In attesa che nelle aule comincino ad affilarsi le diverse opinioni, ad affiorare dubbi e contrasti interpretativi, può essere utile una rilettura, un riepilogo delle disposizioni contenute nell’art. 344-bis c.p.p.
1. L’art. 344-bis c.p.p. Collocato nel titolo dedicato alle «condizioni di procedibilità»[1], inserito dall’art. 2, comma 2, lett. a), della l. 27 settembre 2021, n. 134[2], l’art. 344-bis disciplina la «improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione».
La cd. prescrizione processuale, sempre scandita dal tempo, causa di improcedibilità (o di improseguibilità[3]) dell’azione penale, prende il posto, nei giudizi di impugnazione, della prescrizione, causa di estinzione del reato[4].
Il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronunzia della sentenza di primo grado (art. 161-bis, primo comma, c.p), soppiantato, nel giudizio di impugnazione, dalla improseguibilità dell’azione penale in caso di mancata definizione del giudizio di appello o di quello di cassazione entro i termini previsti.
2. L’ambito di applicabilità. Ai sensi dell’art. 2, comma 3, della legge n. 134 del 2021, l’ambito di applicabilità delle disposizioni dell’art. 344-bis è limitato ai procedimenti di impugnazione che hanno a oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020.
Il regime intertemporale scelto dal legislatore non è stato ritenuto incostituzionale dalla S.C.[5] ed è stato considerato ragionevole dalla maggioranza della dottrina[6]; la natura processuale dell’istituto ha messo all’angolo il tentativo di considerarlo applicabile anche ai reati commessi prima del 1° gennaio 2020.
L’art. 344-bis. si applica, per sua espressa previsione, ai “giudizi” di impugnazione, non alle (a tutte le) impugnazioni, compresi quelli definiti con rito abbreviato, con applicazione della pena su richiesta delle parti ex artt. 444 ss. c.p.p. e con concordato in appello ex art. 599-bis c.p.p. Sono esclusi dall’ambito applicativo della disposizione il procedimento cautelare, il procedimento di esecuzione, i rimedi impugnatori straordinari e il procedimento di prevenzione[7].
Le disposizioni dell’art. 344-bis non si applicano, inoltre, nei procedimenti per i delitti puniti con l’ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti (comma 9).
È opportuno, per concludere sul punto, ricordare fin da ora che la declaratoria di improcedibilità non ha luogo quando l’imputato (non quindi il suo difensore, non potendo operare in tal caso l’estensione di cui all’art. 99, comma 1) chiede che il “processo” prosegua (comma 7)[8].
3. I termini di durata massima del giudizio di impugnazione. L’art. 344-bis stabilisce che è causa di improcedibilità dell’azione penale la mancata definizione del giudizio di appello entro due anni (comma 1) e del giudizio di cassazione entro un anno (comma 2).
Tuttavia, ai sensi dell’art. 2, comma 5, della legge n. 134 del 2021, nei procedimenti di impugnazione che hanno a oggetto i soli reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020 nei quali l'impugnazione è proposta entro la data del 31 dicembre 2024 (in caso di pluralità di impugnazioni, si fa riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo), i termini sono, rispettivamente, di tre anni per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione. Gli stessi termini si applicano nei giudizi conseguenti ad annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024[9].
La decorrenza di detti termini è diversificata.
Nel caso in cui gli atti (dei procedimenti di impugnazione aventi ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020) trasmessi ai sensi dell'art. 590, cioè in seguito all’impugnazione, siano, al 19 ottobre 2021, già pervenuti al giudice dell'appello o alla Corte di cassazione, i termini di cui ai commi 1 (due anni) e 2 (un anno) dell’art. 344-bis decorrono dal 19 ottobre 2021 (art. 2, comma 4, della legge n. 134 del 2021[10]).
Per i procedimenti diversi da quelli sopra indicati, il comma 3 dell’art. 344-bis prevede che i termini decorrano dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'art. 544 per il deposito della motivazione della sentenza, come eventualmente prorogato ai sensi dell'art. 154 disp. att.
Tenuto conto del tempo riservato all’eventuale presentazione dell’impugnazione (art. 585), è agevole comprendere che gli attuali tempi per la materiale trasmissione degli atti al giudice dell’impugnazione dovranno essere ridotti in modo drastico se si vuole evitare la declaratoria di improcedibilità.
Servirà un radicale mutamento di organizzazione e mentalità, anche se, con le attuali risorse, lo sforzo potrebbe rivelarsi insostenibile.
Le decorrenze sono, comunque, diverse:
4. La proroga dei termini. I commi 4 e 5 dell’art. 344-bis delineano il sistema di prorogabilità del termine e il regime di impugnabilità dell’ordinanza di proroga.
4.1. La prima proroga dei termini di cui ai commi 1 e 2 può essere disposta, anche d’ufficio, dal giudice che procede, vale a dire dal giudice d’appello o dalla corte di cassazione, se il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare[11].
La proroga non può essere superiore a un anno nel giudizio di appello (quindi 3 anni complessivi) e a sei mesi nel giudizio di cassazione (in tutto, dunque, 1 anno e 6 mesi).
Ulteriori proroghe, per le stesse ragioni e per la stessa durata, possono essere disposte, anche d’ufficio, quando si procede:
Non è previsto un tetto massimo (la non procedibilità può, dunque, essere posposta all’infinito[13]) se non quando si procede per i delitti aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1, primo comma, c.p.; in tal caso, la proroga non può superare complessivamente tre anni nel giudizio di appello e un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione (quindi in tutto: cinque anni e tre anni).
Il regime di impugnabilità dell’ordinanza di proroga è previsto dal comma 5 dell’art. 344-bis.
L’ordinanza che dispone la proroga, adottata dal giudice di appello o dalla corte di cassazione e che deve essere motivata, può essere impugnata, con ricorso per cassazione, entro cinque giorni, previsti a pena di inammissibilità, dalla lettura dell'ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione.
Legittimato a proporre il ricorso per cassazione è soltanto l'imputato tramite il suo difensore, non il procuratore generale, neppure qualora la proroga fosse stata disposta su sua richiesta[14].
Il procedimento d’impugnazione è, dunque, previsto solo nell’interesse dell’imputato.
Il ricorso non ha effetto sospensivo e la Corte di cassazione (naturalmente in sezione diversa nel caso in cui l’ordinanza impugnata sia stata emessa dalla stessa Corte) decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, osservando le forme previste dall'art. 611.
Se la Corte di cassazione rigetta o dichiara inammissibile il ricorso, la questione non può essere riproposta con l'impugnazione della sentenza[15].
