1. La ricerca di un preciso momento temporale al quale ricollegare il termine della rilevanza penale di una condotta umana è sempre stata di grande interesse per la dottrina[1]. In tal senso, l’ultima opera di Manuel Bianchi affronta la questione cercando di risolvere la storica controversia su cosa si debba intendere per “consumazione” del reato e se sia auspicabile una scomposizione di tale categoria tra momento di realizzazione della fattispecie tipica ed eventi susseguenti[2].
D’altra parte, questa distinzione è stata oggetto di un intenso dibattito che ha visto coinvolti insigni giuristi del passato[3] e che è tuttora accolta da una parte della dottrina penalistica[4].
Come evidenziato dall’ Autore, la questione è dibattuta anche presso la dottrina tedesca, dove si parla di distinguere tra consumazione “formale” (Vollendung) e “sostanziale” (Beendigung) del reato[5].
Più precisamente, oggetto d’indagine privilegiato da Bianchi è l’ammissibilità, e la possibile utilità nella dogmatica penale, della categoria di consumazione finale e sostanziale, nonché tutti i possibili risvolti collegati ad un eventuale risposta affermativa.
Andando oltre il classico dibattito tra fattispecie tentata e consumata, l’opera si propone di indagare sulla rilevanza o meno del cosiddetto “postfatto” non punibile[6], a prescindere dagli spazi già determinati normativamente da un lato nella commisurazione della pena[7], dall’altro nella disciplina del reato continuato[8].
Due sono i quesiti ai quali nell’opera si prova a dare soluzione: in primis se una nozione di Beendigung possa essere compatibile con i principi e le garanzie dell’ordinamento penale o, per contro, se rischi di inverare ricadute contra reum; in secondo luogo, lo studio indaga l’eventualità per cui tale esercizio non sia del tutto superfluo, portando all’elaborazione di «un vacuo concetto, che rispetto alle classificazione già esistenti non garantisce né migliori prestazioni analitiche né una maggiore utilità pratica»[9].
L’ordine della trattazione, quindi, parte dall’analisi delle soluzioni formali “pure”, che negano l’esistenza o la necessità di una nozione di consumazione “sostanziale” nel nostro ordinamento.
Si passa poi in rassegna l’orientamento opposto, di matrice giurisprudenziale[10], che dà rilevanza a qualunque “postfatto” come elemento di differimento della consumazione, proponendo una risposta sostanziale “pura”.
Nella parte conclusiva, l’Autore propone delle soluzioni ai suddetti quesiti, dando risposta affermativa alla possibilità di individuare delle tracce del concetto di “ultimazione” nel nostro ordinamento e offrendo una sintesi tra orientamenti “formalisti” e “sostanzialisti” tramite una connotazione alla luce del principio di legalità e una valorizzazione dei possibili effetti in bonam partem.
2. La necessità di delimitare cronologicamente le condotte penalmente rilevanti e di individuare un effettivo momento di realizzazione dell’illecito è sempre stata oggetto di dibattito. La protrazione temporale in alcune fattispecie assurge a vero e proprio requisito essenziale, andando a configurare i cc.dd. “reati di durata”[11].
Da questa premessa, l’Autore dà inizio alla sua analisi col passare in rassegna la concezione formale della consumazione, incentrata sulla negazione di una nozione di consumazione “sostanziale” o “finale”.
Egli non si mostra particolarmente favorevole a tali orientamenti, che, a suo parere, omettono di considerare possibili effetti favorevoli al reo, comunque rientranti nel perimetro della tipicità.
Va tuttavia riconosciuto pregio al fondamento di queste teorie, ossia un forte ancoraggio al principio di legalità e ai suoi corollari, nonostante anche su questo punto Bianchi individui un punto di criticità da non sottovalutare.
Premessa di tale paradigma è la negazione della configurabilità normativa di vere e proprie fattispecie incriminatrici di “durata”[12]. La dottrina in questione[13] sostiene che della necessaria rilevanza della “durata” non vi sarebbe traccia nel diritto positivo[14], trattandosi di un carattere meramente naturalistico appartenente all’alveo della fattispecie concreta.
