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13 Marzo 2020


Inapplicabilità dell’art. 131-bis c.p. al delitto di resistenza a pubblico ufficiale: sollevata questione di legittimità costituzionale

Trib. Torino, ord. 5 febbraio 2020, n. 93, Giud. Natale



1. Con l’ordinanza in commento, il Tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis c. 2 c.p. – come modificato dall’art. 16 c. 1, lett b), d.l. 14 giugno 2019, n. 53 (c.d. decreto sicurezza bis), convertito con modificazioni con l. 8 agosto 2019, n. 77 – per contrasto con gli artt. 3, 27 co. 3 e 117 co. 1 Cost. in relazione all’art. 49 co. 3 CDFUE. In particolare, il Giudice rimettente chiede alla Corte di valutare se la norma censurata sia compatibile con i citati parametri costituzionali nella parte in cui esclude che l’offesa possa ritenersi di particolare tenuità, tra l’altro, nei casi di cui all’art. 337 c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni.

 

2. Un cenno alla vicenda processuale e ai fatti contestati. L’imputato veniva arrestato e presentato al Tribunale per il giudizio direttissimo, con una contestazione di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p., per aver usato violenza nei confronti di quattro Carabinieri, consistita in ripetuti calci e ginocchiate, per opporsi al compimento di atti del loro ufficio. Gli atti di violenza, infatti, sono stati posti in essere mentre i Carabinieri stavano procedendo alla identificazione dell’imputato e gli stavano prestando assistenza e soccorso, insieme agli operatori del 118. Il giudice, convalidato l’arresto e rigettata la richiesta di misura cautelare formulata dal p.m., disponeva il rito abbreviato, richiesto dall’imputato. Esaurita la discussione, il p.m. chiedeva la condanna a quattro mesi di reclusione, con il riconoscimento delle attenuanti generiche, mentre la difesa chiedeva l’assoluzione sulla scorta del fatto che l’imputato non si fosse reso conto della qualità di pubblici ufficiali dei Carabinieri.  

 

3. Il Tribunale, come anticipato, non si pronuncia nel merito e sospende il procedimento per sollevare questione di legittimità costituzionale.

3.1. In punto di rilevanza, il Tribunale osserva come i fatti addebitati all’imputato, che integrano il delitto contestato, siano da considerarsi di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131-bis c.p. Tuttavia, in ragione della recente modifica apportata all’art. 131-bis co. 2 c.p., l’istituto non risulta più applicabile, tra l’altro, al reato di resistenza a pubblico ufficiale: in particolare, dopo l’intervento del d.l. n. 53/2019, l’offesa non può ritenersi di particolare tenuità nei casi di cui all’art. 337 c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni. In assenza della norma sospettata di incostituzionalità, quindi, il giudice potrebbe dichiarare la non punibilità per particolare tenuità del fatto: infatti, il reato di resistenza a pubblico ufficiale rientra nel generale ambito di applicazione dell’istituto quanto alla cornice edittale – massimo non superiore a cinque anni – e sussistono, in concreto, tutti i presupposti richiesti dall’art. 131-bis c.p. Vale la pena osservare che la questione della rilevanza avrebbe avuto soluzione diversa nel caso in cui i fatti fossero antecedenti alla modifica legislativa (i fatti oggetto del giudizio, invece, sono stati commessi successivamente, in data 7 gennaio 2020): si sarebbe trattato di un problema di diritto intertemporale, risolvibile mediante l’applicazione del principio di irretroattività sfavorevole, di cui all’art. 25 co. 2 Cost. In tal caso, infatti, la questione non avrebbe avuto rilevanza nel giudizio a quo, perché la disposizione sospettata di incostituzionalità non avrebbe potuto essere applicata in quanto successiva e sfavorevole.

3.1.1. Prima di vagliare nel dettaglio la sussistenza dei presupposti per la non punibilità per particolare tenuità del fatto, il Giudice valuta la sussumibilità del fatto contestato all’interno della fattispecie di cui all’art. 337 c.p. e la sua offensività in concreto. Infatti, l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. presuppone non solo che il fatto integri reato – completo di tutti i suoi elemento oggettivo e soggettivo –, ma anche che esso sia offensivo.

