Cass., Sez. III, sent. 27 novembre 2020 (dep. 15 gennaio 2021) n. 1731, Pres. Di Nicola, est. Di Stasi
1. Con la sentenza in commento, la Cassazione si pronuncia sul tema dell’efficacia nel tempo dei mutamenti giurisprudenziali in materia di norme processuali penali, affermando che l’overruling è sempre applicabile retroattivamente, a meno che non sia imprevedibile, tale dunque da incidere irrimediabilmente sull’affidamento della parte nella predeterminazione delle regole del processo. La pronuncia rappresenta un’occasione per riflettere su una questione poco dibattuta in sede penalistica e per tentare di abbozzare alcune soluzioni interpretative ispirate dalla giurisprudenza civile.
1.1. Innanzitutto, a fini di esposizione, può essere utile chiarire l’oggetto del mutamento giurisprudenziale in questione.
Le Sezioni Unite nel 2019 erano state chiamate a dirimere un contrasto giurisprudenziale formatosi sui termini di impugnazione in caso di condanna di imputato assente, a seguito di giudizio abbreviato. Ci si chiedeva se dopo la riforma della disciplina del processo in absentia (l. 8 aprile 2014, n. 67) e la riscrittura dell’art. 420-bis c.p.p. all’imputato assente nel giudizio abbreviato dovesse essere notificato l'estratto della sentenza ai sensi dell'art. 442 c.p.p., comma 3 («[l]a sentenza è notificata all'imputato che non sia comparso») e art. 134 disp. att. c.p.p. («[l]a sentenza emessa nel giudizio abbreviato è notificata per estratto all'imputato non comparso, unitamente all'avviso di deposito della sentenza medesima») o se, invece, tali norme fossero da ritenersi tacitamente abrogate.
Un primo maggioritario orientamento[1] riteneva che le suddette disposizioni fossero state implicitamente abrogate già dalla l. 16 dicembre 1999 n. 479, che – nell’estendere al giudizio abbreviato l’istituto della contumacia – ne disponeva la sostituzione con la previsione di cui all’art. 548, co. 3, c.p.p. («L'avviso di deposito con l'estratto della sentenza è in ogni caso notificato all'imputato contumace è comunicato al procuratore generale presso la corte di appello»). Il riferimento alla notifica all’imputato contumace era stato in seguito espressamente espunto dall’art. 548, co. 3, c.p.p. proprio dalla l. 67/2014, in concomitanza con la riformulazione dell’art. 420-bis c.p.p. L’eventuale notifica effettuata dalla cancelleria, in base a tale posizione ermeneutica, avrebbe dunque costituito un adempimento meramente ultroneo e non dovuto, inidoneo a produrre qualsiasi effetto.
Secondo un diverso indirizzo[2], invece – in assenza di abrogazione esplicita – le norme erano da considerarsi valide e, dunque, l’estratto della sentenza avrebbe dovuto essere sempre notificato all’imputato.
Dall’adozione dell’uno o dell’altro orientamento dipendeva l’individuazione del dies a quo per l’impugnazione: nel primo caso, i trenta giorni per proporre appello sarebbero decorsi – come per il processo ordinario – dalla scadenza del termine di legge o di quello eventualmente stabilito ex art. 544, co. 3, c.p.p.; nel secondo caso, i termini avrebbero iniziato a decorrere dalla notifica dell’avviso di deposito della sentenza.
Con la sentenza Sinito[3], le Sezioni Unite risolvevano il contrasto in favore della prima tesi, stabilendo che la pronuncia emessa nel giudizio abbreviato non deve essere notificata per estratto all’imputato assente e che, di conseguenza, i termini per l’impugnazione decorrono dalla scadenza del termine di legge o di quello eventualmente stabilito ex art. 544, co. 3, c.p.p.
1.2 Arriviamo, allora, alla questione sottoposta alla Cassazione nel caso di specie.
I ricorrenti lamentavano che la Corte d’Appello di Trento – nel dichiarare inammissibile, in quanto tardivo, l’appello da essi proposto in relazione ad una sentenza di condanna pronunciata in absentia con rito abbreviato – aveva identificato il dies a quo per l’impugnazione sulla base della posizione assunta dalle Sezioni Unite nella sentenza Sinito, violando dunque il principio di irretroattività dell’interpretazione giurisprudenziale sfavorevole sopravvenuta (artt. 25, co. 2, Cost., 111 Cost., 2 c.p.).
L’atto di appello era in effetti stato proposto prima dell’intervento delle Sezioni Unite: la sentenza di condanna era stata pronunciata il 13 settembre 2018 e depositata il 17 settembre 2018; il 20 ottobre 2018 la cancelleria del giudice notificava la sentenza agli imputati non comparsi e questi ultimi proponevano appello in data 19 novembre 2018.
La Corte d’Appello di Trento, con sentenza del 26 febbraio 2020, dichiarava inammissibile l’appello, poiché presentato oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 585, co. 1, lett. b, c.p.p., da ritenersi decorrente dal termine per il deposito delle motivazioni (quindici giorni ex art. 544, co. 2, c.p.p.; in questo caso, dunque, il lasso di tempo utile per la proposizione dell’appello sarebbe andato dal 28 settembre 2018 al 28 ottobre 2018).
