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18 Settembre 2023


Cancellazione dal registro delle imprese e illecito amministrativo da reato dell’ente

Corte app. Milano, sent. 20 febbraio 2023 (dep. 17 maggio 2023), n. 1419



1. La decisione che qui si annota merita di essere segnalata per l’accoglimento del motivo d’appello prospettato dal difensore di una delle società attinte dal procedimento 231, estinta dopo la contestazione dell’illecito a seguito della cancellazione dal registro delle imprese.

Conviene anzitutto ripercorrere brevemente i fatti da cui è scaturito il procedimento penale. La vicenda trae origine da una gara a evidenza pubblica per la realizzazione di una particolare infrastruttura in occasione dell’Expo 2015, vinta da un’A.T.I. di cui faceva parte, tra le altre società, la ALFA S.r.l. Il rappresentante legale di tale impresa, figlio del Responsabile unico del procedimento, è accusato di turbata libertà degli incanti e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio perché, in concorso con gli altri vertici societari delle imprese costituenti l’A.T.I., avrebbe ottenuto l’aggiudicazione della gara previo accordo con il padre, che rivestiva anche la qualifica di Presidente della Commissione. Più nel dettaglio, il pubblico ufficiale si sarebbe adoperato per fornire suggerimenti nella redazione dell’offerta tecnica, rivelando altresì informazioni riservate che avrebbero posto le società partecipanti in una situazione di particolare favore per l’assegnazione della commessa; quale corrispettivo, avrebbe poi fatto stipulare a una delle imprese costituenti l’A.T.I. un contratto di consulenza simulato a favore di una diversa società riconducibile al figlio, e accettato la promessa della corresponsione di un’ulteriore somma di denaro, sempre attraverso lo schermo di un incarico professionale fittizio.

Alla complessa vicenda così descritta sono seguiti diversi procedimenti penali nei confronti degli attori coinvolti. Nondimeno, i profili di maggiore interesse, sui quali si concentra il nostro commento, riguardano unicamente l’illecito amministrativo da reato di cui all’art. 25, comma 3, del d.lgs. 231/2001 contestato alla ALFA S.r.l., in relazione al delitto di corruzione propria ex art. 319 c.p., per il quale il legale rappresentante della suddetta società ha definito la sua posizione tramite concordato in appello.

 

2. Dopo la contestazione dell’illecito, infatti, è sopravvenuta l’estinzione dell’impresa attinta dal procedimento de societate, a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese. Non essendo questa un’ipotesi disciplinata espressamente dal d.lgs. 231/2001, la sentenza in commento si confronta con la non facile questione di individuare quali siano le possibili conseguenze della cessazione della società sul piano della responsabilità ex crimine dell’ente[1].

Per quel che riguarda gli effetti sul piano civilistico, l’art. 2495 c.c., in seguito alla riforma del diritto societario del 2003, dispone che, cancellata la società per azioni, i creditori rimasti insoddisfatti possono far valere i loro crediti verso i soci nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione o nei confronti dei liquidatori qualora il mancato pagamento sia dipeso da loro colpa, «ferma restando l’estinzione della società». Tale inciso, inserito dal Legislatore della riforma, ha comportato un revirement della giurisprudenza di legittimità, prima orientata nel senso di riconoscere alla cancellazione un effetto meramente dichiarativo, con la conseguenza di ammettere l’estinzione dell’ente solamente in seguito alla definizione di tutti i rapporti attivi e passivi a esso riconducibili[2]. Dopo il riconoscimento dell’efficacia costitutiva della cancellazione, la tutela dei creditori sociali rimasti insoddisfatti rimane invece salvaguardata unicamente dalla prerogativa per quest’ultimi di agire nei confronti dei soci o dei liquidatori, cui l’obbligazione si trasferisce secondo un fenomeno di tipo successorio[3].