Tali autori riconoscono come unica disciplina effettivamente tipizzata quella del reato permanente, negando che si possa dare legittimità ad ulteriori categorie incentrate sulla protrazione o sulla rinnovazione delle condotte del reo nel tempo[15] ed esprimendo riserve sulle necessità della permanenza come connotazione normativa “necessitata” per specifiche fattispecie[16].
L’Autore rigetta tali riserve sull’esistenza di un concetto di “durata” quale connotato giuridico essenziale di determinate figure criminose, essendo ciò un ineludibile riflesso della dimensione ermeneutica del principio di offensività[17]. Nel Codice penale sono individuabili diverse norme che contemplano fatti che devono avere un minimum di protrazione temporale per potersi perfezionare[18], così come è pacifica l’esistenza dei reati cc.dd. istantanei[19] che non necessitano di un continuum cronologico per essere integrati sul piano della tipicità.
Porre una mera questione terminologica, interrogandosi se sia più appropriata la definizione di “permanenza” rispetto al genus più ampio di “durata”, come nota Bianchi, rischia di non cogliere spunti analitici ben più interessanti.
L’Autore passa poi ad analizzare come una pura concezione formalistica della consumazione non offra risposte soddisfacenti sul piano teorico e applicativo nella descrizione della durata quale requisito tipico[20] «proprio per la naturale incapienza della sola figura codicistica del reato permanente a regolare tutte le ipotesi di durata, i paladini della legalità formale sono infine costretti a stravolgere i connotati tipici di tale modello pur di farvi rientrare anche fattispecie che nulla avrebbero a che spartire con esso, perché viceversa caratterizzate da innegabili intermittenze e soluzioni di continuità: segnatamente, i reati abituali e i cc. dd. reati a struttura iterativa»[21].
La tesi nichilistica è inoltre da rigettare anche per le diverse criticità interpretative tuttora aperte, come testimoniano diverse pronunce giurisprudenziali che hanno dovuto più volte chiarire in quali termini il concetto di “durata” influisca sulla tipicità[22].
L’Autore, alla luce di tali considerazioni, definisce già da questa prima analisi quale sia la nozione di “consumazione sostanziale” da propugnare: «uno sviluppo eventuale, non necessario ai fini dell’integrazione della fattispecie astratta (perfezione); eppure tipico (tatbestandsmäβig), perché ricalcante le specifiche modalità di lesione descritte dalla legge»[23].
Non vengono tralasciati, tuttavia, i problemi derivanti dal riuscire ad applicare questa connotazione ai reati sottoposti a una condizione obiettiva di punibilità e ai reati aggravati dall’evento, fattispecie sulle quali appare arduo affermare se una distinzione tra “perfezione” ed “ultimazione” sia di alcuna utilità[24].
Concludendo la disamina sull’approccio formalistico “puro”, Bianchi individua la maggiore criticità nel non tenere in considerazione le possibili ricadute positive in favor rei[25] del concetto di “ultimazione”. Facendo coincidere “durata” e “permanenza” “risulta precluso di valorizzare tale situazione, proprio perché – com’è noto – la legge penale italiana limita la disciplina del reato permanente soltanto a ciò che concerne gli effetti contra reum”[26].
Come si vedrà nel proseguo, questo orientamento non offre abbastanza garanzie dai rischi di analogia o di “creatività” che sembrano frequentemente percorrere la giurisprudenza nostrana, che si è fatta promotrice di un orientamento sostanzialistico in materia di “consumazione”.
3. L’Autore sottopone a critica anche le soluzioni sostanzialistiche “pure”, sviluppate perlopiù dalla giurisprudenza tramite la figura della c.d. consumazione prolungata[27], con il fine di contrastare più marcatamente determinate condotte delittuose il cui disvalore solo in parte era ricompreso nella dimensione formalistica[28].
Storicamente, questa nuova forma di reato unico «alternativa sia rispetto alle ricostruzioni in termini di postfatto non punibile sia a quelle in termini di pluralità di reati in continuazione»[29] nasce nell’ambito dei reati contro il patrimonio, in particolare riguardo alle fattispecie di truffa[30].
