1. Come è noto, in applicazione della delega contenuta nella lett. d) del comma 13 dell’art. 1 della legge n. 134/2021 (c.d. riforma Cartabia), l’art. 33, comma 1 lett. a) n. 2) del d. lgs. n. 150/2022 ha apportato significative modifiche all’art. 573 c.p.p.
La norma modificata prevede: “1. L’impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale. 1-bis. Quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”.
Orbene, ai sensi della nuova disposizione, effettuata la verifica di ammissibilità dell’impugnazione, la Corte di Appello o la Corte di Cassazione deve rinviare per la prosecuzione del giudizio al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e eventualmente quelle acquisite nel giudizio civile[1].
Per effetto dell’art. 99-bis del d. lgs n. 150/2022, come inserito dal d.l. n. 162/2022, convertito con modifiche della legge n. 199/2022, la riforma Cartabia è entrata in vigore dal 30.12.2022.
Il d. lgs. n. 150/2022, come modificato dal citato d.l. n. 162/2022, convertito con modifiche dalla legge n. 199/2022, non ha previsto una specifica norma transitoria con riguardo al modificato art. 573 c.p.p.
Si è posta da subito, quindi, la questione dell’applicabilità del nuovo comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p. ai giudizi attualmente pendenti in Corte di Appello o in Cassazione aventi ad oggetto impugnazioni per i soli interessi civili.
2. Nella relazione illustrativa di accompagnamento al d. lgs n. 150/2022 non vi erano esplicite indicazioni sul punto, così nella prima relazione da parte dell’ufficio del Massimario della Cassazione dedicata alla disciplina transitoria e alle prime questioni di diritto intertemporale del d. lgs n. 150/2022[2], ma anche nella successiva, dedicata a tutta la riforma Cartabia[3].
La questione veniva posta problematicamente dall’ufficio studi presso la Corte di Appello di Milano in un prospetto esplicativo delle modifiche al sistema penale apportate dal d. lgs n. 150/2022 con particolare riguardo al giudizio di appello[4].
Si evidenziava che, non avendo previsto il legislatore alcuna espressa disciplina transitoria, ciò avrebbe potuto fare propendere per l’immediata applicabilità della novella legislativa. Ma contro tale ricostruzione si porrebbe l’insegnamento delle Sezioni Unite imp. Lista del 2007[5], nonché il principio generale per cui la competenza del giudice è fissata nel momento in cui il giudizio è incardinato davanti a lui (principio della c.d. perpetuatio jurisdictionis).
In dottrina, invece, fra i primi commentatori, con particolare riguardo al giudizio di appello, si propendeva per l’applicabilità della nuova disposizione a tutti gli appelli proposti dopo l’entrata in vigore del d. lgs n. 150/2022. [6]
3. La questione ha acquisito subito rilievo in Cassazione, generando diverse pronunce, rispetto alle quali in tre casi sono già note le motivazioni.
In un primo caso (R.G. 28073/2022), udienza dell’11.1.2023, la III Sezione Penale della Cassazione forniva risposta affermativa al seguente quesito: “se il comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p., introdotto dall’art. 33 del d. lgs. n. 150 del 2022 e in vigore dal 30.12.2022 in forza del d.l. n. 162 del 2022, trovi applicazione anche nei giudizi di impugnazione per i soli interessi civili introdotti prima o relativi a sentenze precedenti alla sua entrata in vigore”, disponendo il rinvio per la prosecuzione alla sezione civile competente.
In un secondo caso (R.G. 22527/2022), più di recente (udienza del 26.1.2023), la IV Sezione Penale ha annullato la sentenza impugnata, limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello
Nel terzo caso (R.G. 29026/2021), udienza dell’11.1.2023, sempre la IV Sezione Penale ha, invece, emesso l’ordinanza n. 2854/2023, depositata in data 24.1.2023, con la quale ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Cassazione per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Civili della Corte, affermando, quindi, l’immediata operatività dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. ai giudizi pendenti.
Si legge in quest’ultima ordinanza che militerebbero per una simile soluzione numerose ragioni: 1) il difetto di una disposizione transitoria; 2) la ratio della riforma e le ragioni sottese alla sua attuazione, come desumibili dalla relazione illustrativa, da ravvisarsi nella scelta di implementare l’efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni; 3) la coerenza con i principi elaborati dal giudice delle leggi (sentenza n. 182/2021) in ordine all’oggetto dell’accertamento, che in nessun caso potrà più riguardare profili inerenti alla responsabilità penale; 4) la mancanza di effettive esigenze di tutela di ragioni di affidamento della parte impugnante, nei termini evidenziati dalle Sezioni Unite imp. Lista del 2007, poiché il giudice al quale l’impugnazione va proposta resta quello penale e anche la regola di giudizio resta invariata (dal che deriva che nessun pregiudizio soffrono tutte le parti processuali).