1.3 La Cassazione rigetta le deduzioni dei ricorrenti, affermando che l’efficacia retroattiva del c.d. overruling è sempre consentita quando – come in questo caso – l’interpretazione della norma ad opera dell’organo nomofilattico costituisce lo sviluppo prefigurabile di interventi già noti e risalenti; deve, invece, escludersi nei casi di radicale innovazione della soluzione giurisprudenziale, inconciliabile con le precedenti decisioni. Va tra l’altro sottolineato che, con riferimento all’applicabilità retroattiva della sentenza Sinito, la Corte si era già espressa in altre due occasioni nei mesi precedenti, giungendo alle medesime conclusioni[4].
A supporto argomentativo, la Corte richiama una ricca giurisprudenza delle Sezioni Unite civili (e, in particolare, la sentenza n. 15144 dell’11 luglio 2011[5], considerata un vero e proprio leading case in materia), in base alla quale il mutamento dell’interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia che porti a ritenere esistente, in danno di una parte in giudizio, una decadenza o una preclusione prima escluse, ha normalmente efficacia retroattiva, in grado, dunque, di rendere irrituale l’atto compiuto o il comportamento tenuto dalla parte, in conformità all’indirizzo precedente. All’origine di tale orientamento vi è la concezione – propria degli ordinamenti di civil law – in base alla quale gli enunciati giurisprudenziali hanno natura puramente dichiarativa: una posizione che ha solide radici nel principio della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101, co. 2, Cost.), che impedisce di attribuire all’interpretazione della giurisprudenza il valore di fonte del diritto e, dunque, di parametro normativo rilevante ai fini della verifica di validità degli atti.
Unica eccezione all’efficacia retroattiva dell’overruling è costituita dai casi in cui la precedente interpretazione, poi riconosciuta errata e contra legem, abbia creato l’apparenza di una regola, sulla quale le parti abbiano posto affidamento; solo allora si giustifica una scissione tra il fatto (ossia il comportamento della parte, risultante ex post difforme rispetto alla corretta regola del processo) e il principio di diritto espresso dalla giurisprudenza di legittimità. In questi casi, nel bilanciamento tra principio della soggezione del giudice alla legge e principio del giusto processo, deve prevalere quest’ultimo, con la conseguenza che è esclusa l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dall’overruling nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente nella consolidata precedente interpretazione della norma stessa. A tal proposito, va rilevato che la Cassazione civile non considera “imprevedibile” l’overruling che – nell’ambito di un preesistente contrasto giurisprudenziale – adotti uno tra gli orientamenti divergenti, ancorché minoritario[6].
Applicando allora tali principi al caso di specie, la Cassazione esclude che l’attribuzione di efficacia retroattiva alla pronuncia Sinito violi l’affidamento processuale dell’imputato, dal momento che le Sezioni Unite si erano limitate a confermare uno tra gli orientamenti – oltretutto, quello maggioritario – che erano oggetto del contrasto giurisprudenziale.
1.4 Infine, la Cassazione – in maniera, come vedremo tra poco, non del tutto persuasiva – fonda la sua decisione di rigetto anche sulla giurisprudenza penale di legittimità relativa al divieto di applicazione retroattiva del mutamento interpretativo di norme sostanziali[7], affermando che «l’art. 7 della CEDU – così come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU (sentenza 22 novembre 1995, s.w. c. Regno Unito, ric. N. 20166/92; Corte EDU, Grande Camera, sent. 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, ric. N. 42750/09) – non consente l’applicazione retroattiva dell’interpretazione giurisprudenziale di una norma penale nel caso in cui il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa».
2. Come già accennato, quella in commento è una delle prime sentenze di legittimità che – pur non accogliendo le doglianze dei ricorrenti – apre alla possibilità di limitare l’efficacia retroattiva dei mutamenti interpretativi di disposizioni processuali penali, qualora questi siano imprevedibili. Se il fenomeno dell’overruling in materia penale è stato oggetto di un vivace, e non ancora sopito, dibattito scientifico[8] – soprattutto a seguito della pronuncia della Corte Edu sul caso Contrada c. Italia[9] – la medesima questione, con riferimento alle norme processuali penali, è ancora pressoché inesplorata.
Prima di entrare nel merito delle questioni affrontate dalla Corte, è infatti necessario sgombrare il campo da considerazioni potenzialmente fuorvianti. La questione sottoposta all’attenzione della Cassazione poco ha a che fare con il principio di legalità della norma penale (art. 25, co. 2, Cost. e art. 7 CEDU), anche nell’interpretazione estensiva che ne dà la Corte EDU.
Come è noto, la vis espansiva dell’art. 7 CEDU opera sostanzialmente in tre direzioni: da un lato, sul fronte del costante ampliamento del concetto di matière pénale[10] – che oggi comprende, pacificamente, sia le sanzioni amministrative punitive[11] sia quelle misure che, ancorché formalmente processuali, determinano una trasformazione della portata applicativa della pena[12] – dall’altro, con la riconduzione della giurisprudenza al concetto di “law”[13], infine, con il riconoscimento del principio di retroattività della legge penale più mite[14].
