ISSN 2704-8098
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  Recensione  
07 Febbraio 2020


S. Cavallini, La bancarotta patrimoniale tra legge fallimentare e codice dell'insolvenza, Wolters Kluwer - Cedam, 2019


Dalla Prefazione al libro:

 

Il diritto penale fallimentare, oggi divenuto diritto penale dell’insolvenza, già alla luce del suo scopo di individuare le responsabilità nelle manifestazioni patologiche della vita dell’impresa evidenzia uno stretto legame con la realtà economica; tale legame – la notazione è financo banale – dovrebbe esprimersi anche nel segno dell’attualità della disciplina rispetto alla materia regolata. Salvo rapsodici interventi legislativi, dal 1942 le norme penali sono però rimaste sostanzialmente inalterate e il peso di assicurare una loro aderenza al mondo e soprattutto alle esigenze dell’impresa è stato assunto dalla giurisprudenza, con risultati talvolta soddisfacenti e altre volte meno convincenti.

I mutamenti economici verificatisi a partire dal r.d. 16 marzo 1942, n. 267, avrebbero imposto una totale riscrittura della normativa relativa all’insolvenza, in grado di spingersi ben oltre la delega al Governo di curare il «coordinamento con le disposizioni vigenti» (art. 1, comma 2, l. 19 ottobre 2017, n. 155). Solo per ricorrere a un esempio: da quanti decenni ha perduto ogni senso l’idea di fattispecie penali aventi come destinatario l’imprenditore, che solo in via estensiva, attraverso l’art. 223, risultano applicabili pure «agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società»? Davvero, a distanza di oltre settantacinque anni dal varo della disciplina, mai il legislatore si è accorto che alcune condotte tra quelle tipizzate nei reati di bancarotta non risultano trasponibili nell’ambito delle società di capitali o comunque, rispetto a esse, richiedono parametri di accertamento profondamente diversi? Purtroppo, la risposta è nel titolo IX del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, che ancora esordisce con i «reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale» e prosegue con i «reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale».

L’opzione minimale adottata dal d.lgs. n. 14 del 2019 sembra piuttosto esprimere la volontà di una programmatica rinuncia a rimodellare le disposizioni penalistiche, come confidando che la loro impermeabilità alle modifiche della disciplina primaria possa tradursi in una sublimazione ... decretata d’imperio.

 

Il contesto nel quale si muove il diritto penale dell’insolvenza è profondamente mutato: l’idea dell’impresa come valore, che il sistema normativo mira a preservare nei limiti del possibile, ha costituito la fonte ispiratrice di nuovi istituti che hanno gradualmente modificato il volto delle procedure legate all’insolvenza, trasfigurata alla luce di obiettivi di recupero e riassestamento che abbandonano la tradizionale contrapposizione tra imprenditore e ceto creditorio e tendono a coinvolgere quest’ultimo in finalità di risanamento.

Assai problematica, nella prospettiva ora sommariamente tracciata, risulta però la ricalibratura dell’intervento penale, legato a procedure di “allerta”, all’inadempimento di obblighi di segnalazione e alla violazione di posizioni di garanzia. La portata di tali prescrizioni rivela infatti un contenuto assai incerto, che apre le porte – d’altra parte, in materia fallimentare è così da circa mezzo secolo – al diritto penale giurisprudenziale.

La ricerca di Stefano Cavallini, sostenuta da una cultura (non soltanto giuridica) solida e profonda, percorre snodi cruciali del diritto penale dell’insolvenza, orientandosi in una elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale alluvionale, stratificatasi in decenni e decenni, intessuta sovente di moduli ripetitivi, al di là di soltanto apparenti elementi di novità, come tali inidonei a introdurre nel dibattito e nella prassi applicativa delle Corti (che è quel che più conta, trattandosi di diritto positivo chiamato a regolare una delle fasi più delicate della vita economica) efficienti strumenti ermeneutici. In quest’opera di ricognizione l’Autore non soltanto si raccapezza in maniera egregia nella vastissima messe di ‘precedenti’, ma ne coglie i passaggi essenziali riconducendoli a ben delineate linee di tendenza interpretativa.

Ma v’è di più, molto di più. Piuttosto che contemplare “l’inverno del nostro scontento”, limitando l’analisi alla contemplazione dell’esistente (inteso come “norma giuridica” kelsenianamente còlta come distinta dalla disposizione), Stefano Cavallini scandaglia ipotesi ermeneutiche individuate non per il gusto di voler premeditatamente dire ‘qualcosa di nuovo’ (che non infrequentemente connota qualche malaccorto scritto), ma sagacemente scoperte nelle pieghe dei dati normativi e nelle loro connessioni sistematiche, senza smarrire la strada del confronto con la realtà economica e con le esigenze applicative.