5. Sospensione dei termini. Il comma 6 dell’art. 344-bis prevede la possibilità di sospensione dei termini di definizione del giudizio di appello e di cassazione di cui ai commi 1 e 2.
I termini sono sospesi, con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si sta procedendo:
nei casi previsti dall’art. 159, primo comma, c.p.[16], vale a dire nei casi:
La disposizione non è di agevole decifrazione per il caso in cui alla rinnovazione debbano necessariamente essere dedicate più di due udienze (si pensi a quattro udienze: non più di 60 giorni tra l’una e l’altra udienza o non più di 60 giorni in tutto?)[17];
6. Giudizio di rinvio. Il comma 8 dell’art. 344-bis è dedicato al giudizio di rinvio.
In esso si afferma che le disposizioni di cui ai commi 1 (termine di 2 anni per la definizione del giudizio di appello), 4 e 5 (proroghe e regime di impugnabilità), 6 (sospensione del termine di cui al comma 1) e 7 (richiesta di prosecuzione del processo da parte dell’imputato) si applicano anche nel giudizio di rinvio, cioè nel giudizio conseguente all'annullamento della sentenza con rinvio al giudice competente per l'appello (art. 623).
Resta fermo, peraltro, quanto previsto dall’art. 624 in tema di giudicato parziale formatosi i) su alcuni capi, in caso di processo oggettivamente cumulativo, ii) sull’affermazione di responsabilità per un capo o uno dei capi e iii) sulle statuizioni civili o sulle spese[19].
In questo caso, il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'art. 617: la sentenza della corte di cassazione è depositata in cancelleria non oltre il trentesimo giorno dalla deliberazione.
Anche qui la tagliola dell’improcedibilità è in agguato, considerati i tempi di trasmissione degli atti al giudice del rinvio e il ritardo nei depositi della motivazione della sentenza di annullamento con rinvio.
Si potrebbe, peraltro, dare spazio alla possibilità che anche alla corte di cassazione si applichino i commi 3 e 3-bis dell’art. 544 e i relativi termini (v. supra), atteso che il comma 1 dell’art. 617, intitolato alla motivazione e al deposito della sentenza, prevede che si osservino «in quanto applicabili» le disposizioni concernenti la sentenza nel giudizio di primo grado, tra le quali sono ricomprese quelle contenute nell’art. 544, commi 3 e 3-bis.
7. La richiesta di prosecuzione del processo. Va, infine, ribadito che:
8. Alcune considerazioni di carattere generale. Esaminato il testo dell’art. 344-bis, si impongono brevi riflessioni su alcuni temi di carattere generale che investono la disposizione.
8.1. Anzi tutto, alcune considerazioni sul rapporto tra improcedibilità dell’azione penale e inammissibilità dell’impugnazione[20].
L’improcedibilità presuppone che l’impugnazione sia ammissibile.
La linea è quella da tempo seguita dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione[21]: un’impugnazione inammissibile non può che dar luogo al relativo provvedimento di rito[22] [23].
Che l’inammissibilità prevalga anche sull’improcedibilità è stato ora espressamente affermato dai rinnovati art. 573 e comma 1-ter dell’art. 578 (v. infra).
A questo si aggiunga che l’art. 591, comma 4, stabilisce che, quando non è stata rilevata a norma del comma 2 (cioè, anche d’ufficio, dal giudice dell’impugnazione, che deve conseguentemente disporre l’esecuzione del provvedimento impugnato), l’inammissibilità può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento (solo nel giudizio di rinvio – così l’art. 627, comma 4 – non possono rilevarsi inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari).
In altre parole, l'inammissibilità non solo impedisce di dichiarare l'improcedibilità ma invalida l'improcedibilità eventualmente già dichiarata nella fase introdotta da un'impugnazione inammissibile[24].
D'altra parte, era difficile ipotizzare il contrario. Non sarebbe stato ragionevole, ad esempio, dar corso alla richiesta dell’imputato di prosecuzione del processo in caso di ricorso inammissibile. Né avrebbe senso, in caso di ricorso inammissibile, attivare il sistema delle proroghe[25].
8.2. Veniamo ad un diverso, ma non meno importante, tema.
Si è visto che il sistema dell’improcedibilità è tale che il processo si ferma, si estingue benché il reato non sia estinto. E non rileva quale sia stato il segno delle precedenti decisioni di merito, adottate anche all’esito di eventuale giudizio di rinvio.
Il legislatore ha mostrato scarsa considerazione per i valori espressi dalle regole di cui all’art. 129.
Il sopravvenire dell’improcedibilità non può porre nel nulla la realtà acquisita nel procedimento, né il riconoscimento dell’innocenza.
Chi è stato riconosciuto innocente nel giudizio non può subire una reformatio in peius per ragioni che non gli sono attribuibili, né si può pretendere che sia lui ad attivarsi, richiedendo la prosecuzione del processo, se vuole il giudicato sulla sua innocenza[26].
Serve un intervento correttivo, essendo impervia e difficilmente praticabile la strada dell’applicazione per analogia delle regole di cui all’art. 129[27].
9. La dichiarazione di improcedibilità: ulteriori conseguenze. Se con l’improcedibilità possano permanere altre conseguenze pregiudizievoli per l’imputato è tema poco esplorato. Vi sono provvedimenti accessori (si pensi ad es., alla dichiarazione di falsità di un atto o di un documento oppure alla trasmissione di atti all’autorità amministrativa per quanto di competenza in ordine alle sanzioni amministrative) dei quali il giudice che dichiara l’improcedibilità potrebbe essere chiamato a farsi carico. E, con ogni probabilità, l’esperienza dei prossimi anni porterà alla luce lacune e altri problemi interpretativi[28].
La sentenza che dichiara l’improcedibilità assorbe tutto: condanne, assoluzioni, misure cautelari, riparazione per l’ingiusta detenzione, provvedimenti civili provvisoriamente esecutivi, confische che presuppongano una condanna, ecc.
Alla sentenza, inoltre, si applica la regola del ne bis in idem (art. 649 c.p.p.), con esclusione della possibilità di riproporre l'azione. Il legislatore tace, poi, sui rimedi agli eventuali errori commessi dalla corte di cassazione nel dichiarare l’improcedibilità. Il legislatore delegato ha disciplinato soltanto i rapporti tra dichiarazione di improcedibilità, da una parte, azione civile esercitata nel processo penale e confisca disposta con la sentenza impugnata, dall’altra.