Il reato di cui all’art. 337 c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o a un incaricato di pubblico servizio mentre compie un atto di ufficio o di servizio o a coloro che, se richiesti, gli prestano assistenza. Il fatto posto in essere dall’imputato integra l’elemento oggettivo: i calci e i pugni sono qualificabili come atti violenti e sono stati realizzati a danni di pubblici ufficiali, quali sono i Carabinieri intervenuti, per ostacolare il compimento di atti del loro ufficio e in particolare per impedire loro di proteggere il personale sanitario intervenuto in soccorso dell’imputato e di portare a termine la redazione degli atti di identificazione. Anche l’elemento soggettivo viene ritenuto sussistente: in particolare, il Tribunale osserva come, da un lato, la qualità degli operanti fosse nota all’imputato in ragione del fatto che alcuni di essi erano in uniforme e, dall’altro, non assuma rilievo lo stato di ubriachezza, che non esclude la capacità di intendere e di volere.

Il fatto posto in essere dall’imputato, inoltre, è ritenuto offensivo dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice, ovverosia il regolare funzionamento della pubblica amministrazione e la sicurezza e la libertà di determinazione e di azione degli organi pubblici, tutelato mediante la protezione delle persone fisiche che ne esercitano le funzioni[1].

3.1.2. Ad avviso del Tribunale, tuttavia, l’offesa, pur sussistente, deve ritenersi di particolare tenuità. Ciò, unitamente alla non abitualità del comportamento, integrerebbe – se non vi fosse la norma sospettata di illegittimità costituzionale – i presupposti per l’applicazione dell’art 131-bis c.p., che – lo ricordiamo – sono: a) la particolare tenuità dell’offesa, desunta dalle modalità della condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo, da valutare ai sensi dell’art. 133 c. 1 c.p.; b) la non abitualità del comportamento.

Il Tribunale fonda la particolare tenuità dell’offesa sui seguenti elementi: a) valutazione complessiva delle condotte dell’imputato e delle relative modalità; b) modesto turbamento derivato al regolare funzionamento della pubblica amministrazione; c) assenza di conseguenze lesive per gli operatori; d) modesto livello di colpevolezza. Quanto alle modalità della condotta, il Tribunale evidenzia come l’imputato abbia sferrato colpi “a mani nude”, solo parzialmente andati a segno e in parte posti in essere mentre era seduto per terra, con conseguente minore capacità offensiva. Inoltre, si tratta di colpi sferrati da una persona gravemente ubriaca, capace solo di movimenti scomposti. Infine, il Giudice prende in considerazione il fatto che gli episodi violenti siano stati arginati dagli operanti in pochi secondi e siano stati alternati a periodi di quiete e di atteggiamento collaborativo. Rispetto alla gravità del danno o del pericolo, nell’ordinanza si osserva come il turbamento al regolare funzionamento della pubblica amministrazione sia stato di modesto rilievo, dal momento che, malgrado la durata significativa dell’intervento – dovuta principalmente al ritardo nell’intervento dei soccorsi –, gli episodi di violenza sono durati solo pochi attimi. Tale valutazione è confermata dal fatto che i Carabinieri sono riusciti senza particolari difficoltà a garantire la sicurezza degli operatori del 118 e a redigere gli atti di polizia giudiziaria relativi all’intervento effettuato. Rispetto al bene giuridico della sicurezza e libertà di determinazione e di azione degli organi pubblici, il Giudice osserva che nessuno degli operanti ha subito lesioni e la loro incolumità fisica è stata esposta a un pericolo modesto. Infine, il Tribunale prende in considerazione il modesto livello di colpevolezza che, seppure non escluso, risulta attenuato in considerazione dell’ubriachezza e del “contesto in cui sono maturati i fatti”. In particolare, il Giudice evidenzia che l’imputato era sconvolto per aver ricevuto la notizia dell’imminente morte del padre, residente in Cina, del ritardo dei soccorsi, intervenuti dopo che, ubriaco, si era accasciato per terra, e dal fatto che gli veniva impedito di allontanarsi. Non sussistono, poi, le condizioni indicate al c. 2 dell’art. 131-bis c.p. – a parte quella di cui si contesta la legittimità costituzionale – ostative alla qualificazione dell’offesa come tenue: la condotta non è crudele, non sono state realizzate sevizie, i motivi non sono abietti né futili e deve essere escluso che i Carabinieri intervenuti siano soggetti in condizioni di minorata difesa.