Nella prima pronuncia che tratta questa figura, di cui non si trova traccia nel Codice, la Suprema Corte definisce la fattispecie “a consumazione prolungata” come un reato «che sin dall’inizio si prospetta nella volontà di chi intende commetterlo come un'azione che sfocia in un evento che continua a prodursi nel tempo, aumentando logicamente a mano a mano la propria entità. Quando l’azione esecutiva è idonea, ai sensi del secondo comma dell’art. 49 cod. pen., ed ha conseguito l’effetto causale che ne discende, colui che l'ha attuata con coscienza e volontà ne continua a rispondere, ove non ne interrompa egli stesso l'effetto, anche se questo, e cioè l’evento che continua a protrarsi nel tempo, poteva essere interrotto dalla stessa parte offesa. L’entità del danno subito va valutata unitariamente»[31].
In virtù delle distinzioni terminologiche che emergono nella copiosa giurisprudenza sull’argomento, appare «assai difficoltoso comprendere se i giudici di legittimità, con l’impiego delle diverse locuzioni […] abbiano inteso descrivere un fenomeno unitario, oppure se con ciascuna delle locuzioni impiegate abbiano voluto far riferimento ad un fenomeno a sé stante»[32]. Si registrano anche differenziazioni per ciò che concerne la qualificazione giuridica; «talvolta, infatti, un certo quadro fattuale perdurante nel tempo dopo il momento consumativo viene considerato come un unico reato a consumazione prolungata […] in altri casi; invece, un quadro fattuale simile viene ricondotto alla permanenza, oppure ad un concorso materiale omogeneo di reati in successione, eventualmente unificato dalla continuazione»[33].
Tuttavia, la giurisprudenza ha continuato a preservare la figura nel suo repertorio. Ad esempio, nei casi di indebita percezione di erogazioni di fondi pubblici, fattispecie introdotta con l’art. 316-ter nel 2010[34], affermando che, nel valutare il superamento o meno della soglia di non punibilità stabilita dalla legge, bisogna aver riguardo non solo alla prima riscossione, ma anche a quelle successive che vanno a costituire l’ammontare complessivo di quanto indebitamente percepito[35].
Bianchi rileva come lo sviluppo di tale categoria abbia come fine il differimento del termine prescrizionale[36]. Questo tentativo non è stato mai sorretto da una corretta individuazione di un ragionevole fondamento normativo proprio in ragione di un quadro di law in action anch’esso molto frastagliato.
L’Autore pone l’accento sul fatto che ciò va ben oltre i limiti della legalità formale, violando il divieto di analogia.
Preziosa è l’indicazione da parte dell’Autore su come un tale orientamento sia frutto di un equivoco tra momento consumativo e momento commissivo dell’illecito[37], avvalorando la necessità di delimitare chiaramente la distinzione tra “realizzazione” e “ultimazione”, anziché negarla in toto.
La necessità di operare la suddetta distinzione è ravvisabile nel dibattito relativo alla novella legislativa in tema di usura[38] che ha portato all’introduzione dell’art.644 ter[39]. Il legislatore ha così risolto la controversia in relazione alla decorrenza del termine prescrizionale, con un’interpretazione autentica che dà rilievo all’ultima percezione di capitali e/o interesse, anche se successiva alla stipulazione del pactum sceleris[40].
Come nota Bianchi in merito: «un conto è il momento consumativo dell’illecito, con la quale tale norma non ha nulla a che fare, ben altro conto è il cd. tempus commissi delicti, o momento commissivo, l’unico a rilevare in tema di applicazione della legge penale nel tempo»[41].
Tali problematiche sembrano manifestarsi soprattutto in relazione ai delitti “a condotta alternativa”, poiché non vi è comunanza di opinione sul se a rilevare debba essere la prima condotta messa in atto o l’ultima[42].
Anche le fattispecie corruttive sono state interessate da tale dibattito, pur in assenza di una legge di interpretazione autentica[43].
Sul punto, la questione s’incentra sulla possibilità che l’offesa si realizzi sia tramite promissio che tramite datio; questo farebbe propendere per considerare l’ultima condotta attuata come consumazione “finale” del reato[44]. Questa posizione in passato è stata condivisa anche dalla Suprema Corte[45], con forti analogie, seppure non espresse, con lo schema del reato a consumazione prolungata[46].
Tuttavia, pare ormai definitiva la trasformazione dei delitti di corruzione in veri e propri reati permanenti[47], a maggior ragione all’indomani delle modifiche ad essi apportati dalla c.d. riforma Severino[48].