La disciplina civilistica così tratteggiata ci consente di enucleare due possibili soluzioni al problema delle conseguenze della cancellazione per l’illecito amministrativo da reato dell’ente. Da un lato, infatti, si può ritenere che la cessazione della società, che consegue pacificamente alla cancellazione dopo la riforma del 2003, comporti l’estinzione dell’illecito, sulla falsariga di quanto avviene a seguito della morte del reo prima della condanna ex art. 150 c.p.; dall’altro, si può invece fare applicazione dell’art. 2495 c.c. per il pagamento della sanzione pecuniaria, di cui risponderanno, come si è visto, i soci secondo il regime patrimoniale di cui godeva la società estinta o i liquidatori in caso di loro colpa.

Il mancato richiamo a tale ipotesi nel d.lgs. 231/2001, probabilmente dovuto alle oscillazioni che caratterizzavano la giurisprudenza pre-2003 sulle conseguenze civilistiche della cancellazione[4], ha determinato un contrasto giurisprudenziale sul punto. Se infatti le precedenti decisioni di merito hanno concluso per l’estinzione dell’illecito ex crimine a seguito della cancellazione dell’ente dal registro delle imprese[5], la Corte di Cassazione, nei casi arrivati alla sua attenzione, ha offerto due soluzioni diverse.

Il primo arresto dei giudici di legittimità si è infatti posto in continuità con l’indirizzo interpretativo che si era fatto strada nella precedente giurisprudenza di merito[6]. In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto estinto l’illecito amministrativo da reato sulla base dell’art. 35 del d.lgs. 231/2001, che estende alla persona giuridica le disposizioni processuali riferibili all’imputato, in quanto applicabili. Il rinvio dunque, da intendersi anche agli artt. 129 e 529 c.p.p., avrebbe permesso di equiparare l’estinzione della società alla morte del reo. Inoltre, un ulteriore argomento a sostegno di tale tesi sarebbe proprio il mancato richiamo alla cancellazione della società nel titolo del decreto citato riguardante le cd. vicende modificative: in assenza di una norma che lo consenta, non sarebbe infatti possibile far riverberare sui soci la responsabilità dell’ente che, salvo le eccezioni espressamente previste, risponde della sanzione pecuniaria unicamente con il suo patrimonio ex art. 27 d.lgs. 231/2001. Nondimeno, per scongiurare prassi elusive volte a far dichiarare estinta l’impresa al solo fine di neutralizzare il rischio di condanna nel procedimento contra societatem, la Corte di Cassazione ha affermato che tale conseguenza discenderebbe solo in presenza di una cancellazione “fisiologica” e non già “fraudolenta”, ossia preordinata allo scopo di sottrarsi alla responsabilità amministrativa da reato[7].

Nella seconda sentenza che si è confrontata con la questione, i giudici di legittimità hanno invece sconfessato tale approccio, negando ogni effetto alla cessazione della società e affermando la responsabilità dei soci per il pagamento della sanzione pecuniaria secondo il dettato delle norme civilistiche[8]. Da un lato, infatti, si è affermato che le cause di estinzione del reato, pacificamente considerate norme eccezionali[9], non sono estensibili in via analogica e che, laddove il legislatore ha voluto disciplinare gli effetti estintivi per l’illecito amministrativo da reato, l’ha fatto espressamente. Dall’altro lato, considerata l’irrilevanza del fallimento dell’ente sul piano della responsabilità ex crimine[10], allo stesso modo non dovrebbe produrre riflessi significativi la sua cancellazione dal registro delle imprese. Infine, l’art. 35 citato non potrebbe avere un ruolo estensivo della disciplina riferibile alla morte del reo, che è evidentemente ritagliata sulla sola persona fisica e perciò incompatibile con le caratteristiche proprie delle società, cui l’evento “morte” non è certo attribuibile.

 

3. La sentenza in esame si pone in linea di continuità con la precedente giurisprudenza di merito, riconoscendo effetto estintivo alla cessazione della società derivante dalla sua cancellazione dal registro delle imprese e riprendendo la distinzione tra cancellazione “fisiologica” e “fraudolenta”, pur senza confrontarsi con l’indirizzo contrario sopra richiamato.

In particolare, il percorso argomentativo della Corte d’Appello pare segnalarsi soprattutto per la valorizzazione del principio personalistico di cui all’art. 27 Cost. nell’ambito della responsabilità ex crimine dell’ente.