Rispetto alla non abitualità del comportamento, il Tribunale rileva come tale requisito sia pienamente integrato, dal momento che l’imputato è incensurato, non ha carichi pendenti e nemmeno precedenti segnalazioni di polizia.

3.2. In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale rileva il possibile contrasto dell’art. 131-bis c. 2 c.p. con: a) l’art. 3 Cost., per un vizio che “si colloca ‘a cavallo’ tra la violazione del principio di uguaglianza e quello di irragionevolezza manifesta delle scelte del legislatore”[2]; b) l’art. 27 co. 3 Cost e l’art. 117 co. 1 Cost., in relazione all’art. 49 CDFUE sotto il profilo del principio di proporzione che deve informare le risposte sanzionatorie.

3.2.1. Il ragionamento del Tribunale parte da due premesse. In primo luogo, il perimetro delle cause di non punibilità è rimesso alle scelte del legislatore, ma tali scelte devono rispondere ai criteri di ragionevolezza e di proporzione. Sul punto, viene citata la giurisprudenza costituzionale[3] che ha ritenuto sindacabile l’esercizio della discrezionalità legislativa anche in materia di trattamento sanzionatorio e, nel fare ciò, ha richiamato i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzione di cui all’art. 3 Cost.,  nonché la funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27 co. 3 Cost. È proprio a questi parametri – unitamente all’art. 117 c. 1 Cost., in relazione all’art. 49 CDFUE –, infatti, che il Tribunale ancora il giudizio di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale che intende sollevare. In secondo luogo, il Tribunale ritiene che tali principi, che costituiscono il parametro per sindacare le scelte del legislatore in tema di cornice edittale, debbano valere anche per sindacare le scelte legislative in merito alla “possibilità di rinunciare o meno all’applicazione della sanzione in certi casi e non altri”[4], pertanto, è possibile il sindacato – in punto di ragionevolezza e proporzione – del perimetro delle cause di non punibilità, categoria a cui deve essere ricondotto l’istituto di cui all’art. 131-bis c.p.

3.2.2. Prima di procedere all’enunciazione delle ragioni a fondamento della non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale esclude la possibilità di procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata, che consenta di applicare l’art. 131-bis c.p. anche al reato di resistenza a pubblico ufficiale. Il tenore letterale del nuovo art. 131-bis c. 2 c.p., del resto, è esplicito nell’affermare che l’offesa non può essere ritenuta particolarmente tenue nei casi di resistenza a pubblico ufficiale commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni.

3.2.3. Sotto il profilo del principio di uguaglianza, l’ordinanza di rimessione inquadra il problema nei termini che seguono. Posto che l’istituto risulta applicabile a tutti i reati puniti con una pena non superiore nel massimo a cinque anni – limite, secondo la Corte costituzionale, “frutto di un apprezzamento che spetta al legislatore”[5] –, occorre interrogarsi sulla ragionevolezza di disposizioni – come quella sospettata di incostituzionalità – che, all’interno di questo limite, circoscrivano un sottoinsieme di reati che non possono essere considerati di particolare tenuità, per espressa previsione di legge. Per cercare di fornire una risposta a questo quesito, il Tribunale muove dalla premessa secondo cui il legislatore, nell’individuare una soglia di pena massima per delineare l’ambito di applicazione dell’istituto “esprime la sua prima e principale valutazione sulla possibilità di consentire al giudice di valutare se – nel caso concreto – sia ravvisabile il c.d. ‘bisogno di pena’”[6]. La non applicabilità della causa di non punibilità in esame al delitto di cui all’art. 337 c.p. – nonostante quest’ultimo rientri nel limite edittale previsto dall’art. 131-bis c.p. – costituisce un trattamento differenziato di una situazione omogenea – perché rientrante nel suddetto limite – a quella degli altri reati compresi nei confini dell’art. 131-bis c.p. In ciò viene individuata la violazione del principio di uguaglianza, che impone di trattare in modo uguale situazioni omogenee.