A parere di Bianchi, nelle pronunce di legittimità successive alla riforma, «i Giudici partono dal presupposto, peraltro opinabile, che la corruzione per l’esercizio della funzione rappresenterebbe una violazione di pericolo, mentre quella di un atto contrario ai doveri d’ufficio ne costituirebbe un risvolto in termini di danno[… ] mentre tradizionalmente si riteneva che, rientrando il compimento dell’atto illegittimo nel fuoco del dolo specifico, cioè com’è noto di una finalità eccedente il Tatbestand, esso non incidesse minimamente sulla consumazione»[49].
Tale orientamento, seppur ancora sul crinale della legittimità, rischia di aprire il varco ad interpretazioni iper-sostanzialistiche, peraltro ravvisabili anche per altre fattispecie come il riciclaggio[50], dando piena legittimità all’impiego indiscriminato della categoria della consumazione prolungata.
Come affermato dall’Autore e da autorevole dottrina[51], un modo di procedere sostanziale “puro” espone a palesi contrasti con il principio di legalità e coi suoi corollari. Appare doveroso rigettare tale interpretazione, meramente naturalistica, della fattispecie penale, foriera di possibili gravi ricadute in malam partem.
4. In conclusione, Bianchi offre un’interessante prospettiva sugli effetti favorevoli al reo che la consumazione “finale”, o “ultimazione”[52], potrebbe produrre.
A titolo d’esempio, vengono illustrati risvolti positivi «in termini di estensione dell’ambito di applicabilità della legittima difesa, dell’area di non punibilità dell’agente provocatore e dei casi di concorso apparente di norme, a scapito del concorso di reati»[53].
Permane la problematicità delle interpretazioni giurisprudenziali precedentemente accennate che, praeter legem[54], tendono a spostare sempre più in avanti la reale consumazione dell’illecito, rendendo molto sfumata la distinzione tra factum rilevante e post factum irrilevante[55].
Sul punto, come affermato nell’opera: «la consumazione finale del reato – giova ribadirlo – non è concepibile dal punto di vista giuridico, se non come strettamente ancorata alla tipicità formale del fatto»[56]; ossia, occorre andare oltre orientamenti dottrinali e giurisprudenziali fondati sul mero dato naturalistico[57].
Suscita grande interesse l’opzione proposta dall’Autore: preservare la legalità formale valorizzando i possibili effetti in bonam partem su diversi istituti, senza però forzare eccessivamente il tenore letterale della legge.
La nozione di consumazione “finale”, rintracciabile, secondo Bianchi, nel nostro codice[58], è incentrata sulla rinnovazione del disvalore dell’azione e sull’amplificazione del disvalore dell’evento, in base alla fattispecie interessata.
La sua tesi è che tale definizione[59] sia in linea con il principio di legalità, in quanto riferita espressamente alla tipicità normativa e con la concezione di reato come offesa “modale”. Secondo tale concezione viene identificato «il contenuto essenziale dell’illecito penale nell’aspetto esternamente percepibile e verificabile del disvalore della condotta tipica»[60].
Appare chiara la distinzione con la rilevanza di condotte susseguenti a fini commisurativi ai sensi dell’art.133. c.p.[61]; più problematico il confronto tra la suddetta nozione e la disciplina del reato continuato di cui all’art.81 cpv[62], sul quale l’autore avverte di tenere alta l’attenzione su possibili distorsioni applicative della disciplina in materia di prescrizione[63].
[1] Ciò in virtù di diversi effetti riconnessi al decorrere del tempo; ad es. l’inizio del termine prescrizionale di cui all’art.158 c.p. che varia tra reato “istantaneo” (anche se la norma parla di reato “consumato”) e “permanente”.
[2] Punto di partenza, nel dibattito attuale, è la distinzione tra “perfezione” e “consumazione” introdotta in C. Adornato, Il momento consumativo del reato, Giuffrè, Milano, 1966, che si rifà a quanto sviluppato da F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale. Del delitto e della pena (1859), riedizione Il Mulino, Bologna, 1993, in merito al delitto perfetto, quando corrispondente alla tipicità normativa, ed esaurito, ossia produttivo di tutti gli effetti dannosi voluti dall’evento.