Più nel dettaglio, i giudici dell’impugnazione sono pervenuti a una piena equiparazione tra la morte del reo e la fisiologica estinzione della società, in virtù dell’inutilità di sanzionare un soggetto non più esistente e di svolgere nei suoi confronti un antieconomico processo[11]. Dopo aver richiamato gli effetti civilistici della cancellazione, a sostegno di tale conclusione viene riportato sia l’argomento fondato sul citato art. 35, ritenendo evidentemente compatibile la disciplina processuale conseguente alla morte del reo con le peculiarità del soggetto collettivo, sia il mancato richiamo all’estinzione nel titolo relativo alle vicende modificative dell’ente. Preso atto della lacuna normativa, la motivazione si concentra, come si è accennato, sul ruolo del principio di colpevolezza nel sistema delineato dal d.lgs. 231/2001.

Ritenendo infatti pacifica l’attrazione nell’orbita dell’art. 27 Cost. della responsabilità da reato, ricavabile dalla necessità di rinvenire una colpa d’organizzazione per poter rimproverare l’illecito al soggetto collettivo, la Corte d’Appello trae una conseguenza particolarmente rilevante sul piano della funzione che le sanzioni devono svolgere per l’ente.

Infatti, avendo tale forma di responsabilità una natura punitiva particolarmente accentuata, provata se non altro dall’esigenza di rinvenire una rimproverabilità del fatto al soggetto cui è rivolta la contestazione, ne discende che la finalità retributiva e, soprattutto, rieducativa della pena, prevista dalla norma costituzionale, deve necessariamente ritrovarsi anche nella sanzione da infliggere. Ebbene, le eventuali misure punitive irrogate alla società cancellata, e quindi estinta in ossequio alla menzionata disciplina civilistica, risulterebbero, sotto questo profilo, inutiliter datae, con conseguente necessità di riconoscere altresì l’effetto estintivo dell’illecito derivante dalla cancellazione. È evidente, infatti, che nessun effetto rieducativo è possibile per un soggetto non più esistente, così come la funzione più marcatamente retributiva finirebbe per essere sopportata dai soci beneficiari del bilancio finale di liquidazione, individui diversi da quello cui la sanzione è irrogata.

Così deciso, i giudici dell’impugnazione riprendono infine la distinzione tra la cessazione “fisiologica” e “fraudolenta”, elaborata nella sentenza della Corte di Cassazione sopra menzionata. Su questo versante, a esser maggiormente valorizzato è il profilo cronologico: l’assenza di indici di fraudolenza della cancellazione risulta provata dal fatto che la società sia stata messa in liquidazione prima che gli imputati abbiano avuto conoscenza di un procedimento a loro carico, anche se l’effettiva estinzione del soggetto collettivo è sopravvenuta nelle more del processo di primo grado. Per questi motivi, non essendo stati allegati altri elementi che potessero far propendere per una estinzione dell’ente preordinata a “sfuggire” alle sanzioni 231, la Corte d’Appello ha dunque ritenuto estinto l’illecito ex crimine a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese.

 

4. La conclusione raggiunta dai giudici di merito appare condivisibile, anche se rimangono alcune “zone d’ombra” che conviene analizzare più da vicino. Ci sembra, da un lato, corretto il rilievo per cui le sanzioni irrogate non potrebbero raggiungere il loro scopo: certamente sarebbero inattuabili le sanzioni interdittive, considerata la cessazione dell’attività d’impresa; le sanzioni pecuniarie, al contrario, potrebbero essere sopportate dai soci o liquidatori secondo la disciplina civilistica sopra tratteggiata.

