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01 Febbraio 2022


Peculato dell’albergatore: il legislatore chiarisce la retroattività della depenalizzazione del 2020


1. Ed alla fine, l’intricata e controversa vicenda della sotto-fattispecie del peculato dell’albergatore è stata risolta nell’unico modo possibile per azzerare ab imis ogni problema: con un intervento puntuale ed esplicito, seppur tardivo e, nelle intenzioni, forse ad personam[1], dello stesso legislatore frettoloso e svagato che, appena un anno fa, quando aveva riformulato con il decreto rilancio la disciplina dell’imposta di soggiorno in termini più favorevoli, aveva colpevolmente omesso di predisporre una coeva disposizione transitoria per risolvere per tabulas tutti i possibili dubbi intertemporali e consentire de plano l’applicazione retroattiva ai fatti pregressi del nuovo illecito amministrativo tributario contestualmente introdotto, evitando assurde asimmetrie rispetto a situazioni identiche.

Con l’articolo 5-quinquies del c.d. decreto fiscale, aggiunto dal Parlamento in fase di conversione del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito in legge con l. n. 215/2021 e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 20 dicembre 2021[2], è stata infatti varata una disposizione di interpretazione autentica a carattere retroattivo della disciplina della c.d. imposta di soggiorno e delle sue sanzioni riscritta in tempo di pandemia con il d.l. n. 34/2020, allo scopo di escludere la perdurante rilevanza penale ai sensi dell’art. 314 c.p. delle condotte di omesso versamento compiute prima del 19 maggio 2020.

Con questo articolo, rubricato proprio “Interpretazione autentica del comma 1-ter dell'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”, si è infatti tagliato il nodo gordiano che tanti contrasti teorici e giurisprudenziali aveva animato anche sulle pagine di questa rivista[3], stabilendo espressamente che la norma del decreto rilancio che, per un verso, attribuiva la qualifica di responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi e, per altro verso, definiva la relativa disciplina sanzionatoria, “si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020”.

 

2. Com’è noto, in seguito alle modifiche apportate dall’art. 180, co. 3 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. in l. 17 luglio 2020, n. 77, al comma 1-ter dell'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23[4], per far fronte ad un problema non ‘personale’ ma generalmente ed diffusamente avvertito nel settore alberghiero, era stata riformulata la disciplina tributaria relativa a quella peculiare imposta riscossa dagli esercenti attività di ricettività turistica in qualità di agenti contabili e, quindi, secondo la Corte dei Conti[5] e la Corte di Cassazione[6] di incaricati di pubblico servizio, in modo da precludere alla giurisprudenza la possibilità di continuare a considerare – sulla scorta di tale qualifica soggettiva – ogni condotta di mancato versamento di quel tipo di tributo come uno dei più gravi delitti contro la pubblica amministrazione punito con pene severissime, mai ‘eludibili’ con la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. e, nella maggior parte dei casi, eseguibili almeno parzialmente in forma detentiva effettiva dopo la nota modifica del 2019 della c.d. ‘spazzacorrotti’ con cui è stata impedita la sospensione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive irrogate ai sensi dell’art. 656, comma 9, c.p.p.[7].

In particolare, con quella disposizione si era sancito che il gestore della struttura ricettiva – diversamente dal passato – rivestiva la qualifica giuridica di responsabile del pagamento della predetta tassa, di soggetto cioè gravato da un obbligo tributario diretto rispetto all’ente impositore con mero diritto di rivalsa sui soggetti passivi (alias i clienti), il cui mancato assolvimento veniva punito con una sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto in caso di omessa o infedele presentazione della dichiarazione annuale entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, e con la sanzione amministrativa di cui all’art. 13, d.lgs. n. 471/1997 (i.e. il 30 per cento dell’importo annuale dovuto), per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta e del contributo di soggiorno.

Se nessuna incertezza residuava circa la depenalizzazione pro-futuro dei mancati adempimenti degli obblighi tributari in questione senza soglie di punibilità di alcun tipo, tantissime ce ne erano sulla sua efficacia retroattiva.

