Cass., Sez. III, sent. 10 luglio 2019 (dep. 15 gennaio 2020), n. 1420, Pres. Lapalorcia, Rel. Liberati
1. Quasi due anni fa la Cassazione affrontò per la prima volta a fondo il tema dell’automatica estensione della clausola di particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. alla responsabilità da reato degli enti come regolata dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (Cass. Pen., Sez. III, sent. 17 novembre 2017, n. 9072[1]). In seguito, Cass. Pen., Sez. III, sent. 23 gennaio 2019, n. 11518, nel silenzio protratto del legislatore, andò oltre, arrivando a mettere in dubbio la possibilità stessa di ritenere applicabile tale clausola al sistema della responsabilità degli enti.
Nel solco segnato da questi recenti arresti giurisprudenziali, si inserisce la pronuncia in commento, con la quale la Suprema Corte conferma e ribadisce, senza esitazioni, la linea interpretativa assunta in precedenza, giungendo a conclusioni piuttosto nette.
2. Questa, in breve, la vicenda portata all’attenzione della III Sezione Penale della Corte di Cassazione. Ai sensi dell’art. 131-bis c.p.[2], il Tribunale aveva assolto, considerata la particolare tenuità del fatto, una società in nome collettivo di autotrasporti dall’illecito amministrativo di cui all’art. 25-undecies D.lgs. n. 231/01, in relazione al reato-presupposto di cui all’art. 256 D.lgs. n. 152/06 (cd. Codice dell’ambiente) commesso, nell’interesse della società, da parte del suo legale rappresentante. Lo stesso, infatti, aveva eseguito attività di recupero di rifiuti speciali – non pericolosi – senza rispettare le prescrizioni di legge. In relazione a tale unico fatto, il Tribunale aveva ritenuto, alla luce degli “indici-criteri” dettati dall’art. 131-bis c.p., l’offesa cagionata particolarmente tenue (considerato il modesto vantaggio conseguito dall’ente e la riparazione successiva) ed il comportamento non abituale, così procedendo ad assolvere la società dall’illecito commesso.
Ad ulteriore sostegno delle proprie conclusioni, il Giudice del primo grado aveva inoltre evidenziato il mancato richiamo delle cause di non punibilità (in particolare dell’art. 131-bis c.p.) tra quelle che, secondo il dettato di cui all’art. 8 D.lgs. n. 231/01, fanno sussistere una responsabilità autonoma dell’ente rispetto a quella dell’autore del reato-presupposto, così considerando automatica l’estensione della causa di non punibilità[3].
Avverso questa decisione, il PG presso la Corte d’Appello territorialmente competente ha proposto ricorso per Cassazione rilevando, da un lato, che la causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis c.p. sarebbe applicabile solamente ai reati e non anche agli illeciti amministrativi commessi dagli enti, dall’altro, che la responsabilità delle persone giuridiche ex D.lgs. n. 231/01 è del tutto autonoma rispetto a quella delle persone fisiche che hanno agito nel loro interesse (che ben potrebbero venire assolte dalle proprie responsabilità penali per particolare tenuità del fatto[4]).
Inoltre, si lamenta come il richiamo operato dal Tribunale all’art. 8 D.lgs. n. 231/01 sia frutto di un’interpretazione sistematica erronea, in quanto, l’art. 131-bis c.p., non era ancora stato introdotto nell’ordinamento nel momento in cui è stata approvata la disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti e quindi non poteva essere contemplato da tale disposizione.
La Cassazione, ha ritenuto, per la verità senza particolare sforzo argomentativo ma accodandosi alle affermazioni di principio della giurisprudenza citata in apertura, di accogliere le doglianze esposte dal Procuratore Generale, escludendo la possibilità di estendere l’art. 131-bis c.p. alla responsabilità dell’ente ed annullando la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale territorialmente competente.