Nello stesso senso si è pronunciata la II Sezione Penale (R.G. 13070/2022), udienza del 2.2.2023, che, ritenuta la non inammissibilità del ricorso, ha rimesso gli atti al Primo Presidente ai sensi dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p.
Invece, la V Sezione Penale (R.G. 19551/2022), udienza del 20.1.2023, forniva risposta affermativa al seguente diverso quesito: “se l’art. 573, comma 1-bis, introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. a), n. 2, del d. lgs 10 ottobre 2022, n. 150, nella parte in cui dispone che, quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile, è applicabile solo alle impugnazioni proposte avverso le sentenze emesse a partire dal 30 dicembre 2022”, decidendo nel merito il ricorso, annullando la sentenza impugnata, limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Si legge nella sentenza depositata il 31.1.2023 (n. 3990) che vi è un’esigenza di protezione del diritto di difesa che induce a ritenere che la nuova disciplina non possa essere applicata a vicende processuali anteriori all’entrata in vigore del d. lgs. n. 150 del 2022, ossia all’impugnazione di sentenze emesse prima del 30.12.2022, quando, ai sensi dell’art. 99-bis del d. lgs. n. 150 del 2022, è entrata in vigore la riforma, secondo i principi espressi dalle Sezioni Unite imp. Lista, che hanno carattere generale e non sono affatto circoscritti alla specifica tematica devoluta in quella sede alle Sezioni Unite. Ne discende che, essendo ben chiara la distinzione tra modifiche che attengono alla categoria del “regime delle impugnazioni” (nelle quali rientrano le modifiche legislative relative alla facoltà di impugnazione, alla sua estensione, ai modi ed ai termini per esercitarla) e modifiche legislative che, invece, si riferiscono al procedimento di impugnazione, restano, pur sempre da considerare, quanto alle prime, le peculiarità che, come nel caso di specie, incidono sulla costruzione dell’atto di impugnazione e sull’esigenza di tutelare l’affidamento dell’impugnante sul quadro delle regole alla stregua delle quali il ricorso è destinato ad essere esaminato. E quest’ultima puntualizzazione va apprezzata anche in relazione al possibile mutamento di tipo sostanziale del quadro valutativo che può caratterizzare l’esame della domanda risarcitoria in ambito civilistico.
Infine, nel senso dell’ultima pronuncia citata, si segnala la sentenza emessa dalla V Sezione Penale in data 16.1.2023, depositata il 3.2.2023, n. 4092, la quale ha ritenuto innanzitutto non applicabile alla fattispecie in esame l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., essendo parzialmente inammissibile il ricorso della parte civile, ritenendo che la norma in questione presupponga per il rinvio in prosecuzione del giudizio al competente giudice civile che l’impugnazione non sia in tutto o in parte inammissibile. Più in generale, ha reputato inapplicabile ai giudizi in corso l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., richiamando i principi affermati dalle Sezioni Unite del 2007 imp. Lista, dovendo assicurare le esigenze di tutela dell’affidamento dell’impugnante sulla portata dell’impugnazione. Invero, riprendendo alcuni orientamenti della giurisprudenza civile di legittimità sul terreno dei giudizi scaturiti da annullamento ex art. 622 c.p.p. – orientamenti le cui linee portanti si ritengono destinate a valere anche in caso di rinvio per la prosecuzione ai sensi dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. – si è affermato che, se nel primo caso si è escluso un vincolo per il giudice civile di rinvio derivante dalla sentenza rescindente emessa dalla Cassazione penale, nel secondo caso un vincolo del genere non sarebbe neppure ipotizzabile, data la strutturale assenza, nel rinvio per la prosecuzione, di una sentenza rescindente. Se, quindi, il giudizio civile, riassunto dopo l’annullamento ai sensi dell’art. 622 c.p.p., è un giudizio autonomo, in cui, in sede di riassunzione ex art. 392 c.p.c., è possibile l’emendatio della domanda, la mancanza, in sede di rinvio per la prosecuzione, ai sensi dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., di una riassunzione da parte dell’attore-danneggiato rende ancora più significativo il contenuto dell’atto di impugnazione il cui conseguenziale giudizio è destinato a essere “rinviato” per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente sull’impugnazione stessa. Tuttavia, le stesse esigenze di “emendatio”, di possibile allegazione di fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno diversi da quelli che integravano la fattispecie di reato, la facoltà di proporre nuove conclusioni, ecc., sono tutti profili del giudizio civile seguito ad annullamento ex art. 622 c.p.p. suscettibili di connotare anche il giudizio “proseguito” dinanzi al giudice civile ex art. 573, comma 1-bis, c.p.p. e, allo stesso tempo, di dare conto della non piena sovrapponibilità della “morfologia” del giudizio relativo alle sole statuizioni civili in sede penale rispetto a quello in sede civile. Pertanto, solo correlando l’operatività dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. alla deliberazione della sentenza impugnata risulta possibile assicurare l’affidamento dell’impugnante circa la “coerenza” della propria impugnazione con tutti gli aspetti significativi del giudizio di impugnazione cui è destinata a dare vita. Affidamento che, viceversa, verrebbe frustrato se un atto di impugnazione dai contenti “mirati” sulla sede penale cui sarebbe stato destinato prima della novella venisse rinviato in “prosecuzione” – senza la “mediazione” assicurata dalla riassunzione, sottolinea la Cassazione – alla sede civile caratterizzata da una diversa morfologia del giudizio.
