Cass., Sez. V, ord. 1 marzo 2021 (dep. 20 aprile 2021), n. 14916, Pres. Bruno, Rel. Riccardi
1. Abbiamo già dato atto sulle pagine di questa Rivista del contrasto interpretativo recentemente emerso nella giurisprudenza di legittimità intorno al controverso rapporto tra la fattispecie di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. (per essere stato commesso “dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612-bis nei confronti della stessa persona offesa”) e il delitto di atti persecutori (di cui al richiamato art. 612-bis c.p.). A un’iniziale presa di posizione da parte della sentenza n. 20786 del 2019 della Prima Sezione della Corte di cassazione[1] nel senso del concorso di reati è infatti seguita, a distanza di pochi mesi, la sentenza n. 30931 del 2020 della Terza Sezione[2], orientata a rintracciare nella fattispecie aggravata di cui all’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. un’ipotesi di reato complesso, in cui il delitto di stalking dovrebbe ritenersi assorbito.
Detto contrasto giurisprudenziale, nondimeno, potrebbe presto trovare un’autorevole composizione: con l’ordinanza in epigrafe, infatti, la Quinta Sezione della Suprema Corte – chiamata a sua volta a prendere posizione in ordine al problema sopra delineato – ha deciso di rimettere la questione alle Sezioni Unite. Oggetto del quesito a quest’ultime sottoposto è, nello specifico, «Se, in caso di concorso tra i fatti-reato di atti persecutori e di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, comma primo, n. 5.1, cod. pen., sussista un concorso di reati, ai sensi dell’art. 81 c.p., o un reato complesso, ai sensi dell’art. 84, comma 1, cod. pen., che assorbe integralmente il disvalore della fattispecie di cui all’art. 612-bis cod. pen. ove realizzato al culmine delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall’agente ai danni della medesima persona offesa».
2. La drammatica vicenda sottoposta all’esame della Suprema Corte concerneva l’uccisione di una donna da parte di una collega, la quale, a seguito di una colluttazione, l’aveva fatta precipitare da una rampa di scale. Oltre all’omicidio, oggetto d’imputazione erano anche ripetute condotte di atti persecutori commesse dall’imputata nel corso del rapporto lavorativo, estrinsecatesi in plurime molestie, minacce e ingiurie che avevano ridotto la vittima in uno stato d’ansia e di timore tali da renderle insopportabile la presenza sul luogo di lavoro e da indurla a programmare la cessazione anticipata del rapporto.
La Corte d’Assise d’appello di Roma – all’esito di una vicenda giudiziaria su cui in questa sede non ci soffermeremo – aveva da ultimo condannato l’imputata per i delitti di omicidio doloso aggravato ai sensi dell’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. e di atti persecutori, in continuazione tra loro. In sede di ricorso per cassazione la difesa contestava, tra l’altro, l’erroneità del riconoscimento del concorso tra i reati in questione, mettendo in luce come l’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p., quale reato complesso, di per sé avrebbe assorbito il disvalore del reato di cui all’art. 612-bis c.p.
3. La Quinta Sezione della Corte, come si anticipava, alla luce del contrasto delineatosi nella giurisprudenza di legittimità con le due pronunce di cui sopra ha ritenuto necessario rimettere il ricorso alle Sezioni Unite. I richiamati precedenti della Suprema Corte, infatti, pur essendo quantitativamente poco rilevanti, hanno fatto emergere due orientamenti nettamente contrapposti in ordine al problema – qui oggetto di attenzione – del rapporto tra le fattispecie di cui agli artt. 576 c. 1 n. 5.1. e 612-bis c.p.
3.1. Il primo orientamento, espresso dalla sentenza n. 20786/2019 e accolto anche dalla Corte d’Assise d’appello di Roma nel caso di specie, nega l’assorbimento del delitto di stalking in quello di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p., in quanto le due fattispecie non si troverebbero tra loro in rapporto di specialità.
Alla base di questa interpretazione vi è il dato letterale: poiché il legislatore ha descritto l’ipotesi di cui al n. 5.1. dell’art. 576 c. 1 facendo riferimento all’“autore del delitto previsto dall’art. 612-bis” (e non valorizzando la sussistenza di un rapporto di occasionalità tra i delitti in questione, come nel precedente n. 5), all’elemento aggravatore all’interno di tale fattispecie andrebbe riconosciuto carattere soggettivo, ancorandolo alla mera identità tra l’autore del delitto di omicidio e l’autore del delitto di stalking.
La figura aggravata in esame, cioè, non sarebbe destinata a punire le condotte di atti persecutori poi sfociate nell’omicidio della vittima, ma piuttosto a sanzionare più severamente fatti di omicidio resi di per sé più gravi «dall’essere l’autore colui che prima, non importa quando, ha oppresso la vittima con atti persecutori»[3]. I fatti di atti persecutori, conseguentemente, conserverebbero autonoma rilevanza ai sensi dell’art. 612-bis c.p., il quale secondo questo indirizzo è punibile in concorso con il delitto di omicidio aggravato, stante l’assenza di qualsiasi interferenza tra i due reati a livello di fattispecie astratte.