L’approccio “sostanzialista” adottato dalla Corte EDU – sempre più spesso fatto proprio, in maniera condivisibile, anche dal nostro giudice delle leggi – impone di verificare il campo di applicazione dei principi fondamentali sulla base della ratio delle norme, più che delle etichette attribuitegli dal legislatore. Scontando il rischio di ribadire l’ovvio, preme qui rilevare come l’esigenza di sistema cui risponde il principio di legalità (con il suo corollario dell’irretroattività in malam partem) è quella di consentire al cittadino di prevedere le conseguenze delle sue azioni, di sapere se una determinata condotta costituisce reato e, in questo caso, con quale pena potrà essere punita[15].
È proprio sulla base di questa ratio che alcune norme formalmente processuali sono state riconosciute soggette al principio di irretroattività: si pensi alle norme che regolano le diminuzioni di pena in caso di accesso ad un rito alternativo[16] o a quelle che determinano una trasformazione della natura della pena[17]. Al contrario, la normativa sui termini di impugnazione[18] – così come quella concernente l’ammissibilità delle prove[19] o l’applicazione ed esecuzione della pena[20] – non rientra nel campo di applicazione dell’art. 7 CEDU, poiché estranea alla ratio anzidetta.
Le norme strettamente processuali, com’è noto, sono infatti soggette al tempus regit actum (art. 11 disp. prel.), principio che ha la funzione di tutelare l’affidamento processuale delle parti, impedendo che le nuove disposizioni travolgano gli atti effettuati in conformità alla disciplina abrogata[21]. Non è di certo questa la sede per affrontare i complessi problemi relativi alla successione delle norme processuali penali nel tempo[22]; basterà qui rilevare che anche il principio del tempus regit actum pone un limite all’effetto retroattivo degli interventi legislativi. Il tempus rilevante sarà tuttavia il momento dell’insorgere dell’affidamento processuale (normalmente, dunque, il tempo della realizzazione dell’atto, oppure, in caso di fattispecie a formazione progressiva, il tempo della realizzazione del primo atto della sequenza), non il tempus commissi delicti, che rileva, invece, per l’applicazione delle norme penali sostanziali.
Qualora le nuove disposizioni processuali avessero efficacia retroattiva, infatti, non ne risulterebbe incisa la «certezza di libere scelte d’azione»[23] garantita dall’art. 25, co. 2, Cost., ma si realizzerebbe piuttosto un «cambiamento delle regole del gioco a partita già iniziata»[24], tale da impedire alle parti di prevedere le conseguenze delle proprie condotte e strategie processuali. Sebbene, dunque, l’affidamento sulla stabilità delle regole del processo non rientri – per esplicita indicazione della Corte Costituzionale[25] – nel campo di applicazione dell’art. 25, co. 2, Cost.[26], si deve ritenere che esso riceva comunque una copertura costituzionale: possono essere evocati, a tal proposito, il principio del giusto processo (art. 111 Cost.) e il diritto di difesa (art. 24 Cost.)[27]. La Corte EDU, d’altra parte, tende a censurare le leggi retroattive sulla base dell’art. 6 CEDU[28] e art. 1 prot. 1 sulla tutela della proprietà[29].
Va sottolineato, in ogni caso, che al legislatore non è impedito tout court di emanare norme retroattive; la legittimità di queste è tuttavia subordinata alla verifica sul fatto che «la retroattività trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”»[30]. La giurisprudenza costituzionale sulle leggi di interpretazione autentica[31] è a questo proposito emblematica, avendo a più riprese censurato leggi che – nel derogare al principio del tempus regit actum – comprimevano irragionevolmente l’affidamento di una parte. Pensiamo, ad esempio, alla sentenza C. Cost. 10 luglio 2002, n. 394, con la quale la Consulta dichiarava illegittimo l’articolo 10 della legge 27 marzo 2001, n. 97 nella parte in cui disponeva l’applicabilità degli articoli 1 e 2 della stessa legge (che riconoscono efficacia di giudicato alla sentenza penale di condanna – e dunque di patteggiamento, ex art. 445, co. 1-bis, c.p.p. – nel giudizio disciplinare davanti alle pubbliche autorità) ai patteggiamenti perfezionatisi anteriormente all’emanazione del nuovo provvedimento. A parere della Corte «[la] disposizione transitoria, in contrasto con il congiunto operare delle garanzie poste dagli articoli 3 e 24 della Costituzione, ha radicalmente innovato alla disciplina che l’imputato aveva avuto presente nel ponderare l’opportunità di addivenire al patteggiamento ed ha retroattivamente attribuito al consenso prestato l’ulteriore significato di una rinunzia alla difesa anche nel successivo procedimento disciplinare»[32].