 

3. Quella duplice novella legislativa, comportante la contestuale modifica di una norma tributaria extra-penale e l’introduzione di un nuovo illecito amministrativo volto a punire con le tipiche sanzioni amministrative tributarie a contenuto patrimoniale gli inadempimenti dichiarativi o contributivi, era stata variamente interpretata[8].

Da un lato, era stata reputata sulla scorta di basi teoriche non solidissime (facendo cioè leva sul criterio del c.d. fatto concreto oggi del tutto recessivo nella consolidata giurisprudenza delle Sezioni unite) come una ipotesi di c.d. successione mediata di leggi penali reale[9], avendo inciso su un elemento definitorio e non meramente normativo della fattispecie incriminatrice quale quello del novero dei soggetti attivi[10]. Da ciò si era fatta discendere la non punibilità dei fatti pregressi ai sensi dell’art. 2, comma 2, c.p. e, contestualmente, la non assoggettabilità degli stessi anche al nuovo illecito amministrativo tributario introdotto con il decreto rilancio, in ragione del principio di irretroattività sancito in chiave generale per questa categoria di illeciti dall’art. 1, l. n. 689/1981.

Da un altro, era stata considerata – in conformità al criterio strutturale prevalente nella giurisprudenza contemporanea sul versante del diritto penale intertemporale – una ipotesi di successione mediata solo apparente, sottratta quindi alla operatività della disciplina di favore retroattiva di cui all’art. 2 c.p. e implicante, altresì, la perdurante rilevanza penale dei fatti pregressi e l’impossibilità di travolgere il giudicato per quelli già definiti con una sentenza di condanna definitiva[11].

Da un altro ancora, valorizzando la ratio della riforma del decreto rilancio e la seconda parte della nuova disposizione che aveva operato una vera e propria depenalizzazione derubricando il peculato dell’albergatore al rango di illecito amministrativo tributario, era stata considerata come una ipotesi di successione impropria di leggi penali, in ordine alla quale non può operare la regola dell’art. 2, comma 4, c.p. comportando, secondo il criterio strutturale utilizzato sul punto da un importante arresto delle S.u. 2012[12], una discontinuità del tipo di illecito che preclude ogni possibilità successoria, implicando invece una abolitio criminis vera e propria ai sensi dell’art. 2, comma 2 c.p.[13].

Tale ginepraio era stato risolto dalle Sezioni semplici della giurisprudenza di legittimità accordando preferenza alla tesi della successione mediata apparente e, dunque, escludendo l’estensione retroattiva della riforma, con significativi effetti pregiudizievoli in malam partem per gli omessi versamenti delle imposte di soggiorno pregressi[14].

Probabilmente, tale opzione ermeneutica era scaturita da valutazioni ‘non dette’ di opportunità politico-criminale effettuate dalla Cassazione, dal momento che, diversamente opinando, e qualificando a livello dommatico la vicenda in parola come una successione mediata reale, oppure come una successione impropria, l’esito sarebbe stato quello irragionevole di assicurare la radicale impunità di tutti i fatti pregressi, ai sensi tanto dell’art. 314 c.p., quanto del nuovo illecito amministrativo, introducendo così un discutibile regime di favore nei confronti degli autori della medesima condotta prima dell’entrata in vigore del novum legislativo.

Tuttavia, seppure animata da considerazioni prima facie ragionevoli, soprattutto se parametrate a quei casi di cronaca che, per le connessioni politiche dei loro protagonisti e per la consistenza ultramilionaria degli importi non versati, avevano destato maggiore attenzione mediatica, tale soluzione sembrava porsi in evidente conflitto con i principi di proporzionalità, ragionevolezza e rieducazione della pena di cui agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost., nonché di retroattività della lex mitior[15] di cui agli artt. 3, Cost. e 117, comma 1, Cost. tramite il parametro interposto dell’art. 7 CEDU; ciò che apriva possibili spazi a questioni di legittimità costituzionale o a ricorsi alla Corte di Strasburgo, a causa della perdurante irrogazione di una pena per un fatto che non è più considerato reato al tempo del giudizio, all’esito di una sopravvenuta valutazione generale ed astratta del legislatore di segno difforme[16].

