Cass. pen., Sez. IV, ord. 10 settembre 2019 (dep. 19 settembre 2019), n. 38635, Pres. Piccialli, est. Ciampi
1. La disciplina in materia di stupefacenti è ormai “cliente” abituale delle Sezioni unite. In attesa delle motivazioni della decisione con cui il massimo organo giurisdizionale ha statuito che non si configura il reato di coltivazione di piante stupefacenti quando tale attività sia di minime dimensioni e destinata esclusivamente all’uso personale[1], e della pronuncia sulla compatibilità o meno tra traffico di stupefacenti “di lieve entità” (ex art. 73 co. 5 d.P.R. n. 309/1990) e l’attenuante del lucro di speciale tenuità (ex art. 62 n. 4)[2], il prossimo 30 gennaio si svolgerà l’udienza che deciderà le sorti dell’aggravante di “ingente quantità”.
In relazione alla circostanza prevista dall’art. 80 co. 2 d.P.R. n. 309/1990 (di seguito: t.u. stup.), la Quarta sezione della Cassazione ha infatti investito le Sezioni unite della seguente questione di diritto: “se, con riferimento alle c.d. ‘droghe leggere’, la modifica del sistema tabellare realizzata per effetto del D.L. 20 marzo 2014 n. 36 convertito con modificazioni nella legge 16 maggio 2014, n. 79, imponga una nuova verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della circostanza aggravante di ingente quantità, in considerazione dell’accresciuto tasso di modulazione normativa, oppure mantengano validità, per effetto della espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai sensi del comma 1 bis dell’art. 75 d.P.R. 309 del 1990 e ss.mm.ii., i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile di cui alla sentenza delle SS.UU. n. 36258 del 24 maggio 2012, Biondi, Rv. 253150”.
2. Con la sentenza Biondi del 2012[3], le Sezioni unite avevano già dato risposta a tale quesito, stabilendo il principio secondo cui l’aggravante di cui all’art. 80 co. 2 t.u. stup. non era di norma ravvisabile quando la quantità di principio attivo fosse inferiore a 2.000 volte il valore massimo, espresso in milligrammi, di sostanza stupefacente detenibile, oltre il quale si configurava l’illecito penale (c.d. valore-soglia); valore massimo determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito quando tale quantità venisse superata.
La declaratoria di incostituzionalità sancita dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014, tuttavia, ha travolto per intero gli articoli 4 bis e 4 vicies ter del d.l. 272/2005, convertiti nella l. 49/2006 (c.d. legge Fini-Giovanardi), compresa la tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006 relativa a tutte le sostanze stupefacenti.
In quella delicata fase di incertezza è prontamente intervenuto il legislatore introducendo, con il d.l. 20 marzo 2014 n. 36, convertito con la legge n. 79/2014, quattro nuove tabelle che individuano le sostanze stupefacenti suddivise sulla base della ripristinata distinzione tra c.d. droghe leggere e c.d. droghe pesanti, riconfermando però i medesimi valori-soglia precedentemente previsti per ciascuna sostanza.
A seguito della nuova e diversa impostazione normativa, si è dunque posto il problema della permanenza o meno della validità del criterio stabilito dalla sentenza Biondi ai fini dell’applicazione dell’aggravante di ingente quantità. Due sono, secondo la ricostruzione compiuta dall’ordinanza di rimessione, gli orientamenti delineatisi.
2.1. Secondo un primo orientamento[4], il quadro legislativo formatosi a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale smentirebbe la ratio della normativa vigente al momento in cui si è sviluppato l’indirizzo cristallizzatosi nelle Sezioni unite Biondi. Pertanto, il criterio elaborato da quel precedente “appare difficilmente compatibile con un’interpretazione tendenzialmente soltanto aritmetica e dunque ‘automatica’ dell’aggravante dell’ingente quantità”[5].
2.2. Al contrario, un diverso indirizzo[6] ritiene che i criteri elaborati dalla sentenza Biondi siano ancora validi, “nella misura in cui possono essere utilizzati come meri criteri orientativi, individuati a seguito di una indagine condotta su un numero cospicuo di sentenze di merito”[7].