3. Ebbene, se lo ius superveniens solo eccezionalmente può avere effetto retroattivo, la natura degli arresti giurisprudenziali è proprio quella di decidere sul passato, adeguando l’astratto disposto normativo alle peculiarità del caso di specie. Talvolta, tuttavia – ed ecco che arriviamo alle doglianze sollevate dai ricorrenti nella pronuncia in commento – l’interpretazione delle norme è talmente consolidata che il suo repentino e non prevedibile mutamento può determinare, sull’affidamento della parte processuale, gli stessi effetti di una modifica legislativa. Tali considerazioni – un tempo legate al mero affermarsi, anche nel nostro paese, di una “cultura del precedente” – hanno acquisito maggiore concretezza a seguito dell’introduzione del meccanismo di rimessione “obbligatoria” alle Sezioni Unite (co. 1-bis dell’art. 618 c.p.p., inserito con l. 23 giugno 2017, n. 103[33]): alla maggiore prevedibilità delle decisioni giudiziarie corrisponde infatti un accentuato affidamento del cittadino nella stabilità della giurisprudenza[34].
Si tratterà, allora, di comprendere se e in quali casi al mutamento giurisprudenziale in materia di norme processuali sia applicabile il principio del tempus regit actum: a tal fine, sarà necessario effettuare un bilanciamento tra diritto di difesa (art. 24 Cost.) e al giusto processo (art. 111 Cost.), da una parte, e principio di soggezione del giudice alla legge (101 Cost., co. 2), dall’altra.
Da un lato, infatti, vi è la necessità di garantire la predeterminazione delle regole di svolgimento del processo, aspetto imprescindibile dei principi di cui agli artt. 24 e 111 Cost., in un certo senso condizione preliminare per la stessa esistenza dello stato di diritto (il profilo, oltretutto, è ancora più significativo quando si discute, come nel caso di specie, di preclusioni dall’esercizio del diritto di agire in giudizio, che, inevitabilmente, comportano l’annichilimento della posizione sostanziale sottostante[35]). D’altra parte, negare l’efficacia retroattiva ai mutamenti interpretativi – assimilando in questo modo gli arresti giurisprudenziali allo ius superveniens – sembrerebbe porsi in contrasto con il principio di soggezione del giudice soltanto alla legge, volto a garantire l’indipendenza funzionale dell’organo giudicante nel momento dell'applicazione – e della previa interpretazione – della legge, ovverosia il divieto di interferenza di qualsiasi soggetto o autorità nella decisione del caso concreto.
4. Prima che emergesse la questione dell’applicabilità retroattiva dei principi espressi nella sentenza Sinito, solo di rado la Cassazione penale aveva avuto l’occasione di pronunciarsi sull’efficacia intertemporale dei mutamenti giurisprudenziali; in questi casi aveva stabilito che «il principio "tempus regit actum" riguarda solo la successione nel tempo delle leggi processuali e non anche delle interpretazioni giurisprudenziali di queste ultime sicché qualora si succedano, in sede di legittimità, interpretazioni difformi di norme processuali, il provvedimento assunto nell'osservanza di un orientamento in seguito non più condiviso non può considerarsi legittimo»[36]. Nessun meccanismo veniva ipotizzato per tutelare l’affidamento incolpevole dell’imputato (e del suo difensore) nell’orientamento giurisprudenziale ormai superato. Il principio di diritto anzidetto va tuttavia contestualizzato nelle questioni che erano state sottoposte alla Suprema Corte, sollevate dall’imputato proprio al fine di garantire l’efficacia retroattiva in bonam partem di un mutamento giurisprudenziale (in alcuni casi, ad esempio, la Cassazione – nell’applicare i principi enunciati dalle Sezioni Unite – dichiarava inutilizzabili le intercettazioni[37], in un altro annullava la sentenza per difetto di competenza[38]).
In tali ipotesi, una limitazione dell’efficacia retroattiva delle sentenze delle Sezioni Unite avrebbe avuto effetti sfavorevoli per l’imputato, con la conseguenza paradossale di garantire il preteso affidamento del pubblico ministero nell’interpretazione contra legem della norma processuale penale; affidamento di certo non meritevole di tutela, a meno di non voler accordare al “diritto di accusa” una prevalenza rispetto al principio di cui all’art. 101, co. 2, Cost.
5. Nel caso di specie, invece, la Cassazione si trova ad affrontare il caso opposto: quid iuris nel caso in cui l’efficacia retroattiva del mutamento giurisprudenziale produca effetti in malam partem? La Corte riprende – in maniera condivisibile, a parere di chi scrive – i principi stabiliti dalla Cassazione civile, frutto di un’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale ormai decennale[39]. Tuttavia, alla corretta enunciazione della regola (efficacia retroattiva del principio di diritto, in grado di travolgere anche gli atti che – quando erano stati posti in essere – si attenevano ad uno tra gli orientamenti giurisprudenziali contrapposti) non è seguita la compiuta messa a punto di uno statuto per l’eccezione (overruling imprevedibile). Stante, infatti, l’evidente prevedibilità della soluzione interpretativa adottata dalla sentenza Sinito, la Suprema Corte non si preoccupa di indicare i rimedi processuali esperibili dalla parte che abbia fatto affidamento su un orientamento giurisprudenziale dichiarato illegittimo in forza di un overruling imprevedibile.