[3] In senso contrario a quanto sostenuto da F. Carrara: A. Rocco, L'oggetto del reato e della tutela giuridica penale, F.lli Bocca, Milano, 1913, ora in Id., Opere giuridiche, vol. I, Società editrice del Foro Italiano, Roma, 1932, p. 326 nota 113.
[4] Sulla stessa linea di C. Adornato, con specifiche distinzioni: R. Bartoli, Sulla struttura del reato permanente: un contributo critico, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 154 ss.; S. Canestrari, L. Cornacchia, G. De Simone, Manuale di Diritto Penale. Parte Generale, Il Mulino, Bologna, 2017, pp.74 -741; G. De Francesco, Diritto penale. Vol. 2. Forme del reato, Giappichelli, Torino, 2013, pp. 81 ss.; F. Mantovani, Diritto Penale. Parte generale, Cedam, Padova, 2017, pp. 425 sss.; A. Pagliaro, il reato, in Grosso C. F., Padovani T., Pagliaro A. (a cura di) Trattato di Diritto Penale, Parte Generale, Giuffrè, 2007, pp.331 ss.; B. Romano, Diritto Penale. Parte generale, Giuffrè, Milano,2016 pp. 406 - 407.
[5] Per un’esaustiva panoramica sul dibattito in Germania si veda A. Aimi, Le fattispecie di durata: Contributo alla teoria dell’unità o pluralità di reato, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 196 – 209.
[6] Sul punto, è doveroso segnalare i contributi meno recenti, ma ugualmente fondamentali, di G. Contento, La condotta susseguente al reato, Editore Leonardo Da Vinci, Bari, 1965, e S. Prosdocimi, Profili penali del postfatto, Giuffrè, Milano, 1982.
[7] Così l’art.133 c.p., co.2: “il giudice deve tenere conto, altresì […] della condotta contemporanea e susseguente al reato”.
[8] Così l’art. 81 cpv c.p.: “Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”.
[9] M. Bianchi, Oltre la Perfezione: Saggio sulla consumazione finale del reato, Dike, 2023, p.24.
[10] Si fa riferimento al filone giurisprudenziale della c.d. “consumazione prolungata” che ha come pronuncia capostipite Cass. Sez. II, sent n. 4856/1984 in materia di frodi pensionistiche; nell’opera vengono citate decisioni dello stesso orientamento anche in tema di usura (ad es. Cass. Sez.I, sent. n.11055/1998) e di corruzione (Cass. Sez. VI, sent. n.40237/2016).
[11] Sul tema, si fa rinvio integrale alla puntuale e chiara disamina, seppur in certi tratti in senso contrario all’opera qui esaminata, contenuta in A. Aimi, Le fattispecie di durata: Contributo alla teoria dell’unità o pluralità di reato, Giappichelli, Torino, 2020.
[12] Per una ricostruzione delle diverse posizioni dottrinali C. Bernasconi, il reato permanente, in Studium iuris, 1998, fasc. 6, pp.668-677.
[13] Ad es. nella dottrina italiana. A. Pecoraro – Albani, Del reato permanente, in Riv. it. dir proc. pen., 1960, pp.394.452; in quella tedesca, J. Hruschka, Die Dogmatik der Dauerstraftaten und das Problem der Tatbeendigung, in: Goltdammer's. Archiv für Strafrecht, 1968, pp. 193-206.
[14] Secondo quanto esposto in R. Rampioni, Contributo alla teoria del reato permanente, Cedam, Padova, 1988, si tratterebbe di un vizio derivante da un’eccessiva generalizzazione delle caratteristiche del delitto di sequestro di persona.
[15] Il riferimento è tanto alle creazioni dottrinali del reato c.d. “abituale” o “a struttura iterativa”, quanto alla “consumazione prolungata” di matrice giurisprudenziale
[16] A favore di questa posizione, con una approfondita ricostruzione storica dei diversi orientamenti in materia di reato permanente: A. Aimi, Le fattispecie di durata: Contributo alla teoria dell’unità o pluralità di reato, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 47-123.
[17] V. Manes, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 245 ss. .
[18] Quale per l’appunto il sequestro ex art.605 c.p. .
[19] Ad es. l’omicidio di cui all’art. 575 c.p. .
[20] Nello specifico nelle pp. 30 - 45; dove si sottolinea le evidenti differenze, tanto sul piano normativo che su quello naturalistico, tra le species delle fattispecie di durata: reato permanente, reato abituale e reati a struttura iterativa.
