La manualistica che supporta lo svolgimento dell’attività didattica nelle aule universitarie, fisiche o virtuali, segue la tradizionale partizione del diritto penale tra parte generale e parte speciale; ai corsi di parte generale e di parte speciale si affiancano talvolta corsi a carattere monografico o che affrontano specifici settori del diritto penale che consentono allo studente anche di confrontarsi con alcune parti dell’onnivora legislazione complementare (diritto penale commerciale, diritto penale dell’economia, diritto penale dell’ambiente, etc.) o con altri sistemi penali (diritto penale comparato). Solitamente i testi utilizzati per lo studio della parte speciale seguono l’esposizione della materia, affrontando tutti o alcuni ambiti della parte speciale che anche agli occhi dello studente diventa il “vero diritto penale”, tanto per richiamarmi ad una nota affermazione di Giandomenico Pisapia; analizzano le diverse fattispecie, utilizzando come griglia la partizione strutturale dell’analisi del reato propria della parte generale (soggetto attivo, fatto tipico, elemento soggettivo, cause di giustificazione, forme di manifestazione del reato e, in posizione peraltro spesso trascurata, trattamento sanzionatorio); danno conto, in modo più o meno accentuato e problematizzato, degli sviluppi del diritto vivente attraverso l’analisi della casistica giurisprudenziale, ripercorrono, in relazione a talune fattispecie, gli orientamenti interpretativi o affrontano l’analisi dei casi. Pregevoli sono anche alcuni lavori dedicati alla introduzione alla parte speciale quali strumenti di avvio dello studente ad uno studio che sarebbe riduttivo incentrare solo sulla casistica, senza dar conto di alcuni profili di carattere generale che investono la parte speciale, a prescindere dai settori oggetto di insegnamento.
In questo panorama, sempre più frastagliato, della manualistica italiana non è facile collocare il volume di David Brunelli, giunto alla terza edizione: il sottotitolo ci indica che l’autore lo ha pensato come strumento per lo studio avanzato del diritto penale con una indagine che si sviluppa ripercorrendo le più significative questioni di parte generale attraverso un serrato confronto con le fattispecie di parte speciale come vivono negli orientamenti giurisprudenziali che sono costantemente al centro della riflessione dell’Autore.
Una lettura frettolosa dell’indice potrebbe indurre a pensare che si tratti di un manuale di approfondimento di alcuni ambiti della parte generale (tipicità, offensività, dolo, colpa, forme di manifestazione del reato, cause di non punibilità, intese – come vedremo – in senso ampio). Quando, però, si procede nella lettura del manuale, non si ha la sensazione di leggere un volume di parte generale, quanto piuttosto quella di essere costantemente messo a confronto con le fattispecie di parte speciale, i loro problemi interpretativi e gli intrecci con le disposizioni di parte generale. Un manuale, dunque, di parte generale o di parte speciale? Mi riservo di dare una risposta dopo aver illustrato alcune tra le molte questioni affrontate nel testo al fine di far emergere il metodo con il quale il sistema penale è letto.
Il taglio dello studio è ben comprensibile già dal primo capitolo che affronta i temi centrali della tipicità e della determinatezza delle fattispecie penali, spostando l’attenzione sulle tendenze della giurisprudenza a riempire le lacune lasciate dal legislatore. Si tratta di interventi pretori che talvolta producono l’estensione dell’area di incriminazione: si pensi al caso della responsabilità ex art. 57 c.p. dei direttori di testate giornalistiche on line; o al delitto di rifiuto in atti d’ufficio (art. 328), nel quale la giurisprudenza equipara alla condotta di rifiuto quella di mera omissione, a fronte dell’assenza di un’espressa richiesta dell’atto, ma in presenza di una situazione di urgente necessità di intervenire; o ancora viene richiamata la notissima espansione del reato di disastro innominato di fronte ai disastri ambientali e all’inerzia del legislatore.
Talvolta, però, la giurisprudenza ha svolto una funzione di limitazione dell’area di incriminazione, dimostrando maggiore sensibilità al canone della determinatezza, anche per effetto di sollecitazioni di organi sovranazionali (il volume si sofferma, in particolare, sulla vicenda relativa alle prescrizioni generiche della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ed alla presa di posizione delle Sezioni unite della Corte di cassazione, prima dell’intervento della Corte costituzionale con la sentenza 24/2019).