A tal proposito, alcuni spunti possono essere ricavati, ancora una volta, dalla sentenza 15144 del 2011, nella quale le Sezioni Unite civili indicavano le modalità – diverse a seconda delle peculiarità delle situazioni processuali interessate dall’overruling – con le quali è possibile dare concretezza al principio del giusto processo:
- nel caso in cui il ricorso, pur proposto in termini, non rispetti le forme prescritte dal nuovo indirizzo, lo strumento privilegiato è quello della rimessione in termini, così consentendo alla parte di riproporre ritualmente l'impugnazione;
- nel caso in cui, invece – come nel caso sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite e della sentenza in commento – venga in rilievo un problema di tempestività dell'atto (sussistente in base alla giurisprudenza overruled, ma venuta meno in conseguenza del successivo mutamento di esegesi della regola di riferimento), il principio del giusto processo può trovare diretta attuazione attraverso l'esclusione della preclusione nei confronti della parte che abbia confidato nella precedente interpretazione della regola stessa.
6. Non possiamo, in questa sede, ripercorrere l’ampio dibattito sviluppatosi in seno alla dottrina civilistica, in seguito alla sentenza delle Sezioni Unite 15144 del 2011[40]; apprezzabile è di certo lo sforzo della Suprema Corte di dare una risposta univoca al fenomeno e di ancorarlo ai principi costituzionali, favorendo l’introduzione – con i limiti anzidetti – di una versione nostrana del prospective overruling, ovverosia di quell’istituto di common law che consente all’organo nomofilattico, nell’affermare un orientamento interpretativo opposto a quello precedente, di limitarne l’applicabilità soltanto pro futuro, risolvendo il caso di specie secondo la regola superata[41].
Se il settore penale fino ad ora ha potuto vantare, in materia processuale, mutamenti giurisprudenziali meno improvvisi e impattanti di quelli che hanno attraversato l’ordinamento civile, il tema dell’overruling meriterebbe in ogni caso riflessioni più ampie e meditate di quelle che fino ad ora gli sono state riservate dalla giurisprudenza di legittimità. I principi sanciti dalla sentenza delle Sezioni Unite 15144/2011 sembrerebbero trasponibili, mutatis mutandis, nell’ambito del processo penale (come d’altronde sembra affermare la sentenza in commento)[42], con l’avvertenza che in questo caso, a parere di chi scrive, la limitazione dell’effetto retroattivo dovrebbe essere consentita soltanto se favorevole al reo, per le ovvie motivazioni di cui si è dato conto.
Alternativamente – se non si ritenesse applicabile in via diretta l’art. 111 Cost. (o art. 24 Cost.) – potrebbe forse farsi riferimento alla disciplina in materia di restituzione nel termine (art. 175 c.p.p.). È noto che la giurisprudenza praticamente unanime della Corte di Cassazione tende ad escludere che il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione sia idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore, rilevanti ai sensi dell’art. 175 c.p.p.[43]. D’altra parte, nel caso di overruling imprevedibile sembrerebbero rinvenibili quelle «forze impeditive non altrimenti vincibili» alle quali la giurisprudenza prevalente riconduce le ipotesi di caso fortuito e forza maggiore[44].
Piuttosto, vi è da chiedersi se quella delineata dalle Sezioni Unite civili non costituisca una garanzia minima dell’affidamento processuale, suscettibile di ampliamento nel processo penale, ove una compressione del diritto alla difesa e al giusto processo può avere ripercussioni sulla libertà personale dell’imputato[45]. Potrebbe, ad esempio, ipotizzarsi l’estensione della tutela anche al mutamento interpretativo sulle norme che regolano l’accesso ai riti alternativi o l’ammissione delle prove.
[1] Vd. Cass., sez. VI, 16 gennaio 2019, n. 12536, rv. 276377; Cass., sez. II, 25 settembre 2018, n. 57918, rv. 274473; Cass., sez. I, 22 maggio 2018, n. 31049, rv. 273485; Cass., sez. VI, 19 aprile 2017, n. 35215, rv. 270911; Cass., sez. III, 22 marzo 2017, n. 19619, rv. 270217.
[2] Vd. Cass., sez. III, 19 gennaio 2018, n. 32505, rv. 273695; Cass., sez. III, 27 marzo 2015, n. 29286; Cass., sez. I, 3 novembre 2015, dep. 2016, n. 33540.
[3] Cass., Sez. Un., 24 ottobre 2019, dep. 13 gennaio 2020, n. 698, Sinito.
[4] Vd. Cass., sez. V, 14 novembre 2019, dep. 2020, n. 4455, DeJure; Cass., sez. VI, 20 febbraio 2020, n. 10659, DeJure.
[5] Cass. civ., Sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144, in Riv. dir. proc., 2012, p. 1078, con nota di M.C. Vanz, Overruling, preclusioni e certezza delle regole processuali; vd. anche Cass. civ., Sez. un., 21 novembre 2011, n. 24413, rv. 619591; Cass. civ., Sez. un., 12 febbraio 2019, n. 4135, rv. 652852; Cass., Sez. un., 8 novembre 2018, n. 28575, rv. 651358.
