Cass., sez. V, sent. 27 settembre 2022 (dep. 7 dicembre 2022), n. 46467, Pres. Pezzullo, rel. Catena
1. Con la sentenza in commento[1], la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’imputazione del delitto di omicidio preterintenzionale punito all’art. 584 del codice penale. La pronuncia merita attenzione alla luce degli spiragli che sembra aprire rispetto a una lettura in termini colposi dell’evento morte, allontanandosi dall’orientamento maggioritario che si registra nella stessa giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni e inaugurando, così, il cambio di rotta da tempo invocato dalla dottrina.
La vicenda sottoposta al vaglio della suprema Corte riguarda il decesso per arresto cardiocircolatorio di una signora in età avanzata, effetto della condotta violenta del figlio posta in essere in seguito a una lite familiare. Alla luce degli accertamenti autoptici che rilevavano la rottura dell’osso ioide e la presenza di ematomi ed escoriazioni sul viso della donna, il pubblico ministero contestava all’imputato di aver cagionato la morte della madre, sostenendo che l’evento infausto fosse derivato dalla combinazione di più fattori causali: da un lato, la sclerosi miocardica da cui era affetta la vittima e ben nota all’agente; dall’altro lato, l’azione violenta dell’autore, concorrendo entrambi a determinare uno choc psico-emotivo letale. Condannato in primo e in secondo grado, l’imputato ricorreva dinnanzi al supremo Collegio lamentando l’erronea qualificazione giuridica operata dal giudice d’appello fiorentino, nonché l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata in quanto la ricostruzione della vicenda avrebbe, ad avviso della difesa, dovuto portare all’esclusione di una volontà di ledere e alla conseguente sussunzione del caso concreto nel delitto di omicidio colposo (p. 4).
2. Come è noto, quello dell’art. 584 c.p. è l’unico precetto del codice che faccia espressa menzione della preterintenzione[2]. La norma incriminatrice punisce chiunque, nel commettere atti diretti a ledere o a percuotere taluno, ne cagioni la morte quale evento più grave non voluto. La fattispecie viene quindi integrata da condotte coincidenti con quelle descritte dai delitti di percosse e lesioni ex artt. 581 e 582 c.p., almeno nella loro forma tentata, che degenerano in un esito letale per la persona offesa[3]. Se è da ritenersi pacifica la natura dolosa del delitto di base[4], un noto e risalente contrasto – mai sopito sia in dottrina che in giurisprudenza, come dimostra la sentenza in commento – coinvolge invece il criterio di imputazione richiesto per l’evento più grave.
3. La Corte di cassazione ha, infatti, sostenuto per lungo tempo un’impostazione apparentemente autonoma rispetto a quelle emerse nel dibattito dottrinario, e che può riassumersi nel seguente passaggio: «L’elemento psicologico del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva né da dolo misto a colpa, ma unicamente da dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato»[5]. Alla luce della massima appena citata, tanto costante nelle sentenze quanto respinta dalla dottrina, il delitto di cui all’art. 584 c.p. sarebbe costituito da un unitario elemento di colpevolezza, ossia il dolo della condotta di base che assiste l’intero iter criminis: dagli atti diretti a percuotere o a ledere fino all’evento morte. Il criterio di imputazione così declinato sarebbe capace di assorbire – rectius, di prescindere da – una valutazione sulla prevedibilità in concreto, già effettuata a monte dal legislatore.
3.1. La prospettiva sposata dalla giurisprudenza di legittimità evidenzia, dunque, un approccio ermeneutico differente rispetto a quello a cui hanno aderito le Sezioni unite della Corte di cassazione con la nota sentenza “Ronci” del 2009, nonostante il reato di morte o lesione come conseguenza di un altro delitto ex art. 586 c.p. postuli una struttura analoga a quella dell’illecito preterintenzionale[6]. La giurisprudenza di legittimità giustifica questa “disparità di trattamento” alla luce dell’omogeneità dei beni giuridici coinvolti rintracciabile nell’omicidio preterintenzionale: da un lato l’integrità individuale, dall’altro la vita, ambedue valori afferenti alla persona e tra loro strumentali[7]. In altre parole, l’esito letale non voluto della condotta dolosa, nonostante vada “oltre l’intenzione” dell’agente, sarebbe implicito nell’offesa all’incolumità personale, si tradurrebbe nello sviluppo fisiologico e, pertanto, sempre prevedibile, dell’azione violenta che ha segnato l’ingresso dell’autore in un contesto illecito; tanto basterebbe a rendere il soggetto meritevole di qualsiasi epilogo, ancorché fortuito.