3.2.4. Tanto premesso sul trattamento differenziato di situazioni assimilabili, il Tribunale svolge alcune riflessioni sulla ragionevolezza di tale differenziazione. Il ragionamento si articola in tre punti, alla ricerca di una possibile giustificazione del diverso trattamento: a) analisi delle caratteristiche del nuovo limite introdotto dal d.l. n. 52/19 e differenze rispetto alle altre limitazioni previste dall’art. 131-bis c. 2 c.p.; b) confronto del delitto di cui all’art. 337 c.p. con altre fattispecie poste a tutela di beni giuridici simili, alle quali risulta applicabile l’art. 131-bis c.p.; c) analisi dei lavori parlamentari del d.l. n. 53/19.

3.2.4.a. Il Tribunale, in particolare, prende atto che la limitazione da ultimo introdotta non sia l’unica ipotesi in cui l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità: l’art. 131-bis c. 2 c.p., infatti, ne prevede altre. Tuttavia, ad avviso del giudice rimettente, a differenza dei limiti previsti nella versione originaria della norma, quella inerente al delitto di resistenza a pubblico ufficiale presenta delle differenze che conducono a ritenere irragionevole il trattamento differenziato. Infatti, le ipotesi originariamente previste dall’art. 131-bis c. 2 c.p. sono il risultato di una “valutazione del legislatore sulla qualificazione giuridica di talune categorie di fatto storico sulle quali il legislatore esprime un giudizio di politica criminale[7]. In particolare, il legislatore ha ancorato la valutazione a alcuni aspetti della modalità della condotta, alla gravità delle conseguenze del reato e alla colpevolezza. Si tratta di elementi che “già rientravano nell’oggetto di valutazione per decidere sull’applicabilità dell’istituto”[8]: il legislatore, valorizzando alcuni aspetti del fatto, al fine di escludere, in loro presenza, la valutazione di particolare tenuità dell’offesa, ha limitato la discrezionalità del giudice.  Nel caso dell’esclusione del delitto di resistenza a pubblico ufficiale, invece, l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. è preclusa – non in ragione di determinate modalità del fatto, ma – solamente in ragione del titolo di reato.

L’ipotesi oggetto di esame, inoltre, si differenzia – osserva il Tribunale – anche dal limite previsto nel testo originario del d.l. n. 53/19 – anch’esso oggi incluso nella previsione di cui al co. 2 dell’art. 131-bis c.p. –, in virtù del quale l’offesa non può essere qualificata di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive. La limitazione in parola, in particolare, si differenzia da quella che riguarda il delitto di resistenza a pubblico ufficiale perché non si fonda solo sul titolo di reato, ma indica circostanze di fatto “che ricevono – in quanto circostanze di fatto – una certa valutazione da parte del legislatore”[9]. Ad avviso del giudice a quo, un simile limite potrebbe, peraltro, ritenersi giustificato sulla base di una scelta di politica criminale legata alla pericolosità dei reati consumati in occasione di manifestazioni sportive o di una valutazione del legislatore dei motivi a delinquere – “come se essi fossero valutabili come futili[10] – dei reati commessi a causa di manifestazioni sportive.

3.2.4.b. In secondo luogo, il Tribunale prende in considerazione – per poi escluderla – l’ipotesi che alla base dell’esclusione del delitto di resistenza a pubblico ufficiale vi sia l’esigenza di un trattamento di maggior rigore a tutela di rafforzata dei beni giuridici protetti dalla fattispecie. In altri termini, si potrebbe ritenere che il limite in esame abbia una “funzione general-preventiva, tesa a rappresentare ai consociati un monito, utile ad evitare che si possano – quali che ne siano modi, forme e intensità – commettere episodi di minacciosa o violenza coartazione della libertà morale dei pubblici ufficiali”[11]. Tuttavia, ad avviso del Tribunale, deve escludersi la tenuta di una simile conclusione, alla luce di un’analisi sistematica della disciplina contenuta nella novella. Infatti: da un lato, sono incluse nel limite di cui all’art. 131-bis c. 2 c.p. fattispecie poste a tutela di beni giuridici diversi; dall’altro, non sono comprese fattispecie di reato che tutelano beni giuridici dentici o contigui a tuelli oggetto di tutela all’art. 337 c.p.