[6] Cass. civ., sez. I, 15 dicembre 2011, n. 27086; Cass. civ., sez. VI, 15 febbraio 2018, n. 3782. Sull’insussistenza del requisito dell’“imprevedibilità” in caso di preesistente contrasto giurisprudenziale, la sentenza in commento cita anche la giurisprudenza penale di legittimità sul divieto di applicazione retroattiva del mutamento giurisprudenziale relativo all’interpretazione di norme sostanziali, vd. Cass., sez. V, 24 aprile 2018, n. 37857; Cass., sez. V, 17 maggio 2018, n. 41846; Cass., sez. V, 17 giugno 2016, n. 31648; Cass., sez. V, 9 luglio 2018, n. 47510; Cass., sez. V, 12 dicembre 2018, dep. 2019, n. 13178; Cass. sez. V, 3 marzo 2020, n. 12747.
[7] Cass., sez. II, 18 febbraio 2016, n. 21596; Cass., sez. F, 1 agosto 2013, n. 35729.
[8] La bibliografia è ormai molto ampia. Tra i numerosissimi contributi, ci limitiamo qui a segnalare quelli contenuti in C.E. Paliero – S. Moccia – G.A. De Francesco – G. Insolera – M. Pelissero – R. Rampioni – L. Risicato (a cura di), La crisi della legalità. Il “sistema vivente delle fonti penali” – Atti del Convegno dell’AIPDP, Napoli, 7-8 novembre 2014, ESI, Napoli, 2016; A. Cadoppi (a cura di), Cassazione e legalità penale, Dike, 2017; vd. anche M. Donini, Il diritto giurisprudenziale penale, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., n. 3, 2016, p. 13; A. Cadoppi, Il valore del precedente nel diritto penale, Giappichelli, 2a ed., 2014; V. Manes, Common Law-isation del diritto penale? Trasformazioni del nullum crimen e sfide prossime future, in E.M. Ambrosetti (a cura di), Studi in onore di Mauro Ronco, Giappichelli, 2017, p. 151.
[9] Vd. C. Edu, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia (n. 3), in Dir. pen. cont., 4 maggio 2014, con nota di C. Conigliaro, La Corte EDU sul concorso esterno nell'associazione di tipo mafioso: primissime osservazioni alla sentenza Contrada; vd. ex pluribus D. Pulitanò, Paradossi della legalità. Fra Strasburgo, ermeneutica e riserva di legge, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 2, 2015, p 46; F. Palazzo, La sentenza Contrada e i cortocircuiti della legalità, in Dir. pen. proc., 2015, p. 1061; S.E. Giordano, Il “concorso esterno” al vaglio della Corte Edu: prime riflessioni sulla sentenza Contrada contro Italia, in Arch. pen., n. 2/2015.
[10] I c.d. criteri Engel (la cui denominazione trae origine dalla sentenza nella quale sono stati elaborati vd. C. Edu, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi) costituiscono ormai un punto fermo della giurisprudenza di Strasburgo, vd. ex multis Corte Edu, Oztürk c. Repubblica federale tedesca, 21 febbraio 1984, in Riv. it. dir. pen. proc., con nota di C.E. Paliero, «Materia penale» e illecito amministrativo secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: una questione «classica» a una svolta radicale, 1985, p. 894; C. Edu, Welch c. Regno Unito, 26 febbraio 1996; C. Edu, Jussila vs. Finlandia, 23 novembre 2006.
[11] Sulle sanzioni amministrative in materia di market abuse vd. le ormai celebri C. Edu, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, in Dir. pen. cont., 9 marzo 2014, con nota di A.F. Tripodi, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L’Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato, C. Edu, Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, in Dir. pen. cont., 18 novembre 2016, con nota di F. Viganò, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio; in materia tributaria si veda per tutte C. Edu, 18 maggio 2017, Jóhannesson e a. c. Islanda, in Dir. pen. cont., 22 maggio 2017, con nota di F. Viganò, Una nuova sentenza di Strasburgo su ne bis in idem e reati tributari.
[12] Vd. C. Edu, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, in Dir. pen. cont., 30 ottobre 2013, con nota di F. Mazzacuva, La Grande Camera della Corte Edu su principio di legalità della pena e mutamenti giurisprudenziali sfavorevoli.
[13] Vd. C. Edu, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia (n. 3), cit.; vd. anche C. Edu, 15 novembre 1996, Cantoni c. Francia; C. EDU, Grande Camera, 12 febbraio 2018, Kafkaris c. Cipro.
[14] Vd. C. Edu, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, in Cass. pen., 2010, p. 832, con nota di G. Ichino, L’affaire Scoppola c. Italia e l’obbligo dell’Italia di conformarsi alla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo.
[15] Vd. Corte Cost., sent. 23 marzo 1988, n. 364; sent. 19 luglio 2011, n. 236; sent. 23 novembre 2006, n. 394; da ultimo vd. sent. 18 novembre 2020, n. 278. Oltre a tale ratio tradizionale, la Corte Cost., nella sentenza 12 febbraio 2020, n. 32, ne ha individuata una seconda, corrispondente alla necessità di erigere «un bastione a garanzia dell’individuo contro possibili abusi da parte del potere legislativo, da sempre tentato di stabilire o aggravare ex post pene per fatti già compiuti».
[16] Vd. C. Edu, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, cit. – sentenza nota soprattutto per aver riconosciuto il principio di retroattività della lex mitior in materia penale – in cui la Corte EDU qualificava l’art. 442, co. 2, c.p.p. come norma di diritto penale sostanziale, in virtù del suo impatto sulla species e sul quantum della pena applicabile.