Nondimeno, questa conseguenza si pone in contrasto, prima ancora che con il principio rieducativo legato a doppio filo con la responsabilità colpevole, con il “significato minimo” da attribuire all’art. 27 Cost., inteso come divieto di responsabilità per fatto altrui[12]. Anche senza concentrarsi sulle possibili finalità rieducative del sistema 231[13], che in ogni caso dovrebbero atteggiarsi diversamente rispetto alle persone fisiche, tradizionali interlocutori di tale scopo della pena, non è infatti possibile equiparare l’obbligazione per il pagamento di una misura punitiva pecuniaria a un debito di diritto civile, del quale è possibile la trasmissione ai soci a salvaguardia delle pretese creditorie. L’intrasmissibilità di tale sanzione è infatti un principio generale che permea l’intera materia punitiva e si àncora alla necessità di non far “scivolare” la responsabilità verso una persona diversa da quella che ha commesso l’illecito. Non a caso, questa basilare regula iuris trova riconoscimento tanto nel diritto sanzionatorio amministrativo quanto nella giurisprudenza convenzionale con riferimento alle sanzioni sostanzialmente penali[14]. Ci sembra, dunque, che per colmare la lacuna presente nel d.lgs. 231/2001, l’argomento incentrato sul principio di responsabilità per fatto proprio debba logicamente essere affrontato prima dell’analisi circa funzione e scopo delle sanzioni. Del resto, questa è la soluzione seguita dalla giurisprudenza per le sanzioni amministrative tributarie[15]: è precluso all’Amministrazione finanziaria di far valere le proprie ragioni nei confronti dei soci di una società estinta, cui possono trasferirsi i soli debiti d’imposta, in modo analogo a quanto avviene con gli eredi in caso di morte dell’autore della violazione, a meno che l’illecito non sia già stato definitivamente accertato prima della cancellazione dal registro delle imprese. Infatti, è questo anche l’approdo cui giunge la dottrina prevalente per la sanzione ex crimine[16], che ragionevolmente tende a equiparare i due illeciti sostanzialmente punitivi, la cui riconduzione nell’alveo della materia penale è quanto mai agevole[17]. È pur vero che l’art. 28, comma 4, del d.lgs. 175/2014 ha introdotto una parziale deroga a questo principio, permettendo al Fisco di agire nei confronti della società estinta entro cinque anni dalla richiesta di cancellazione. L’eccezione, che trova la sua giustificazione nella nota “ragion fiscale” che permea il settore tributario[18], conferma in realtà la conclusione cui è giunta la Corte d’Appello: per procedere nei confronti di una società estinta, è necessaria una norma che lo consenta, in assenza della quale, evidentemente, occorre al contrario ritenere estinto l’illecito.

Ci sembra, peraltro, che l’inapplicabilità dell’art. 2495 c.c. all’obbligazione per la sanzione pecuniaria trovi conferma anche nel divieto di analogia in malam partem: come accennato, infatti, l’art. 27, comma 1, d.lgs. 231/2001 conferma il generale principio di divieto di responsabilità per fatto altrui anche nell’ambito della corporate criminal liability, prevedendo che solo l’ente, con il suo patrimonio o fondo comune, risponda di tale debito. Le successive norme in materia di trasformazione, fusione o scissione, con una evidente ratio antielusiva, permettono che risponda un soggetto nominalmente diverso dall’originario responsabile, in virtù della possibilità di ravvisare un «continuum economico-imprenditoriale»[19] a seguito dell’intervento di riorganizzazione o cambiamento nella denominazione sociale. Di conseguenza, si deve ritenere che laddove il legislatore ha voluto far rispondere soggetti diversi dall’ente autore dell’illecito, l’ha previsto espressamente: far “scivolare” la responsabilità per la sanzione pecuniaria verso i soci in assenza di una espressa previsione di legge vorrebbe dire, in definitiva, fare applicazione analogica delle norme in tema di vicende modificative, in aperto contrasto, se non con l’art. 25 Cost., quanto meno con l’art. 7 Convenzione EDU[20].

A sostegno di tale tesi milita altresì la perdita di legittimazione processuale della società estinta: come pure è stato osservato, l’impossibilità di stare in giudizio comporterebbe l’incapacità di esperire atti di difesa personalissimi e, più in generale, l’impedimento di ogni forma di autodifesa[21]. Tale esito, all’evidenza, sarebbe in palese contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., oltre che 6 CEDU, a ulteriore conferma della tesi per la quale l’estinzione dell’illecito ex crimine sarebbe una soluzione obbligata conseguente alla cessazione dell’ente.