Al tema della tipicità si affianca poi quello dell’offensività, letta nella sua dimensione interpretativa, un principio di cui Brunelli svela comunque «i margini di opinabilità», non essendo predefinito dal legislatore il bene giuridico tutelato (p. 46), come ben evidenzia la tendenza della giurisprudenza ad utilizzare la «scorciatoia della plurioffensività» (p. 50) per ridurre il riconoscimento dell’offensività in concreto. Vedremo come il ruolo del bene giuridico sia costantemente tenuto presente dall’Autore di cui svela anche le debolezze.
La classica distinzione tra reati di condotta e reati di evento viene destrutturata, introducendo la distinzione, nei reati di condotta, tra quelli che si esauriscono effettivamente in una condotta e quelli nei quali è presente un condotta-risultato che li rende equiparabili ai reati con evento naturalistico, in quanto nell’uno e nell’altro caso la norma incriminatrice prende in considerazione l’effetto del comportamento (es. art. 635 c.p.).
Si affaccia, anche se marginalmente, l’attenzione alle suggestioni della dottrina tedesca, in chiave tuttavia fortemente selettiva nel saperne cogliere gli elementi utili entro una riflessione sempre attenta al rispetto del principio di legalità. Così è per la teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento, accolta in chiave di contenimento dell’attribuzione dell’evento alla responsabilità dell’agente: l’attenzione dell’Autore, però, non è rivolta a scandagliare la teoria nella sua dimensione generale, ma a saggiarne gli effetti nei reati a condotta vincolata, riletti in chiave restrittiva attraverso il nesso di rischio che deve legare le modalità descrittive della condotta all’evento (anche se la condotta è condizione dell’evento, il reato non sussiste se tale nesso «non riproduce il legame di rischio tipizzato dal legislatore»: p. 80 con una interessante esemplificazione in relazione al delitto di abuso d’ufficio).
Brunelli smaschera gli effetti derivanti dalla lettura costituzionalmente orientata delle condizioni obiettive di punibilità intrinseche da imputare per colpa: non solo è opinabile la loro individuazione, come dimostra l’annosa disputa sui criteri da utilizzare a tal fine, ma l’imputazione colposa si traduce in un’interpretazione sfavorevole al reo; più garantista, al contrario, è la prospettiva dell’alternativa secca tra condizioni intrinseche, da considerare elementi costitutivi del reato, e quindi imputabili dolosamente, e condizioni estrinseche, che possono continuare ad essere imputate oggettivamente senza violare le indicazioni date nel 1988 dalla Corte costituzionale sul principio di colpevolezza.
Particolare attenzione viene dedicata al significato che in alcune fattispecie incriminatrici riveste la tecnica di tutela (o meglio di selezione della tutela), delle soglie di punibilità, delle quali viene tracciata la distinzione tra soglie che rispondono all’esigenza di contenere la risposta sanzionatoria e quelle che regolamentano attività socialmente utili o tollerate (p. 104 ss.).
Un tema, al quale la dottrina ha prestato attenzione sul piano monografico, meno sul terreno manualistico, è quello dell’interazione tra tempo e struttura del reato. Nelle riflessioni sviluppate nel volume in oggetto sono ben chiare le esigenze di politica criminale sottese al fattore tempo che va incluso entro la griglia della tipicità penale: alla distinzione tra il perdurare del reato (permanenza) ed il perdurare dei suoi effetti segue la dura critica agli orientamenti giurisprudenziali che leggono l’art. 650 c.p. come reato eventualmente permanente o che hanno elaborato la figura del reato a consumazione prolungata considerata «intollerabile in termini di legalità-tipicità» (p. 127).
Della parte dedicata all’elemento soggettivo, sottolineo i due approfondimenti relativi al dolo specifico ed al dolo eventuale. Quanto al primo, è l’analisi delle fattispecie di parte speciale a spezzare la considerazione unitaria del dolo specifico, che interagisce diversamente con la condotta, in ragione del maggior rilievo che assume ora la finalità dell’agente, che è puro elemento soggettivo, ora la finalità dell’azione, nella quale la direzione finalistica si riflette sul fatto in termini di idoneità della condotta a raggiungere lo scopo (una distinzione valorizzata attraverso esemplificazioni tratte dalla parte speciale che consentono di puntualizzare il profilo dell’offensività della fattispecie).