[17] Vd. C. Edu, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, cit.
[18] C Edu, 12 febbraio 2004, Mione c. Italia.
[19] C. Edu, 10 luglio 2007, Rasnik c. Italia.
[20] Vd. C. Edu, 27 aprile 2010, Morabito c. Italia, in cui la Corte europea ha ritenuto di natura processuale e, quindi, non sottoposte al divieto di applicazione retroattiva le disposizioni che regolano i requisiti per l’accesso al rito premiale.
[21] Sul tema del rapporto tra tempus regit actum e affidamento processuale vd. M. Chiavario, Norme processuali penali nel tempo: sintetica rivisitazione (a base giurisprudenziale) di una problematica sempre attuale, in Legisl. pen., 31 luglio 2017, p. 6; O. Mazza, La carcerazione immediata dei corrotti: una forzatura di diritto intertemporale nel silenzio complice del legislatore, in Arch. pen., 2/2019, p. 6 ss.
[22] Fondamentali a tal proposito sono M. Siniscalco, Irretroattività delle leggi in materia penale, Giuffrè, 1987; O. Mazza, La norma processuale penale nel tempo, Giuffrè, 1999; M. Chiavario, voce Norma giuridica (dir. proc. pen.), in Enc. dir., XXVIII, 1978; più recentemente – e in chiave di problematizzazione del principio del tempus regit actum – vd. F. Consulich, Actus regit tempus? La modulazione della legalità intertemporale all’intersezione tra diritto penale e processo, in Criminalia, 2019; G. Trinti, Principio del tempus regit actum nel processo penale ed incidenza sulle garanzie dell’imputato, in Dir. pen. cont., 9/2017.
[23] Corte Cost., 24 marzo 1988, n. 364.
[24] Cass. civ., sez. II, ord. 17 giugno 2010, n. 14627; la fortunata espressione sarà ripresa anche dalla giurisprudenza successiva, vd. ex pluribus Cass. civ., Sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144; Cass. civ., 21 dicembre 2012, n. 23836.
[25] Vd. Corte Cost., sent. 19 novembre 2012, n. 264: «[il] divieto di retroattività della legge […] pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost.».
[26] Sembrano invece ricondurre il tema dell’affidamento processuale alla ratio – seppur intesa in maniera estensiva – dell’art. 25, co. 2, Cost., M. Chiavario, Norme processuali penali nel tempo: sintetica rivisitazione (a base giurisprudenziale) di una problematica sempre attuale, cit., O. Mazza, La carcerazione immediata dei corrotti: una forzatura di diritto intertemporale nel silenzio complice del legislatore, cit., p. 6.
[27] In questo senso vd. V. Manes – F. Mazzacuva, Irretroattività e libertà personale: l'art. 25, secondo comma, Cost., rompe gli argini dell'esecuzione penale, in Sist. pen., 23 marzo 2020; F. Consulich, Actus regit tempus, cit., p. 17, che cita anche gli artt. 13 e 2 Cost. («non può certo definirsi inviolabile quel diritto dell’individuo che sia alla mercé di una legge sopravvenuta e non conosciuta»).
[28] Vd. C. Edu, 24 giugno 2014, Azienda Agricola Silverfunghi sas c. Italia; C. Edu, 31 maggio 2011, Maggio c. Italia.
[29] La Corte reputa infatti la stabilità del quadro normativo una “possession” ai sensi dell’art. 1 prot. add. 1. Solitamente, la Corte ritiene violati contestualmente l’art. 6 e l’art. 1 prot. add. 1, vd. C. Edu, 11 aprile 2002, Smokovits c. Grecia; C. Edu, 3 settembre 2013, M.C. c. Italia.
[30] Corte Cost., sent. 4 luglio 2013, n. 170; vd. anche sent. 5 aprile 2012, n. 78; sent. 7 giugno 2010, n. 209; sent. 10 luglio 2002, n. 394.
[31] Sull’efficacia intertemporale delle leggi interpretative si vd. O. Mazza, La norma processuale penale nel tempo, cit. p. 257 ss.; A. Pugiotto, La legge interpretativa e i suoi giudici. Strategie argomentative e rimedi giurisdizionali, Giuffrè, 2003; D. Zanoni, Retroattività ed interpretazione autentica nel gioco del bilanciamento tra le Corti, in Rivista Aic, 25 maggio 2020.
[32] Allo stesso modo, nel sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6, lett. b), della l. n. 3/2019 (c.d. Spazzacorrotti) – che modificava l’art. 4-bis ord. penit., estendendo il regime ostativo ivi previsto ai delitti di cui agli artt. 318, 319, 319-quater e 321 c.p., omettendo tuttavia di introdurre un regime transitorio per i procedimenti in corso – alcuni ricorrenti lamentavano la violazione, oltre che dell’art. 25, co. 2, Cost., anche dell’art. 24 Cost., allegando che l’applicazione retroattiva delle nuove disposizioni avrebbe vanificato le strategie processuali dell’imputato, il quale «potrebbe avere chiesto l’applicazione di un rito alternativo confidando in una diminuzione di pena sufficiente a poter beneficiare della sospensione dell’ordine di esecuzione; sospensione che, invece, non potrebbe essere più accordata in forza dell’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019». I giudici costituzionali, tuttavia, nel dichiarare incostituzionale la norma per contrasto con l’art. 25, co. 2, Cost., hanno ritenuto assorbito il motivo fondato sull’art. 24 Cost. La scelta non pare del tutto condivisibile, stante l’autonomia del profilo del diritto di difesa rispetto a quello inerente l’irretroattività della norma penale, vd. in questo senso V. Manes – F. Mazzacuva, Irretroattività e libertà personale: l'art. 25, secondo comma, Cost., rompe gli argini dell'esecuzione penale, cit., p. 11.