Nel complesso, lo scenario che si era venuto progressivamente a delineare era comunque poco razionale.

Sia accedendo alla tesi successoria che a quella opposta l’esito era ugualmente insoddisfacente: nel primo caso, infatti, si finiva con il decretare la assoluta non punibilità dei fatti pregressi, tanto ai sensi della disciplina più rigorosa di natura penale esistente al tempus commissi delicti, l’art. 314 c.p., quanto della disciplina decisamente più mite di natura solo amministrativa, introdotta dal decreto rilancio; nel secondo caso, invece, si finiva con il continuare a punire a titolo di peculato una condotta che, per sopravvenuta valutazione politico-criminale del legislatore, era stata depenalizzata e degradata al rango di mero illecito amministrativo, senza peraltro prevedere soglie di punibilità come per la maggior parte degli illeciti tributari[17].

 

4. In questo contesto, il recentissimo intervento esplicito del legislatore 2021 ha l’indiscusso pregio di stabilizzare in modo chiaro e definitivo le oscillanti conclusioni sulla retroattività della depenalizzazione della sottofattispecie del peculato dell’albergatore, sottraendola al discrezionale e mutevole apprezzamento della giurisprudenza e, quindi, in termini più generali, di riaffermare il monopolio in materia penale del potere legislativo su quello giudiziario, riservando le statuizioni politico-criminali circa la rilevanza penale dei comportamenti solo ed esclusivamente ad una decisione del primo chiara, generale ed astratta.

Più nel dettaglio, la soluzione prospettata dal decreto fiscale in commento si presenta risolutiva di ogni tipo di problema segnalato in precedenza, concernendo espressamente sia la parte precettivo-tributaria dell’imposta di soggiorno, sia quella sanzionatoria. Tramite questa duplice previsione assicura, difatti, tanto un epilogo coerente con i principi di retroattività della lex mitior e rieducazione della pena sacrificati dall’orientamento invalso nella giurisprudenza di legittimità poc’anzi citata, tanto con il principio di ragionevolezza eventualmente scalfito dalla tesi della successione di leggi, implicando un trattamento di maggior favore per i fatti pregressi.

Ed infatti, da un lato, la precisazione circa la portata retroattiva della riforma del 2020 del peculato dell’albergatore ha il merito di eliminare l’assurdo logico-giuridico, palesemente in malam partem, di continuare a punire con le severissime pene comminate per il delitto di peculato gli autori di un fatto che in seguito ad un rinnovato giudizio politico-criminale del legislatore integra oggi un illecito amministrativo punito con una sovrattassa.

Dall’altro lato, però, tale opzione legislativa dirada tutte le incertezze che lasciava emergere la tesi della successione nella parte in cui escludeva la possibilità di applicare la nuova disciplina recata per l’illecito amministrativo anche ai fatti pregressi in forza del principio di irretroattività di cui all’art. 1 l. n. 689/1981, stabilendo a chiare lettere che anche “la relativa disciplina sanzionatoria, si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020”.

 

5. L’unico dubbio che residua è se si tratti realmente di una legge di interpretazione autentica, oppure di un ‘abuso legislativo’ nei confronti del potere giudiziario, una sorta di ‘amnistia di giustizia mascherata’ che consente una ingerenza parlamentare nell’ordinario esercizio della amministrazione della giustizia[18], al di fuori dei confini rigidissimi fissati dall’art. 79 Cost. per i provvedimenti di clemenza collettiva[19].