Da ultimo, nel caso in cui si avvertisse effettivamente l’esigenza di evitare prassi elusive, altra dottrina ha anche sottolineato come il pubblico ministero possa ricorrere al sequestro conservativo ex art. 54 d.lgs. 231/2001[22] o richiedere la “cancellazione della cancellazione” secondo il particolare indirizzo ermeneutico della Corte di Cassazione civile che permette la reviviscenza della società estinta ex art. 2191 c.c. in caso di prova positiva della continuazione dell’attività sociale[23]. Del resto, ulteriori eccezioni al principio espresso dall’art. 2495 c.c. sono rinvenibili anche nel codice della crisi e dell’insolvenza[24]: si tratterebbe, secondo tale tesi, di estendere in via interpretativa le ipotesi che giustificano la rimozione dell’iscrizione della cancellazione ai casi di estinzione preordinata a sottrarsi alle conseguenze della commissione dell’illecito[25].

 

5. Alcune parole infine pare utile riservare proprio alla distinzione tra estinzione “fisiologica” e “fraudolenta”. Questa ripartizione nasce, come accennato, per evitare prassi elusive della disciplina: la cancellazione dal registro delle imprese, salve determinate ipotesi di liquidazione giudiziale, consegue infatti a una libera scelta della compagine societaria, che potrebbe effettivamente strumentalizzarla per evitare di incorrere nelle sanzioni amministrative da reato. Nel caso in esame, la deliberazione dello scioglimento prima della formale conoscenza del procedimento da parte degli imputati ha reso agevole la risoluzione della questione, nonostante il Tribunale di primo grado avesse negato l’effetto estintivo riconoscendo un indice di fraudolenza nella posteriorità della cancellazione rispetto alla contestazione dell’illecito. La difficoltà di tracciare una netta linea di demarcazione con l’estinzione “fisiologica” potrebbe, in questo senso, portare ad attribuire un peso eccessivo al solo dato cronologico, suscettibile di operare come una presunzione relativa in entrambi i sensi a seconda che lo scioglimento della società sia deliberato prima o dopo la conoscenza dell’addebito[26]. Tale soluzione non sembra pienamente soddisfacente: è ben possibile immaginare ipotesi di cessazione dell’attività imprenditoriale sopraggiunta nelle more del processo o cancellazioni “ad hoc” prima della contestazione dell’illecito. Il rischio dell’eccessiva valorizzazione dell’elemento temporale è dunque quello, da un lato, di una indebita inversione dell’onere della prova a carico dell’ente estinto e, dall’altro, di lasciare un vuoto di tutela per situazioni connotate effettivamente da comportamenti volti a eludere la disciplina sanzionatoria. Nondimeno, anche considerata l’assenza di precedenti che possano essere valorizzati in questo campo, è pur vero che risulta difficile enucleare in astratto diversi “indici di fraudolenza” in grado di guidare l’interprete nella risoluzione degli hard cases prospettabili in questo frangente, così che, in assenza di un intervento del legislatore, non si può fare altro se non affidarsi a una valutazione casistica.

 

 

 

 

[1] V. G. Garuti, C. Florio, Cancellazione della società dal registro delle imprese ed estinzione dell’illecito amministrativo da reato, in Arch. pen., 2012, 1, 1 ss.; G. J. Sicignano, Gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese sulla responsabilità da reato dell’ente, in Dir. pen. cont., 2014, 2, 154 ss.; Napoleoni, Principi generali, in G. Lattanzi-P. Severino (a cura di), Responsabilità da reato degli enti, Vol. I, Torino, 2020, 142 ss.; F. D’Arcangelo, A. Bassi, Il sistema della responsabilità da reato dell’ente, Milano, 2020, 95 ss.; P. Chiaraviglio, L’estinzione della società imputata ex d.lgs. n. 231/2001 e la “morte del reo”: due varianti dello stesso istituto?, in Arch. pen., 2020, 2, 1 ss.