3.2. Il secondo orientamento, più recentemente accolto dalla Suprema Corte con la sentenza n. 30931/2020, giunge a una conclusione opposta. La Terza Sezione della Corte, prendendo consapevolmente le distanze dal proprio precedente, ha infatti ritenuto che l’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. configuri un vero e proprio reato complesso ai sensi dell’art. 84 c. 1 c.p., assorbendo integralmente il disvalore delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall’agente ai danni della medesima persona offesa, di cui l’omicidio costituisce il momento culminante.
Per sconfessare l’argomento letterale avanzato dalla tesi contrapposta, la Cassazione ha sottolineato come l’«infelice e incerta» formulazione della disposizione citata non possa giustificarne un’interpretazione soggettivistica incentrata sul tipo di autore, poiché «la pena si giustifica non per ciò che l’agente è, ma per ciò che ha fatto. In altri termini, ciò che aggrava il delitto di omicidio non è il fatto che esso sia commesso dallo stalker in quanto tale, ma che esso sia stato preceduto da condotte persecutorie che siano tragicamente culminate, appunto, con la soppressione della vita della persona offesa»[4].
È la particolare connessione sussistente in questi casi tra i fatti di atti persecutori e di omicidio, dunque, a richiedere l’applicazione della severa pena dell’ergastolo comminata dall’art. 576 c.p. e a fondare la fattispecie complessa di cui al n. 5.1. Una diversa conclusione, ha osservato la Corte, si tradurrebbe in un’interpretatio abrogans dell’art. 84 c. 1 c.p., con contestuale violazione del principio del ne bis in idem sostanziale alla base della disciplina del reato complesso, il quale vieta di addossare uno stesso fatto due volte alla medesima persona[5].
4. Nel sottoporre a vaglio critico questi due orientamenti, la Quinta Sezione della Cassazione rintraccia due questioni interpretative di rilievo, delle quali la seconda «rappresenta l’esito della risoluzione della prima questione, ma ne costituisce contemporaneamente anche il presupposto logico»[6]:
a) il problema del rapporto astratto tra le fattispecie in esame, e dunque dell’applicabilità o meno della disciplina di cui all’art. 84 c.p.;
b) il problema dell’interpretazione dell’aggravante di cui all’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p.
4.1. Sotto il primo profilo, l’ordinanza mette in luce, in via preliminare, che il caso in esame non concerne un unico fatto, bensì un’ipotesi di pluralità di fatti-reato di per sé autonomamente suscettibili di acquisire rilevanza penale ai sensi di diverse norme incriminatrici (omicidio e atti persecutori); per questo motivo, il problema del conflitto tra norme non potrebbe essere risolto ai sensi dell’art. 15 c.p., che impone l’applicazione del criterio della specialità nei casi in cui un identico fatto sia suscettibile di una plurima qualificazione normativa, né sulla base della clausola di riserva presente all’interno dell’art. 612-bis c.p., che recita “salvo che il fatto costituisca più grave reato”[7].
Questa considerazione vale, secondo la Corte, a negare fondamento all’argomento dell’assenza di interferenza tra le fattispecie di omicidio aggravato e di atti persecutori avanzato dalla Prima Sezione nella sentenza n. 20786/2019. La disciplina di riferimento andrebbe difatti individuata non nell’art. 15 c.p., ma nell’art. 84 c.p.: atteso che, in assenza dell’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. i delitti di omicidio e atti persecutori potrebbero pacificamente concorrere, «ciò che rileva è la formulazione, a livello di fattispecie astratta, di un’aggravante del delitto di omicidio che racchiude la tipizzazione del delitto di atti persecutori»[8].
4.2. Entrando dunque nel merito del significato da attribuire alla disposizione di cui all’art. 576 c.1 n. 5.1. c.p., la Quinta Sezione ritiene di non poter aderire all’interpretazione soggettivistica proposta dalla Prima Sezione, la quale a suo giudizio si scontra con l’impostazione oggettivistica del diritto penale e, più precisamente, con i principi costituzionali di materialità e offensività; come invero riconosciuto anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 249 del 2010 (nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della c.d. aggravante della clandestinità introdotta all’art. 61 n. 11-bis c.p.), l’art. 25 c. 2 Cost., ponendo il fatto alla base della responsabilità penale, «prescrive (…), in modo rigoroso, che un soggetto debba essere sanzionato per le condotte tenute e non per le sue qualità personali»[9].
La necessità di ancorare l’aggravante in esame a un rapporto di connessione finalistica e/o temporale tra il fatto di omicidio e il fatto di atti persecutori, peraltro, a giudizio del rimettente emerge chiaramente dalla stessa disposizione normativa, la quale valorizza non solo l’identità dell’autore dei fatti-reato, ma altresì della persona offesa.