Se, infatti, può essere eventualmente inquadrata nella categoria delle leggi interpretative nella parte in cui chiarisce la portata retroattiva della modifica della disciplina tributaria in materia di imposta di soggiorno e, quindi, agli effetti del diritto penale, indirettamente la non configurabilità in bonam partem del delitto di peculato rispetto ai fatti pregressi perché ‘interpreta’ la novella come integrativa del precetto penale, altrettanto non si può dire per la parte in cui si riferisce alla nuova disciplina sanzionatoria amministrativa, dal momento che, questa, in assenza di una regola transitoria dovrebbe sottostare alla regola generale della irretroattività sancita nella già citata legge n. 689/1981.

Al novero della interpretazione autentica, al più, può essere ricondotta la presa di posizione del legislatore sulla controversa questione dommatica della successione mediata di leggi penali innescata dal mutamento della qualifica soggettiva del riscossore dell’imposta di soggiorno operato dal decreto rilancio del 2020, con la quale sono stati risolti i connessi problemi interpretativi in termini opposti alla giurisprudenza di legittimità prevalente (resta poi da verificare se una simile presa di posizione possa riverberare anche effetti in generale sulle c.d. modifiche mediate apparenti).

Diversamente, sembra esorbitare dallo stesso la scelta di estendere il nuovo illecito amministrativo retroattivamente. Tale opzione, invero, non pare avere un contenuto meramente ricognitivo del significato di un termine o di un concetto polisenso recato da una disposizione pregressa ‘fraintesa’ dal diritto vivente, quanto piuttosto costitutivo di una nuova regola intertemporale diacronica prima non esplicitata dal legislatore e, anzi, teoricamente di segno contrario ex art. 1, l. n. 689/1981.

Tuttavia, proprio il riferimento alla retroazione anche della disciplina sanzionatoria consente di risolvere a monte eventuali dubbi di legittimità costituzionale della legge di interpretazione autentica per contrasto con il principio generale di ragionevolezza[20], evitando che la nuova disciplina ‘interpretante’ produca un’ingiustificata disparità di trattamento ‘di favore’ per gli autori dei fatti pregressi rispetto agli altri.

In ogni caso, qualunque natura giuridica si attribuisca sul punto alla nuova disposizione di legge, non sembrano sorgere problemi intertemporali reali sulla possibile applicazione retroattiva delle nuove sanzioni amministrative, non operando per queste il principio costituzionale di irretroattività di cui all’art. 25, comma 2, Cost. che, invece, secondo il recente avviso della Corte costituzionale, estende il suo raggio di incidenza, così come le altre articolazioni della legalità penale, anche alle sanzioni amministrative sostanzialmente penali[21].

Le nuove misure punitive comminate per il mancato versamento dell’imposta di soggiorno, essendo costruite come semplici sovrattasse, mirano a soddisfare prevalentemente esigenze e finalità endo-erariali di carattere ripristinatorio, piuttosto che afflittivo-repressive e, quindi, non poter essere sussunte nel concetto sostanziale di materia penale, così come definito a livello convenzionale tramite i c.d. Engel criteria e soggiacere alle regole di garanzia costituzionale per la loro applicazione. Al contrario, costituendo una semplice deroga rispetto alla regola generale dei rapporti intertemporali in materia di illeciti amministrativi, rispondono alla regola lex posterior derogat priori.

 

6. Al di là questi profili più teorico-generali, in termini concreti la riforma produce per i fatti pregressi una serie di effetti a cascata in bonam partem, seppure non irragionevolmente favorevoli.

In seguito a tale legge di interpretazione autentica, tutte le condotte di omesso versamento pregresso perdono rilevanza penale e non costituiscono più reato.

Schematizzando, ciò significa che si dovrebbe procedere:

– nei procedimenti in fase ancora embrionale di indagini preliminari, all’archiviazione delle indagini ai sensi dell’art. 411 c.p.p.;

– in quelli che si trovano in ogni altro stato e grado del processo (anche nel giudizio di cassazione), alla adozione di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato;

– nei giudizi già decisi con sentenze di condanna definitive passate in giudicato, alla revoca anche d’ufficio da parte del giudice dell’esecuzione, con un provvedimento ai sensi dell’art. 673 c.p.p., delle statuizioni penali e degli effetti giuridici pregiudizievoli ulteriori, come l’iscrizione nel casellario giudiziale, le pene accessorie e le misure di sicurezza, comprese quelle patrimoniali come la confisca[22].