3.2. Nonostante non legittimi mai espressamente una lettura in termini di responsabilità oggettiva – e anzi dichiari espressamente di scartarla –, l’orientamento richiamato, in sostanza, propone una veste della preterintenzione già conosciuta in passato. Dopotutto, è innegabile che nelle parole della Cassazione si nasconda, nemmeno troppo in profondità, una forma di responsabilità obiettiva dell’illecito in esame. Desumere la prevedibilità dell’evento morte dalla legge equivale a introdurre una prevedibilità in astratto, un automatismo, una sorta di presunzione che opera sempre in malam partem; in altri termini, si prescinde da un accertamento in concreto circa la colpevolezza dell’autore per accontentarsi dell’unico elemento residuale che finirebbe per legare il delitto doloso di base con la conseguenza letale non voluta: il nesso causale[8]. L’illeceità del contesto in cui si consuma il delitto tornerebbe a giustificare il fatto che sull’agente ricadano tutte le conseguenze materiali derivanti dalla sua condotta, anche quelle non volute, imprevedibili, inevitabili e, dunque, incolpevoli.
Per tali ragioni, prescindendo dai discutibili “mascheramenti linguistici”, la giurisprudenza sposa una lettura dell’illecito preterintenzionale che si avvicina pericolosamente all’impostazione forse più tradizionale, secondo la quale la preterintenzione configurerebbe un’ipotesi di dolo misto a responsabilità oggettiva, in una logica conforme al c.d. canone del versari in re illicita[9]. Le pregnanti critiche già manifestate nei confronti di questa tesi, pertanto, riacquisiscono attualità dinnanzi all’orientamento giurisprudenziale illustrato[10]; in particolare, anche volendo ammettere che l’imputazione obiettiva della preterintenzione si traduca in un’interpretazione autentica del Codice Rocco nato in un’epoca autoritaria, essa deve essere respinta alla luce della sua incompatibilità netta e insanabile col dettato costituzionale. Al pari degli altri istituti regolati dalla legislazione penale, con l’avvento della Costituzione la preterintenzione soggiace ai principi fondamentali che governano la materia e che a loro volta si traducono in un vincolo gravante sul legislatore e, nondimeno, sull’interprete[11]. In particolare, la preterintenzione non può sfuggire al perimetro di dominio del principio di colpevolezza, segnato dalla Consulta con le celebri sentenze n. 364 e n. 1085 del 1988 attraverso una rilettura del combinato disposto del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost., il quale presuppone «almeno la colpa» (quindi, in questo caso, necessariamente la colpa) con riferimento agli «elementi più significativi della fattispecie tipica»[12], tra cui non può non esservi la morte della persona aggredita. Emerge, quindi, chiaramente la ragione per cui la dottrina moderna si opponga a forme più o meno occulte di responsabilità oggettiva, percependo l’esigenza di fornire una chiave di lettura dell’art. 584 c.p. conforme a Costituzione.
4. È proprio alla luce del dibattito sin qui solo richiamato che appare particolarmente significativa la sentenza della V Sezione penale oggetto di commento. Difatti, la Corte di cassazione, aderendo al principio di diritto già espresso in passato attinente al nesso che deve sussistere tra l’evento morte e l’area di pericolo concretamente prodotta con la condotta di base[13], approfitta della vicenda sottoposta alla sua attenzione per «sgombrare il campo da ogni rischio di surrettizia reintroduzione del concetto di responsabilità oggettiva» (p. 11). Con un mutamento di prospettiva inaspettato, disconosce espressamente l’indirizzo fino a lì prevalente e precisa come, conformemente al principio di colpevolezza, «nel delitto preterintenzionale si risponde solo se un uomo ragionevole poteva rappresentarsi l’intervento del fattore causale che ha fatto degenerare le percosse o le lesioni nell’evento concreto morte della vittima» (p. 12)[14].
4.1. Il supremo Collegio, a sostegno delle sue argomentazioni, osserva come gli artt. 584 e 586 c.p. si pongano in un rapporto di specialità e condividano la medesima struttura a progressione criminosa (p. 15). Coglie, così, l’occasione per richiamare i principi di diritto espressi dalle Sezioni unite con la sentenza “Ronci” del 2009, specificando che già allora la suprema Corte, nella sua composizione più autorevole, aveva sottolineato che il concetto di prevedibilità in astratto si pone sullo stesso piano della responsabilità oggettiva, in quanto preclude un accertamento concreto e fattuale del nesso di colpevolezza, accontentandosi di quello materiale.