[21] M. Bianchi, Oltre la Perfezione: Saggio sulla consumazione finale del reato, Dike, 2023, p.53-54.
[22] Ad es. la controversia sull’individuazione del momento consumativo e sulla natura di reato” istantaneo” o “di durata” nella fattispecie di esercizio abusivo di attività finanziaria ex art.132 d.lgs 385/1993, su cui si è espressa Cass. Sez. II, sent. n. 46287/2016 qualificandolo come istantaneo, e, più di recente, Cass. Sez. II, sent n. 4651/2020, definendolo come reato “eventualmente abituale”, nell’opera in esame, le analisi sui casi giurisprudenziali più discussi si trovano alle pp. 40-42.
[23] M. Bianchi, Oltre la Perfezione: Saggio sulla consumazione finale del reato, Dike, 2023, p.48.
[24] Si rimanda all’analisi di cui alle pp. 48-53.
[25] In particolare, con riguardo all’ampliamento nel concreto del perimetro delle scriminanti della legittima difesa e dello stato di necessità, nonché nel favorire l’applicazione del concorso apparente di norme a scapito del concorso di più reati: p.54.
[26] M. Bianchi, Oltre la Perfezione: Saggio sulla consumazione finale del reato, Dike, 2023, p.26.
[27] Sebbene non sia l’unica locuzione impiegata, ricorrente e pure l’uso della terminologia di reati a “condotta o esecuzione frazionata” come in Cass., Sez II 37536/2018.
[28] Sul punto: D. Brunelli, Il reato portato a conseguenze ulteriori, problemi di qualificazione giuridica, Giappichelli, Torino, 2000.
[29] M. Bianchi, Oltre la Perfezione: Saggio sulla consumazione finale del reato, Dike, 2023, p.60.
[30] Evidente assonanza, nella contrapposizione tra vollendung e beendigung, con il contesto tedesco; cfr H. Otto, Schadenseinritt und Verjährungsbeggin, in Festschrift für Lackner, De Gruyter, Berlin-New York, 1987, pp.715-735.
[31] Cass., Sez. II, sent. n. 4856/1984.
[32] A. Aimi, Le fattispecie di durata: Contributo alla teoria dell’unità o pluralità di reato, Giappichelli, Torino, 2020, p. 177.
[33] Ibidem.
[34] L. n. 300/2000.
[35] Cass. Sez. VI, sent. n. 11145/2010.
[36] Ovvero far rientrare questi delitti “a consumazione prolungata” nella disciplina del secondo comma dell’art. 158 c.p. anziché in quella del primo.
[37] In senso concorde sul punto: M. Bellacosa, voce Usura, in Dig. disc. pen., vol. XV, Torino, 1999, pp.144-158.
[38] Fattispecie la cui natura “istantanea” o “eventualmente permanente” è sempre stata dibattuta: in senso favorevole alla prima opzione: in favore della prima opzione, C.F. Grosso, voce Usura (dir. pen), in Enc. dir, vol. XLV, Milano pp.1142.1148; contra P. Pisa, Lotteria all’usura: giurisprudenza in difficoltà in attesa di nuove norme, in Dir. pen. proc., 1995, pp.1283-1288.
[39] Art.11, l. n. 108/1996.
[40] Su tale controversia interpretativa e sull’opportunità dell’intervento legislativo si vedano: C. Pedrazzi, Sui tempi della nuova fattispecie di usura, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, pp. 661- 668 e S. Prosdocimi, la nuova disciplina del fenomeno usurario, in Studium Iuris, 1996, pp. 771-783; di opinione contraria a quest’ultimi sulla necessità di un’interpretazione autentica, F. Mucciarelli, Commento alla L.7/3/1996 n.108 – Disposizioni in materia di usura, in Leg. pen., 1997, pp. 511-595.
[41] M. Bianchi, Oltre la Perfezione: Saggio sulla consumazione finale del reato, Dike, 2023, p.70.