Quanto al dolo eventuale, le riflessioni di Brunelli sono percorse dall’esigenza di evitare la truffa delle etichette dell’imputazione dolosa di un fatto sostanzialmente colposo, questione centrale nella discussione dottrinale sui criteri discretivi tra dolo eventuale e colpa cosciente. Vorrei evidenziare le considerazioni sviluppate nel manuale sulla condizione psicologica del dubbio, talvolta troppo sbrigativamente ricondotta dalla giurisprudenza al dolo eventuale: si distingue tra dubbio conoscitivo, che investe gli elementi del fatto, che possono essere solo oggetto di rappresentazione (situazione tipica, presupposti della condotta), e dubbio predittivo, che ha invece ad oggetto l’evento. Poiché il dubbio conoscitivo non è in grado di fondare il dolo e nemmeno la colpa cosciente, ne consegue una posizione più restrittiva dell’area del dolo eventuale che non è compatibile con la ricettazione in presenza del dubbio sulla provenienza dei beni da delitto, in netta difformità rispetto alla posizione assunta dalla Corte di cassazione a Sezioni unite nel 2009.
Il confronto serrato tra disposizioni di parte generale e fattispecie di parte speciale è presente nella parte dedicata al concorso di persone, nella quale diventa centrale la riflessione sui limiti del contributo concorsuale. È soprattutto la presenza nel sistema penale di fattispecie di agevolazione e di favoreggiamento, ben più che la riflessione sul ruolo dell’art. 114 c.p., a fondare l’opzione in favore del contributo agevolatore piuttosto che su quello causale. Tuttavia, ad interessare non è tanto la collocazione di Brunelli tra coloro che considerano non appagante il modello causale di spiegazione del concorso di persone, quanto la sincera esplicitazione dei limiti dell’uno o dell’altro modello (limiti che non mi paiono risolvibili): da un lato, il contributo necessariamente causale assicura solo apparentemente maggior certezza alla compartecipazione, in quanto si deve misurare con l’individuazione delle circostanze del caso concreto da selezionare ai fini della descrizione dell’evento; dall’altro lato, il contributo agevolatore «pone un problema di tipicità non insignificante, presentandosi con contorni rarefatti e nebulosi» (p. 184).
Anche le riflessioni sul concorso di persone nel reato proprio sono arricchite dall’apporto della struttura delle fattispecie di parte speciale che svolgono una funzione di integrazione o deroga alla disciplina di parte generale, in quanto è solo il confronto con il disvalore della fattispecie incriminatrice a decidere se l’intraneus debba concorrere dolosamente o tenendo la condotta tipica (sul punto riemerge l’importanza del bene giuridico).
Sulla disciplina delle circostanze, il confronto con la parte speciale permette all’Autore di affrontare, attraverso ampie esemplificazioni, la questione dei criteri di differenziazione tra elementi costitutivi e circostanziali: il ricorso agli stessi criteri a supporto dell’una o dell’altra natura giuridica non conduce a soluzioni univoche, indirizzando più realisticamente il lettore verso la «ricerca di ciò che ha inteso fare il legislatore nella sua piena discrezionalità» (p. 302). Una ricerca che si presenta, dunque, fondata da un terreno alquanto accidentato.
Il capitolo dedicato alla punibilità parte dall’asetticità dogmatica del legislatore nell’impiego dei termini “punibilità” e “punibile”: è ancora una volta l’analisi delle disposizioni di parte speciale a dare indicazioni rispetto alla griglia di teoria generale del reato che differenzia tra limitazioni del fatto tipico, scriminanti, scusanti e causa di non punibilità in senso stretto. Così al lettore si offrono soluzioni diversificate: in materia di responsabilità medica il passaggio dalla riforma “Balduzzi” a quella della legge “Gelli-Bianco” segna anche il passaggio da una lettura dell’area di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria da causa di esclusione della colpevolezza a causa di non punibilità in senso stretto; in tema di legittima difesa, la nuova disposizione di cui al secondo comma dell’art. 55 c.p. viene letta come causa di inesigibilità.