4.2. Infine, una volta passate in rassegna le diverse teorie proposte in dottrina e dopo aver appurato che nel nostro ordinamento non possono ammettersi ipotesi di culpa in re ipsa, la suprema Corte dimostra, sostanzialmente, di aderire alla tesi relativa al dolo misto a colpa generica nella parte in cui afferma come «il titolo dell’imputazione dell’evento più grave del delitto preterintenzionale deve essere ravvisato nella colpa da accertarsi in concreto» (p. 18).
La Cassazione prosegue nel solco argomentativo tracciato differenziando le regole cautelari che operano in un contesto illecito. In un primo momento si sofferma sul mancato rispetto del divieto imposto dal precetto penale, il quale «dà vita, di per sé, alla violazione di una regola cautelare, con la conseguenza che la responsabilità per gli accadimenti lesivi che ne conseguono non potrà essere esclusa, anche se l’agente aveva adottato modalità improntate alla prudenza e alla diligenza». Tuttavia, il discutibile inciso si rivela poi funzionale per sottolineare l’operatività, in un contesto illecito, di «regole di comportamento» distinte da quelle relative allo svolgimento di un’attività lecita (p. 19); in questo modo, ad avviso della Corte, si supererebbero le obiezioni che alcuni oppongono alla configurabilità di regole cautelari operanti in re illicita. In altre parole, la motivazione della sentenza sostiene che la responsabilità preterintenzionale si fonda non solo sulla trasgressione del dovere di astenersi dal compiere attività vietate e pericolose, ma altresì su regole di natura comportamentale, che si risolvono in un giudizio «sulla prevedibilità – e, quindi, sull’evitabilità – in concreto degli eventi lesivi, alla luce della situazione di fatto con cui essi sono stati realizzati» (p. 19).
La V Sezione evoca quale parametro di valutazione «l’uomo ragionevole» o «il comune uomo giudizioso» (p. 18-19), non fornendo tuttavia una definizione compiuta del modello di agente selezionato: prima di richiamare «l’uomo ragionevole», si rivolge, infatti, al «soggetto modello, calato nelle condizioni di tempo e di luogo in cui opera il soggetto agente», al fine di garantire «l’operatività del criterio della prevedibilità sul piano quanto più possibile concreto» (p. 13), per poi riferirsi, nelle pagine seguenti, al «comune uomo giudizioso» (p. 19).
5. Proseguendo, la pronuncia si conclude evidenziando che l’autore risponderà di omicidio preterintenzionale purché l’evento morte configuri una prevedibile concretizzazione del rischio derivato dalla condotta dolosa perpetrata dall’agente. In definitiva, la sentenza in commento contiene affermazioni di principio in sintonia con quegli orientamenti dottrinali che tentano di fornire una lettura dell’illecito preterintenzionale conforme a Costituzione, ricostruendolo quale ipotesi di dolo misto a colpa generica.
Vi sono infatti studiosi convinti che la colpa generica tradizionalmente intesa possa trovare pari applicazione nell’imputazione preterintenzionale dell’evento morte, mediante l’intermediazione del consueto homo eiusdem condicionis et professionis, talvolta declinato (riguardo alle “attività a-specifiche”) riferendosi, come fa ora la Corte, proprio a una persona ragionevole[15]. A ben vedere, il modello di agente tratteggiato nella sentenza in commento palesa assonanze anche rispetto alla posizione di chi ritiene preferibile parlare di «colpa generica oggettivata» e disegna il parametro di imputazione sui contorni dell’uomo mediamente avveduto (richiedendo altresì che il delitto doloso di base tipizzi un’area di oggettivo pericolo nei confronti del bene giuridico vita)[16]. Così come nelle impostazioni dottrinali appena richiamate, anche nella sentenza in commento il riferimento a un modello di agente, per quanto definito in modo ambiguo, risulta funzionale a ricavare vere e proprie istruzioni operative a scopo preventivo, considerate invece inconcepibili in re illicita da quel filone che ritiene di doversi necessariamente “accontentare” della prevedibilità in concreto (quale surrogato massimo possibile della colpa) svincolata dalla cornice deontica della regola cautelare[17].
