1. Offre una lucida, accurata e puntuale analisi, in chiave critica, l’ultimo volume della trilogia dedicata alla riforma Cartabia, intitolato “L’ennesima riforma delle impugnazioni fra aspettative deluse e profili controversi”, a cura di Marta Bargis e Hervé Belluta, ai quali si deve un’esauriente presentazione sull’impostazione del volume e sui suoi contenuti.
L’opera fa seguito a “Nuovi limiti temporali per l’accertamento penale. Fra prescrizione del reato e improseguibilità dell’azione penale”, a cura di Roberto E. Kostoris e Renzo Orlandi (2022) e a “Riassetti della penalità, razionalizzazione del procedimento di primo grado, giustizia riparativa”, a cura di Elena Maria Catalano, Roberto E. Kostoris e Renzo Orlandi (2023): completa, quindi, i commenti alla legge n. 134 del 2021 e ai decreti legislativi delegati.
Nel titolo, questo terzo volume esprime un’efficace riflessione di sintesi che accomuna, sia pur nella varietà di accenti e di toni, ogni contributo in materia di impugnazioni. Delle due parti in cui esso è suddiviso, la prima raccoglie sei saggi relativi agli interventi del d. lgs. n. 150 del 2022 sul sistema delle impugnazioni; la seconda contiene solo un saggio riguardante l’ufficio per il processo nel d. lgs. n. 151 del 2022. A corredo si aggiungono due appendici, che raccolgono, per quanto d’interesse, i testi del d. lgs. n. 151 del 2022 e del d. lgs. n. 149 del 2022.
2. Stigmatizza severamente la riforma, laddove è diretta a estendere le cause d’inammissibilità dell’impugnazione, l’incisivo saggio di Massimo Ceresa-Gastaldo. Muovendo dalle consuete critiche da sempre rivolte al regime delle impugnazioni, a cui sarebbe da “addebitarsi la maggiore responsabilità per la cronica lentezza della giustizia penale” (pp. 3-4), e cogliendo anche talune anomalie nel rilievo dei dati statistici, l’A. sottolinea che “l’intento puramente deflativo della riforma Cartabia è di una evidenza persino imbarazzante”, in quanto le novità incidono “non già (se non marginalmente) sulla qualità e sulla tempestività della risposta giudiziaria, ma piuttosto sulla quantità della domanda” (p. 13). Il passaggio dalla “specificità” dei motivi alla loro “idoneità confutatoria”, per il secondo grado di giudizio, volto a recepire il principio di diritto espresso dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione nel caso Galtelli (2016), venendo ad allineare, quanto ai requisiti formali, ricorso per cassazione e appello, introduce un elemento suscettibile di alterare la fisionomia e le funzioni di quest’ultimo mezzo d’impugnazione, rappresenta “fattori di irragionevolezza nel sistema” (p. 18) e può risultare “incongruente” (p. 19) nel caso in cui non si intenda denunciare uno specifico errore, ma proporre un’alternativa ricostruzione del fatto basata su una diversa valutazione delle prove acquisite.
Le ulteriori cause d’inammissibilità dell’impugnazione, correlate al deposito della dichiarazione/elezione di domicilio e al mandato a impugnare rilasciato dopo la pronuncia dall’imputato dichiarato assente nel precedente grado, vengono poi definite dall’A. “vessazioni gratuite” (p. 25), finalizzate a “sgravare le corti di parte del lavoro” (p. 27); è pure ritenuta discutibile la scelta di escludere la possibilità di presentare l’atto d’impugnazione fuori sede o mediante spedizione, per corrispondere a ragioni efficientistiche, le quali “anche a questo riguardo valgono solo a (cercare di) giustificare un uso improprio dell’arma letale dell’inammissibilità” (p. 30).
3. Interamente dedicato al giudizio di secondo grado è l’esauriente saggio di Elisa Lorenzetto, che, attraverso il suggestivo utilizzo della terminologia tipica del linguaggio musicale, ripercorre l’itinerario legislativo ed esamina nel dettaglio le novità in tema di: appellabilità oggettiva, considerata in rapporto alle varie tipologie di sentenza; concordato sui motivi d’appello; procedimento, che privilegia l’udienza camerale non partecipata e relega a eccezione la trattazione orale; assenza dell’imputato in appello e rimedi in sede di appello a favore dell’imputato giudicato in assenza. Secondo l’A. nelle innovazioni emergono delle “note armoniche e disarmoniche”: si avvertono segnali “apprezzabili verso una maggiore accusatorietà dell’appello, specie quando si tratta di valorizzare e responsabilizzare il ruolo delle parti o di conformare alla funzione di controllo le dinamiche del rito”, però “calati in un contesto dove non soltanto la trasformazione dell’appello è fallita”, ma anche il modello processuale “mostra sintomi di regressione verso il paradigma inquisitorio” (p. 39). Nel contributo non si dimentica di delineare la disciplina transitoria, chiudendo con l’osservazione che si tratta di una “partitura a dir poco complessa, che pretenderà dagli uffici giudiziari e dai professionisti più di un virtuosismo” (p. 84).