3. La questione presenta peraltro ulteriori profili di complessità.
Le Sezioni unite Biondi hanno elaborato il c.d. criterio ponderale nel momento in cui i valori soglia previsti dalle tabelle allegate al d.m. erano di 750 mg per la cocaina, 250 mg per l’eroina, 1.000 mg per l’hashish e la marijuana. Il valore di 1.000 mg per le droghe leggere era stato previsto nelle tabelle ministeriali da una riforma introdotta dall’organo esecutivo il 4 agosto del 2006.
Tale riforma venne però annullata dal Tar poco dopo l’emanazione della sentenza Biondi, con l’effetto di riportare il quantitativo massimo giornaliero di principio attivo detenibile da 1000 a 500 mg e, conseguentemente, di dimezzare il quantitativo di stupefacente idoneo a integrare l’aggravante rispetto al valore preso in considerazione dalla sentenza Biondi.
Anche in relazione a tale profilo si sono sviluppati due diversi orientamenti di legittimità.
3.1. Secondo un primo orientamento[8], al quale peraltro aderisce la sentenza di merito da cui origina l’attuale rimessione alle Sezioni unite, la modifica del valore-soglia con riferimento alle droghe leggere non intaccherebbe in alcun modo il principio di diritto elaborato dalla sentenza Biondi e, pertanto, l’aggravante di ingente quantità resta di norma ravvisabile quando la quantità di stupefacente sia superiore a 2.000 volte il valore-soglia stabilito dalla tabella allegata al d.m. (e dunque pari a 1 kg di principio attivo).
3.2. Per un diverso indirizzo[9], invece, l’aggravante dell’ingente quantità – con riferimento alle c.d. droghe leggere – non è di norma ravvisabile quando la quantità di principio attivo sia inferiore a 4.000 volte (e non 2.000) il valore massimo in milligrammi determinato per tali sostanze dalla tabella allegata al d.m. (e dunque pari a 2 kg di principio attivo). Tale diverso moltiplicatore, si è sostenuto, sarebbe necessario “al fine di rispettare le proporzioni e rendere omogeneo il principio” affermato dalle Sezioni unite Biondi.
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4. Così come strutturato, il quesito di diritto posto alle Sezioni unite non appare del tutto chiaro. L’incipit di tale quesito richiama espressamente le (sole) droghe leggere, probabilmente per salvaguardare la rilevanza del quesito rispetto al caso di specie; ma i successivi riferimenti in termini generali ai “presupposti per l’applicazione della circostanza aggravante della ingente quantità, in considerazione dell’accresciuto tasso di modulazione normativa”, nonché ai “criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile” di cui alla sentenza Biondi, sembrano allargare il thema decidendum circa la permanenza o meno della validità complessiva del criterio ponderale elaborato dalle Sezioni unite nel 2012.
Alla luce non solo dell’ampio quesito riportato in apertura, ma anche dell’esame del testo dell’intera ordinanza di rimessione, ci sembra dunque che le domande a cui le Sezioni unite siano chiamate a dare risposta siano in realtà due. Una prima – e logicamente preliminare – questione attiene al sindacato sulla permanente validità del principio di diritto elaborato nel 2012 dalla sentenza Biondi.
Solo una volta confermato il criterio ponderale elaborato dalla sentenza Biondi, ci si può chiedere se il moltiplicatore debba essere differente per le droghe leggere rispetto a quello da applicare in caso di droghe pesanti.
5. In riferimento alla prima e fondamentale questione occorre sottolineare che la soluzione cui è pervenuta la sentenza Biondi è frutto di una lunga ed elaborata evoluzione giurisprudenziale.
Alla fine degli anni Novanta, un primo filone giurisprudenziale volto a delineare i confini di applicabilità dell’aggravante di ingente quantità poggiava sul c.d. criterio mercantilistico[10]. Si riteneva cioè che potesse integrare l’aggravante di cui all’art. 80 co. 2 t.u. stup. soltanto una condotta che avesse a oggetto un quantitativo di stupefacente tale da “saturare il mercato” di una determinata zona territoriale.
Per cercare di allentare i problemi di prova ancorati al mercato “nero” dello stupefacente, le Sezioni unite Primavera del 2000 stabilirono il principio secondo cui l’aggravante di ingente quantità ricorrerebbe quando il quantitativo di sostanza stupefacente “sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili, secondo l’apprezzamento del giudice di merito che vivendo la realtà sociale del comprensorio nel quale opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di tale circostanza”[11].