Ad ogni modo, prescindendo dalle variegate sfumature interpretative che si registrano nel panorama scientifico, il dato più significativo della sentenza in commento si traduce nella sensibilità affine che dimostra rispetto a quella dottrina che intende salvaguardare le garanzie costituzionali del diritto penale.
6. Nel caso concreto sottoposto al vaglio di legittimità, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso nella parte in cui lamentava l’erronea qualificazione giuridica operata dal giudice di seconda istanza, in quanto dall’istruttoria dibattimentale era emersa la chiara volontà di ledere che animava l’agente, così incanalandosi l’imputazione dell’epilogo mortale non voluto, non già nell’area di tipicità del “semplice” omicidio colposo, ma in quella propria dell’art. 584 c.p., che presuppone appunto un gesto violento doloso. Il Collegio precisa che l’imputato era, peraltro, pienamente a conoscenza dell’età avanzata e delle patologie da cui era affetta la madre e a fronte di una condotta tanto violenta avrebbe potuto, in base alle circostanze concrete a lui note, prevedere l’evento finale.
A tal riguardo, sarà interessante attendere che la questione sull’imputazione dell’evento morte venga riproposta in altre fattispecie concrete, diverse rispetto a quella oggetto della sentenza in commento. D’altronde, le ipotesi più problematiche si realizzano spesso mediante una condotta che integra le percosse, se non addirittura attraverso un’azione che nemmeno supera la soglia della “percossa consumata”. A ben vedere, l’argomento fondato sulla fisiologica progressione criminosa dietro il quale la giurisprudenza si trincera perde notevole credibilità proprio di fronte agli atti diretti a percuotere; anche volendosi limitare alla prevedibilità in astratto, le percosse (reato di pericolo distinto dalle lesioni) e l’omicidio (il più emblematico dei reati di danno) risultano tra loro lontani ed estranei a quella logica di consequenzialità e immediatezza che sembra trasparire da numerose sentenze, rendendo così surrettizia l’asserita omogeneità dei beni giuridici dedotti. Ci si riferisce, in particolare, a quei “casi di scuola” nei quali l’azione violenta si “limita” a una spinta o a uno strattonamento, salvo poi cagionare la morte della persona offesa per circostanze imprevedibili e sfortunate come può accadere, ad esempio, nelle ipotesi in cui l’iter criminis culmini in una caduta fatale. Anche in questa casistica la giurisprudenza non esita a dichiarare l’autore responsabile per omicidio preterintenzionale attraverso una forma di prevedibilità solo astratta, in quanto nella condotta tipica di cui all’art. 584 c.p. confluirebbero anche azioni minimamente offensive, ma da cui può comunque evincersi una volontà diretta a percuotere[18]. È, allora, verosimile che, laddove la colpa divenisse finalmente oggetto di specifico accertamento alla luce del mutamento interpretativo di cui si è appena dato atto, potrebbero ridursi drasticamente le condanne per omicidio preterintenzionale, delitto che – è bene ricordarlo – prescrive un rigoroso trattamento sanzionatorio (la reclusione da 10 a 18 anni), tale da rendere inevitabile l’ingresso in carcere del colpevole.
7. In conclusione, al netto del singolo indirizzo a cui si intenda aderire tra quelli proposti dalla dottrina più attenta ai principi costituzionali, o del significato che si voglia attribuire alle parole della Cassazione, la sentenza dovrebbe essere accolta con favore, in quanto inaugura la ricomparsa di una lettura della preterintenzione conforme al principio di colpevolezza. Dopotutto, è verosimile che il disconoscimento dell’approccio sinora dominante in giurisprudenza stimolerà un dibattito interno alla Corte. Allo stato dell’arte, il ritorno definitivo a una visione pienamente colpevole dell’art. 584 c.p. appare ancora lontano, come dimostra la giurisprudenza di legittimità successiva alla sentenza in commento. Paradigmatica, in questo senso, una (ancor più) recente pronuncia che ha ritenuto manifestamente infondata un’eccezione di legittimità costituzionale sollevata alla luce della sospetta incompatibilità dell’art. 584 c.p. con il principio di colpevolezza, in quanto «la valutazione relativa alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato è insita nella stessa norma che lo prevede, la quale reputa assolutamente probabile che da un’azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa»[19]. In definitiva, il quadro giurisprudenziale attuale sembra condurre all’emersione di un contrasto nell’ambito della stessa quinta Sezione.