4. È suddiviso in due sezioni, rispettivamente dedicate ai temi del “rinvio per la prosecuzione” al giudice civile (p. 88) e della improcedibilità “cronologica” e confisca (p. 118), l’approfondito saggio di Barbara Lavarini.
Nella sezione prima, dopo averne illustrato i presupposti esaminando partitamente le due fattispecie, che generano non pochi dubbi interpretativi, l’A. analizza la natura del rinvio, che è da intendersi nei termini di una prosecuzione del giudizio e non di un nuovo giudizio, traendo le relative conseguenze, secondo una linea interpretativa di fondo improntata alla continuità delle regole. Si considera così il fondamento sostanziale dell’azione risarcitoria, trattando delle regole probatorie e decisorie applicabili nel giudizio civile “prosecutorio”, sottolineando che l’innovata disciplina non realizza un “adeguato bilanciamento” fra le esigenze di economia processuale e quelle di tutela sia del danneggiato-vittima del reato, sia dell’imputato-convenuto (p. 111). A chiusura di questa prima sezione si riportano i termini del contrasto giurisprudenziale circa il regime temporale, oggetto della sentenza n. 6 del 2023 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Nella sezione seconda, circa le conseguenze della sentenza dichiarativa dell’improcedibilità sulla confisca disposta con la pronuncia impugnata, l’A. si sofferma sulla disciplina, basata sulla distinzione fra le ipotesi in cui la misura è “compatibile” e quelle in cui è “incompatibile” con la citata declaratoria (p. 120), e riflette, in quest’ultimo caso, sulla soluzione normativa che consente un possibile “recupero” della confisca quale misura patrimoniale di prevenzione.
5. Il chiaro contributo di Salvatore Tesoriero si concentra sulla ridefinita ipotesi di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale derivante dall’appello del p.m. contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa.
Senza tralasciare di ricordare in sintesi l’evoluzione in materia, l’A. propone alcune riflessioni circa la ratio della previsione, restituita alla funzione “originaria di tutela del principio di immediatezza in appello” e “di garanzia della corrispondenza dei metodi di formazione della conoscenza giudiziale nei due gradi di merito” (p. 170); ne rileva i confini operativi, cogliendo le asimmetrie rispetto agli approdi giurisprudenziali e a taluni principi da cui essi muovono. Paventando la possibilità che la nuova formulazione rinnovi contrasti interpretativi, l’ipotesi di nuovo conio viene anche esaminata in rapporto agli altri casi di rinnovazione. La relativa procedura è delineata alla luce delle novità introdotte circa le modalità e la documentazione delle prove dichiarative. Vengono poi individuate alcune questioni problematiche che avrebbero richiesto un intervento legislativo. Una riflessione finale propugna una riconfigurazione dell’istituto, che sia circoscritto nell’ambito applicativo “solo ai casi in cui un nuovo giudizio di merito è indispensabile perché è acclarata l’ingiustizia della prima decisione assolutoria” (p. 170), ma nell’ambito di un diverso assetto del giudizio d’appello “secondo una logica che separi la fase rescindente da quella rescissoria”, al fine di “garantire il diritto di difesa dell’imputato innocente e la correttezza dell’accertamento” (p. 171).
6. Le novità che, nella prospettiva di promuovere l’efficienza e la durata ragionevole del processo, coinvolgono anche il giudizio di legittimità, costituite dalle nuove forme procedimentali e dal rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza territoriale, sono oggetto dell’attenta analisi di Rossella Fonti.
Riguardo al primo piano d’indagine relativo alle forme del procedimento, l’A. difende la compatibilità con la Carta costituzionale e le fonti convenzionali delle innovazioni che puntano sul modello cartolare, rilevando anche come la prassi avesse spesso “svilito” l’udienza partecipata riducendola a “un mero simulacro dell’oralità” e sottolineando come in concreto “possa rivelarsi più produttivo ed efficace lo scambio di memorie e repliche scritte” (p. 180). Al di là dell’iniziativa officiosa, proprio la possibilità di avviare l’udienza partecipata anche “mediante una mera e insindacabile richiesta” costituisce, al contempo, sia un elemento compensativo e di garanzia nella direzione di consentire il recupero dell’oralità e la pubblicità dell’udienza, sia un “fattore di ‘debolezza’ ” (p. 181) sul piano della reale portata innovativa della riforma, che sconta il rischio di istanze di trattazione orale per ogni ricorso. Dopo aver esaminato le varie eccezioni al modello cartolare, che impongono, o consentono di attivare, l’udienza nella forma partecipata, nel saggio si dà conto delle innovazioni introdotte sul piano dinamico, e si riferisce pure della disciplina transitoria tesa a risolvere questioni legate all’introduzione del nuovo assetto e al passaggio dal deposito analogico a quello telematico.