In tutti questi casi, però, l’autorità giudiziaria dovrebbe contestualmente rimettere gli atti all’autorità amministrativa competente per la determinazione delle sanzioni tributarie dovute a titolo di sovrattassa ai sensi del novellato testo dell’art. 4, d.lgs. n. 23/2011.

Tuttavia, nonostante la complessiva razionalità della soluzione immaginata, permangono talune perplessità.

Se è vero, cioè, che con questa riforma tutte le tessere del mosaico della controversa rilevanza penale del peculato dell’albergatore ante 2020 sembrano finalmente aver trovato il loro posto, è anche vero che restano sul tappeto grandi perplessità sull’operato complessivo del legislatore il quale, a causa di scelte emergenziali, frettolose e mal congegnate, seppure ‘a fin di bene’, non solo ha inverosimilmente alimentato con una legge la oramai cronica ‘crisi della legge penale’, ma ha anche prodotto effetti negativi di medio-breve periodo tanto per la giustizia penale, quanto per l’intera classe dei destinatari della disciplina tributario-alberghiera.

Per un verso, infatti, ha finito per oberare l’amministrazione giudiziaria di una notevole messe di lavoro, rivelatasi del tutto infruttuosa e sterile, suscitando così negli operatori del diritto direttamente coinvolti un forte senso di frustrazione per lo sforzo di Sisifo prodotto e facendo tornare alla mente degli osservatori anche esterni la celebre massima di von Kirchmann sul carattere ‘ascientifico’ del diritto secondo cui “bastano tre parole di rettifica del legislatore ed intere biblioteche diventano carta straccia”[23].

Per altro verso, invece, ha mortificato la funzione di orientamento culturale che dovrebbe sempre accompagnare la legge penale, non rendendo chiara erga omnes la rilevanza penale o meno di taluni comportamenti e, soprattutto, oscurandone la funzione special-preventiva positiva nei confronti dei loro autori materiali, sollevando forti dubbi di ragionevolezza.

Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι: il diritto penale, in quanto ius terribile ed arma a doppio taglio che comprime il fondamentale diritto di libertà dei consociati, è arnese serio e delicato che andrebbe gestito in maniera molto più ponderata, attenta e responsabile da parte del legislatore, rifuggendo dall’impiego di fonti di produzione del diritto di marca governativa, come i decreti legge basati su ragioni di necessità ed urgenza e ‘manipolabili’ in sede di conversione, e affidandolo esclusivamente alla legge ordinaria, con tutto ciò che questa implica in termini di vaglio dialettico-democratico e di lunga e meditata valutazione, grazie alla sua adozione con il sistema delle c.d. navette da parte di un Parlamento ancora incentrato su un bicameralismo perfetto[24].

Anche una democrazia rappresentativa in crisi prolungata di legittimazione politica come quella attuale potrebbe comunque riuscire a ridurre la ‘perdita di qualità’ della legislazione penale e ad evitare situazioni paradossali come quella in esame, da un lato, contenendo l’uso di atti normativi emergenziali e, dall’altro, fruendo nelle fasi di gestazione di un disegno di legge parlamentare dei momenti consultivi che si celebrano nelle preposte commissioni giustizia delle due Camere, e di quelli critici che si sviluppano nel dibattito pubblico.