In questo senso, non costituirebbe un valido argomento contrario neanche la diversità tra la locuzione utilizzata dal legislatore al n. 5.1. rispetto alla formulazione del precedente n. 5, fattispecie che, secondo pacifica interpretazione giurisprudenziale, costituisce sicuramente un’ipotesi di reato complesso; si osserva infatti che «l’omicidio commesso dallo stalker ai danni della propria vittima (…) piuttosto che essere commesso “in occasione” o “contestualmente” agli atti persecutori è, di solito, preceduto e “preparato” da quest’ultimi, secondo una logica di progressione: ed in questo risiede la particolare connessione tra i fatti di reato in questione, i quali, anche se separati sul piano cronologico, costituiscono espressione della medesima volontà persecutoria, che, secondo la valutazione politico-criminale del legislatore basata su fondamenti criminologici, spinge l’autore del reato prima a commettere le reiterate condotte di minaccia o molestia e poi, da ultimo, alla condotta omicida»[10].
Alla luce di queste considerazioni e di un’interpretazione costituzionalmente orientata, l’art. 576 c. 1 n. 5.1 c.p. dovrebbe essere correttamente considerato quale reato complesso c.d. del secondo tipo, derivante dall’unificazione normativa di due reati in una forma aggravata di uno solo di essi. La norma, peraltro, appare considerare pienamente il maggior disvalore connesso all’abitualità del reato di atti persecutori che sfocino nel fatto di omicidio, atteso che l’applicazione del solo omicidio aggravato comporta comunque l’applicazione di una pena più severa (l’ergastolo) a quella che potrebbe derivare dall’applicazione delle regole del concorso di reati (30 anni di reclusione).
5. Chiarita la propria posizione, la Quinta Sezione ritiene tuttavia preferibile rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, tenuto conto della rilevanza della questione delineata e dell’esistenza di un – pur iniziale – contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
A queste ultime spetterà, dunque, il compito di assegnare una soluzione (auspicabilmente) definitiva al problema della riscontrabilità nell’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. di un reato complesso: problema che non solo si riflette sul rapporto tra la fattispecie di omicidio aggravato e il delitto di atti persecutori, ma appare suscettibile di acquisire rilevanza anche nel caso – più frequente nella prassi giudiziaria – del concorso tra i delitti di atti persecutori e di lesioni, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 585 c.p. all’art. 576 c.p.
Nell’attesa dell’intervento delle Sezioni Unite, ci limitiamo, per ora, a rinviare alle considerazioni di merito già svolte in un precedente commento su questa Rivista, che ci trovano sostanzialmente concordi con quanto ora sostenuto dalla Quinta Sezione della Corte.
[1] Cass. pen., Sez. I, 12 aprile 2019 (dep. 14 maggio 2019), n. 20786, con commento di C. Cataneo, La Cassazione sull’omicidio aggravato dall’essere stato commesso dall’autore di atti persecutori: reato complesso o concorso di reati?, 14 maggio 2020.
[2] Cass. pen., Sez. III, 13 ottobre 2020 (dep. 6 novembre 2020), n. 30931, con commento di S. Bernardi, La Cassazione torna sul rapporto tra l’omicidio aggravato ex art. 576 c. 1 n. 5.1 c.p. e il delitto di atti persecutori: escluso (questa volta) il concorso di reati, 8 gennaio 2021
[3] Cass. pen., Sez. I, 12 aprile 2019 (dep. 14 maggio 2019), n. 20786, § 1.3.
[4] Cass. pen., Sez. III, 13 ottobre 2020 (dep. 6 novembre 2020), n. 30931, § 7.
[5] L’ordinanza in commento mette in luce come nella sentenza n. 30931/2020 il ricorrente lamentasse più propriamente una violazione del ne bis in idem processuale, codificato dall’art. 649 c.p.p.; la nozione di bis in idem processuale, viene ricordato, non coincide con quella di bis in idem sostanziale: la prima ha riguardo al rapporto tra il fatto storico oggetto di giudicato e il nuovo giudizio, prescindendo dalla loro qualificazione giuridica, mentre la seconda concerne il rapporto tra fattispecie astratte, prescindendo dal fatto storico. Ciò, mette in luce la Corte, «non priva di rilevanza, tuttavia, la questione controversa, concernente la configurabilità di un reato complesso o di un concorso di reati tra il delitto di omicidio aggravato dall’art. 576, comma 1, n. 5.1. cod. pen. e il delitto di atti persecutori» (cfr. § 4.1 della pronuncia in commento).
[6] Cfr. § 6 dell’ordinanza in commento.
[7] Per le medesime considerazioni cfr. anche C. Cataneo, La Cassazione sull’omicidio aggravato dall’essere stato commesso dall’autore di atti persecutori, cit.
[8] Cfr. § 7.3 dell’ordinanza in commento.
[9] Cfr. Corte cost., sentenza del 5 luglio 2010 (dep. 8 luglio 2010), n. § 9.
[10] Cfr. § 8.2 dell’ordinanza in commento; sul punto può rimandarsi anche a S. Bernardi, La Cassazione torna sul rapporto tra l’omicidio aggravato ex art. 576 c. 1 n. 5.1 c.p. e il delitto di atti persecutori, cit.