[33] Sul punto vd. diffusamente G. Fidelbo, Verso il sistema del precedente? Sezioni unite e principio di diritto, in Dir. pen. cont., 29 gennaio 2018; sul rapporto tra art. 618, co. 1-bis, c.p.p. e prospective overruling vd. A. Caputo – G. Fidelbo, Appunti per una discussione su ruolo della Corte di cassazione e "nuova" legalità, in Sist. pen., 3/2020, p. 108.
[34] Così A. Caputo – G. Fidelbo, Appunti per una discussione su ruolo della Corte di cassazione e "nuova" legalità, cit., p. 108.
[35] M. Condorelli – L. Pressacco, Overruling e prevedibilità della decisione, in Questione Giustizia, 4/2018.
[36] Cass., sez. II, 06 maggio 2010, n. 19716, Merlo; Cass., sez. VI, 26 maggio 2008, n. 29684, Sorce; Cass., sez II, 16 ottobre 2019, n. 44678; Cass. sez. VI, 25 febbraio 2020, n. 14051.
[37] In Cass., sez. VI, 26/05/2008, n. 29684, Sorce, la Cassazione annullava una sentenza di condanna che aveva stabilito – conformemente all’orientamento giurisprudenziale allora prevalente – l’utilizzabilità di intercettazioni ambientali eseguite mediante l’impiego di impianti esterni, senza che il mancato uso degli strumenti in dotazione alla procura fosse motivato: in questo caso, a parere della Corte, il principio successivamente affermato dalle Sezioni Unite con sentenza 31 ottobre 2001 n. 42792, Policastro – che equiparava intercettazioni ambientali e telefoniche quanto all’obbligo di motivazione suddetto – doveva essere applicato retroattivamente. In Cass., sez. VI, 25/02/2020, n. 14051, la Corte stabiliva che le intercettazioni assunte in violazione dei principi stabiliti dalla sentenza Sezioni Unite del 28 novembre 2019, n. 51. Cavallo, erano illegittime, benché l’orientamento giurisprudenziale allora prevalente le consentisse.
[38] In Cass., sez II, 16 ottobre 2019, n. 44678, la Cassazione annullava una sentenza di condanna per vizio di competenza, rilevando che la competenza territoriale era stata stabilita sulla base di un orientamento giurisprudenziale che – benché prevalente ai tempi in cui era stato celebrato il processo di primo grado – era stato superato dalla sentenza delle Sezioni Unite del 24 novembre 2017, n. 53390.
[39] Il lavoro ad oggi più completo è A. Villa, Overruling processuale e tutela delle parti, Giappichelli, 2018, al quale si rinvia per una più approfondita bibliografia e per gli opportuni riferimenti giurisprudenziali.
[40] Ex pluribus vd. C. Consolo, Le Sezioni Unite tornano sull’overulling, di nuovo propiziando la figura dell’avvocato «interned addicted» e pure «veggente», in Giur. Cost., 2012, 4, 3166; R. Caponi, Retroattività del mutamento di giurisprudenza: limiti, in Foro it., 2011, I, 3344.; G. Verde, Mutamento di giurisprudenza e affidamento incolpevole (considerazioni sul difficile rapporto tra il giudice e la legge), in Riv. dir. proc., n. 1/2012, p. 6; C. Vanz, «Overruling», preclusioni e certezza delle regole processuali, in Riv. dir. proc., 2012, p. 1078.
[41] L’espressione prospective overruling è ormai invalsa nelle decisioni della Suprema Corte, vd. Cass., 2 agosto 2018, n. 20472; Cass., 23 gennaio 2014, n. 1361, in Foro it., 2014, I, 719.
[42] In questo vd. E. Vincenti, Note minime sul mutamento di giurisprudenza (overruling) come (possibile?) paradigma di un istituto giuridico di carattere generale, in Cass. pen., fasc. 12, 2011, pag. 4126B.
[43] Vd. ex multis Cass., Sez. IV, 18 ottobre 2017, n. 55106; Cass., Sez. VI, 20 dicembre 2016, dep. 2017, n. 3631; Cass., Sez. VI, 31 marzo 2016, n. 18716, Cass., Sez. II, 02 aprile 2015, n. 16066; Cass., Sez. III, 5 giugno 2013, n. 39437; Cass., Sez. I, 30 novembre 2012, dep. 2013, n. 1801.
[44] Vd. giurisprudenza citata alla nota precedente.
[45] E. Vincenti, Note minime sul mutamento di giurisprudenza (overruling) come (possibile?) paradigma di un istituto giuridico di carattere generale, cit.