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10 Dicembre 2021


Abuso d'ufficio: una nuova riforma? Guida alla lettura dei Disegni di Legge Ostellari, Parrini e Santangelo


A poco più di un anno dall'ultima riforma dell'art. 323 c.p., attuata ad opera del decreto-semplificazioni (art. 23 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. in l. 11 settembre 2020, n. 120), in Parlamento si torna a proporre la revisione della fattispecie dell'abuso d'ufficio. Tre disegni di legge, presentati dai senatori Ostellari (Lega), Parrini (PD) e Santangelo (M5S),  rispettivamente il 22 marzo 2021, il 19 luglio 2021 e il 15 giugno 2021, sono emblematici della convergenza di diverse forze politiche verso un medesimo obiettivo di fondo, dichiarato nelle stesse relazioni illustrative dei disegni di legge: evitare ingerenze della magistratura inquirente nel campo della discrezionalità amministrativa, così rassicurando i pubblici amministratori rispetto al rischio di essere coinvolti in indagini che spesso non conducono a una condanna e che tuttavia producono ripercussioni negative sulla vita e sulla professione dell'amministratore pubblico indagato. Già con il d.l. 76/2020, il legislatore – nel circoscrivere l'ambito applicativo dell'art. 323 c.p. alle sole condotte poste in essere in violazione di specifiche norme di legge dalle quali non residuassero margini di discrezionalità – si era mostrato incline a ridimensionare l'intervento penale nella sfera della Pubblica Amministrazione. La modifica del luglio scorso era stata, per vero, piuttosto incisiva e non esente da critiche. La dottrina aveva, infatti, ritenuto l'intervento frettoloso, e non aveva mancato di rilevare gli esiti paradossali cui l'applicazione della nuova norma avrebbe potuto condurre[1]. Al di là degli aspetti tecnici, quel che non a tutti era parso condivisibile era il messaggio culturale trasmesso dalla riforma, ossia che, per sbloccare la P.A. e consentire la ripresa del Paese dopo la pandemia, fosse in ogni caso meglio agire (anche in violazione dei principi di buon andamento e imparzialità) piuttosto che rimanere inerti[2]. I disegni di legge qui in esame si pongono in continuità con la precedente riforma, facendosi ancora una volta portatori di istanze di depenalizzazione.

Le proposte sono già state oggetto di alcuni primi commenti[3], ai quali rinviamo. In questa sede, anche per stimolare il dibattito sulle pagine della nostra Rivista, riteniamo di fare cosa utile ai lettori limitandoci a illustrare in breve i contenuti dei disegni di legge.

 

1. Disegno di Legge n. 2145 (d'iniziativa dei sen. Ostellari e altri – Lega), comunicato alla Presidenza il 22 marzo 2021 e assegnato alle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali in sede redigente.

Con il presente disegno di legge, i proponenti mirano a sostituire il testo del primo comma dell'art. 323 c.p. oggi in vigore («Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni»), con il seguente: «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, intenzionalmente procura a sé o al altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni».

Come si vede, la norma oggi vigente sanziona, a titolo di abuso d'ufficio, due condotte alternative:

– la prima consiste nella violazione «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». Il disegno di legge Ostellari prevede l'abolizione secca del reato nella parte che riguarda questa prima modalità della condotta, consistente nell'esercizio del potere pubblico in contrasto con la legge. Solo per rendere al lettore l'idea della portata della riforma: il rilascio di una concessione a costruire su un terreno non edificabile non sarebbe più previsto dalla legge come reato. Preme sottolineare che sulla precedente formulazione, ai sensi della quale la condotta sanzionata consisteva nella «violazione di norme di legge o regolamento», aveva inciso il d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. in l. 11 settembre 2020, n. 120, che aveva comportato l'abolizione parziale del reato, nella parte che riguardava i fatti posti in essere in violazione di norme di fonte sub-legislativa, in violazione di norme dalle quali non fossero ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse e in violazione di norme che lasciassero residuare margini di discrezionalità.