10. Decisione sugli effetti civili in caso di improcedibilità. L’art. 578 c.p.p. si occupa della decisione sugli effetti civili in caso di estinzione del reato per prescrizione o per amnistia e in caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.
Il comma 1, non toccato dalla Riforma Cartabia, stabilisce che se, nei confronti dell’imputato, è stata pronunciata condanna, anche generica (artt. 538 e 539, comma 1), alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia[29] o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
Da un lato, dunque, la disposizione evita che il soggetto danneggiato dal reato, costituitosi parte civile, possa essere pregiudicato dalla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione; dall’altro, soddisfa l’esigenza dell’imputato di veder dichiarata l’estinzione del reato. Ragioni di economia processuale sono alla base della decisione del legislatore di non rinviare la questione al giudice civile.
La disposizione non è applicabile qualora appellante o ricorrente sia la parte civile. Ad essa – come si è visto – l’art. 576 riconosce il diritto ad una decisione incondizionata sul merito della propria domanda.
L’art. 578, comma 1, si riferisce invece al caso in cui l’impugnazione sia dell’imputato o del pubblico ministero e solo in questa ipotesi richiede che, in presenza di una declaratoria di amnistia o di prescrizione, per decidere agli effetti civili, vi debba essere stata in precedenza una valida pronuncia di condanna alla restituzione o al risarcimento.
Come chiarito dalle Sezioni unite della S.C.[30], l’art. 576 e l’art. 578, comma 1, disciplinano situazioni processuali diverse. L’art. 578, comma 1, mira, nonostante la declaratoria della prescrizione, a mantenere, in assenza di un’impugnazione della parte civile, la cognizione del giudice dell’impugnazione sulle disposizioni e sui capi della sentenza del precedente grado che concernono gli interessi civili; l'art. 576 conferisce, invece, al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento ed alle restituzioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto.
L’art. 578, comma 1, costituisce dunque una deroga al principio della devoluzione, stabilendo che la pronunzia di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, intervenuta dopo una prima condanna, non comporta effetti automatici sui capi civili della decisione impugnata (salvo stabilire se questi effetti debbano poi essere di caducazione o di conferma).
Il comma 1-bis, aggiunto dall’art. 2, comma 2, lett. b), n. 2, della legge 27 settembre 2021, n. 134, applicabile ai sensi del comma 3 ai soli procedimenti di impugnazione che hanno a oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020 e sostituito dall’art. 33, comma 1, lett. b), n. 1) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150[31], riproduce – come si è sopra accennato – la stessa formula (e gli stessi problemi interpretativi) del comma 1-bis dell’art. 573 (v. supra 6).
Stabilisce, infatti, che se, nei confronti dell'imputato, è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile (artt. 538 e 539, comma 1), e in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili (artt. 574, commi 1 e 4, 575, comma 1, e 576, comma 1), il giudice di appello e la corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 344-bis, rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile.
Il comma 1-ter, inserito dall’art. 33, comma 1, lett. b), n. 2), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, prevede, infine, che, nei casi di cui al comma 1-bis, gli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato (art. 316, comma 2) permangono fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non è più soggetta a impugnazione.
11. Decisioni sulla confisca. Gli artt. 578-bis e 578-ter disciplinano, rispettivamente, la decisione sulla confisca «in casi particolari» prevista dal primo comma dell’art. 240-bis c.p. nel caso di estinzione del reato per amnistia o prescrizione e la decisione sulla confisca e sul sequestro nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.
L’art. 578-bis stabilisce che il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione (o per amnistia), decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato, se è stata ordinata:
- la “confisca in casi particolari” (così anche nella rubrica dell’articolo) prevista dal primo comma dell’art. 240-bis c.p. e da “altre disposizioni di legge” che prevedano (naturale sottinteso) la “confisca in casi particolari”, vale a dire la cd. confisca allargata o per sproporzione, come, ad es., l’art. 12-ter in relazione ai reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 8 e 11 del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, l’art. 301, comma 5-bis, in relazione ai reati aggravati di contrabbando di cui all’art. 295, secondo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, l’art. 85 in relazione ai reati di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti previsti dall’art. 73, escluso il comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Ma le Sezioni unite della Corte di cassazione, con una disinvolta lettura grammaticale della disposizione[32] e un’inaccettabile omessa valutazione della volontà del legislatore ricavabile dai lavori preparatori e dalla relazione illustrativa[33], hanno affermato che le parole “altre disposizioni di legge” includerebbero nell’orbita della disposizione ogni altra ipotesi di confisca (nella specie, la confisca delle aree abusivamente lottizzate di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001)[34] e, in motivazione, questa lettura è stata successivamente riproposta dalle stesse Sezioni Unite con riferimento alla confisca tributaria di cui all’art. 12-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74[35];
- la confisca prevista dall’art. 322-ter c.p. (riguardante i reati contro la pubblica amministrazione di cui agli artt. da 314 a 321 c.p.).
Venendo all’art. 578-ter, il Parlamento ha affidato al Governo il compito di disciplinare i rapporti tra l’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione e la confisca disposta con la sentenza impugnata.
Il comma 1 stabilisce che il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare l’azione penale improcedibile:
Il giudice di appello o la corte di cassazione “devono” disporre la trasmissione; non hanno, in altre parole, la possibilità di valutare se sussistano i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione[38].
Il sequestro perderà efficacia soltanto qualora, entro novanta giorni dall’ordinanza di trasmissione, non sia disposto il sequestro di prevenzione ai sensi degli artt. 20 o 22 del citato decreto.
Il legislatore delegato ha ritenuto di sciogliere il nodo delle statuizioni in essere, non definitive, sui beni in sequestro, prevedendo che la dichiarazione di improcedibilità non vanifichi immediatamente sequestro e confisca. Prima è data al Procuratore la possibilità, sussistendone i presupposti, di disporre entro il termine di novanta giorni (deve presumersi, dalla ricezione dell’ordinanza) il sequestro di prevenzione. Se ciò non accade, non resta che dissequestrare il bene e restituirlo a chi ne ha diritto.
È arduo individuare la ratio di questa eccentrica trasmissione. Vi è da chiedersi perché non si sia scelta la strada più lineare, cioè quella di utilizzare anche per l’improcedibilità il modello delineato dall’art. 578-bis, evitando (non se ne sentiva il bisogno) di sollecitare l’instaurazione di procedimenti di prevenzione[39].