[42] Sulla natura dei reati a condotta alternativa o a “duplice schema” e su cosa ciò comporti: G. Vassalli, voce Antefatto non punibile, postfatto non punibile, in Enc. dir., vol. II, Giuffrè, Milano, 1958, pp.505-519; Id., voce Progressione criminosa e reato progressivo, in Enc. dir., vol. XXXVI, Giuffrè, Milano, 1987, pp.1150-1164; Id., Le norme penali a più fattispecie e l’interpretazione della “legge Merlin”, in Studi in onore di Francesco Antolisei, vol. III, Giuffrè, Milano, 1964, pp. 347-422; nonché A. Pagliaro, La fattispecie di corruzione come fattispecie mista alternativa, in Dir. pen. proc., 1997, pp. 848 ss. (nota a Cass., Sez. VI, 12 novembre 1996, Rapisarda)
[43] Seppur auspicata dalla dottrina sulla falsariga di quanto accaduto con l’usura: S. Seminara, La nuova disciplina della corruzione: profili introduttivi, in R. Borsari (a cura di), la corruzione a due anni dalla “Riforma Severino”, Padova University Press, Padova, 2015, pp. 139-152.
[44] Posizione già sostenuta da G. Vassalli, Le norme penali a più fattispecie e l’interpretazione della “legge Merlin”, in Studi in onore di Francesco Antolisei, vol. III, Giuffrè, Milano, 1964, pp. 347-422.
[45] Cass., Sez. Un., sent. n. 15208.
[46] Sulla suddetta pronuncia, per un appunto critico, si veda: V. Maiello, La corruzione susseguente in atti giudiziari, tra testo, contesto e sistema, in Dir. proc. pen, 2010, pp. 955.962.
[47] Come esplicitamente affermato in Cass. Sez., VI, Sent. n. 40237/2016.
[48] L. n. 190/2012.
[49] M. Bianchi, Oltre la Perfezione: Saggio sulla consumazione finale del reato, Dike, 2023, p.70. di orientamento opposto a G. Balbi, I delitti di corruzione. Un’indagine strutturale e sistematica, Jovene, Napoli, p. 143 ss., il quale ritiene che il compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio sia effettivamente il momento ultimativo delle fattispecie corruttive.
[50] Art.648 bis c.p., per come interpretato, come reato presupposto all’associazione mafiosa, in Cass, Sez. II , sent. n. 52645/2014; per altre fattispecie interessate da questo orientamento si rinvia alle pp. 80-83 dell’opera qui recensita.
[51] P. Nuvolone, I limiti taciti della norma penale (1947), ristampa Cedam, Padova, 1972.
[52] L’autore insiste sull’utilizzo di tale terminologia, rispetto a consumazione “sostanziale” o “materiale”, poiché più rappresentativa di un approccio tipizzante che non valorizza il mero contesto fattuale a discapito del dato normativo.
[53] Ibidem; la disamina completa alle pp. 87-107.
[54] Risulta difficoltoso descrivere in maniera diversa il fenomeno della c.d. “consumazione prolungata”.
[55] Per una panoramica si rinvia nuovamente a A. Aimi, Le fattispecie di durata: Contributo alla teoria dell’unità o pluralità di reato, Giappichelli, Torino, 2020.
[56] M. Bianchi, Oltre la Perfezione: Saggio sulla consumazione finale del reato, Dike, 2023, p.112.
[57] Ad es. sostenendo che la consumazione “sostanziale” si risolva nel compimento della finalità oggetto di dolo specifico.
[58] L’Autore ritiene che tale nozione sia rinvenibile nei c.d. delitti “a consumazione anticipata”, ovvero i reati di pericolo e a dolo specifico, pp.107 – 111.
[59] Sintesi delle esigenze manifestate tanto dagli orientamenti formalisti che da quelli sostanzialisti.
[60] M. Bianchi, Oltre la Perfezione: Saggio sulla consumazione finale del reato, Dike, 2023, p.112.
[61] Tali eventi non hanno alcun effetto ai fini della sussistenza della fattispecie essendo esterni alla struttura della norma tipica.
[62] Forse proprio su tale confronto sarebbe necessario un ulteriore approfondimento sulla scia di A. Benevento, Indebita percezione di (plurime) erogazioni ai danni dello Stato: delitto a consumazione prolungata o reato continuato?, in Sistema Penale, 16 Maggio 2020.
[63] M. Bianchi, Oltre la Perfezione: Saggio sulla consumazione finale del reato, Dike, 2023, pp.118-119.