Recensione  
23 Febbraio 2023


I. Merenda, Le circostanze del reato tra prevenzione generale e speciale, Giappichelli, 2022


Federico Consulich

La riflessione di Ilaria Merenda ruota attorno ad una domanda che, fin dalla sua formulazione, aiuta a fare ordine nella sistematica del penalista. Quale dovrebbe essere il posto delle circostanze nel nostro ordinamento? Precisamente: sarebbero da collocare dentro o fuori il margine edittale delle fattispecie incriminatrici?

Nel titolo la chiave di lettura: è la funzione della sanzione a guidarci alla risposta, perché ovviamente le circostanze partecipano a pieno titolo del procedimento commisurativo.

Posta la premessa, presto ne viene la conseguenza. Al cospetto di limiti edittali sistematicamente attestati, nel massimo, al confine della ragionevolezza (spesso oltre), non ha alcun senso un ulteriore incrudelimento punitivo: i massimi edittali sono così patologicamente alti da retribuire in modo proporzionato fatti tipici pur di disvalore massimo[1]; quel che occorre è semmai razionalizzare l’uso della pena, aiutando il giudice a riconoscere i casi che meritino una pena prossima al limite superiore del margine commisurativo.

Le circostanze allora, specialmente se speciali e se aggravanti, potrebbero svolgere finalmente una funzione all’interno dell’arco edittale, conferendo razionalità al comparto sanzionatorio come vere e proprie guidelines[2].

Inutile, infatti, pretendere di eliminare la discrezionalità dell’applicatore, anzi sarebbe dannoso, se si vuole una reazione punitiva proporzionata al fatto concreto. A tale ultimo scopo però, occorre essere consapevoli che la discrezionalità inespropriabile di cui è titolare il giudice va guidata, cosa che oggi non accade, e non accade da tempo, nel nostro sistema[3].

L’eccessiva ampiezza delle cornici di pena per tante fattispecie, l’emersione di fattori processuali di determinazione della sanzione in concreto, del tutto indipendenti dai parametri di cui all’art. 133 c.p., nonché pulsioni generalpreventive inconfessabili hanno finito per generare un sistema parallelo, se non eversivo, dei procedimenti commisurativi[4].

Non è un caso che la riflessione di Ilaria Merenda inquadri la tematica nel seno della crisi della legalità, perché proprio nelle circostanze, nella gestione processuale della sequenza, spesso infranta, contestazione-riconoscimento-bilanciamento, si riconosce il consueto scollamento tra legge e giudice che caratterizza il diritto di oggi. Non si può che concordare con l’Autrice: il legislatore, per quanto aspiri a farlo, non può né potrà mai sostituirsi al giudice perché, semplicemente, si muove sul piano diverso e non tangenziale con il fatto concreto[5]; piuttosto occorre fornirgli parametri condivisi e predeterminati che possano orientarne l’attività, ‘minacciandolo’ di impiegare quella criteriologia commisurativa per sindacare ex post, la scelta della pena. Non poca cosa: rispetto ad oggi sarebbe una rivoluzione, stante lo svuotamento dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 132 c.p. da decenni denunciato[6].

A fronte di tale scenario, quello dell’Autrice è un serio tentativo di porre il valore delle circostanze al centro della riflessione su un sistema sanzionatorio disintegrato; esse possono trasformarsi da accidente che opera fuori a criterio che opera per lo più entro l’arco edittale, quale ulteriore parametro commisurativo rispetto a quelli di cui all’art. 133 c.p. A ben pensarci, infatti, si tratta di meccanismi, casisticamente orientati, di graduazione della pena poichè il tipo circostanziale ritaglia entro il fatto sottoclassi di comportamenti, definiti secondo il disvalore che esprimono[7].

Non tutte le circostanze sono uguali, non tanto per l’effetto differente che hanno sulla pena finale, ma dal punto di vista funzionale.

Si pensi alle aggravanti. Tra esse solo quelle speciali sono in grado di accrescere la funzione descrittiva del tipo (attraverso l’enucleazione di sottotipi in base al disvalore espresso)[8]. Quelle comuni, invece, ad eccezione delle ipotesi riferite a particolari forme di criminalità come quella organizzata e terroristica, proprio perché riferibili ad ogni illecito, non descrivono commisurando, ma commisurano tout court: Dunque ben potrebbero rientrare nella griglia di commisurazione già prevista dall’art. 133. Incidentalmente si rileva che, così facendo, si decomprimerebbe, anche per la diminuzione statistica della necessità di ricorrervi, la pressione sul giudizio di bilanciamento, che dovrebbe essere riservato alle sole aggravanti e attenuanti previste nella parte speciale[9].

Fuori dall’art. 133, ed entro la cornice edittale del singolo reato, le circostanze aggravanti speciali fungerebbero quindi da regole di quantificazione giudiziale della pena, definendo quale modello di comportamento meriti una sanzione massima o pressoché massima[10].

Quanto alle attenuanti, invece, preme rilevare che sono molte le ipotesi in cui il comportamento conforme al tipo sia immeritevole anche della pena attestata al margine inferiore. Non a caso lo sforamento verso il basso del minimo è percepito dalla maggior parte dei commentatori come ragionevole[11] perché, diversamente dallo sfondamento verso l’altro, non è mai correlato a funzioni simboliche, ma sempre ad esigenze di individualizzazione del trattamento sanzionatorio. Naturalmente anche per le attenuanti si dovrebbe concentrarne la portata derogatoria favorevole con riferimento a quelle comuni, nonché a quelle speciali ma riferite a comportamenti successivi al fatto e riferite a condotte collaborativo-riparatorio[12].

La proposta finale, tutta pretesa alla legge che verrà, è pratica e proprio per questo agevolmente afferrabile.