Comunque, da un lato, il pubblico ministero dovrà registrare le ordinanze pervenutigli e avrà 90 giorni di tempo per disporre la misura di prevenzione; dall’altro, l’eventuale perdita di efficacia del sequestro allo scadere del novantesimo giorno dovrà essere dichiarata, con dissequestro e restituzione all’avente diritto, dal giudice.
Per concludere va segnalato che il legislatore delegato ha creato il nuovo art. 175-bis disp. att. (art. 41, comma 1, lett. ff), d.lgs. 150/2022) che impone alla Corte di cassazione e alle Corti di appello, ai fini di cui agli artt. 578, comma 1-bis, e 578-ter, comma 2, di pronunciarsi sulla improcedibilità, nei procedimenti in cui sono costituite parti civili o vi sono beni in sequestro, non oltre il sessantesimo giorno successivo al maturare dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione di cui all’art. 344-bis.
[1] S. BELTRANI, L’ambito applicativa della “nuova” causa di improcedibilità del “giudizio” di cassazione, in Cass. pen. 2022, 2080 ss., reputa eccentrica la collocazione sistematica della disposizione nell’ambito del libro V del codice, dedicato a «Indagini e udienza preliminare».
[2] Una prima lettura delle disposizioni immediatamente operative di questa legge è contenuta nella Relazione n. 60 del 3 novembre 2021, dell’Ufficio del massimario della Corte di cassazione, a cura di D. TRIPICCIONE e P. DI GERONIMO.
[3] F. GIUNCHEDI, Il regime progressivo dell’improcedibilità e le questioni intertemporali, in Proc. pen. e giust., 2022, n. 1, 277 ss.; M. BONTEMPELLI, L’art. 578-ter c.p.p. e la natura dell’improcedibilità ex art. 344-bis c.p.p., in Arch. n. proc. pen. 2022, p. 576 ss.
[4] La scelta è stata duramente criticata da una parte della dottrina. Per tutti, v. P. FERRUA, Improcedibilità e ragionevole durata del processo, in Cass. pen. 2022, 441 ss.: «… nell’impegnare la legge ad assicurare la ragionevole durata del processo, il precetto costituzionale […] di certo non allude ad una mannaia che, decorsi certi termini, si abbatta sul processo, eclissandolo con una sentenza di improcedibilità che rappresenta la più nichilistica e vuota delle sue possibili conclusioni»; G. BALBI, Il decorso del tempo tra prescrizione e improcedibilità, in www.lalegislazionepenale.eu, 13 settembre 2022: «Prevenzione generale e prevenzione speciale – che reggono la prescrizione – scompaiono, senza aver raggiunto i loro obiettivi, lasciando tutta la scena, quantomeno in apparenza, nelle mani del giusto processo sub specie della ragionevole durata. Che però non opera per tutti, non per gli imputati, ad esempio, di un fatto per il quale sia prevista la pena dell’ergastolo. Il giusto processo dunque – o almeno così penserebbe un inguaribile aristotelico - a loro non compete.».
[5] Cfr., tra le altre. Cass. pen. V, 5 novembre 2021, Pizzorulli, n. 334/22, Rv. 282419-01, che ha ritenuto manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 2 e 3 dell’art. 2 della legge n. 134 del 2021, prospettate per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., nell’assunto dell’eccepita natura sostanziale della disciplina e dell’irragionevolezza dello scostamento dal principio del favor rei. Ha negato l’invocata natura sostanziale della norma, valorizzandone la funzione di garanzia della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e ha dato risalto alla collocazione dell’art. 344-bis tra le condizioni di procedibilità e alle modalità operative dell’istituto che, incidendo sull’azione, prescinde da una estinzione sostanziale dell’illecito, che rimane intatto nella sua gravità; Cass. pen. III, 14 dicembre 2021, n. 1567/22, Iaria, Rv. 282408-01, che ha valorizzato la discrezionalità del legislatore nell’individuazione dei limiti temporali di applicabilità della nuova disposizione processuale, escludendo in ogni caso l’eccepita irragionevolezza «in quanto la limitazione cronologica della applicazione di detta causa di improcedibilità delle impugnazioni (cui consegue la non punibilità delle condotte) riguarda situazioni diverse, anche quanto alla disciplina sostanziale applicabile, e risulta coerente con la riforma introdotta dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di sospensione del termine di prescrizione nei giudizi di impugnazione, anch’essa applicabile ai reati commessi dal 1° gennaio 2020»; Cass. pen. II, 17 dicembre 2021, n. 6045/22, Bucciarelli, che conclude nel senso che «la non retroattività della normativa in questione […]. non implica alcuna disparità di trattamento e, quindi, nessuna violazione dell’art. 3 Cost., atteso che i fatti precedenti alla data suddetta beneficiano di un differente regime estintivo legato alla prescrizione ordinaria mentre escludendo la prescrizione del reato nei giudizi di appello e di legittimità, la legge n. 3/2019 aveva notoriamente posto il problema della possibile durata sine die o, comunque, irragionevole, dei giudizi stessi, problema risolto con l’introduzione del suindicato regime di improcedibilità che attiene ai fatti assoggettati al nuovo regime di prescrizione (condotte poste in essere a decorrere dall’1° gennaio 2020).».
[6] V., in particolare, P. FERRUA, op. cit.: «A differenza della prescrizione sostanziale, che si risolve in una causa di non punibilità per estinzione del reato, l'improcedibilità si limita a troncare il processo, senza affrontare il tema della punibilità; l'ipotetico reato non si estingue, ma il giudice è destituito del potere di decidere nel merito. […] Dunque, la regola applicabile è quella del tempus regit actum, tipica di ogni disposizione processuale; allo stesso modo in cui il tempus commissi delicti è la regola per ogni disposizione sostanziale, salva la retroattività della norma più favorevole sopravvenuta.»; M. DANIELE, La limitata retroattività in bonam partem dell’improcedibilità dell’impugnazione, in www.discrimen.it, 22 febbraio 2022 secondo il quale «Risulta cruciale il modus operandi della norma considerata. Essa estingue l’azione penale e non il reato. Quest’ultimo, nella visione del legislatore, mantiene tutta la sua gravità; la punibilità ne risulta impedita solo come «mero effetto consequenziale» e «per i reati commessi prima del 1° gennaio 2020, il diritto alla ragionevole durata del giudizio di impugnazione, pur non trovando protezione con l’improcedibilità, viene tutelato dalla prescrizione sostanziale. Si tratta, a mio modo di vedere, di un dosaggio della retroattività in melius calibrato e, comunque, non manifestamente irragionevole». In senso analogo v. M.L. DI BITONTO, Osservazioni “a caldo” sull’improcedibilità dell’azione disciplinata dall'art. 344-bis c.p.p., in www.ilpenalista.it, 4 ottobre 2021; G. LEO, Prescrizione e improcedibilità: problematiche di diritto intertemporale alla luce della giurisprudenza costituzionale, in questa Rivista, 1° marzo 2022; A. MARANDOLA, Riforma Cartabia. Estinzione del reato e improcedibilità dell’azione: questioni controverse, in www.ilpenalista.it, 31 dicembre 2021. La questione di legittimità costituzionale era, invece, «tutt’altro che infondata» secondo O. MAZZA, Prasseologia dell’inammissibilità (brevi note a margine della prima pronuncia di legittimità sulla disciplina intertemporale dell’art. 344-bis c.p.p.), in www.archiviopenale.it, 23 dicembre 2021.