4. La confusione regna sovrana e, come era prevedibile e auspicabile, in data 7-8.2.2023 la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite dalla V Sezione Penale nel procedimento n. 16076/2022 R.G. La questione esaminata, sulla quale il collegio ha ritenuto di rimettere gli atti al massimo Consesso, è la seguente: “se l’art. 573, comma 1-bis, introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. a) n. 2, D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nella parte in cui dispone che, quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice civile o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile, sia norma di immediata applicazione a tutte le impugnazioni pendenti al 30 dicembre 2022 o sia applicabile solo alle impugnazioni proposte avverso le sentenze emesso a partire dal 30 dicembre 2022”.
Prevedibilmente, dunque, il Supremo Consesso sarà chiamato a fornire risposta ad un quesito che pone due alternative secche: l’applicabilità immediata ai giudizi di impugnazione pendenti alla data del 30.12.2022 dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., ovvero l’applicabilità solo ai giudizi di impugnazione che verranno introdotti da impugnazioni proposte avverso sentenze emesse dopo il 30.12.2022.
Auspicando che le Sezioni Unite approfittino dell’occasione non soltanto per prendere definitiva posizione sulla questione di diritto intertemporale, ma anche per approfondire tutti gli aspetti del nuovo istituto e i meccanismi di operatività del “rinvio per la prosecuzione” tratteggiato dall’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. (ad esempio, la questione della necessaria o meno riassunzione del giudizio dinanzi al giudice civile ai sensi degli artt. 392 e ss. c.p.c.), si propone in questa sede una possibile diversa soluzione interpretativa. Si tratta di una ipotesi appena ventilata in altro scritto[7], che va qui ripresa ed approfondita.
5. Dalla lettura della relazione illustrativa emerge in tutta evidenza l’intenzione del legislatore delegato, nel dare attuazione alla direttiva contenuta nell’art. 13 comma 1 lett. d) della legge n. 134/2021, di favorire un ulteriore risparmio di risorse, nell’ottica di implementare l’efficienza giudiziaria nella fase dell’impugnazioni, che non si pone in conflitto con la giurisprudenza costituzionale, data la limitazione della cognizione del giudice civile alle “questioni civili”. Il giudice civile, infatti, non potrebbe accertare neppure incidentalmente il tema già definito della responsabilità penale.
Tuttavia, si legge sempre nella relazione illustrativa, “con il rinvio dell’appello o del ricorso al giudice civile l’oggetto di accertamento non cambierebbe, ma si restringerebbe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito civile è già implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale (l’illecito penale implica l’illecito civile). Non vi sarebbe pertanto una modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal giudizio penale a quello civile. Ragionevolmente, l’eventualità dovrà essere prevista dal danneggiato dal reato sin dal momento della costituzione di parte civile, atto che pertanto dovrà contenere l’esposizione delle ragioni che giustificano “la domanda agli effetti civili”, secondo l’innovata formulazione dell’art. 78, lett. d), c.p.p.”.
Dunque, ancorando l’aggiunta del comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p. alla modifica apportata all’art. 78 c.p.p. dall’art. 5 del d. lgs. n. 150/2022[8], il legislatore delegato sembrerebbe avere ancorato l’operatività della disposizione “traslatoria” alla prevedibilità della translatio iudicii da parte della costituita parte civile.
Con quali conseguenze, sia in termini di diritto intertemporale, che ordinario?
5.1. Per rispondere a questa domanda bisogna fare un piccolo passo indietro e ripercorrere gli approdi cui era giunta la giurisprudenza di legittimità, supportata da quella costituzionale, sul tema dei rapporti tra azione penale e azione civile nel processo penale.