– la seconda parte della disposizione, non interessata dal recente Decreto semplificazioni, sanziona l'omessa astensione «in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti». L'accoglimento della proposta Ostellari comporterebbe l'abolizione del reato nella parte che riguarda la condotta posta in essere in violazione di obblighi di astensione espressamente sanciti («negli altri casi prescritti»[4]: si pensi, per esempio, agli obblighi di astensione previsti per il giudice dall'art. 36 c.p.p.), mentre lascerebbe intatta la condotta di omessa astensione «in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto» (la nozione di prossimo congiunto si ricaverebbe dall'art. 307, c. 4 c.p.).

Eliminato il riferimento allo «svolgimento delle funzioni o del servizio», rimangono immutati gli altri elementi costitutivi del reato: al di là dell'elemento soggettivo (dolo intenzionale rispetto all'evento, dolo diretto per quanto riguarda la condotta) e delle qualifiche soggettive richieste (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) preme sottolineare che la norma continuerebbe a configurarsi come fattispecie d'evento: sarebbero ancora richiesti, infatti, alternativamente, l'ingiusto danno per la persona offesa o l'ingiusto vantaggio patrimoniale per l'autore  del reato, per i quali resterebbe ferma la necessità che gli stessi siano legati alla condotta da un nesso di causa-effetto. L'abuso d'ufficio non sarebbe integrato, quindi, con la semplice violazione di un obbligo di astenersi; occorrerebbe, invece, dimostrare, che il provvedimento emesso da chi era portatore di un interesse personale in conflitto con quello pubblico abbia effettivamente privilegiato l'interesse privato, a scapito di quello della collettività. Per esempio: non basterebbe provare che la componente una commissione esaminatrice era madre di uno dei candidati, né sarà sufficiente che quel candidato sia risultato vincitore al concorso: perché sia integrato un abuso d'ufficio, occorrerà altresì provare che il candidato non sarebbe risultato vincitore, se non fosse stato figlio di uno dei commissari (in ciò consiste l'ingiustizia del vantaggio). La norma continuerebbe a sanzionare, quindi, una condotta di strumentalizzazione dell'ufficio, piegato al conseguimento di vantaggi personali propri o dei propri congiunti o alla produzione di ingiusti danni per i terzi, anziché indirizzato al più equilibrato contemperamento degli interessi (pubblici e privati) in gioco.

 

2. Disegno Di Legge n. 2324 (d'iniziativa dei sen. Parrini e altri – Partito Democratico), comunicato alla Presidenza il 19 luglio 2021 e assegnato alle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali in sede redigente.

a) La prima proposta d'interesse per il penalista concerne la modifica dell'art. 323 c.p. Dopo il primo comma («Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni»), che rimarrebbe immutato, verrebbe aggiunto il seguente: «quando il fatto di cui al primo comma è compiuto dal sindaco, la violazione si intende riferita a specifiche regole di condotta previste dalle legge o da atti aventi forza di legge relative a competenze espressamente attribuite al sindaco e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».

La proposta sembra avere l'intento di circoscrivere ulteriormente – con esclusivo riferimento alle condotte poste in essere dal sindaco – la portata della disposizione, prevedendo un ulteriore attributo per le norme la cui violazione è suscettibile di integrare abuso d'ufficio. Sarebbe prescritto, infatti, che le regole di condotta violate siano:

– previste dalla legge o da atti aventi forza di legge;

– specifiche;

– vincolanti;

relative a competenze espressamente attribuite al sindaco.

La modifica avrebbe, quindi, l'effetto di escludere la rilevanza penale delle condotte poste in essere in violazione di doveri non espressamente attribuiti al sindaco, bensì genericamente desumibili dalla sua posizione di soggetto cui fa capo l'amministrazione cittadina.

b) L'art. 2 del Disegno di Legge Parrini propone poi di aggiungere all'art. 50 del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti Locali (TUEL – d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), dopo il c. 1 («il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell'amministrazione del comune e della provincia») un c. 1 bis, che così reciterebbe: «l'art. 40, secondo comma, del codice penale non si applica al sindaco per eventi che si siano verificati nelle territorio comunale, salvo il caso in cui sia provato il dolo o la colpa grave, derivante dalla violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge, che siano relative a competenze espressamente attribuite al sindaco e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».