Rispetto alle nuove ipotesi incluse nell’art. 131-bis c. 2 c.p., il Tribunale ritiene che se la ratio delle limitazioni fosse la tutela rafforzata dei beni protetti dal delitto di resistenza a pubblico ufficiale, non si comprenderebbe la ragione dell’inapplicabilità dell’istituto anche all’oltraggio a pubblico ufficiale di cui all’art. 341-bis c.p., che, invece, è compreso nei nuovi limiti introdotti dal d.l. n. 53/19. Ma vi è di più, a conferma della irragionevolezza complessiva della nuova disciplina, non si spiega, ad avviso del giudice a quo, per quale ragione l’oltraggio a un pubblico ufficiale di cui all’art. 341-bis c.p. non possa essere considerato di particolare tenuità, mentre all’oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario ex art. 342 c.p. o all’oltraggio a magistrato in udienza ex art. 343 c.p. può essere applicato l’art. 131-bis c.p.

Con riferimento alle fattispecie poste a tutela di beni analoghi a quelli protetti dall’art. 337 c.p., ma non ricomprese tra le esclusioni di cui all’art. 131-bis c. 2 c.p., il Tribunale evidenzia come, tra gli altri, la causa di non punibilità risulti applicabile al delitto di rifiuto d’atti d’ufficio di cui all’art. 328 c. 1 c.p., al delitto di abuso d’ufficio previsto dall’art. 232 c.p., nonché al delitto di lesioni aggravate dal fatto di essere state commesso “contro un pubblico ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio”, ai sensi degli artt. 582 e 585 in relazione all’art. 576 c. 5-bis c.p.

All’esito di un esame sistematico della disciplina, quindi, ad avviso del Tribunale, il trattamento di maggior rigore riservato al delitto di resistenza a pubblico ufficiale non pare essere ragionevole.

3.2.4.c. Da ultimo, sempre nell’ambito del profilo inerente al criterio di ragionevolezza, il Tribunale evidenzia come, anche da un’analisi dei lavori parlamentari, non emergano indicazioni utili a individuare con precisione una giustificazione adeguata del trattamento differenziato del delitto di resistenza a pubblico ufficiale. Al contrario, gli unici riferimenti rinvenibili sembrerebbero connessi a una “concezione sacrale dei rapporti tra pubblici ufficiali e cittadini”[12], incentrata sulla protezione dell’onore e del prestigio delle forze dell’ordine e non sulla necessità di maggiore tutela dei beni tutelati dall’art. 337 c.p.

3.2.5. L’ultimo argomento speso dal giudice a quo a sostegno della non manifesta infondatezza della questione riguarda la compatibilità della disposizione censurata con il principio di proporzione e quindi con gli artt. 27 c. 3 Cost e 117 c. 1 Cost in relazione all’art. 49 c. 3 CDFUE. Il Tribunale, in particolare, muove dalla ratio dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p., ancorata, tra l’altro – e come evidenziato dalle Sezioni Unite[13] e dalla Corte costituzionale[14] – a finalità di proporzione e di extrema ratio. Il Tribunale, sulla scorta della citata giurisprudenza, mette quindi in luce il collegamento delle funzioni dell’art. 131-bis c.p. con la funzione rieducativa della pena, di cui all’art. 27 co. 3 Cost., che “chiama direttamente in gioco il principio di proporzionalità del trattamento sanzionatorio”[15]. La possibile frizione con il principio di proporzione del trattamento sanzionatorio, individuata dal giudice a quo, deriva dal fatto che la scelta del legislatore di precludere l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. alla resistenza a pubblico ufficiale, unicamente sulla base del titolo di reato, può portare a una condanna anche in casi in cui manca un ‘bisogno di pena’. In questi casi, la sanzione applicata risulterebbe sproporzionata e “in frizione con il ‘volto costituzionale della pena’ tratteggiato nella giurisprudenza costituzionale”[16]. In conclusione, il giudice rimettente ritiene – anche sulla scorta della giurisprudenza costituzionale[17] – che “la potenzialità del principio di proporzione non può risultare circoscritta al quantum di sanzione, ma può stendersi anche a sindacare la ragionevolezza della necessità di sanzione penale (nella questione qui sottoposta, la ragionevolezza della necessità di sanzione in uno specifico caso concreto)”[18].