Anche tale soluzione, tuttavia, seppur espressa dal nostro massimo organo giurisdizionale, conduceva ad applicazioni non uniformi, variabili in relazione ad accertamenti in concreto da condurre in relazione alla zona territoriale in cui il reato veniva commesso ed estremamente legate alla discrezionalità dell’interprete.
La ricerca di un parametro oggettivo al quale ancorare il configurarsi dell’aggravante di cui all’art. 80 co. 2 t.u. stup. ha dunque condotto le Sezioni unite Biondi, nel 2012, all’individuazione del c.d. criterio ponderale[12]: il quantitativo di sostanza deve cioè – tendenzialmente – ritenersi “ingente” quando il principio attivo superi il limite determinato dal risultato dell’operazione matematica di moltiplicazione del valore-soglia di sostanza detenibile stabilito dalla tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006 per il valore numerico individuato dalle Sezioni unite sulla base di una ricognizione della giurisprudenza di merito intervenuta negli anni precedenti alla rimessione della questione alle Sezioni unite.
La principale critica mossa al principio di diritto elaborato dalla sentenza Biondi è quella di aver individuato un criterio per l’applicazione dell’aggravante di ingente quantità che poggia su un automatismo aritmetico: il (mero) superamento della quantità di principio attivo oggetto della condotta rispetto al valore risultante dall’operazione matematica poc’anzi descritta implicherebbe l’automatica integrazione dell’aggravante ex art. 80 co. 2 t.u. stup.
Tale automatismo – secondo l’orientamento contrario al criterio elaborato dalla sentenza Biondi e di cui è principale esponente la sentenza Gavagna[13] – risulterebbe oggi ancora meno condivisibile alla luce degli interventi normativi susseguitisi alla declaratoria di incostituzionalità sancita con la sentenza n. 32/2014. Il nuovo e diverso quadro legislativo – che poggia sulla distinzione tra droghe leggere (tabelle 2 e 4) e droghe pesanti (tabelle 1 e 3) – smentirebbe la ratio della normativa vigente all’epoca in cui si è formato lo sviluppo giurisprudenziale culminato nella sentenza Biondi, allorquando ci si rapportava con un’unica tabella relativa a tutte le sostanze stupefacenti e la legge Fini-Giovanardi prevedeva un’analoga disciplina sanzionatoria per le condotte aventi a oggetto sia le droghe leggere sia quelle pesanti.
6. Ad un attento esame degli orientamenti emersi, però, si potrebbe seriamente dubitare di essere realmente in presenza di due posizioni contrastanti. A ben vedere, infatti, non sembra che la sentenza Gavagna e gli altri arresti che comporrebbero il medesimo indirizzo interpretativo si pongano in reale contrasto rispetto al principio di diritto elaborato dalla sentenza Biondi. Le Sezioni unite, infatti, già nel 2012 si erano premurate di specificare che i parametri numerici che per ciascuna sostanza risulterebbero dall’operazione matematica di moltiplicazione del valore soglia tabellare per il moltiplicatore individuato “non determinano – di per sé e automaticamente – se superati, la configurabilità dell’aggravante. Essi, invero, valgono solo in senso negativo, nel senso che, al di sotto degli accennati valori quantitativi, l’aggravante (ex art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990) deve ritenersi in via di massima non sussistente”[14].
Già nel 2012 era dunque chiaro che il criterio ponderale elaborato dalla sentenza Biondi dovesse essere soltanto orientativo, volto cioè a fornire uno strumento oggettivo al giudice di merito sulla base del quale impostare la propria decisione valutativa circa l’applicazione dell’aggravante dell’ingente quantità nel caso di specie sottoposto alla sua attenzione. Le Sezioni unite intendevano cioè affermare il principio di diritto secondo cui l’aggravante non possa ritenersi integrata quando la quantità di principio attivo non superi il valore risultante dall’operazione matematica delineata ma, d’altra parte, non intendevano precludere al giudice di non ritenere integrata l’aggravante anche qualora tale valore sia superato[15].
Se il criterio ponderale è un criterio meramente orientativo, il reale quesito a cui le Sezioni unite sono chiamate a rispondere sembra tradursi allora in una richiesta di esplicitazione di quali debbano essere i dati processuali del caso concreto, diversi e ulteriori rispetto a quello ponderale-aritmetico, che debbano orientare il giudice nella valutazione circa l’integrazione o meno dell’aggravante di ingente quantità.