 

 

[1] La possibile natura ad personam è stata segnalata, e anche opportunamente ‘marginalizzata’ nell’economia complessiva della riforma, da M. Gambardella, Il “decreto rilancio” e la degradazione della condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da peculato a illecito amministrativo, in Penale. Diritto e procedura, 2020, 339 ss.; G.L. Gatta, Peculato dell’albergatore e revoca del giudicato per intervenuta (?) abolitio criminis: l’ordinanza del g.u.p. di Roma sul caso Paladino, in questa Rivista, 23 dicembre 2020. Ne evidenzia l’estraneità rispetto tale categoria, in ragione della diffusione trasversale del comportamento nell’intero settore turistico e, dunque, della rilevanza sociale del problema, M. Galli, “Cattive” prassi e limiti dell’intervento penale: serbatoi GPL, concessioni demaniali marittime e tassa di soggiorno, in Arch. pen., 2021, n. 2, 29.

[2] L’art. 5-quinquies è stato introdotto dagli emendamenti, identici, Faraone e Marino n. 5.0.55 e Pittella e Laus n. 5.0.56.

[3] Si vedano al riguardo i tanti provvedimenti giudiziari e commenti consultabili nella colonna a lato.

[4] Com’è noto, l’imposta di soggiorno, istituita con il Regio d.l. 24 novembre 1938, n. 1926 per tutte le località turistiche d'Italia, era stata soppressa nel 1988 nella convinzione che rappresentasse un freno allo sviluppo dell’industria turistica nazionale. In tempi recenti, però, nell’ambito della riforma del c.d. federalismo fiscale, tale tributo c.d. di scopo alla cui riscossione era preposto l’albergatore, è stato nuovamente reintrodotto con il d.lgs. n. 23/2011 che ha consentito ai Comuni turistici, alle città d’arte e ai capoluoghi di provincia, di attivarlo liberamente in modo proporzionato al costo del pernottamento, ma nel limite massimo di 5 euro per notte, vincolando pur sempre i gettiti generati ad investimenti nel medesimo comparto turistico. In argomento, cfr. M. Damiani, L'imposta di soggiorno: prove di federalismo municipale ‘disarticolato’, in Corr. trib., 2011, 2630.

[5] Cass., S.u. civ., 24 luglio 2018, n. 19654, in Riv. giur. trib., 2018, 201 ss., con nota di F. Cerioni, L'imposta di soggiorno e gli albergatori agenti contabili. Le Sezioni unite, dopo aver riconosciuto la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale nei confronti del titolare della struttura ricettiva che ometteva di versare all'ente locale le somme a tale titolo riscosse dai clienti, avevano ribadito che “l’attività di accertamento e riscossione dell’imposta comunale ha natura di servizio pubblico”, e che l’obbligazione del concessionario di versare all'ente locale le somme a tale titolo incassate aveva carattere pubblicistico, discostandosi dal regime comune delle obbligazioni civili in ragione della tutela dell'interesse della pubblica amministrazione ad una pronta e sicura esazione delle entrate. Da ciò avevano desunto che il rapporto che si instaurava tra privato ed ente pubblico doveva essere configurato a tutti gli effetti come “rapporto di servizio” non organico, bensì funzionale, in quanto il soggetto esterno si inserisce nell’iter procedimentale dell’ente come compartecipe (anche solo di mero fatto) dell'attività pubblicistica di quest'ultimo e che, nell’ambito di tale rapporto, il privato incaricato di riscuotere denaro di spettanza dello Stato o di enti pubblici, del quale ha il maneggio nel periodo compreso tra la riscossione e il versamento, rivestiva la qualifica di “agente contabile”.