Per le ragioni sopra ricostruite, il Tribunale di Torino solleva, quindi, questione di legittimità costituzionale, chiedendo alla Corte di valutare se l’art. 131-bis c. 2, ultimo periodo, c.p. risulti in contrasto con gli artt. 3 e 27 co. 3 Cost. e con l’art. 117 c. 1 Cost. in relazione all’art. 49 c. 3 CDFUE nella parte in cui dispone che “l’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità […] nei casi in cui agli articoli […], 337 e […], quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni”.

***

4. Vale la pena ricordare che quella oggetto dell’ordinanza in commento non è l’unica questione di legittimità costituzionale che ha investito l’art. 131-bis c.p. Ricordiamo, in particolare, la sentenza n. 207/17, con cui la Corte costituzionale[19] ha dichiarato infondata la questione sollevata dal Tribunale di Nola[20] in relazione alla impossibilità di applicare l’art. 131-bis c.p. alla ipotesi attenuata del delitto di ricettazione, di cui all’art. 648 c. 2 c.p.

In breve, il giudice rimettente riteneva che l’inapplicabilità dell’art. 131-bis c.p. a tale fattispecie – punita con una pena superiore, nel massimo (pari a 6 anni), al limite di cinque anni previsto per l’applicazione della causa di non punibilità – fosse irragionevole sulla base di due argomenti: a) vi sono fattispecie, anche poste a tutela di beni giuridici simili, in astratto meno gravi perché punite nel massimo con una pena non superiore a cinque anni – a cui l’art. 131-bis c.p. è applicabile –, ma che in concreto possono manifestarsi in forme particolarmente offensive, mentre possono configurarsi casi di ricettazione ex art. 648 c. 2 c.p. scarsamente offensivi, che però fuoriescono dall’ambito di applicazione della causa di non punibilità in parola; b) la scelta di ancorare l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. al massimo edittale avrebbe carattere arbitrario e comporterebbe “difficoltà e storture nell’applicazione pratica”.

La Corte, con la sentenza n. 207/17 ha dichiarato la questione infondata perché: a) rispetto alla violazione dell’art. 3 Cost., i tertia comparationis evocati dal giudice a quo erano eterogene e inidonei, nonché incomparabili, quanto a struttura e bene giuridico tutelato, con la fattispecie di cui all’art. 648 c. 2 c.p.; b) il riferimento al massimo edittale per delimitare l’ambito di applicazione dell’istituto – rientrante nell’esercizio della discrezionalità riservata al legislatore e sindacabile solo se manifestamente irragionevole – “non può considerarsi, né irragionevole, né arbitrario. Infatti rientra nella logica del sistema penale che, nell’adottare soluzioni diversificate, vengano presi in considerazione determinati limiti edittali, indicativi dell’astratta gravità dei reati […]”[21].

Nonostante la declaratoria di infondatezza, la Corte ha rilevato che possono verificarsi anomalie derivanti dalla possibilità che – in presenza di fattispecie con cornici edittali molto ampie e minimi bassi, come la ricettazione ex art. 648 c. 2 c.p. – vi siano casi in concreto particolarmente tenui, a cui non si possa applicare l’art. 131-bis c.p. Per porre rimedio a casi simili – si legge nella sentenza – accanto al massimo, “potrebbe prevedersi anche una pena minima, al di sotto della quale i fatti possano comunque essere considerati di particolare tenuità”. Tuttavia, tale intervento – ad avviso della Corte costituzionale – è riservato al legislatore.

 

5. In conclusione, vale la pena richiamare la tradizionale cautela della Corte costituzionale[22] rispetto a questioni volte ad ampliare l’ambito di applicazione di cause di non punibilità. La Corte, in particolare, ha ritenuto, in diverse occasioni, di non poter accogliere le censure di incostituzionalità mosse di volta in volta, per non invadere l’area di discrezionalità riservata al legislatore nel delineare i confini di cause di non punibilità, sindacabile solo in presenza di scelte manifestamente arbitrarie o irragionevoli.