[7] Il tema è sviluppato da S. BELTRANI, cit.
[8] M.L. DI BITONTO, cit., osserva che «si tratta, quindi, di un istituto rimesso nell'esclusiva disponibilità personale dell'imputato; … al difensore non può essere riconosciuto il potere di assumere determinazioni relative a diritti fondamentali dell'imputato, di cui solo quest'ultimo può disporre.».
[9] Secondo M.L. DI BITONTO, cit., «ciò significa che gli uffici giudiziari interessati dalla novella, vale a dire le Corti di appello e la Suprema Corte di cassazione, avranno tutto il tempo per adeguare i propri moduli organizzativi alle nuove regole.».
[10] In dottrina (v. in particolare F. GIUNCHEDI, cit.; G. SPANGHER, Irretroattività e regime transitorio della declaratoria di improcedibilità, in www.giustiziainsieme.it, 22 novembre 2021) si afferma correttamente che i commi 4 e 5 dell’art. 2 della legge n. 134 del 2019 disciplinano situazioni diverse, sicché non sono consentite commistioni tra dette disposizioni che si prefiggono obiettivi diversi.
[11] G. MARTIELLO, Brevi note sulle disposizioni immediatamente esecutive della c.d. «riforma Cartabia» in materia di prescrizione sostanziale e processuale, in www.discrimen.it, 15 dicembre 2021, rileva, dopo avere premesso che le circostanze dilatorie contemplate dall’art. 344-bis, comma 4, operano disgiuntamente e non cumulativamente, che, nell’esercitare il potere di proroga, il giudice procedente gode di una «amplissima discrezionalità decisoria, considerato che, con buona pace del principio di determinatezza, i riferimenti legislativi al numero (indefinito) e alla complessità (ancora più indefinita, perché ancor di più soggettivamente apprezzabile) delle quaestiones iuris o facti finiscono per attribuire al magistrato notevoli spazi interpretativi di manovra, e quindi di farsi sostanzialmente arbitro della prescrizione processuale.».
[12] G. BALBI, cit., critica il sistema creato, «un sistema dominato dal caso, uno strano modello pervaso da forti istanze deflattive ma dall’oggetto randomizzato dall’inafferrabilità dei criteri selettivi». E ancora: «Risulta estremamente difficile individuare una ratio sottesa alla individuazione delle fattispecie eccepite dalla disciplina generale. Eppure, come è evidente, solo a questa condizione la normativa risulterebbe conforme all’art. 3 Cost. Il punto è che la selezione è stata tutt’altro che il frutto di una scelta ponderata da parte del legislatore. […] Non c’è più l’omicidio, ad esempio, non la rapina, il sequestro di persona, la riduzione in schiavitù, la prostituzione minorile, la pornografia minorile, e così via. Ho la netta impressione, a ben vedere, che non esista alcun criterio adeguato a conferire credibilità razionale alla selezione operata tra le “inclusioni” e le “esclusioni”. […] L’irreperibilità di un qualsiasi ragionevole criterio selettivo, la conseguente, assoluta, irragionevolezza della disposizione non possono che evidenziarne l’accentuato, irrimediabile, contrasto con il principio di uguaglianza.». Critico sulla qualità dei criteri selettivi, e dunque propenso a dubitare della legittimità della disposizione, è anche D. NEGRI, Dell’improcedibilità temporale. pregi e difetti, in questa Rivista, 21 febbraio 2022. Sulla stessa linea, A. SCALFATI, L’improcedibilità ratione temporis: una mina nel sistema, in Proc. pen. e giust., 2022, n. 3. Non la pensa così A. NAPPI, Appunti sulla disciplina dell’improcedibilità per irragionevole durata dei giudizi di impugnazione, in www.questionegiustizia.it, 9 dicembre 2021, per il quale le proroghe sarebbero «diversificate in ragione della gravità dei reati».
[13] Ciò è inaccettabile per G. BALBI, cit.: «Qui stiamo tornando molto indietro, a modelli da ancien régime che già Beccaria valutava come assolutamente intollerabili: “le leggi devono fissare un certo spazio del tempo, sia alla difesa del reo che alle prove de’ delitti, e il giudice diverrebbe legislatore se egli dovesse decidere del tempo necessario per provare un delitto”. Ancor più duro, se possibile, Carrara […]: «la più abbominevole signoria dell’arbitrio, in quanto il magistrato inquirente o il privato accusatore avrebbe la facoltà di prolungare a talento suo indefinitamente l’azione penale». Sulla stessa linea P. FERRUA, cit.: «Rimettere ai giudici, attraverso il sistema delle proroghe, la possibilità di adattare la durata massima alle esigenze dei singoli processi equivale a renderli arbitri della decisione se proseguire il processo sino alla decisione di merito o troncarlo con la dichiarazione di improcedibilità; insomma, a consegnare alla giurisdizione scelte di politica criminale esorbitanti dalle sue funzioni. […] Affidare ai giudici il potere-dovere di disporre le proroghe – data la vaghezza dei criteri a cui è ancorato il suo esercizio – equivale a renderli arbitri della decisione se consentire o impedire la prosecuzione dell'azione penale; si consegnano così alla giurisdizione scelte di politica criminale che non le competono, relative alla perseguibilità dei reati».
[14] Così R. BRICCHETTI, Prime riflessioni sulla riforma: disposizioni generali sulle impugnazioni, in www.ilpenalista.it, 26 ottobre 2022: Nello stesso senso E. APRILE, Brevi riflessioni sulla ‘riforma Cartabia’ in materia di prescrizione e di improcedibilità (legge 27 settembre 2021, n. 134), in www.giustiziainsieme.it, 11 ottobre 2021: «Per quanto riguarda, invece, l’ordinanza di proroga nel giudizio di appello, deve notarsi come stranamente – e forse problematicamente – non sia prevista «la legittimazione ad impugnare del pubblico ministero e delle altre parti private». .