[2] Nel senso di riconoscere efficacia meramente dichiarativa alla cancellazione nel sistema pre-riforma, v. Cass. civ., Sez. I, 5 settembre 1996, n. 8099; a seguito dell’intervento del legislatore del 2003, la giurisprudenza si è stabilizzata sull’efficacia costitutiva a partire dalle note sentenze Cass. civ., S.U., 22 febbraio 2010, n. 4060, n. 4061, n. 4062. Il principio è ormai pacifico: cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. trib., 2 marzo 2021, n. 5605.

[3] Così Cass. civ., Sez. III, 24 maggio 2016, n. 10694 e, da ultimo, Cass. civ., Sez. trib., 4 gennaio 2022, n. 2. Nonostante la norma si riferisca alle sole società di capitali, la giurisprudenza estende tale principio anche alle società di persone, con la rilevante conseguenza che i soci risponderanno delle obbligazioni sociali secondo il regime patrimoniale della società estinta: nei limiti di quanto riscosso in sede di bilancio finale di liquidazione, in caso di società con autonomia patrimoniale perfetta, illimitatamente negli altri casi. Nel senso dell’estensione del principio alle società di persone, cfr., ex multis, oltre alle richiamate Sezioni Unite del 2010, Cass. civ., Sez. II, 15 ottobre 2008, n. 25192; Cass. civ., Sez. II, 12 ottobre 2012, n. 17500; Cass. civ., S.U., 12 marzo 2012, n. 6071. Per le conseguenze sul piano patrimoniale, v. invece Cass. civ., S.U., 12 marzo 2013, n. 6070 con nota di C. Luperto, Gli effetti sostanziali e processuali di estinzione della società, in Banca, Borsa, Titoli di credito, 2015, 3, 256 ss.; G.B. Barillà, Cancellazione della società dal registro delle imprese e sopravvenienze attive: il dibattito prosegue, in Giur. Comm., 2014, 5, 791 ss.

[4] Nello stesso senso, A. Laudonia, Gli “effetti tombali” della cancellazione della società sulla responsabilità da reato degli enti, in Le società, 6, 2020, 758.

[5] Cfr. Trib. Torino, 12 dicembre 2007; Trib. Milano, Sez. X pen., 20 ottobre 2011 con nota di M. Cattadori, Società imputata ex 231 e iscrizione al registro delle imprese, in rivista231.it, 2011; V. Salafia, Estinzione della sanzione amministrativa ex d. lgs. 231/2001 ed estinzione della società, in Le società, 2012, 3, 298 ss.

[6] Cass. pen., Sez. II, 10 settembre 2019, n. 41082 in Riv. trim. dir. pen. econ., 2020, 1-2, 485 ss., con nota di M. Croce. A commento, v. anche A. Laudonia, cit., 747 ss.; C. Santoriello, Niente processo per le società fallite quando la procedura concorsuale è conclusa, in Ilpenalista.it, 2019.

[7] Sulla difficile linea di demarcazione, già C. Santoriello, Niente processo per le società fallite quando la procedura concorsuale è conclusa, cit. par. 4. Distingue le due ipotesi, ritenendo corretto l’effetto estintivo dell’illecito solamente in assenza di indici di fraudolenza, anche F. Consulich, Punibilità di organizzazione. Possibilità e limiti di astensione della punizione per l’ente colpevole, in Resp. amm. soc. ed enti, 2020, 255.

[8] Cass. pen., Sez. IV, 22 febbraio 2022, n. 9006, con nota di C. Santoriello, Processo 231 anche alle società cancellate, in IlPenalista.it, 2022; P. Chiaraviglio, Nemmeno la cancellazione fisiologica dell’ente determina l’estinzione della responsabilità ex D.lgs. n. 231/2001, in Le Società, 2022, 10, 1185 ss.; D. Bianchi, Processo penale all’ente “morto”: fictio iuris e vulnerazioni (sostanziali) dei principi, in Giur. it., 2022, 1712 ss. e, volendo, G. Ardizzone, Cancellazione della società dal registro delle imprese e vicende modificative dell’ente: una inammissibile ipotesi di analogia in malam partem, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2022, 3-4, 678 ss.