Va, innanzitutto, ricordato che, con riguardo alla vecchia formulazione dell’art. 78 c.p.p., secondo la oramai unanime giurisprudenza, l'indicazione delle ragioni che giustificano la domanda risarcitoria sarebbe stata funzionale esclusivamente all'individuazione della pretesa fatta valere in giudizio, non essendo necessaria un'esposizione analitica della "causa petendi", sicchè per soddisfare i requisiti di cui all'art. 78, lett. d), c.p.p., sarebbe stato sufficiente il mero richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto, allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata fosse risultato con immediatezza[9]. Dunque, la pretesa risarcitoria nel giudizio penale, secondo la vecchia formulazione dell’art. 78 c.p.p., non necessitava di particolari specificazioni quanto a causa petendi e petitum, e questo è un punto da tenere ben presente nell’ottica delle modifiche apportate dal legislatore della riforma Cartabia.
Come è noto, poi, nel processo penale l’azione civile assume carattere accessorio e subordinato rispetto all’azione penale, sicché è destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioè dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi. L’assetto generale del processo penale è ispirato all’idea della separazione dei giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice, l’esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, rispetto all’interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo[10].
Con riguardo, poi, in particolare, all’impugnazione proposta dalla parte civile, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., la Corte Costituzionale (sentenza n. 176 del 2019) ha chiarito che checheil giudice dell’impugnazione, lungi dall’essere distolto da quella che è la finalità tipica e coessenziale dell’esercizio della sua giurisdizione penale, è innanzi tutto chiamato proprio a riesaminare il profilo della responsabilità penale dell’imputato, confermando o riformando, seppure solo agli effetti civili, la sentenza di proscioglimento pronunciata in primo grado. È quindi del tutto coerente con l’impianto del codice di rito che, una volta esercitata l’azione civile nel processo penale, la pronuncia sulle pretese restitutorie o risarcitorie della parte civile avvenga in quella sede: pertanto, anche quando l’unica impugnazione proposta sia quella della parte civile non è irragionevole che il giudice d’appello sia quello penale con la conseguenza che le regole di rito siano quelle del processo penale. Un’eccezione a questo paradigma è data dall’art. 622 c.p.p. e trova la sua giustificazione nella particolarità della fase processuale collocata all’esito del giudizio di cassazione, dopo i gradi (o l’unico grado) di merito, senza che da ciò possa desumersi l’esigenza di un più ampio ricorso alla giurisdizione civile per definire le pretese restitutorie o risarcitorie della parte civile che abbia, fin dall’inizio, optato per la giurisdizione penale.
A proposito, poi, dell’annullamento della sentenza ai soli effetti civili previsto dall’art. 622 c.p.p., l’elaborazione giurisprudenziale, culminata nella sentenza delle Sezioni Unite Cremonini[11], è giunta a chiarire che il giudizio avanti al giudice civile designato ex art. 622 c.p.p. è da considerarsi come un giudizio civile disciplinato dagli artt. 392 e ss c.p.c. a seguito di riassunzione dopo l'annullamento della Corte di Cassazione ai soli effetti civili. In tal senso depongono la rubrica e il testo del citato art. 622 c.p.p. che utilizzano il verbo "rinvia" con riferimento all'effetto della statuizione penale, così evocando l'istituto del "rinvio" in sede civile quale disciplinato dagli artt. 392 e ss c.p.c. E proprio in ragione della scissione determinatasi a seguito della valutazione compiuta dal giudice penale non può, invece, ipotizzarsi il potere della Corte di Cassazione penale di enunciare il principio di diritto al quale il giudice civile del rinvio deve uniformarsi. Lo stesso tenore letterale dell'art. 393 c.p.c. - secondo il quale alla ipotesi di mancata, tempestiva riassunzione del giudizio consegue l'estinzione dell'intero processo - avalla la tesi della fase autonoma del giudizio civile di "rinvio" a seguito di annullamento da parte della Corte di Cassazione penale. Dall'affermata natura del giudizio conseguente alla pronuncia di annullamento come giudizio riconducibile alla disciplina del giudizio ex art. 392 c.p.c. consegue che la Corte di Cassazione penale non ha il potere di enunciare il principio di diritto al quale il giudice civile dovrà uniformarsi. Verificatosi un giudicato agli effetti penali, appare ragionevole che all'illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie, funzionali all'individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile, far gravare il costo di un danno e non la sanzione penale. La configurazione del giudizio conseguente all'annullamento in sede penale ai soli effetti civili (art. 622 c.p.p.) come giudizio autonomo rispetto a quello svoltosi in sede penale consente alle parti di introdurlo nelle forme civilistiche previste dall'art. 392 c.p.c., nonché di allegare fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno diversi da quelli che integravano la fattispecie di reato in ordine alla quale si è svolto il processo penale. Ciò giustifica anche l'emendatio della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell'illecito civile, sempre che la domanda così integrata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio. L'emendatio, ma non la mutatio della domanda, garantisce al danneggiato di "espandere" la domanda risarcitoria allegando elementi rientranti nella fattispecie di responsabilità prevista dall'art. 2043 c.c. Al contempo, l'emendatio consente al danneggiante di evitare di subire la perdita di un grado di giudizio in conseguenza della scelta della controparte. La natura autonoma del giudizio civile comporta conseguenze anche con riferimento all'individuazione delle regole processuali applicabili in tema di nesso causale e di prove, in ragione della diversa funzione della responsabilità civile e della responsabilità penale e dei diversi valori in gioco nei due sistemi di responsabilità. Il giudizio penale mette al centro dell'osservazione la figura dell'imputato e il suo status libertatis, quello civile il danneggiato e le sue posizioni soggettive giuridicamente protette.