[15] G. BALBI, op. cit., ritiene che potrebbe costituire un vulnus non irrilevante il fatto che l’ordinanza di proroga emessa dalla corte di cassazione «non sia in nessun caso impugnabile, neanche mediante ricorso straordinario per errore materiale o di fatto ai sensi dell’art. 625-bis c.p.p. Quest’ultimo, infatti, è esperibile solo dal condannato, e dunque inconferente rispetto all’ipotesi in esame.».
[16] Come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. i), n. 1, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
[17] M.L. DI BITONTO, cit., sul presupposto che la disposizione intende incentivare un’organizzazione delle celebrazioni delle udienze in appello tale da propiziare uno svolgimento dell'istruzione dibattimentale in udienze ravvicinate, a salvaguardia non solo della durata ragionevole del processo, ma anche per tutelare la necessaria concentrazione del dibattimento, sostiene che se la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale richiede che il giudizio di appello si svolga in due udienze, il rinvio dalla prima alla seconda non deve oltrepassare i 60 giorni; se invece la rinnovazione esige una molteplicità di udienze, la somma dei diversi periodi di rinvio fra un’udienza e l’altra non deve superare i 60 giorni. Ove venissero superati tali 60 giorni, l’intero periodo di tempo in sovrappiù andrebbe computato nel termine di durata dell’appello.
[18] Il richiamo all’art. 598-ter, comma 2, c.p.p. è stato inserito dall’art. 16, comma 1, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
[19] Ulteriori riflessioni su questa tema possono vedersi nel § 10 della citata Relazione n. 60 del 2021 dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione.
[20] Sul tema va segnalata la relazione n. 12 del 6 marzo 2023 dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione.
[21] Soprattutto con riguardo alla prescrizione del reato si sono susseguite fondamentali decisioni in materia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. In una prima decisione (Cass. sez. un., 11 novembre 1994, n. 21/95, Cresci, RV 199903) si era affermato che soltanto le cause di inammissibilità originaria dell’impugnazione (tutte quelle previste dall’art. 591, ad esclusione della rinuncia; nella specie, si trattava della genericità dei motivi) impedivano di rilevare e dichiarare, ai sensi dell’art. 129, eventuali cause di non punibilità, segnatamente la prescrizione del reato. Per contro, le cause di inammissibilità sopravvenute (ad es., con riguardo al ricorso per cassazione, la manifesta infondatezza dei motivi ovvero l’enunciazione di motivi non consentiti o non dedotti in appello: art. 606, c. 3) non erano ostative all’operatività della disposizione dell’art. 129. Una successiva decisione (Cass. sez. un., 30 giugno 1999, n. 15, Piepoli, RV 213981) aveva circoscritto ulteriormente il numero delle cause di inammissibilità sopravvenute, individuando anche all’interno del citato art. 606, c. 3, cause di inammissibilità originaria del ricorso, segnatamente i motivi “non consentiti” e quelli non dedotti nel giudizio di appello. Restava, dunque, al di fuori della categoria delle cause di inammissibilità originarie, oltre alla rinuncia all’impugnazione, la manifesta infondatezza dei motivi. Ci ha pensato una ulteriore pronuncia ad annoverare anche il ricorso contrassegnato da motivi manifestamente infondati fra le cause originarie di inammissibilità (Cass. sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, RV 217266). Va solo aggiunto, per concludere sul punto, che le tre decisioni da ultimo citate riguardavano tutte ipotesi in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla pronuncia della sentenza di appello. È rimasta, dunque, come causa sopravvenuta la sola rinuncia al gravame, ma sin tratta di vicenda del tutto diversa dalle altre cause di inammissibilità, discendendo un simile effetto dall’esercizio di un diritto potestativo dell’interessato. Quanto alla prescrizione maturata prima della pronuncia della sentenza d’appello, la S.C. ha chiarito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevarla d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 c. 2, se non rilevata né eccepita in sede d’appello e neppure dedotta con i motivi di ricorso (Cass. sez. un., 17 dicembre 2015, n. 12602/16, Ricci, RV 266818; conforme Cass. sez. un., 22 marzo 2005, n. 23428, Bracale, RV 231164). Successivamente, Cass. sez. un., 27 maggio 2016, n. 6903/17, Aiello ha affermato che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello. Va segnalato, peraltro, che Cass. V, 16 maggio 2019, n. 28328, RV 276206 ha affermato che la corte di cassazione deve rilevare la prescrizione del reato maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata, anche in relazione ai capi di imputazione che, sebbene non direttamente investiti da motivi ammissibili di ricorso, siano collegati a questi ultimi da un vincolo di connessione essenziale logico-giuridica (nella specie, in un caso di imputazione, in relazione al medesimo atto pubblico, sia della falsità ideologica che della falsità materiale, il motivo di ricorso che censurava il mancato assorbimento del falso ideologico in quello materiale era ammissibile, mentre non lo era il motivo, incentrato sull'assenza dell'elemento soggettivo, riguardante la falsità materiale).
[22] In tal senso G. CANZIO, Prescrizione del reato e improcedibilità dell’azione penale. Una introduzione, in questa Rivista, 3 marzo 2023: «Appare preferibile la tesi secondo cui sarebbe da definire, ma non può essere definito, soltanto il giudizio che sia stato legalmente e validamente instaurato, non un giudizio purchessia, non potendosi legittimare la prosecuzione di un processo anche nel caso di ricorso che si configuri meramente apparente e perciò inammissibile; con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole processuali da parte del ricorrente paralizza i poteri cognitivi del giudice, senza che ciò contrasti con l’equità o la razionalità del giusto processo.»; P. FERRUA, op. cit.: «Che la inammissibilità debba prevalere sulla ‘improcedibilità', così come prevale sulle cause estintive del reato e, quindi, sulla prescrizione ‘sostanziale', è di tutta evidenza. Tanto la improcedibilità quanto la inammissibilità hanno carattere processuale e, come tali, impediscono l'esame del merito, prevalendo sulle cause di non punibilità. Ma c'è una netta differenza, pur essendo ambedue rilevabili anche d'ufficio sino alla sentenza irrevocabile, salvo il limite imposto per nullità e inammissibilità dall'art. 627 comma 4 c.p.p. La improcedibilità chiude una fase con una sentenza che, divenuta irrevocabile, sostituisce quella già emessa, come accade nella logica delle impugnazioni; la inammissibilità impedisce l'apertura della fase, invalidando quanto fosse già stato compiuto a seguito dell'atto inammissibile, inclusa l'eventuale dichiarazione di improcedibilità.»; M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. guida alla lettura della riforma Cartabia, in questa Rivista, 2 novembre 2022, 74. Di contrario avviso, O. MAZZA, op. cit., nonché Inammissibilità versus improcedibilità: nuovi scenari di diritto giurisprudenziale, in www.discrimen.it, 2 gennaio 2022.