La sperimentazione interpretativa è condotta nel rigoroso rispetto del superiore principio di legalità, che vincola anche l’interprete (un rispetto tanto riverente che verrebbe da definire “religioso”, se non si trattasse di un dogma di fede laica). Sicché, restando nella metafora, questa sperimentazione non si colora della funesta e ribalda ferocia di Riccardo III o degli imbrogli e dei sotterfugi di Ethan Hawley, ma segue sempre la regola del metodo scientifico, della verifica e del riscontro.

Qualche brevissimo cenno per indicare al lettore, in forma d’anticipazione più che sintetica, i transiti dei sentieri (non interrotti) lungo i quali si sviluppano le riflessioni dell’Autore, al punto di passaggio fra la legge fallimentare e il codice della crisi e dell’insolvenza, passaggio nel quale – come s’è ricordato – il legislatore ha implausibilmente ritenuto di mantenere invariata la disciplina penale. 

Alcuni capitoli, dedicati alla ricostruzione – condotta con acribia e puntualità – delle fattispecie ‘classiche’ della bancarotta fraudolenta, hanno funzione propedeutica: permettono di chiarire gli snodi problematici, i luoghi d’impasse (si vedano, in particolare il capitolo III: tecniche di tipizzazione e verifica di ragionevolezza delle fattispecie di bancarotta e il IV, nel quale l’Autore ripercorre il ‘dibattito’ sulla natura della sentenza dichiarativa d’insolvenza fino all’esito còlto come “primo tassello per il recupero della dimensione lesiva delle fattispecie di bancarotta preconcorsuale”).

Le modifiche apportate alla legge fallimentare anteriormente al codice della crisi e dell’insolvenza (che introducono nell’ordinamento una serie di procedure e strumenti in qualche misura alternativi al fallimento) indirizzano la riflessione sul riverbero – talvolta straordinariamente significativo – che tali riforme hanno avuto (anche se non diffusamente percepito) sull’assetto della disciplina penale della bancarotta: dalla corretta valorizzazione di tale novum (in qualche misura anticipatorio della riforma del 2019), viene tratto lo spunto per costruire il “secondo tassello per la sagomazione della bancarotta patrimoniale”.

È nel capitolo VI che lo sforzo d’intelligenza giunge al suo approdo, suggerendo una lettura innovativa di un modello antico (la figura della bancarotta fraudolenta preconcorsuale, immutata nella forma dal 1942) al cospetto di una disciplina (quella del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che ha mutato radicalmente l’ambiente normativo nel quale è collocata). In sintesi estrema, la crisi d’impresa (non gestita secondo le procedure previste – imposte? – dal codice stesso) diviene “l’habitat dei fatti di bancarotta fraudolenta preconcorsuale”, il territorio nel quale viene collocato il confine di un’area che spesso dottrina e giurisprudenza, con esiti insoddisfacenti, hanno cercato di individuare, quello dell’area di rischio penale. Una soluzione – sottoposta a ‘verificazione’ e ‘falsificazione’ nel capitolo VII, quasi a voler seguire gli ammaestramenti differenti di Carnap e Popper sul controllo delle teorie esplicative – che forse presenta qualche passaggio a nord ovest periglioso e sempre che sia davvero necessario rintracciare un’area di rischio penale temporalmente determinata, ma una soluzione meritevole della massima attenzione, soprattutto in una fase nella quale l’interprete si trova di fronte le parole della legge non cambiate, mentre trasformato – e ben profondamente – è il contesto nel quale esse si collocano, contesto che necessariamente condiziona l’esercizio ermeneutico. Così, per riprendere le parole di Giacomo Delitala, citate dall’Autore, «vero è che le disposizioni legislative, almeno formalmente, non sono quasi affatto mutate; ma che importa? È mutato, assai più profondamente, tutto quanto il sistema. (…) Malgrado l’identità della forma letterale, ciò significa che il senso di queste disposizioni non può essere, oggi, quello di allora; che esse possono, malgrado tutto, conciliarsi con le mutate concezioni generali. Dimostrare come ciò sia possibile, ecco appunto il compito della dottrina».

Rispetto a tutti i temi qui sommariamente enunciati, e agli altri che per ragioni di opportunità abbiamo ritenuto di non affrontare, la monografia di Stefano Cavallini costituisce un punto di riferimento fondamentale e una guida preziosa: per quanto ci risulta, la prima opera scientifica che sistematicamente affronta il nuovo diritto penale dell’insolvenza, frutto di una riflessione che parte da lontano e però dimostra un’assoluta padronanza dei nuovi concetti contenuti nel d. lgs. n. 14 del 2019.