7. Ad avviso di chi scrive, sembra allora difficile che le Sezioni unite possano pervenire a una soluzione che prescinda del tutto dal criterio ponderale elaborato dalla sentenza Biondi. E ciò non solo perché, come si è detto, non sembra sussistere un reale contrasto tra i due distinti orientamenti; quanto piuttosto perché core business di una Corte suprema è quello di creare soluzioni ripetibili nel tempo che non vengano stravolte in assenza di significativi fattori sopravvenuti.
Inoltre, non si intravede all’orizzonte alcuna migliore alternativa al criterio ponderale. Né la sentenza Gavagna (o comunque l’indirizzo giurisprudenziale di cui essa è rappresentativa) né l’ordinanza di rimessione contengono infatti una pars costruens che proponga una diversa soluzione che possa riempire di contenuto la locuzione “ingente quantità” dell’art. 80 co. 2 t.u. stup.
Salvo che le Sezioni unite pervengano a una soluzione del tutto nuova e non ancora prospettata, le strade percorribili sembrano dunque essere fondamentalmente due: confermare il criterio ponderale già espresso dalla sentenza Biondi, eventualmente con delle precisazioni inerenti a ulteriori dati processuali del caso concreto cui agganciare la valutazione sull’integrazione o meno dell’aggravante, oppure sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 25, co. 2, Cost. Risolto il “falso problema” sull’automatismo nell’applicazione dell’aggravante sulla base di parametri prettamente numerici, infatti, il vero peccato originale della disposizione di cui all’art. 80 co. 2 t.u. stup. è la violazione del principio di precisione.
L’intento della giurisprudenza di legittimità di riempire di contenuto una disposizione imprecisa è senz’altro apprezzabile, ma tale operazione ermeneutica è certo di problematica compatibilità con il nullum crimen; al punto che in dottrina si è autorevolmente parlato, a proposito della giurisprudenza sulla ingente quantità di stupefacenti, di una vera e propria “usurpa[zione] del ruolo del legislatore”[16].
Nondimeno, appare improbabile che le Sezioni unite arrivino a sollevare ora un incidente di costituzionalità, sia perché la giurisprudenza comune ha mostrato di poter sopperire per via ermeneutica al vulnus inferto al principio di precisione, sia perché si ammetterebbe implicitamente che la questione avrebbe dovuto essere sollevata nel 2012 oppure, ben prima, ai tempi della sentenza Primavera.
Inoltre, probabilmente il petitum di un’eventuale ordinanza di rimessione alla Consulta sarebbe quello di una declaratoria di incostituzionalità tout court della disposizione in esame, con la conseguente incisione non solo su tutti i processi in corso in cui sia stata contestata la circostanza di ingente quantità, ma anche su tutte quelle sanzioni, aggravate in applicazione dell’art. 80 co. 2 t.u. stup., già inflitte in via definitiva e ancora in corso di esecuzione[17]. Un costo, questo, certamente non di poco conto.
8. Laddove le Sezioni unite ritenessero di non sollevare l’incidente di costituzionalità e di riconfermare il criterio ponderale, dovrebbero sciogliere altresì il quesito relativo al valore assoluto del moltiplicatore da utilizzare in applicazione di tale criterio in riferimento alle ipotesi di reato aventi a oggetto le droghe leggere.
L’ordinanza di rimessione ha infatti evidenziato che, con riferimento alle droghe leggere, una parte della giurisprudenza ritiene di norma ravvisabile l’aggravante di ingente entità soltanto quando la quantità di principio attivo non sia inferiore a 4.000 volte (e non 2.000) il valore massimo in milligrammi determinato dalla tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006. Come si è detto, il raddoppio del valore assoluto del moltiplicatore con riferimento alle droghe leggere sarebbe funzionale a ristabilire la proporzione rispetto ai valori di quantità di principio attivo ritenuti necessari dalla sentenza Biondi per l’applicazione dell’aggravante sulla base della ricostruzione dei precedenti giurisprudenziali sussistenti al momento cui si è pervenuti a tale decisione.