Volendo riassumere quanto finora detto sulla base delle norme ante riforma Cartabia: 1) l’azione civile nel processo penale si esercitava con la costituzione di parte civile, che non doveva contenere una particolare specificazione delle ragioni che giustificavano la domanda (a differenza dell’atto introduttivo del giudizio civile), essendo sufficiente il mero richiamo al capo di imputazione quando ne risultavano evidenti le conseguenze risarcitorie; 2) l’esercizio dell’azione civile nel processo penale comportava l’attribuzione al giudice penale, in via accessoria e subordinata rispetto all’accertamento penale, anche della giurisdizione sulle questioni civili, giurisdizione che permaneva, in via di eccezione, quando non vi erano più in gioco questioni penali, anche nei successivi gradi di giudizio, avendo attribuito il legislatore alle parti private la legittimazione ad impugnare la sentenza penale anche solo per gli interessi civili; 3) l’attribuzione della giurisdizione civile al giudice penale cessava, però, in seguito all’annullamento della sentenza da parte della Cassazione ai soli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello; 4) questo rinvio dava luogo ad un autonomo giudizio civile, che necessitava di essere riassunto davanti al giudice civile, ai sensi degli artt. 392 e ss. c.p.c., con atto di citazione che avrebbe consentito alla parte attrice di precisare la propria domanda, specificandola ed ampliandola, allegando elementi rientranti nella fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2043 c.c., giudizio che si sarebbe svolto secondo le regole probatorie e di giudizio proprie del giudizio civile.
5.2. Così schematizzato, molto sommariamente, il rapporto tra azione civile e azione penale nel processo penale ante riforma Cartabia, dovendo il legislatore delegato dare attuazione alla delega avente ad oggetto il conseguenziale adeguamento, in seguito alla disciplina dei rapporti dell’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione con l’azione civile esercitata nel processo penale, della disciplina delle impugnazioni per i soli interessi civili, assicurando una regolamentazione coerente della materia, sulla base della spinta proveniente anche dalla giurisprudenza costituzionale (si allude alla sentenza n. 182 del 2021), che aveva definitivamente chiarito che, esaurito il giudizio penale, l’appendice civile non può che proseguire solo per l’accertamento dell’illecito civile, essendo precluso, sia pure incidenter tantum, un giudizio di colpevolezza penale ai fini della decisione di conferma o di riforma sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili, ha inteso introdurre, con il comma 1-bis dell’art 573 c.p.p., quella che nella stessa relazione illustrativa di accompagnamento del d. lgs n. 150/2022 viene definita come l’innovativa regola del trasferimento della decisione al giudice civile, dopo la verifica sulla non inammissibilità dell’atto svolta dal giudice penale.
Non si tratta, quindi, di un “annullamento con rinvio” al giudice civile, termini giustamente evocati e valorizzati dalle Sezioni Unite Cremonini per affermare l’autonomia del giudizio civile di “rinvio” e la necessità che lo stesso fosse riassunto, secondo la disciplina di cui agli artt. 392 e ss. c.p.c. L’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. parla di un “rinvio per la prosecuzione” al giudice o alla sezione civile competente: il giudice dell’impugnazione penale, verificata l’ammissibilità dell’impugnazione proposta avverso la sentenza penale agli effetti civili, se non residua alcuna questione di rilevanza penale, ma rimane in piedi solo l’impugnazione per gli interessi civili, “rinvia per la prosecuzione”, cioè, come specificato nella relazione illustrativa, trasferisce (letteralmente, cioè, sposta da un luogo ad un altro) per la prosecuzione gli atti al giudice civile. Non si tratta, quindi, di un autonomo giudizio civile, ma dello stesso giudizio che, cessata l’eccezionalità dell’attribuzione al giudice penale della giurisdizione anche sulle questioni civili, prosegue dinanzi al competente giudice civile.