[23] Anche in presenza di impugnazione inammissibile è, tuttavia, possibile rilevare anche d’ufficio: a) l’avvenuta abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice formante oggetto dell’imputazione (Cass. sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, cit., che sottolinea che provvederebbe, altrimenti, il giudice dell'esecuzione ai sensi dell’art. 673 c.p.p.; Cass. sez. V, 3 aprile 2018, n. 21923, RV 273191, ha, peraltro, precisato che la tardività del ricorso in cassazione non consente la rilevabilità d'ufficio della sopravvenuta abolitio criminis, la quale potrà essere dedotta esclusivamente dinanzi al giudice dell'esecuzione, ferma restando l'eventuale condanna risarcitoria riguardante l'azione civile; b) la sopravvenuta introduzione di nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l'imputato, con conseguente annullamento sul punto, ai sensi dell'art. 609 c.p.p., della sentenza impugnata (Cass. sez. un., 26 giugno 2015, n. 46653, Della Fazia, RV 265111); c) l’estinzione del reato per morte dell’imputato a norma dell’art. 150 c.p. (Cass. sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, cit.); d) l’estinzione del reato per remissione della querela, ritualmente accettata, purché l’impugnazione sia stata tempestivamente proposta (Cass. sez. un., 25 febbraio 2004, n. 24246, Chiasserini, RV 227681): dalle connotazioni peculiari di tale causa estintiva — «che si collega direttamente all’esercizio dell’azione penale, in forza dell’esercizio di un diritto potestativo del querelante diretto, attraverso un contrarius actus, a porre nel nulla la condizione per l’inizio dell’azione penale» — deriva la «necessità di conferire alla voluntas del remittente la massima valenza sul piano del possibile giuridico»; e) l'illegalità della pena, purché l’impugnazione sia stata tempestivamente proposta:
- conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio (Cass. sez. un., 26 febbraio 2015, n. 33040, Jazouli, RV 264205-6-7; nella specie, la dichiarazione di incostituzionalità, intervenuta con la sentenza n. 32 del 2014, riguardava il trattamento sanzionatorio introdotto per le c.d. "droghe leggere" dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2006, n. 49;
- dovuta all'applicazione della previsione di cui all'art. 585, comma primo, ultima parte, c.p. (circostanza aggravante dell'aver agito in più persone riunite), erroneamente ritenuta dal giudice ancorché entrata in vigore successivamente al fatto commesso (Cass. sez. V, 17 maggio 2018, n. 27945, RV 273234);
- determinata dall'applicazione di sanzione di specie diversa da quella di legge o irrogata in misura superiore al massimo edittale (nella specie, irrogazione di pena detentiva per il reato di cui all'art. 582 c.p. anziché delle pene previste, per i reati di competenza del giudice di pace, dall'art. 52, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274: Cass. sez. un., 31 marzo 2022, n. 38809, Miraglia, RV 283689-01).
La S.C. distingue l’illegalità dalla illegittimità della pena: v. da ultimo Cass. sez. un., 31 marzo 2022, n. 47182, Savini, RV 283818-01 (annotata in termini critici da C. BERNASCONI, Pena illegale versus pena illegittima al cospetto delle sezioni unite della cassazione, in www.ius.it, 26 gennaio 2023) secondo la quale, qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l'erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di pena illegittima e non già di pena illegale, con la conseguenza che la relativa questione è da ritenersi preclusa, ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p. se non dedotta con i motivi di appello, quindi non rilevabile d’ufficio dalla Corte di cassazione).
[24] Può così accadere – rileva P. FERRUA, cit. - che «ad una condanna inflitta in primo grado segua in secondo grado una sentenza di improcedibilità per decorso dei termini massimi; e che la corte di cassazione, a seguito del ricorso proposto dal pubblico ministero, dichiari l'inammissibilità dell'appello a suo tempo non rilevata, con la conseguente irrevocabilità della condanna. Idem nel caso in cui l'inammissibilità emerga dopo il superamento dei termini fissati a pena di improcedibilità; o quando, nell'ambito di un ricorso inammissibile l'imputato eccepisca la mancata dichiarazione di improcedibilità nel grado precedente o l'illegittimità costituzionale delle disposizioni che non consentono l'applicazione dell'improcedibilità; a prevalere è sempre l'inammissibilità., almeno sino a quando la legge non riterrà opportuno porre limiti al suo accertamento. In assenza di una norma che dica il contrario – come l'art. 627 comma 4 c.p.p. in rapporto al giudizio di rinvio – l'inammissibilità è rilevabile sino al giudicato, per l'esaustiva ragione che non è prevista alcuna sanatoria.».
[25] Così R. BRICCHETTI, cit.
[26] Così anche P. FERRUA, cit.: «A differenza di quanto avviene in caso di sopravvenuta estinzione del reato, risulta inapplicabile l'art. 129, comma 2, essendo l’improcedibilità destinata inesorabilmente a prevalere su ogni altra formula di proscioglimento; con l’ulteriore conseguenza che, se l’improcedibilità sopraggiungesse pendente l’impugnazione del pubblico ministero contro un’assoluzione, l’imputato vedrebbe questa convertita nella meno favorevole sentenza di non doversi procedere. Stupefacente reformatio in peius per decorso del tempo.».
[27] Auspicata da G. CANZIO, cit.: «Omissione cui si auspica possa riparare la giurisprudenza per via analogica in bonam partem, con particolare riferimento all’ipotesi in cui la sentenza impugnata dal pubblico ministero sia di proscioglimento dell’imputato, a fronte della quale la pronuncia d’improcedibilità si prospetta obiettivamente meno favorevole.».
[28] G. SPANGHER, Questioni in tema di sistema bifasico (prescrizione/improcedibilità), in Dir. pen. proc. 2021, n. 11, 1444, ha elencato una serie di possibili problemi: operatività per l’appello della sentenza di non luogo a procedere e per gli appelli delle decisioni del giudice onorario; mancata indicazione degli effetti delle proroghe sulle misure cautelari; mancata individuazione del termine in caso di conversione in appello; mancata individuazione del termine in caso di annullamento con rinvio solo per la determinazione della pena; mancato termine complessivo in caso di annullamento con rinvio in appello; incertezza sull’operatività in caso di annullamento di una declaratoria di inammissibilità; implicazioni sulla responsabilità degli enti.
