questo punto della trattazione, Francesca Malzani non si faccia sostenitrice della parità di trattamento retributivo sulla natura meramente apparente della finalità formativa richiamata nella sentenza del 1988, in combinazione con l’obiettivo della promozione della dignità delineato in apertura. Forse consapevole delle potenziali fragilità di una ricostruzione rivolta a superare l’art. 22 o.p. solo sulla base del principio della dignità, l’Autrice invita piuttosto a riflettere su una possibile linea di collegamento tra il lavoro carcerario e il più vasto tema degli «working poor», per farsi quindi promotrice della legge sul salario minimo, proposta quale possibile strumento per risolvere anche il tema dell’insufficienza della retribuzione riconosciuta anche ai detenuti (p. 81 ss.).

 

4. Il terzo capitolo del lavoro di Malzani esamina il tema delle relazioni di lavoro dei detenuti con le imprese private, all’interno e all’esterno del carcere, all’insegna dell’idea chiave per cui il reinserimento e la dignità si realizzano non solo attraverso il riconoscimento dei diritti nel rapporto, ma anche con la solidarietà delle imprese e degli intermediari del mercato del lavoro verso le persone che vivono il percorso della sanzione penale (cfr. p. 177).

Nel caso del lavoro con le imprese private, infatti, il problema interpretativo non si pone all’interno del rapporto – il diritto alla retribuzione non è qui soggetto al limite dei due terzi, come noto e come confermato dall’approfondimento sulle fonti di cui a p. 101 ss. dell’opera – ma si sposta piuttosto sull’esistenza stessa di un’occasione di lavoro. Sul punto, l’approfondimento di Malzani è informativo ma al tempo stesso prospettivo. Tutta la complessa trama delle agevolazioni contributive, dei crediti di imposta e dell’incentivazione all’assunzione dei detenuti è ricostruita (p. 95 ss.).

Segue uno dei passaggi più interessanti del volume in cui l’Autrice riesce a far percepire al lettore come il percorso legislativo inteso alla creazione degli incentivi per gli imprenditori diretti a favorire l’assunzione dei detenuti si sia spinto troppo oltre nel 2018, quando, con la riforma dell’art. 20-ter dell’ordinamento penitenziario, si è prevista la possibilità per i detenuti di svolgere, a loro richiesta, lavori di pubblica utilità, ossia lavoro gratuito con finalità sociali, all’interno degli istituti di pena; come Francesca Malzani osserva, le misure in tema di lavoro gratuito del detenuto «riesumano l’idea del lavoro carcerario come forma, se non di vera e propria espiazione, di lotta all’ozio, senza alcun tipo di corrispettività», e «stridono con … la funzione rieducativa ed emancipatoria del lavoro remunerato» (p. 117).

Terreno dell’elezione del tema della promozione della dignità attraverso la solidarietà del mercato del lavoro verso la popolazione detenuta sono le ampie ricostruzioni in tema di responsabilità sociale di impresa e incremento delle offerte di lavoro delle imprese private a favore dei detenuti (p. 103 ss.), valorizzazione dell’importanza dell’azione dei servizi territoriali per l’impiego per agevolare nuove occasioni di lavoro per i detenuti (p. 119 ss.), modalità di accesso di occasioni formative originate dall’esterno dell’istituto di pena al suo interno (p. 130 ss.), partecipazione dei detenuti a tirocini professionali, da svolgersi all’interno o all’esterno del carcere (p. 135 ss.).

 

5. Nel quarto capitolo del volume, l’Autrice conduce il lettore sui temi della sicurezza sociale. Non può non condividersi l’idea di Malzani per cui vi è una diretta linea di comunicazione tra lotta alla povertà, anche della persona in stato di detenzione, e reinserimento sociale. Differenziare l’accesso dei detenuti alle misure di contrasto dell’esclusione sociale, come il reddito di cittadinanza o l’assicurazione contro la disoccupazione, rispetto a quanto sia previsto per le persone libere tradisce una violazione del contratto sociale e del principio di uguaglianza, secondo una logica che è antitetica rispetto ad una prospettiva inclusiva, ed è controproducente rispetto agli obiettivi del reinserimento e della pace sociale (p.: «è doveroso agire prima che gli ultimi diventino fantasmi» (p. 149).

La ricostruzione di diritto positivo evidenzia come la materia, sia pure con difficoltà e non senza incertezze, nel tempo, sia evoluta in modo coerente con questi obiettivi, con l’ormai generalizzato riconoscimento del diritto di accesso all’assicurazione contro la disoccupazione (grazie al formante giurisprudenziale e nell’assenza di chiare disposizioni normative contrarie, cfr. p. 161 ss.), nel quadro dell’art. 20 o.p. di incondizionato accesso dei detenuti lavoratori al regime assicurativo e previdenziale, ma anche della pronuncia 137 del 2021 della Consulta con cui è stata dichiarata l’illegittimità dei commi 58 e 59 dell’art. 2 della legge 92/2012 in tema di revoca di alcuni trattamenti assistenziali in caso di condanna in via definitiva per reati di mafia e terrorismo. A questa linea di tendenza si contrappongono specifici istituti che tuttora, per espressa previsione legislativa, escludono i detenuti dal proprio campo di applicazione, come è per il Reddito di Cittadinanza, pure oggetto di specifico approfondimento nell’opera di Francesca Malzani.