Tuttavia, tornando alla questione oggetto dell’ordinanza in commento, ci sembra opportuna una precisazione. Sebbene l’ordinanza del Tribunale di Torino miri a espandere (riespandere) l’ambito di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, analogamente a quando richiesto dal Tribunale di Nola rispetto all’art. 648 c. 2 c.p., le due questioni ci sembrano diverse. In particolare, il Tribunale di Torino, nella recente ordinanza, non contesta – a differenza del Tribunale di Nola – il generale ambito di applicazione dell’istituto, ma una deroga a quest’ultimo, consistente nell’esclusione di una fattispecie che altrimenti sarebbe ricompresa nei confini dell’art. 131-bis c.p. Pertanto, a nostro avviso, la portata dell’intervento richiesto alla Corte costituzionale è diverso rispetto a quello richiesto nella questione sollevata dal Tribunale di Nola e da quelli oggetto di precedenti sentenze in tema di estensione dell’ambito di applicazione delle cause di non punibilità: l’eventuale accoglimento nel merito della questione, infatti, non comporterebbe la necessità di individuare un criterio alternativo per la delimitazione dei confini dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. Infatti, continuerebbe a operare il generale limite – non posto in discussione nella ordinanza del Tribunale di Torino – ancorato al massimo edittale. Tale limite, eliminata la previsione di cui all’art. 131-bis c. 2, ultimo periodo, c.p., andrebbe a riespandersi, ricomprendendo il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, punito con una pena non superiore, nel massimo, a cinque anni. In altri termini, da un eventuale accoglimento della questione, non deriverebbe alcun vuoto normativo, che alla Corte si chiederebbe di colmare, con tutti i conseguenti problemi in relazione al limite rappresentato dalla riserva di discrezionalità che spetta al legislatore.

Non resta, quindi, che attendere la pronuncia della Corte costituzionale, chiamata a valutare l’eventuale manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della valutazione legislativa alla base del recente intervento normativo.

 

 

 

[1] Per l’individuazione dei beni giuridici tutelati dalla fattispecie di cui all’art. 337 c.p. v. Cass. pen., Sez. Un., 22 febbraio 2018, n. 40981.

[2] Trib. Torino, ord. 5 febbraio 2020, n. 93, Giud. Natale, p. 17

[3] Tra le pronunce recenti, C. cost. 23 gennaio 2019, n. 40.

[4] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p . 9.

[5] Corte Cost., sent. 24 maggio 2017, n. 207, con nota di S. Santini, Mancata estensione della non punibilità per particolare tenuità del fatto alla ricettazione di particolare tenuità: infondata (ma non troppo) la relativa questione di legittimità, in penalecontemporaneo.it, 18 settembre 2017.

[6] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p. 11.

[7] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p. 12.

[8] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p. 12.

[9] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p.  12.

[10] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p.  13.

[11] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p. 13.

[12] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p. 17.

[13] Cass. pen., Sez. Un., 25 febbraio 2016, n. 13681.

[14] C. cost., sent. 3 aprile 2019, n. 120.

[15] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p. 19.

[16] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p. 19.

[17] In particolare, nell’ordinanza viene valorizzata C. cost., sent. 21 settembre 2016, n. 236, considerato in diritto, punto 4.2.

[18] Trib. Torino, ord. n. 93/20, cit., p. 19.

[19] C. Cost., sent. n. 207/2017, cit.

[20] Tribunale di Nola, ord. 14 gennaio 2016. Per un commento all’ordinanza di rimessione si veda S. Santini, L’articolo 131-bis c.p. al vaglio della Corte costituzionale: irragionevole la sua mancata estensione alla ricettazione di particolare tenuità ex art. 648, comma 2, c.p.?, in penalecontemporaneo.it, 22 dicembre 2016.

[21] C. cost. n. 207/17, cit.

[22] Tra le altre, C. cost., sent. 8 maggio 2009, n. 140, in cui la Corte afferma che “l’estensione di cause di non punibilità, le quali costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono la norma generale e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria: un giudizio che è da riconoscersi, ed è stato riconosciuto da questa Corte, appartenere primariamente al legislatore” e C. cost., sent. 25 luglio 2000, n. 352.