In ogni caso, per le ragioni sopra esposte, resta fermo l’auspicio che i principi di diritto statuiti nella sentenza in commento si consolidino e, soprattutto, trovino concreta applicazione, sostituendo l’approccio ermeneutico sino ad ora invalso in giurisprudenza e restituendo il delitto di cui all’art. 584 c.p. ai ranghi imposti da una prospettiva di diritto penale conforme a Costituzione.
[1] Per brevi annotazioni della sentenza si vedano A. Merlo, Sull’elemento soggettivo dell’omicidio preterintenzionale, in Foro it., 2, 2023, 117-118; I. Scordamaglia (a cura di), Omicidio preterintenzionale, in Dir. pen. proc., 7, 2023, 897-898.
[2] Per una generale e recente disamina dell’art. 584 c.p. si rinvia, ad esempio, a S. Canestrari, I delitti di omicidio doloso e preterintenzionale, in S. Canestrari, F. Curi, D. Fondaroli, V. Manes, M.O. Mantovani, A. Nisco, S. Tordini Cagli, Diritto penale. Percorsi di parte speciale, Torino, 2023, 58 ss.; M. Botto, L’omicidio preterintenzionale, II, in A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa (diretto da), Diritto penale, Milano, 2022, 5127 ss.
[3] Ad avviso della giurisprudenza, al fine di configurare un’ipotesi di omicidio preterintenzionale e non la diversa fattispecie delittuosa di cui all’art. 586 c.p., è sufficiente che il delitto doloso di base si concretizzi in un’aggressione fisica. In questo senso, la condotta ben può integrare un fatto previsto da diversi titoli di reato come, ad esempio, il delitto di rapina ex art. 628 c.p., che tipizza anche l’azione violenta. Su tale aspetto, si veda la sentenza della Corte di cassazione che si è pronunciata sui tragici avvenimenti di Piazza San Carlo a Torino, consumatisi durante la proiezione della finale di Champions League nel 2017: Cass. pen., Sez. V, 21 gennaio 2022 (dep. 20 aprile 2022), n. 15269, in Giur. it., 2022, 2222 ss., con commento di M.L. Mattheudakis, Ancora un’aberrazione applicativa dell’omicidio preterintenzionale. In senso critico anche A. Merlo, La tragedia di piazza San Carlo come banco di prova per l’omicidio preterintenzionale, in Foro it., 2023, 56 ss.
[4] Peraltro, l’orientamento maggioritario, confermato su questo aspetto anche dalla sentenza in commento, ritiene che per le percosse o le lesioni di base della fattispecie preterintenzionale, le quali possono essere anche soltanto tentate, sia sufficiente il dolo eventuale, palesando però un’incongruenza con l’indirizzo (altrettanto maggioritario) più generale che ravvisa un’inconciliabilità tra il dolo eventuale e le ipotesi di tentativo ex art. 56 c.p. Ex plurimis, Cass. pen., Sez. V, 01 febbraio 2018, n. 18048, in Guid. dir., 2018, 26, 82; Cass. pen., Sez. I, 13 ottobre 2010, n. 40202; Cass. pen., Sez. II, 17 dicembre 2014, n. 301, in Dir. & Giust., 2015.
[5] Cass. pen., Sez. V, 8 marzo 2006, n. 13673, in Giur. It., 2007, 2045 ss.; Cass. pen., Sez. V, 21 settembre 2016, n. 44986, Rv. 268299; Cass. pen., Sez. V, 9 ottobre 2019, n. 51233. Il principio di diritto è stato di recente confermato anche nella sentenza già citata attinente ai fatti di Piazza San Carlo (Cass. pen., Sez. V, 20 aprile 2022, n. 15269, cit.), in cui peraltro in sede cautelare era stata evocata la controversa figura dell’omicidio preterintenzionale aberrante: v. Cass., Sez. V, 11 dicembre 2018 (dep. 26 marzo 2019), n. 13192, in Dir. pen. cont., 15 aprile 2019, con nota di S. Zirulia, Morte per ‘effetto domino’ innescato dall’utilizzo di spray urticante: configurabile l’omicidio preterintenzionale c.d. aberrante? La Cassazione sui fatti di piazza San Carlo a Torino. In argomento, si veda anche M. Lanzi, Preterintenzione e reato aberrante, tra vecchi paradigmi e nuove esigenze di tutela, in Criminalia, 2018, 611 ss.