Si tratta di proposta di indubbia portata semplificatrice, poiché una delle patologie dell’universo delle circostanze è la loro pletoricità: la loro riconduzione entro la cornice del singolo reato, in uno con l’eliminazione di quelle che implichino un arco edittale autonomo (da elevare se del caso a fattispecie autonome) non può che giovare alla leggibilità del sistema.

Iniziativa coraggiosa tanto più per la consapevolezza di essere destinata a scontrarsi, come evidente fin dal titolo, con la logica della prevenzione generale che permea ogni scelta in tema di pena nel nostro ordinamento. Un parametro di validità della pena che nessun legislatore sembra voler indebolire, un nemico della razionalità rieducativa incarnato da molteplici meccanismi di stampo presuntivo sperimentati nel tempo dal legislatore e paradigmaticamente rappresentati nel campo delle circostanze dalla c.d. blindatura.

Ecco il quid pluris del lavoro: la pulsione sistematica, pur in un tempo e in un diritto che ha dimenticato che la gravità di un reato è un valore relativo, che va determinato in rapporto all’intera disciplina della commisurazione e a quanto previsto dalle altre incriminazioni e mai in sè[13]. Ogni riforma dell’apparato sanzionatorio non può tralasciare, come invece è finora è accaduto, il ruolo delle aggravanti e delle attenuanti, per due ordini di ragioni. In primo luogo, perché se non le si considera, si ottiene una rappresentazione fuorviante della pena in action; in secondo luogo, perché l’abuso di aggravanti ha deturpato la razionalità della commisurazione della pena, esponendola all’arbitrio applicativo e alla penetrazione, costituzionalmente illegittima, della prevenzione generale nella punizione del singolo[14].

Se questo è vero ogni riforma che non sia organica, e coinvolga quindi tutte le pene edittali[15], le circostanze, i meccanismi processuali di commisurazione, è destinata a fallire.

Il senso più intimo del lavoro è dunque marcatamente politico-criminale e propositivo: si disegna una strada per tradurre le circostanze da sterile elenco di fattori di adeguamento della pena in una risorsa imprescindibile per razionalizzare il rapporto tra legge e giudice.

Per inciso: si noterà che molti dei lavori citati in questa recensione non sono recenti, eppure veicolano analisi tuttora attualissime. Non vi è migliore dimostrazione della cronicità della patologia che affligge il sistema sanzionatorio e le pagine di Ilaria Merenda segnano il passaggio dalla diagnosi alla terapia.

 

 

[1] Sul rapporto tra aggravanti e offesa Spena, Accidentalia delicti? Le circostanze nella struttura del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 667.

[2] Per una modellistica in materia di sentencing guidelines rimane insuperata l’analisi di Mannozzi, Razionalità e ‘giustizia’ nella commisurazione della pena, Padova, 1996, 197 ss.

[3] Sull’assenza di uno scopo cui orientare la sanzione e sulla ricaduta che questo implica sul piano della incontrollabilità della commisurazione Dolcini, Discrezionalità del giudice e diritto penale, in Diritto penale in trasformazione, Milano, 1985, 261 ss.

[4] Sono sempre valide le considerazioni di Monaco e Paliero, Variazioni in tema di “crisi della sanzione”: la diaspora del sistema commisurativo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 428, nonché di Dolcini, La commisurazione della pena tra teoria e prassi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, 55 ss.

[5] Sul punto anche Brunelli, Riformare il penale, tra l’abbandono del codice e la centralità della legge, in Arch. pen., 2019, 989 ss.

[6] Marinucci-Dolcini-Gatta, Manuale di diritto penale, Milano, 2022, 796.

[7] Merenda, Le circostanze del reato tra prevenzione generale e speciale, Torino, 2022, 163.

[8] Così Pellegrini, Circostanze del reato: trasformazioni in atto e prospettive di riforma, Firenze, 2014, 146.

[9] Merenda, Le circostanze del reato tra prevenzione generale e speciale, cit., 210.

[10] Merenda, Le circostanze del reato tra prevenzione generale e speciale, cit., 162.

[11] Pulitanò, Circostanza del reato. Problemi e prospettive, in Scritti in memoria di G. Marini, Torino, 2010, 718.

[12] Merenda, Le circostanze del reato tra prevenzione generale e speciale, cit., 210.

[13] Padovani, La disintegrazione attuale del sistema sanzionatorio e le prospettive di riforma: il problema della comminatoria edittale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 426.

[14] Il giudice non può perseguire nel rapporto con il singolo imputato alcun programma general preventivo pur concepito nella comminatoria astratta dal legislatore, in particolare allorchè fissa il massimo edittale, poiché è evidente che la proporzione e il personalismo cui l’irrogazione devono guardare non permettono travisamenti della pena in concreto come strumento di politica criminale, si veda Donini, Per una concezione post riparatoria della pena. Contro la pena come raddoppio del male, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1187 ss. Lo stesso Autore pure riconosce che la sanzione inflitta all’imputato in carne e ossa inevitabilmente è contaminata dalla logica generalpreventiva che anima la previsione legislativa, cfr. Id., La selezione processuale dell’autore, in Il volto attuale dell’illecito penale, Milano, 2002, 276.  Sulla presenza nella prassi di preoccupazioni general preventive che spingono il giudice a pene più severe del dovuto, con conseguente spersonalizzazione della responsabilità penale ancora Id., Le logiche del pentimento e del perdono nel sistema penale, in Studi in onore di F. Coppi, II, Torino, 2011, 911.

[15] Sulla necessità di una revisione organica delle pene, tanto nei massimi quanto nei minimi, Pulitanò, Circostanze del reato, cit., 717.