In questo senso, dunque, si spiega, da un lato, la modifica apportata all’art. 78 lett. d) c.p.p., dall’altra, la precisazione che il giudice civile, cui gli atti vengono rimessi, “decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”. Per potere proseguire il giudizio dinanzi al giudice civile, nel senso su esposto, occorre che l’azione civile sia stata esercitata, fin dall’inizio, con una domanda che esponga dettagliatamente le ragioni che la giustificano agli effetti civili. Come sottolineato nella relazione illustrativa (“con il rinvio dell’appello o del ricorso al giudice civile l’oggetto di accertamento non cambierebbe, ma si restringerebbe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito civile è già implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale (l’illecito penale implica l’illecito civile). Non vi sarebbe pertanto una modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal giudizio penale a quello civile”) non vi è più spazio per l’emendatio ipotizzata ed ammessa dalle Sezioni Unite Cremonini, che si giustificava nell’ottica della sommarietà della domanda esposta con la costituzione di parte civile ante riforma Cartabia, e nella ritenuta riassunzione del giudizio dinanzi al giudice civile. Ora, come sottolineato sempre nella relazione illustrativa, questa “eventualità dovrà essere prevista dal danneggiato dal reato sin dal momento della costituzione di parte civile, atto che pertanto dovrà contenere l’esposizione delle ragioni che giustificano “la domanda agli effetti civili”, secondo l’innovata formulazione dell’art. 78, lett. d), c.p.p.”. D’altra parte, il giudice civile porrà a base della sua decisione le prove acquisite nel processo penale e, eventualmente, quelle assunte nel giudizio civile. Dunque, un processo civile che potrebbe semplicemente definirsi sulla base del medesimo materiale probatorio assunto nel processo penale.
In buona sostanza, il comma 1 dell’art. 573 c.p.p. dispone che l’impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale. Ma se è rimasta in piedi soltanto una valida ed ammissibile impugnazione per i soli interessi civili, le ragioni dell’eccezionale deroga alla giurisdizione civile vengono meno e il processo deve proseguire, senza soluzione di continuità, dinanzi al competente giudice civile (comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p.). Al fine di contemperare le contrapposte esigenze, di risparmio delle risorse nell’ottica di implementare l’efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni penali e di assicurare in tempi ragionevoli al danneggiato una rapida definizione della sua vicenda civilistica, il legislatore della riforma Cartabia ha dunque introdotto questa innovativa disciplina delle impugnazioni per i soli interessi civili, che, evidentemente, non può che trovare attuazione per l’avvenire, e precisamente per tutti quei processi nei quali la costituzione di parte civile avverrà dopo l’entrata in vigore della riforma.
Se, infatti, il danneggiato, nel momento in cui si determina per l’esercizio dell’azione civile, deve avere ben presente il possibile epilogo della stessa ai sensi del comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p., e, pertanto, a tale fine, deve esercitare l’azione civile attraverso una costituzione di parte civile che deve rivestire i requisiti formali, previsti a pena di inammissibilità, dal nuovo art. 78 lett. d) c.p.p., è evidente che, senza questo preliminare atto, non può vedere sottratto il giudizio sull’impugnazione proposta per i soli interessi civili al suo “giudice naturale”, al giudice dell’impugnazione penale, al quale il legislatore fino al 29.12.2022 ha attribuito, in via derogatoria, giurisdizione e competenza sulla impugnazione proposta ai soli effetti civili avverso la sentenza penale.
In definitiva, nella necessaria applicazione del principio tempus regit actum, deve osservarsi che nel caso di specie l’actus che andrebbe preso in esame non è la sentenza impugnata o l’impugnazione, ma l’atto di costituzione di parte civile, atteso che il legislatore della riforma àncora ad esso la prevedibilità del nuovo epilogo processuale delineato dal comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p. Se è necessario che il diritto intertemporale tuteli l’affidamento maturato dalla parte in relazione alla fissità del quadro normativo (valore evidenziato dalle Sezioni Unite Lista del 2007), nel caso di specie il quadro normativo cui faceva affidamento la parte civile costituitasi prima del 30.12.2022 era quello sopra delineato, che vedeva l’attribuzione della decisione sull’azione civile, anche se rimasta unica azione pendente, al giudice penale fino all’ultimo grado di giudizio e il passaggio al giudice civile solo in sede di annullamento con rinvio, con possibilità di emendatio della stessa in sede di eventuale riassunzione del giudizio dinanzi al competente giudice civile.