[6] Cass. pen., Sez. Un., 22 gennaio 2009 (dep. 29 maggio 2009), n. 22676, in Foro. it., II, 2009, 448 ss., con nota di A. Tesauro, Responsabilità dello spacciatore per la morte del tossicodipendente: le sezioni unite optano per la colpa in concreto. La sentenza è stata pubblicata anche in Cass. pen., 2009, 4585 ss., con nota di A. Carmona, La “colpa in concreto” nelle attività illecite secondo le Sezioni Unite, nonché in Riv. pen., 2010, 1 ss., unitamente al commento di V. Musacchio, Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto: la colpevolezza torna a svolgere il suo ruolo primario in tema di responsabilità penale.
[7] Ex plurimis, Cass. pen., Sez. I, 26 aprile 2005, n. 21039, Rv. 231770; Cass. pen., Sez. V, 27 giugno 2012, n. 35582; Cass. pen., Sez. V, 4 maggio 2018, n. 23606, in Cass. pen., 2019, 258 ss. Il diverso approccio interpretativo relativo all’art. 586 c.p. troverebbe conforto nel suo esplicito rinvio all’art. 83 c.p., in base al quale l’agente che per errore nei mezzi di esecuzione cagiona un evento diverso da quello voluto risponde «a titolo di colpa» (è bene, tuttavia, evidenziare che l’inciso richiamato riguarda, verosimilmente, solo il trattamento sanzionatorio prescritto per l’aberratio delicti monolesiva). Inoltre, l’art. 586 c.p., impone espressamente un aumento delle pene dei delitti colposi di cui agli artt. 589 e 590 c.p. Proprio l’assenza di un analogo inciso o rinvio alla responsabilità colposa riferibile all’omicidio preterintenzionale conduce la giurisprudenza ad escludere che l’articolo 584 c.p. configuri un’ipotesi di dolo misto a colpa generica.
[8] In dottrina, si è parlato di «insidioso camouflage della responsabilità oggettiva»: S. Canestrari, Preterintenzione, Padova, 1989, 701.
[9] In tal senso, ad esempio, F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, XVI ed., Milano, 2003, p. 392 ss.; G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, VII ed., Bologna, 2019, 691 ss. Più nello specifico, l’orientamento oggetto di critica sembra porsi sulla medesima falsariga di quella tesi che sosteneva come nella preterintenzione coesisterebbero una componente dolosa e una componente ascrivibile a titolo di colpa specifica, derivante dalla violazione del supposto contenuto cautelare degli articoli 581 e 582 c.p. Naturalmente, anche questo indirizzo è stato respinto, in quanto cela, a sua volta, una forma occulta di responsabilità oggettiva, una colpa presunta dalla violazione della legge penale, determinando così l’irrilevanza della concreta dinamica con cui si è estrinsecata la condotta e verificato l’evento. Per questa ormai risalente dottrina si veda, per tutti, G. Bettiol, Diritto penale. Parte generale, X ed., Padova, 1978, 465 ss.; in giurisprudenza v. Cass. pen. Sez. IV, 15 novembre 1989, in Riv. pen., 1990, 744 ss. Nonostante si tratti di una responsabilità priva sia del dolo che della colpa, la c.d. teoria della responsabilità da rischio vietato viene invece ritenuta (da chi l’ha proposta) compatibile con il principio di colpevolezza in quanto non basata esclusivamente sul nesso di causalità materiale: A. Pagliaro, La responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto, Milano, 1966, 147 ss.
[10] Si fa, in particolare, riferimento alle critiche di tenore letterale e sistematico, che fanno leva sulla collocazione intermedia del secondo comma dell’art. 43 c.p. dedicato alla preterintenzione e all’autonoma rilevanza del criterio di imputazione in esame che si ricava dal dettato dell’art. 42 c.p.
[11] È quanto precisato dalla Corte costituzionale con riferimento al principio di colpevolezza in materia di error aetatis, la quale ha evidenziato l’obbligo per l’interprete che sospetti un’incostituzionalità della norma di tentare un approccio interpretativo conforme a Costituzione: C. cost., 24 luglio 2007, n. 322, in Dir. Pen. Proc., 2007, 1461 ss. con commento di L. Risicato, L’errore sull’età tra error facti ed error iuris: una decisione ‘‘timida’’ o ‘‘storica’’ della Corte costituzionale?, 1465 ss.