L'art. 50 del Testo Unico degli Enti Locali attribuisce al sindaco, nella sua veste di capo dell'amministrazione comunale, il potere-dovere di adottare provvedimenti urgenti per far fronte a situazioni di effettivo e concreto pericolo per l'incolumità pubblica, che non siano fronteggiabili con gli strumenti ordinari. Da tale norma discende, ai sensi dell'art. 40 c. 2 c.p., la responsabilità del sindaco, a titolo omissivo improprio, per la verificazione di eventi lesivi o pericolosi occorsi sul territorio comunale, i quali avrebbero potuto essere scongiurati mediante l'attivazione dei poteri straordinari attribuiti all'amministratore.

Il disegno di legge Parrini limita la responsabilità a titolo omissivo improprio del sindaco ai soli eventi lesivi o pericolosi che si siano verificati a causa della violazione di doveri di controllo e protezione espressamente attribuitigli da norme di legge o di fonte equiparata alla legge, dalle quali non residuino margini di discrezionalità. Non sarebbe quindi possibile addebitare all'amministratore locale l'omesso impedimento di un evento lesivo ogniqualvolta il dovere di attivarsi per scongiurarlo non sia espressamente sancito, ma discenda genericamente dal ruolo di garante del buon funzionamento dell'amministrazione comunale a questo attribuito.

 

3. Il disegno di legge n. 2279 (d'iniziativa dei sen. Santangelo e altri Movimento 5 Stelle) comunicato alla Presidenza il 15 giugno 2021 e assegnato alle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali in sede redigente riguarda, invece, il sindaco nella sua veste di ufficiale del Governo. Dopo il primo comma dell'art. 54 del TUEL (d.lgs. 267/2000) («Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende: a) all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica; b) allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria; c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone preventivamente il prefetto») si propone l'inserimento di un c. 1-bis, ai sensi del quale «il sindaco, quale ufficiale del governo, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, risponde esclusivamente per dolo o colpa grave per violazione dei doveri d'ufficio».

L'art. 54 del TUEL (d.lgs. 267/2000) attribuisce al sindaco, nella sua funzione di ufficiale del Governo, il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti per far fronte a situazioni di pericolo per l'incolumità pubblica non fronteggiabili con gli strumenti ordinari; ne discende una posizione di garanzia rispetto all'integrità dei beni giuridici di volta in volta lesi (la vita dei cittadini, l'incolumità pubblica..), la quale fonda la responsabilità del sindaco a titolo omissivo improprio (40 c. 2 c.p.), ogniqualvolta risulti provato che l'adozione delle misure eccezionali avrebbe scongiurato il verificarsi dell'evento lesivo. La modifica dell'art. 54 proposta dal DDL Santangelo è meno incisiva rispetto a quella dell'art. 50 contenuta nel DDL Parrini: introdurrebbe, infatti, solo una limitazione di responsabilità in senso soggettivo, che determinerebbe l'abolizione del reato omissivo improprio (p. es. lesioni personali colpose o omicidio colposo) rispetto a fatti posti in essere con colpa lieve o lievissima. La modifica in oggetto non avrebbe alcun effetto rispetto all'art. 323 c.p., in quanto verrebbe a circoscrivere la responsabilità dell'agente nei soli casi di reati colposi.

 

 

[1] Per tutti, T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell'abuso d'ufficio, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, fasc. 7/8.

[4] Cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 7992 del 19/10/2004 (dep. 02/03/2005), Rv. 231477, imp. Evangelista, secondo la quale l' l'espressione «omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti», contenuta nell'art. 323 c.p., dev'essere letta nel senso che la norma ricollega l'obbligo di astensione a due ipotesi distinte e alternative, quella dell'obbligo di carattere generale, derivante dall'esistenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, e quella della verificazione dei singoli casi in cui l'obbligo sia prescritto da altre disposizioni di legge.