Pertanto, il rinvio dei giudizi pendenti al giudice civile, secondo la nuova disciplina prevista dall’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., non solo violerebbe l’altro principio generale della c.d. perpetuatio jurisdictionis, ma frustrerebbe l’affidamento della parte civile nell’attribuzione al giudice penale della decisione sulla domanda dalla stessa introdotta prima dell’entrata in vigore del d. lgs n. 150/2022.
Ma, allo stesso modo, anche l’applicazione del novello comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p. a quei giudizi introdotti con impugnazioni proposte dopo il 30.12.2022, ovvero avverso sentenze emesse dopo tale data, sconterebbe il limite della prosecuzione del giudizio dinanzi al competente giudice civile senza attribuire alla parte attrice la possibilità di chiarire, specificare, emendare la propria domanda, non essendo più prevista alcuna riassunzione.
5.3. In senso contrario, a sostegno dell’immediata applicabilità della norma in esame ai giudizi in corso, si potrebbe citare la modifica apportata all’art. 601, comma 1, c.p.p. dall’art. 34, comma 1, lett. g) del d. lgs. n. 150/2022, che ha eliminato le parole “o se l’appello è proposto per i soli interessi civili”. Certamente, questa modifica si ricollega al comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p., come poteva desumersi anche dall’art. 94 comma 2 d. lgs n. 150/2022 nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge n. 199/2022 di conversione del d.l. n. 162/2022. Invero, l’art. 94 comma 2 d. lgs. n. 150/2022, originariamente, quando l’entrata in vigore dell’intero decreto era prevista nell’ordinario termine di vacatio legis, posticipava l’applicazione di tutta una serie di norme (gli artt. 34, commi 1, lett. c), e), f), g), nn. 2, 3 4, e h), 35, comma 1, lett. a), e 41, comma 1, lett. ee) alla scadenza del termine fissato dall’art. 16 comma 1 del d.l. n. 228/2021, convertito con modifiche dalla legge n. 15/2022, e cioè a data successiva al 31.12.2022. Fra queste norme non vi era l’art. 34, comma 1 lett. g), d. lgs. n. 150/2022, a dimostrazione di come l’applicabilità di questa norma fosse strettamente collegata all’applicabilità dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p.
L’art. 94, comma 2, d. lgs n. 150/2022, come è noto, è stato modificato dalla legge n. 199/2022 di conversione del d.l. n. 162/2022, e prevede che per le impugnazioni proposte entro il 30.6.2023 continuano ad applicarsi le norme emergenziali del periodo COVID-19 riguardanti, sostanzialmente, la disciplina dell’udienza camerale cartolare (artt. 23, commi 8 primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7 del d.l. n. 137/2020 convertito con modifiche dalla legge n. 176/2020). Senza addentrarci in altro tema, tuttavia deve osservarsi che questa norma, che avrebbe dovuto risolvere alcuni dubbi interpretativi di diritto transitorio e intertemporale[12], invece ne ha posti altri, poiché non è chiaro se con la stessa il legislatore ha voluto posticipare l’efficacia dell’intera disciplina dei nuovi giudizi di impugnazione a quei giudizi introdotti con impugnazioni proposte dopo il 30.6.2023, ovvero ha semplicemente posticipato le norme che riguardano il nuovo giudizio camerale cartolare di appello e di cassazione ai giudizi introdotti con impugnazioni successive al 30.6.2023, rendendo immediatamente efficaci le altre norme[13].
Nell’uno, come nell’altro caso, è evidente che l’art. 601, comma 1, c.p.p. modificato continua ad essere strettamente collegato per la sua concreta operatività alla disciplina intertemporale che si intende assegnare ed applicare con riguardo all’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. Sicchè, anche il richiamo alle modifiche apportate all’art. 601 comma 1, c.p.p. non è dirimente al fine di affermare l’immediata applicabilità del comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p. ai giudizi in corso.
Si potrebbe obbiettare che una simile interpretazione si porrebbe in contrasto con le finalità sottese alla riforma Cartabia, e cioè al raggiungimento dell’obbiettivo fissato dal PNRR di riduzione del 25% della durata dei giudizi penali entro il 2026.