[29] Ricordi del passato. V. R. BRICCHETTI, Art. 79 della Costituzione, amnistia e crisi del sistema giudiziario: ci si è dimenticati che si deve anche dimenticare. Amare considerazioni, in www.lamagistratura.it, 9 maggio 2022.
[30] Cass. sez. un., 11 luglio 2006, n. 25083, Negri, cit.
[31] La disposizione presentava alcune criticità. In particolare, il giudice della prosecuzione era indicato in quello «civile competente per valore in grado di appello» e ciò appariva corretto qualora l’improcedibilità fosse stata dichiarata dal giudice di appello; non lo era, invece, perché comportava un’ingiustificata regressione, qualora l’improcedibilità fosse stata dichiarata dalla corte di cassazione.
[32] Parla di «evidente forzatura del dato normativo» e di «anello più debole della concatenazione argomentativa», A. BASSI, Confisca urbanistica e prescrizione del reato: le sezioni unite aggiungono un nuovo tassello alla disciplina processuale della materia, in Sistema penale 2020, n. 5, p. 292, 293. V. anche l’analisi di F. ALVINO, Lottizzazione abusiva e proporzionalità della confisca: cognizione e poteri del giudice di legittimità a fronte della sopravvenuta prescrizione del reato, in www.ilpenalista.it, 28 maggio 2020: «il riferimento alla “confisca prevista da altre disposizioni”, sulla base dell’analisi del testo, esprime un complemento di causa efficiente, che si correla ad un predicato verbale – “prevista” – comune anche al primo ed omologo complemento – “dal primo comma dell’art. 240-bis del codice penale” – e che non può non rimandare, quanto al soggetto del predicato, al comune soggetto “la confisca in casi particolari”; apparirebbe quantomeno singolare che nella reiterazione dei complementi indiretti mutasse il soggetto del predicato, come, di contro, ritenuto dalle Sezioni unite».
[33] In argomento v., oltre a A. BASSI, cit., p. 294, L.B. MOLINARO, Dalle Sezioni unite via libera alla “confisca nomofilattica”, ragionando su “riserva di codice”, relazione “Marasca” e valutazione di proporzionalità secondo i principi enunciati dalla Grande Camera nella sentenza del 28 giugno 2018 (Case of G.i.e.m. s.r.l. and others v. Italy), in www.dirittoamministrativo.it.
[34] Cass. sez. un., 30 gennaio 2020, n. 13539, Perroni, RV 278870-02: «In caso di declaratoria, all'esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione, il giudice d'appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell'art. 578-bis c.p.p., a decidere sull'impugnazione agli effetti della confisca di cui all'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001. (In motivazione la Corte, confermando la confisca disposta nel giudizio di merito, ha precisato che deve riconoscersi al richiamo contenuto nella norma citata alla confisca “prevista da altre disposizioni di legge”, formulato senza ulteriori specificazioni, una valenza di carattere generale, capace di ricomprendere anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale)».
[35] Cass. sez. un. 29 settembre 2022, n. 4145/23, Esposito, RV 284209-01. Spunti contrari, non adeguatamente sviluppati, possono vedersi in Cass. V, 15 ottobre 2020, n. 52/21, RV 280140, con nota di G. RAPELLA, Confisca del profitto in assenza di una sentenza definitiva di condanna: la cassazione nega l’applicazione della confisca facoltativa ex art 240 co. 1 c.p. nei casi di proscioglimento per intervenuta prescrizione in questa Rivista, 25 gennaio 2021, così massimata: «Nel caso di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione non è consentito disporre la confisca facoltativa diretta del profitto del reato, di cui all'art. 240, comma primo, c.p., che presuppone la pronuncia di un giudicato formale di condanna, non essendo ad essa estensibili, in ossequio al principio di legalità, le disposizioni relative ad altre tipologie di confisca, per le quali il contenuto della sentenza di proscioglimento per estinzione del reato, normativamente vincolato all'accertamento della responsabilità del suo autore, può tener luogo del giudicato di condanna»
[36] Ad es.: art. 3, comma primo, l. 25 gennaio 1982, n. 17 (associazioni segrete); art. 13, comma 3-quater, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (immigrazione); artt. 301, primo e secondo comma, e 342, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (contrabbando); art. 7, comma 3, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, conv., con mod., dalla l. 25 giugno 1993, n. 205 (discriminazione razziale, etnica, religiosa); art. 3, primo comma, l. 20 giugno 1952, n. 645 (riorganizzazione del disciolto partito fascista); art. 87, l. 17 luglio 1942, n. 907 (monopolio dei tabacchi e contrabbando); art. 25, comma 3, l. 9 luglio 1990, n. 185 (materiali di armamento); art. 44, comma 1, d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (accise); art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (lottizzazione abusiva).
[37] Tra i quali, ad es., oltre a quelli indicati trattando dell’art. 578-bis, quelli previsti: dagli artt. 4, ottavo comma e 23, quinto comma, l. 18 aprile 1975, n. 110 (Armi ed esplosivi); dall’art. 2, terzo comma, d.lgs. 14 febbraio 1948, n. 43 (associazioni di carattere militare); dagli artt. 12, commi 4-ter e 5-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Immigrazione); dagli artt. 186, commi 2, lett. c), e 7, 186-bis, comma 6, e 187, comma 1, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della strada); dagli artt. 2635, sesto comma, e 2641 c.c. (reati societari); dall’art. 187 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (abuso o comunicazione illecita di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato); dall’art. 3, terzo comma, l. 8 agosto 1977, n. 533 (Ordine pubblico); dall’art. 11 l. 16 marzo 2006, n. 146 (reato transnazionale); dall’art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (reati tributari).
[38] M. BONTEMPELLI, cit., sostiene, invece, che il giudice penale deve verificare che l’azione patrimoniale possa essere coltivata utilmente nel procedimento di prevenzione, dopo l’improcedibilità dell’azione penale.
[39] Secondo la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2022 non era possibile un’estensione della disciplina prevista dall’art. 578-bis c.p.p. perché «il superamento dei termini massimi previsti per il giudizio di impugnazione è uno sbarramento processuale che impedisce qualsivoglia prosecuzione del giudizio, anche solo finalizzata all’accertamento della responsabilità da un punto di vista sostanziale e svincolato dalla forma assunta dal provvedimento».