Quanto al secondo piano d’indagine dedicato al rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza territoriale, si rimarca la sua funzione di “rimedio anticipatorio”, diretto ad “arginare i ricorrenti fenomeni di regressione tardiva del procedimento derivante da un riconoscimento postumo dell’incompetenza per territorio” (p. 195), segnalando le assonanze rispetto alla disciplina dei conflitti di giurisdizione e competenza, ricostruendo il profilo dinamico dello strumento incidentale e mettendo in luce alcune lacune normative.
7. Si sofferma sulle innovazioni in tema di impugnazioni straordinarie Paola Spagnolo, che analizza a fondo, innanzitutto, l’inedito istituto dei rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea, sottolineandone l’unità nella pluralità: “uno strumento unitario, perché unica è la richiesta e unico il procedimento, che dà vita però a diversi rimedi, calibrati sulla violazione riscontrata nel caso concreto” (p. 210). Del nuovo mezzo straordinario di impugnazione si esamina la disciplina e si affrontano le varie questioni che si profilano circa i soggetti legittimati alla richiesta, le modalità, le forme, i termini e i contenuti della medesima, la procedura da seguire e la decisione, con i diversi rimedi costituiti dai provvedimenti diretti a rimuovere gli effetti pregiudizievoli, che contemplano anche la revoca della decisione penale o la riapertura del procedimento.
Il saggio passa poi a considerare la rescissione del giudicato, istituto che, a fronte delle criticità che ha manifestato e del prescritto impegno nella legge delega a individuare una “coerente collocazione sistematica”, trova innovazioni specie nella ridefinizione dei presupposti in ragione del mutato assetto del giudizio in assenza: si sottolinea “il problematico presupposto” (p. 229) dell’onere della prova a carico del condannato, che andrebbe quantomeno ridimensionato attraverso il riconoscimento di un mero onere di allegazione, e la particolare nullità derivante dall’erronea dichiarazione di assenza che sopravvive alla formazione del giudicato. Si delineano infine le relazioni “tra strumenti limitrofi” (p. 232): la restituzione nel termine, il rimedio del ricorso per l’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’incidente di esecuzione, in rapporto al quale mancano le disposizioni di coordinamento richieste dalla legge delega.
8. L’unico saggio, di Daniela Cavallini, della parte seconda del volume, sviluppa compiutamente il tema dell’ufficio del processo quale “struttura organizzativa interna all’ufficio giudiziario con funzioni di ausilio e supporto all’attività del magistrato e della cancelleria” (p. 239), nel ruolo svolto in ambito penale. Se ne ripercorrono le tappe evolutive, dalla sua istituzione presso tribunali e corti di appello (2014) e procure della Repubblica (2017) al suo più recente potenziamento operativo (2020-2022), illustrando le relative attività presso gli uffici di merito, la Corte di Cassazione e la Procura generale.
Nel contributo, oltre a rilevare talune carenze normative e a sottolineare la necessità di altre misure dirette a migliorare la funzionalità degli uffici giudiziari, si pongono in luce non solo i tanti aspetti positivi dell’introdotto nostro court staff, ma anche i limiti congeniti di mero supporto all’attività dei magistrati, che non tollerano l’attribuzione al personale incardinato nell’ufficio per il processo di funzioni, e di spazi discrezionali, che sconfinano nell’esercizio di prerogative tipiche della giurisdizione.
9. Se il binomio efficienza-celerità è l’unità di misura dell’intervento legislativo, occorre prendere atto dei limiti di una riforma così condizionata nelle scelte di base e nelle soluzioni proposte. I risultati potranno essere significativi sul piano dell’economia processuale e dell’accelerazione, ma non si può negare che, accanto a novità apprezzabili, le criticità emergenti dal complessivo assetto e le incertezze interpretative generate dallo ius novum, acutamente poste in evidenza nei vari contributi raccolti in questo volume, lasciano trasparire l’assenza di una ponderata visione d’insieme che, in tema d’impugnazione, sappia costruire una disciplina equilibrata e coerente con le esigenze di un effettivo controllo, le garanzie del giusto processo e le istanze di ragionevole durata del giudizio penale.