[6] Ad avviso di Cass., Sez. VI, 26 marzo 2019, n. 27707; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2018, n. 32058; Cass., Sez. II, 13 novembre 2018, n. 6130, infatti, l’albergatore non doveva essere considerato un mero sostituto di imposta, gravato da un obbligo tributario diretto nei confronti del Comune, eventualmente rilevante sul piano amministrativo, ma, al contrario, un agente contabile che, nello svolgimento di una attività meramente ausiliaria nell’esecuzione dell’obbligazione tributaria intercorrente tra l’ente impositore ed il cliente della struttura, assumeva la veste giuridica di incaricato di pubblico servizio quando acquisiva la materiale disponibilità delle somme di denaro pubblico versategli dall’ospite. Come chiarito, da ultimo da Cass., Sez. II, 28 maggio 2019, n. 29632, rivestendo la qualifica soggettiva di funzionario pubblico in ragione dello svolgimento di attività di tale natura pubblicistica, ogni condotta appropriativa di denaro altrui che aveva nel suo possesso per ragioni dell’ufficio integrasse sempre il delitto di peculato comune, non essendo configurabile – in assenza di un rapporto di specialità tra le fattispecie generali ed astratte – un concorso apparente di norme con l’illecito amministrativo tributario previsto nei regolamenti comunali che sanziona il solo mancato versamento dell’imposta, non anche la loro appropriazione. Per una ricostruzione più analitica di tali posizioni della S.C. si rinvia a M. Gambardella, Il “decreto rilancio”, cit., 339 ss.; C. Benussi, Art. 314 c.p., in E. Dolcini – G.L. Gatta, Codice penale commentato, Milano, 2021, 5ᵃ ed., 483; nonché, sia consentito, il nostro G. Amarelli, I delitti di peculato, in S. Fiore – G. Amarelli, a cura di, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Torino, 2021, 61 ss.

[7] Gli effetti della ‘spazzacorrotti’ sulla questione in oggetto sono sottolineati da M. Galli, “Cattive” prassi e limiti dell’intervento penale, cit., 31.

[8] Per una più organica ricostruzione delle differenti posizioni formatesi sul punto in dottrina e in giurisprudenza, sia consentito rinviare al nostro G. Amarelli, "Peculato dell'albergatore": tra modifiche mediate reali o apparenti e successione impropria, tertium datur l'amnistia?, in questa Rivista, 5 febbraio 2021.

[9] Per i necessari approfondimenti in generale su tale fenomeno, si rinvia per tutti ai fondamentali lavori di G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, Milano, 2008; D. Micheletti, Legge penale e successione di norme integratrici, Torino, 2006; L. Risicato, Gli elementi normativi della fattispecie penale, Milano, 2004, 225 ss.

[10] In tal senso si vedano Trib. Roma, 2 novembre 2020, n. 1515; Trib. Torre Annunziata, 17 dicembre 2020, n. 221; Trib. Roma, 3 dicembre 2020, tutte consultabili agevolmente nelle colonne a lato.

[11] In tal senso si veda, in dottrina, G.L. Gatta, Omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell’albergatore e peculato: abolitio criminis dopo il ‘decreto rilancio’?, in questa Rivista, 2020, e, in giurisprudenza, Cass., Sez. VI, 28 ottobre 2020, n. 36317, Brugnoli; Cass., Sez. VI, 28 settembre 2020, n. 30227, Di Bono.

[12] Cass. pen., Sez. un., 29 marzo 2012, n. 25457, con nota di G. Romeo, Le Sezioni Unite sulla successione fra reato e illecito amministrativo, in Dir. pen. cont., 2012.

[13] A favore di tale soluzione che, pare essere quella formalmente e teleologicamente più corretta, si vedano le argomentazioni puntualmente addotte da C. Sotis, Abolitio criminis senza passare dalla fattispecie, in R. Acquaroli – E. Fronza – A. Gamberini, a cura di, La giustizia penale tra ragione e prevaricazione, Roma, 2021, 967 ss.; nonché, sia consentito, il nostro G. Amarelli, "Peculato dell'albergatore", cit., 8 ss. In questi termini si è orientato Trib. Salerno, sent. 19 ottobre 2020, in questa Rivista, 2021, con nota critica di F. Lazzeri, Peculato dell'albergatore e nuovo illecito amministrativo in una recente sentenza di merito: alla base del riconoscimento dell'abolitio criminis una malintesa applicazione del criterio strutturale. Sostengono una soluzione analoga C. Longobardo, La condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno, in Arch. pen., 2021, 27 ss.; M. Gambardella, Il “decreto rilancio”, cit., seppure quest’ultimo su basi leggermente differenti, facendo cioè leva sul rapporto di specialità tra i due illeciti, quello penale preesistente e quello amministrativo successivo.