Anche in relazione a questo sub-quesito prospettato dall’ordinanza di rimessione, le Sezioni unite potrebbero percorrere una duplice via. La prima, forse più lineare, consisterebbe nel ritenere unico il valore assoluto del moltiplicare pari a 2.000 sia con riferimento alle droghe pesanti sia con riferimento alle droghe leggere. Del resto, a ben vedere, in qualsiasi momento l’organo esecutivo potrebbe intervenire a variare i valori soglia del massimo detenibile previsto dalla tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, così variando conseguentemente anche il valore che segnerebbe il limite della (tendenziale) applicabilità dell’aggravante di ingente quantità.
Diversamente, le Sezioni unite potrebbero conformarsi a quell’indirizzo che ritiene di dover applicare il moltiplicatore pari a 4.000 in relazione alle droghe leggere. In questo modo, indubbiamente, il quantitativo di principio attivo necessario a integrare l’aggravante si attesterebbe sui valori individuati dalla sentenza Biondi, allorquando – prima dell’intervento del giudice amministrativo illustrato al precedente § 3 – il valore tabellare per l’hashish e la marijuana era pari a 1.000 milligrammi (anziché l’attuale 500 milligrammi).
Questa seconda soluzione avrebbe peraltro il pregio di stabilire, anche in relazione all’aggravante di ingente quantità, un trattamento sanzionatorio differenziato per le condotte aventi a oggetto droghe leggere rispetto a quelle relative alle droghe pesanti. Anche in relazione all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80 co. 2 t.u. stup., quindi, si renderebbe la disciplina sanzionatoria prevista dal testo unico sugli stupefacenti maggiormente coerente con la ratio del quadro normativo sviluppatosi a seguito della sentenza n. 32/2014 che ha ristabilito la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti e il ripristino della differenziazione delle tabelle che prevedono le relative sostanze stupefacenti.
Una decisione in questo senso renderebbe più coerente il sistema sanzionatorio, ma evidenzierebbe ancora di più il ruolo creativo che ha assunto la giurisprudenza nel riempire di significato la disposizione di cui all’art. 80 co. 2 t.u. stup.
9. De iure condendo, la soluzione ottimale e preferibile – peraltro di non difficile attuazione – sarebbe probabilmente quella di introdurre all’art. 80 un comma 2 bis che, specularmente al comma 1 bis dell’art. 75 t.u. stup., stabilisca quali siano le circostanze da considerare per la configurabilità dell’aggravante di ingente quantità. Tale operazione potrebbe essere semplicemente compiuta anche solo riproducendo per via legislativa il criterio ponderale elaborato in sede giurisprudenziale.
Dobbiamo però confrontarci con le carte in tavola. Non può dunque che constatarsi come la decisione sulla conferma o meno del criterio elaborato dalla sentenza Biondi, ma anche quella subordinata e ulteriore relativa al valore assoluto da attribuire al moltiplicatore da utilizzare con riferimento alle droghe leggere, sottenda una scelta tra la possibilità di “accontentarsi” della prevedibilità, ancorché di fonte non legale, del diritto giurisprudenziale vivente e la necessità di riaffermare il principio di legalità in senso “forte” espresso dalla sentenza Taricco 2 della Corte costituzionale[18]. In tale pronuncia, il giudice delle leggi si esprimeva nei seguenti termini: “Se è vero che anche «la più certa delle leggi ha bisogno di “letture” ed interpretazioni sistematiche» (sentenza n. 364 del 1988), resta fermo che esse non possono surrogarsi integralmente alla praevia lex scripta, con cui si intende garantire alle persone «la sicurezza giuridica delle consentite, libere scelte d’azione» (sentenza n. 364 del 1988). Ciò è come dire che una scelta relativa alla punibilità deve essere autonomamente ricavabile dal testo legislativo al quale i consociati hanno accesso…” [grassetto aggiunto].
Certo è che dal 2012 il criterio ponderale è stato un faro nell’applicazione dell’art. 80 co. 2 t.u. stup.; ma quand’anche la “regola Biondi” possa assumere, grazie al progressivo affinamento della giurisprudenza, un contorno sempre più definito, ciò non varrebbe a colmare l’originaria carenza di precisione del precetto penale[19].
Infatti, nonostante la sempre maggiore rilevanza del ruolo assunto dall’attività di interpretazione giurisprudenziale, anche grazie alla spinta derivante dal diritto sovranazionale e all’opera ermeneutica compiuta dalle corti europee, almeno nella materia penale[20] il “diritto giurisprudenziale” non dovrebbe surrogarsi pressoché integralmente al testo legislativo.