Tuttavia, proprio la prospettiva di medio periodo è tale da scongiurare un simile rischio. In ogni caso, come già suggerito in altra sede[14], sarebbe già importante in tema di riduzione dei tempi processuali e di più rapida definizione dei processi, se, per i giudizi pendenti nei quali è residuata l’impugnazione ai soli effetti civili, si superasse quella regola, di esclusiva matrice giurisprudenziale, che impone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello per la prova dichiarativa in caso di ribaltamento del giudizio assolutorio in primo grado anche solo agli effetti civili.
In conclusione, in attesa dell’auspicata e autorevole pronuncia delle Sezioni Unite, cui gli atti, si spera, vengano rimessi al più presto dal Primo Presidente della Cassazione, appare evidente che se l’obbiettivo del legislatore della riforma era quello di sottrarre una quota di affari al giudice dell’impugnazione penale, per sgravarlo e per permettergli di dedicarsi, in via sempre più esclusiva, alla materia penale, in modo da assicurare tempi più rapidi di definizione dei processi penali e maggiore efficienza, probabilmente ci vorrà ancora un po’ per centrarlo pienamente.
[1] Tra i primi commenti a questa disposizione si rimanda a De Marzo G., La disciplina in materia di impugnazioni penali nella riforma Cartabia (d. leg. 10 ottobre 2022 n. 150), in Il Foro Italiano, fasc. 11, parte 5, c. 305, 2022, nonché a Citterio C., Gli approfondimenti sulla riforma Cartabia – 3. Pensieri sparsi sul nuovo giudizio penale di appello (ex d. lgs. 150/2022), in Giustizia Insieme, 13.1.2023, punto 10.
[2] Relazione n. 68/22 del 7.11.2022, in questa Rivista, 8.11.2022.
[3] Relazione n. 2/23 del 5.1.2023, in questa Rivista,10.1.2023.
[5] Cass. pen. sez. un., 29.3.2007, n. 27614: “ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorchè si succedono nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di fare riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione”.
[6] Citterio C., op. cit., punto 12.
[7] Sia consentito il richiamo a Biondi G., Il giudizio di appello penale dopo la “Riforma Cartabia”, in Giurisprudenza penale, 2022, 12, p. 11 in nota.
[8] L’art. 5 comma 1 lett. b) del d. lgs n. 150/2022 ha aggiunto al comma 1 lett. d) dell’art. 78 c.p.p., dopo le parole “che giustificano la domanda”, le parole “agli effetti civili”. Dunque la costituzione di parte civile dovrà prevedere a pena di inammissibilità l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili. Non è stata prevista alcuna disciplina transitoria per questa norma (l’art. 85-bis del d.lgs. n. 150/2022, come introdotto dalla legge n. 199/2022 di conversione del d.l. n. 162/2022, riguarda solo la disciplina transitoria in materia di termini per la costituzione di parte civile), sicchè la stessa si applica a tutti gli atti di costituzione di parte civile presentati dopo il 30.12.2022.
[9] Ex plurimis da ultimo Cass. pen. sez. II, 15.7.2020, n. 23940. Vale la pena di ricordare che in precedenza la Cassazione aveva anche affermato che la dichiarazione di costituzione della parte civile, recante la mera indicazione del numero di procedimento penale, del titolo del reato e la generica enunciazione dell'intenzione di "ottenere il risarcimento integrale di ogni danno subito", non integra il requisito previsto, a pena di inammissibilità, dalla lett. d) dell'art. 78 c.p.p.; prescrivendo l'"esposizione delle ragioni che giustificano la domanda", infatti, il nuovo codice di rito, profondamente innovando rispetto al precedente sistema, richiede che l'atto "de quo" contenga una precisa determinazione non solo del "petitum" ma anche della "causa petendi", similmente alle forme prescritte per la domanda proposta nel giudizio civile; di conseguenza, ai fini dell'ammissibilità della costituzione, non è sufficiente fare riferimento all'avvenuta commissione di un reato bensì è necessario richiamare le ragioni in forza delle quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa (Cass. pen. sez. II, 7.5.1996, n. 8723).
[10] Corte Cost. n. 12/2016 e Corte Cost. n. 176/2019.
[11] Cass. pen. sez. un. 28.1.2021, n. 22065, in questa Rivista, 7.6.2021.
[12] Si rimanda alla già richiamata relazione del Massimario della Cassazione n. 68/22, pagg. 30 e ss..
[13] Sul punto si veda Citterio C., op. cit., punto 12.
[14] Sia ancora una volta consentito il richiamo a Biondi G., La rinnovazione della prova dichiarativa in caso di ribaltamento della sentenza di assoluzione ai soli effetti civili: un obbligo ancora attuale?, in Giurisprudenza Penale, 2022, 10.