[12] Cit. Corte. cost., 23 marzo 1988, n. 364, in Foro it., 1988, I, 1385 ss., con commento di G. Fiandaca, Principio di colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge penale: “prima lettura” della sentenza n. 364/88.
[13] «L’evento morte deve presentarsi quale prodotto della specifica situazione di pericolo generata dal reo con la condotta intenzionale». Tra i precedenti richiamati sul punto dalla sentenza in commento, anche Cass. pen., Sez. V, 21 gennaio 2022, n. 15269, Rv. 283016.
[14] Una svolta verso una prospettiva conforme al principio di colpevolezza era, anche di recente, riemersa nella giurisprudenza di merito, che è parsa più sensibile alle istanze costituzionali che ruotano attorno all’art. 584 c.p. Si fa riferimento a C. Ass. Reggio Emilia, 12 gennaio 2015, in Dir. pen. cont., 15 dicembre 2015, con nota di S. Finocchiaro, Anche nell’omicidio preterintenzionale il criterio di imputazione dell’evento è la colpa in concreto? Una pronuncia della Corte d’Assise di Reggio Emilia; C. Ass., Sassari, 14 febbraio 2022 (dep. 21 febbraio 2022), in questa Rivista, 13 aprile 2022, con nota di M. Nicolini, La Corte d’Assise di Sassari supera la prevedibilità in astratto e apre alla colpa in concreto nell’omicidio preterintenzionale. Per segnalare, invece, un precedente conforme nella giurisprudenza di legittimità si deve risalire a parecchi anni prima: Cass. pen., Sez. I, 22 settembre 2006, n. 37385.
[15] Cfr. F. Basile, La colpa in attività illecita. Un’indagine di diritto comparato sul superamento della responsabilità oggettiva, Milano, 2005, 179 ss. In tal senso già E. Dolcini, Responsabilità oggettiva e principio di colpevolezza. Qualche indicazione per l’interprete in attesa di un nuovo codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 863 ss.; nella manualistica, in particolare G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, XII ed., Milano, 2023, 452 ss.
[16] In questo modo verrebbero valorizzati l’autonoma dignità e rilevanza del modello preterintenzionale e l’intenso legame che sussiste tra le sue due componenti. La teoria richiamata è elaborata in S. Canestrari, L’illecito penale preterintenzionale, cit.; Id., Preterintenzione, in Digesto pen., IX, 1995, 694 ss.
[17] In questo senso, diffusamente, A. Carmona, La “colpa in concreto” nelle attività illecite secondo le Sezioni Unite. Riflessi sullo statuto della colpa penale, cit. Per una recente rivalutazione dell’importanza della cornice della regola cautelare in re illicita, M.L. Mattheudakis, L’imputazione colpevole differenziata. Interferenze tra dolo e colpa alla luce dei principi fondamentali in materia penale, Bologna, 2020, 137 ss.
[18] V. Cass. pen., Sez. V, 2 marzo 2004, n. 21056; Cass. pen., Sez. V, 16 marzo 2010, n. 16285, in Rv. 247267; da ultimo, Cass. pen., Sez. V, 04 aprile 2018, n. 23606. Nella giurisprudenza di merito si veda anche C. Ass., Brescia, Sez. II, 13 maggio 2019, n. 3, in questa Rivista., 17 dicembre 2019, con nota di B. Fragasso, Una spinta causa la morte di un uomo: l’omicidio preterintenzionale, in un caso di scuola, tra responsabilità oggettiva e dolo misto a colpa. Si ribadisce che l’aspetto critico riguarda la prevedibilità astratta posta a fondamento dell’impostazione giurisprudenziale in esame, che può condurre a esiti irragionevoli. Non si esclude, infatti, a priori che anche una spinta possa assumere rilevanza ai sensi dell’art. 584 c.p.; si pensi, ad esempio, a uno spintonamento messo in atto su un terreno scivoloso, o nei pressi di una rampa di scale, circostanze comunque apprezzabili su un piano concreto. Nemmeno si vuole affermare che ogni atto diretto a ledere da cui consegua la morte del soggetto passivo giustifichi un automatica applicazione dell’art. 584 c.p.: emblematica, in questo senso, l’ipotesi in cui l’agente, ignaro dello stato di salute della vittima, la ferisca volontariamente cagionandone la morte a causa dell’emofilia da cui era affetta.
[19] Cit. Cass. pen., Sez. V, 3 aprile 2023, n. 36402, in CED, 2023.