[1] Vds. l’informazione provvisoria diramata dalla Suprema Corte, all’esito della pubblica udienza del 19 dicembre 2019, in cui le Sezioni unite hanno anticipato il principio di diritto, in Sistema penale.
[2] Per un commento all’ordinanza di rimessione, P. Bernardoni, Rimessa alle Sezioni Unite una questione relativa alla compatibilità tra traffico di stupefacenti “di lieve entità” e attenuante del lucro di speciale tenuità, in Sistema penale, 19 novembre 2019.
[3] Cass. pen., Sez. un., 24 maggio 2012 (dep. 20 settembre 2012), n. 36258, pres. Lupo, est. Fumo, imp. Biondi, in Dir. pen. cont., 23 settembre 2012, con nota di M. Pelazza, "Ingente quantità" di stupefacenti: le Sezioni Unite accolgono il "criterio ponderale".
[4] Orientamento espresso ex multis dalle sentenze Cass. pen., Sez. III, 27 maggio 2015, Gavagna; Cass. pen., Sez. III, 29 gennaio 2015, n. 12532.
[5] Cfr. § 6 dell’ordinanza in esame.
[6] Orientamento espresso ex multis dalle sentenze Cass. pen., Sez. VI, 17 novembre 2015 (dep. 2016) n. 543, Pajo; Cass. pen., Sez. VI, 8 ottobre 2015, n. 44596, Maggiore; Cass. pen., Sez. VI, 4 febbraio 2015, n. 6331, Berardi; Cass. pen., Sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 49619, Palumbo e altro.
[7] Cfr. § 6 dell’ordinanza in esame.
[8] Cass. pen., Sez. IV, 15 novembre 2017, n. 55014.
[9] Cass. pen., Sez. VI, 13 luglio 2017, n. 36209, Trifu ed altri.
[10] Cfr. A. Chibelli, La “ingente quantità” di stupefacenti: la “storia senza fine” di un’aggravante al bivio tra legalità in the books e legalità in action, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 2/2017, p. 149.
[11] Cass., Sez. Un., 21 giugno 2000, n. 17, Primavera, in Cass. pen., 2001, 69.
[12] Cfr. A. Chibelli, La “ingente quantità” di stupefacenti: la “storia senza fine” di un’aggravante al bivio tra legalità in the books e legalità in action, cit., p. 151.
[13] Cass. pen., Sez. III, 27 maggio 2015, Gavagna.
[14] Principio di diritto affermato al § 15.4. del “considerato in diritto” della sentenza Biondi.
[15] Peraltro, dato che il nostro è un sistema di civil law, in ipotesi l’aggravante potrebbe essere ritenuta sussistente anche qualora quel limite soglia non sia superato. In tale ultima circostanza, tuttavia, dato che giungerebbe a una conclusione contrastante con il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite, il giudice di merito sarebbe chiamato ad argomentare in maniera significativa sul perché – pur in assenza del superamento del limite soglia – le circostanze del caso concreto indurrebbero a ritenere configurabile l’aggravante.
[16] Cfr. G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di Diritto Penale – Parte Generale, VIII ed., p. 69.
[17] La rideterminazione della pena in exexutivis sarebbe peraltro (oggi) facilmente perseguibile attraverso lo strumento dell’incidente di esecuzione ex art. 666 c.p.p., come chiarito dalle note sentenze Ercolano e Gatto.
[18] Corte cost., sent. 10 aprile 2018 (dep. 31 maggio 2018) n. 115, Pres. e Red. Lattanzi, con commento di C. Cupelli, La Corte costituzionale chiude il caso Taricco e apre a un diritto penale europeo 'certo', in Dir. pen. cont., 4 giugno 2018.
[19] Si riprendono le parole utilizzate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 115/2018 in relazione alla “regola Taricco”. Il considerato in diritto n. 11 di tale decisione a sua volta richiama quanto già espresso dalla precedente sentenza n. 327/2008.
[20] Vds. S. Finocchiaro, Due pronunce della Corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza De Tommaso della Corte edu, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019, § 8, in cui efficacemente si sottolinea come la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 24/2019, operi il proprio sindacato sulla legittimità dell’operazione posta in essere dal diritto vivente giurisprudenziale nel “precisare” il dato normativo in una materia – quella del sistema delle misure di prevenzione – diversa dalla materia penale.