Quanto, infine, al tema della unicità o pluralità dei reati, è ancora una volta il bene giuridico, di cui il manuale ha più volte evidenziato centralità e limiti, a mostrare la sua debolezza che nasce dall’incertezza che lega la sua individuazione nelle singole fattispecie incriminatrici agli effetti che se ne traggono sul piano della disciplina.
Quanto alla questione dell’unità o pluralità di reati in presenza di una sola condotta, il bene giuridico tutelato è invocato dalla giurisprudenza a sostegno della pluralità dei reati concorrenti: come nell’esempio della violazione degli obblighi di assistenza familiare in danno di più componenti del nucleo familiare, dove l’opzione in favore dell’unicità o pluralità dei reati è condizionata dall’opinabilità della premessa sull’interesse tutelato, se quello della famiglia, intesa come compagine unitaria, o dei singoli componenti della stessa; o ancora nell’esempio dei delitti di violenza e resistenza – artt. 336-337 c.p. – commessi nei confronti di più pubblici ufficiali, in quanto la soluzione dipende dall’accento posto sull’unico bene del buon andamento della pubblica amministrazione, impermeabile al numero di pubblici ufficiali coinvolti, ovvero sul coinvolgimento nell’orizzonte della tutela anche dei beni personali dei destinatari della condotta. Ancora una volta il giudizio sul bene giuridico è di scarsa affidabilità alla luce delle soluzioni a cui perviene la Corte di cassazione: «a prescindere dalla sua scarsa condivisibilità, la soluzione giurisprudenziale dimostra piuttosto i limiti di affidabilità del criterio del bene giuridico come fattore di scioglimento del dilemma unità-pluralità dei reati, anche quando è coinvolta una sola fattispecie incriminatrice» (p. 369).
Partendo da queste premesse, il ricorso al bene giuridico appare ancor più foriero di incertezze applicative per risolvere il concorso apparente di norme che Brunelli affronta, rigettando i principi di sussidiarietà e di consunzione (che, in quanto criteri di valore, risentono dell’incerta individuazione dei beni giuridici) ed accogliendo il criterio strettamente strutturale fondato sul rapporto tra fattispecie e ricorrendo a rigidi criteri formali per individuare la fattispecie prevalente. Anche il reato complesso (art. 84 c.p.), che una parte della dottrina richiama a sostegno del principio di consunzione, è letto in chiave rigorosamente strutturale: pur ritenendo che tale figura includa non solo i reati necessariamente complessi, ma anche quelli eventualmente complessi, opta in favore di una lettura ristretta di questi ultimi, considerando tali solo quelli nei quali l’eventuale inclusione di una fattispecie incriminatrice in un’altra è già contemplata a livello di struttura della fattispecie complessa.
Certo l’Autore è ben consapevole di non riuscire a liberarsi del tutto dalle «sabbie mobili della individuazione del protetto» (p. 386), perché riprende comunque il criterio sostanziale per risolvere i casi della progressione criminosa e del postfatto non punibile, ossia casi che, qualora fosse applicato in modo rigoroso il criterio del rapporto strutturale, dovrebbero essere risolti attraverso il concorso di reati (come ha fatto di recente la Corte di cassazione nell’inquadrare il rapporto tra gli artt. 640-bis e 316-bis c.p.: Cass., sez. unite, 2017/20664).
Analogamente, in relazione alla successione di leggi penali nel tempo, con il quale si chiude il volume, l’opzione in favore del criterio strutturale del rapporto diacronico di specialità tra fattispecie, lascia spazio, seppur in via residuale, a criteri sostanziali che servono a sciogliere la riserva sulla continuità del tipo di illecito, indiziata dalla presenza di un rapporto di specialità tra fattispecie.
C’è un metro che misura gli sviluppi argomentativi del volume: l’unitarietà ed il rigore del metodo di indagine che pone sempre al centro la struttura delle fattispecie incriminatrici ed il loro complesso rapporto con le disposizioni di parte generale.
A conclusione di queste mie riflessioni, torno all’interrogativo iniziale: si tratta di un manuale di approfondimento della parte generale o di riflessione sulla parte speciale del diritto penale? Era il mio interrogativo ad essere mal posto, perché il volume rilascia al lettore la vera cifra delle norme penali, insita nella centralità del rapporto, inestricabile, tra parte generale e parte speciale ed è su questa centralità che stanno la specificità ed il valore aggiunto di questo denso manuale.