[9] Nella dottrina più risalente, v. G. Vassalli, Limiti del divieto di analogia in materia penale, Milano, 1942, 141; G. Ragno, voce: Estinzione del reato e della pena, in Enc. dir., Vol. XV, 1966, 975 s. e, nella manualistica attuale, D. Pulitanò, Diritto penale, Torino, 2021, 124; F. Palazzo, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2021, 133 s.

[10] In verità, l’equiparazione tra impresa fallita e impresa cancellata è alquanto fragile: per i diversi problemi posti dall’attivarsi di una procedura concorsuale nelle more del procedimento 231, v. P. Chiaraviglio, Responsabilità da reato della persona giuridica e fallimento della società: un rapporto problematico, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 2012, 1 ss.; E. Zanalda, Fallimento della società ed estinzione delle sanzioni amministrative, in Giur. it., 2013, 1650; R. Borsari, Responsabilità da reato degli enti e fallimento, in Dir. pen. proc., 2013, 10, 1218 ss.; P. Di Geronimo, Rapporti tra fallimento della società ed accertamento degli illeciti amministrativi dalla medesima commessi: profili problematici in tema di misure cautelari, trasmissibilità delle sanzioni e legittimazione processuale del curatore nel procedimento a carico della società, in Resp. amm. soc. enti, 2011, 47 ss.; M. Croce, Sugli effetti della dichiarazione di fallimento degli enti sulla responsabilità amministrativa dipendente da reato, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2020, 1-2, 495 ss.; Napoleoni, cit., 145 ss.; F. Rossi, Fallimento, “morte” della società, ed estinzione della responsabilità da reato, in Giur. Comm., 2014, 2, 241 ss.

[11] Cfr. par. 4.2 della motivazione della sentenza in commento.

[12] Senza richiamare la sterminata bibliografia sul punto, basti qui il rinvio a G. De Vero, Corso di diritto penale, Torino, 2020, 152 ss.

[13] Su funzioni e scopo delle sanzioni ex crimine, v. V. Mongillo, Il sistema delle sanzioni applicabili all’ente collettivo tra prevenzione e riparazione. Prospettive de jure condendo, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2022, 3-4, 564 ss. e, in particolare per la declinazione del principio rieducativo sull’ente collettivo, 570, nota 20 anche con ulteriori riferimenti bibliografici; C.E. Paliero, Il sistema sanzionatorio dell’illecito dell’ente: sistematica e rationale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, 4, 1199 ss. e, nel senso della predominanza della funzione special-preventiva sub specie di rieducazione, 1229, nota 54. Con riferimento ai lavori monografici sul tema della rieducazione dei soggetti collettivi, v. invece A.M. Maugeri, La funzione rieducativa della sanzione nel sistema della responsabilità amministrativa da reato degli enti ex d.lgs. 231/2001, Torino, 2022; M. Colacurci, L’illecito “riparato” dell’ente. Uno studio sulle funzioni della compliance penalistica nel d.lgs. n. 231/2001, Torino, 2022. Contra, nel senso dell’incompatibilità tra principio rieducativo e responsabilità degli enti, v. per tutti G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano, 2008, 49 ss.

[14] Cfr. art. 7 l. 689/1981 e, con riferimento alla materia convenzionale, Corte Eur. Dir. Uomo, 29 agosto 1997, A.P. e a. c. Svizzera, par. 44 ss.

[15] Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 7 aprile 2017, n. 9094; Cass. civ., Sez. trib., 20 ottobre 2021, n. 29112; sul punto, v. anche S. M. Corso, Cancellazione dal registro delle imprese: quale sorte per le sanzioni tributarie e amministrative «da reato»?, in Cor. trib., 2012, 17, 1335 s.