[14] Nella giurisprudenza di legittimità si è pronunciata in questi termini Cass., Sez. VI, sent. 26 gennaio 2021 (dep. 10 maggio 2021), n. 18105, Pres. Petruzzellis, est. De Amicis, ric. Martinez, in questa Rivista, con nota di F. Lazzeri, Peculato dell’albergatore anteriore al decreto rilancio: si consolida in Cassazione la tesi contraria all’abolitio criminis. Nonché, in precedenza, Cass., Sez. VI, sent. 28 settembre 2020 (dep. 30 ottobre 2020), n. 30227, Pres. Mogini, Est. Villoni, ric. Di Bono; Cass. Sez. VI, 28.10.2020 (dep. 17.12.2020), n. 36317, Pres. Bricchetti, Rel. Calvanese, ric. Brugnoli.

[15] Il contrasto tra la soluzione favorevole alla perdurante punibilità a titolo di peculato dei fatti pregressi e la ratio del principio di retroattività della lex mitior e la sua interconnessione con i principi di necessità e proporzionalità della pena è lucidamente messo in evidenza da C. Sotis, Abolitio criminis senza passare dalla fattispecie, cit., 773 ss. In generale, sul rango di questo principio cfr. M. Gambardella, Lex mitior e giustizia penale, Giappichelli, 2013, 47 ss.

[16] In tal senso, seppure in termini non così espliciti, D. Micheletti, Le modifiche mediate apparenti. Un recente caso in materia di peculato, in Discrimen, 2020, p. 11 ss. In giurisprudenza, sembra avanzare dubbi analoghi, seppure in una prospettiva leggermente differente, Trib. Salerno, sent. 19 ottobre 2020, cit.

[17] Su questa altra imperfezione della scelta riformista del decreto rilancio, che ha finito con il creare un unico illecito amministrativo di carattere tributario senza distinzioni di sorta a differenza di quanto avviene in altri illeciti di natura riscossiva o dichiarativa nel medesimo settore, sia consentito rinviare al nostro G. Amarelli, “Limitatori della penalità”: il caso del peculato dell’albergatore tra depenalizzazione legislativa e reviviscenza giurisprudenziale, in Arch. pen., 2021.

[18] In argomento, si rinvia per tutti ad A. Pugiotto, La legge interpretativa e i suoi giudici: strategie argomentative e rimedi giurisdizionali, Milano, 2003.

[19] Sulla natura dei provvedimenti di clemenza collettiva come forme di ingerenza del legislatore negli spazi riservati al potere giudiziario, cfr. V. Maiello, Clemenza e sistema penale, Napoli, 2006, 480 ss.

[20] La giurisprudenza costituzionale ha infatti individuato dei limiti alla legittimità delle leggi di interpretazione autentica, il principale dei quali è costituito proprio dal divieto di introdurre tramite un simile provvedimento normativo ingiustificate disparità di trattamento in ordine ad un medesimo fatto. Sul punto cfr. C. cost. n. 170/2013.

[21] Cfr., per tutte, Corte cost., sent. 16 aprile 2021, n. 68, Pres. Coraggio, Red. Modugno, in questa Rivista, con nota di M. Scoletta, La revocabilità della sanzione amministrativa illegittima e il principio di legalità costituzionale della pena.

[22] Molto chiaramente in tal senso M. Gambardella, op. ult. cit.

[23] J.H. von Kirchmann, Ueber clic Wertlosigkheit der Jurisprudenz als Wissenschaft (1848), Dornbirn, 2003, 21.

[24] Sulla necessità di intendere in ambito penale il principio di riserva di legge come riserva di legge ordinaria in modo da consentire di soddisfare la sua ratio di riserva di organo costituzionale, si veda C. Cupelli, La legalità delegata. Crisi e attualità della riserva di legge nel diritto penale, Napoli, 2012, 73 ss.