[16] Il punto è abbastanza pacifico: cfr. Napoleoni, cit., 143; I. Blasi, G. Altieri, Le vicende modificative della persona giuridica nell’ambito del procedimento per l’accertamento dell’illecito amministrativo ex d. lgs. 231/2001, in Resp. amm. soc. enti, 2020, 3, 155; A. Laudonia, cit., 756; I. Guerini, Il fallimento della società non determina l’estinzione della sanzione a carico dell’ente, in Dir. pen. proc., 2013, 8, 943; L. Paoloni, Il fallimento della società non determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d. lg. n. 231 del 2001, in Cass. pen., 2013, 2788; G. Ariolli, F. D’Urzo, Il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, in Cass. pen., 2012, 9, 3079, nota 7; D. Bianchi, cit., 1715 ss. È appena il caso di notare che questa è anche la soluzione adottata in altri ordinamenti: cfr. art. 133-1 Cod. pén. francese e art. 130 Cód. pen. spagnolo. Contra però v. V. Salafia, cit., 301 s.; P. Chiaraviglio, L’estinzione della società imputata ex d.lgs. n. 231/2001 e la “morte del reo”: due varianti dello stesso istituto?, cit., 13 ss.

[17] Per le sanzioni amministrative tributarie, la giurisprudenza convenzionale è ferma nel riconoscere loro natura punitiva: v. C. Eur. Dir. Uomo, 20 maggio 2014, ricorso n. 11828/11, Nykänen c. Finlandia,  parr. 38 ss.; 15 novembre 2016, ricorsi n. 24130/11 e 29758/11, A e B c. Norvegia, parr. 136 ss.; 18 maggio 2017, ricorso n. 22007/11, Johannesson e a. c. Islanda, parr. 43 s.. Sulla responsabilità ex crimine, a prescindere dal dibattito che ha animato dottrina e giurisprudenza sin dall’entrata in vigore del decreto, si è sostanzialmente concordi della sua qualificazione sostanzialmente penale in ottica sovranazionale: cfr., ex multis, O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in G. Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli enti, Milano, 2010, 16 ss.; V. Manes, Introduzione. La lunga marcia della Convenzione europea ed i «nuovi» vincoli per l’ordinamento (e per il giudice) penale interno, in V. Manes, V. Zagrebelski (a cura di), La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nell’ordinamento penale italiano, Milano, 2011, 38 ss.; F. Mazzacuva, Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, Torino, 2017, 116; F. Consulich, L’ente alla Corte. Il d.lgs. 231/2001 al banco di prova delle carte dei diritti, in Resp. amm. soc. enti, 2019, 4, 24.

[18] La disposizione è infatti stata giudicata compatibile con i principi costituzionali dalla Consulta proprio in virtù dell’esigenza “di cassa” che caratterizza la materia fiscale. Cfr. Corte cost., 8 luglio 2020, n. 142 con nota di Pepe, La irrazionale “stabilizzazione” fiscale delle società estinte ed il campo avverso, in Giur. Cost., 2020, 4, 1644 ss. In generale sul cd. particolarismo tributario, v. A. Lanzi, P. Aldovrandi, Diritto penale tributario, Padova, 2020, 1 ss.

[19] Cit. da G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., 136.

[20] Amplius sul punto, volendo, G. Ardizzone, cit., 691 s.

[21] Così D. Bianchi, cit., 1717.

[22] Prospettano tale soluzione, G. Ariolli, F. D’Urzo, cit., 3080 e A. Laudonia, cit., 759. Di diverso avviso è invece V. Salafia, cit., 299, che ritiene tale mezzo insufficiente allo scopo perché inidoneo a impedire lo scioglimento della società.

[23] Cfr. Cass. civ., S.U., 12 marzo 2013, n. 6070, n. 6071, n. 6072.

[24] V. le diverse ipotesi contemplate dagli artt. 33 e 237 CCII che ricalcano, con qualche modifica, i precedenti artt. 10 e 121 l. fall.

[25] V. anche G. J. Sicignano, cit., 162 ss. per cui, attesa la natura – per la verità non pacifica – di atto amministrativo del provvedimento di cancellazione, il giudice penale potrebbe di volta in volta accertarne l’infondatezza e, se del caso, disapplicarlo nel corso del giudizio.

[26] Ritiene invece corretto considerare elusiva la cancellazione ogni volta che questa interviene successivamente all’esercizio dell’azione penale, P. Chiaraviglio, L’estinzione della società imputata ex d.lgs. n. 231/2001 e la “morte del reo”: due varianti dello stesso istituto?, cit., 9 s.