3. Le questioni che la Cassazione ha dovuto affrontare sono quindi sostanzialmente due: in primo luogo, chiarire se la responsabilità dell’ente sia autonoma rispetto a quella penale dell’autore del reato-presupposto e quindi se possa residuare una responsabilità amministrativa dell’ente a seguito di un proscioglimento per tenuità del fatto di quest’ultimo, in seconda battuta, se la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. sia comunque applicabile, in concreto e secondo i criteri legislativamente definiti, anche alla responsabilità amministrativa degli enti.
4. Rispetto alla prima questione, il Collegio non ha avuto esitazioni nell’affermare, richiamandosi ad una giurisprudenza consolidata[5], la natura del tutto autonoma della responsabilità dell’ente rispetto a quella penale di colui che ponga in essere il reato presupposto.
Infatti, la responsabilità amministrativo-penale (per correttamente definirla) da organizzazione trova nella commissione di un reato da parte della persona fisica solamente un presupposto necessario ma non sufficiente.
Pertanto, deve escludersi che «l’eventuale applicazione all’agente della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto impedisca di applicare all’ente la sanzione amministrativa» dovendo egualmente il Giudice procedere all’accertamento della responsabilità dell’ente, fondata sulla colpa organizzativa, senza che possa operare alcun automatismo[6].
Nello stesso senso, non è ritenuto dirimente per considerare automaticamente estensibile agli enti l’art. 131-bis c.p., il richiamo che il Tribunale fa alla mancata menzione nell’art. 8 del D.lgs. n. 231/01 delle cause di non punibilità, considerato che l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è stata inserita dal legislatore in tempi successivi e senza operare alcun adeguamento normativo[7].
5. La risposta al secondo quesito, invece, è legata a doppio filo con la natura che, aldilà del nomen iuris, si attribuisce alla responsabilità amministrativa dell’ente per i fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai propri dirigenti o dai soggetti sottoposti alla loro direzione. Infatti, se la responsabilità penale, per espressa previsione legislativa, può certamente essere esclusa al ricorrere dei presupposti indicati dall’art. 131-bis c.p., lo stesso non può dirsi per la responsabilità amministrativa.
Sul punto, evidenzia la Corte, hanno ormai preso posizione, al termine di un lungo ed articolato dibattito, le Sezioni Unite n. 38343 del 24 aprile 2014, individuando nella responsabilità ex D.lgs. n. 231/01 un tertium genus che ha punti di contatto sia col sistema penale che con quello amministrativo e che quindi non consente l’applicazione automatica ed immediata di tutti gli istituti riferibili alla responsabilità penale (e lo stesso vale per quella amministrativa).
Pertanto, considerato che non ci troviamo di fronte ad una responsabilità penalistica in senso stretto, il Collegio ritiene che non sia possibile applicare la causa di non punibilità essendo questa «espressamente e univocamente riferita alla realizzazione di un reato […] mentre [la responsabilità] dell’ente trova nella realizzazione di un reato solamente il proprio presupposto storico, ma è volta a sanzionare la colpa di organizzazione dell’ente».
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6. Se le conclusioni a cui pervengono i Giudici in questa sentenza risultano chiare ed inequivoche, non si può evitare di notare come lo sforzo argomentativo sia limitato a richiamare enunciazioni di principio svolte in precedenti occasioni. Tuttavia, la problematica, anche in ragione della grande rilevanza pratica che potenzialmente riveste[8] e delle poche pronunce di legittimità fino ad oggi occorse, meritava forse un maggiore grado di approfondimento.
Il terreno in cui ci si muove, infatti, è quello del vuoto normativo, il che richiede che l’attenzione sia sempre massima e gli esiti, soprattutto se tesi ad allargare l’area della punibilità, rispettosi del principio di stretta legalità penale il quale deve valere anche per la responsabilità amministrativo-penale degli enti. Senza la pretesa di volerne verificare la tenuta in questo contesto, può essere comunque utile delineare quelli che sono i punti focali della discussione ed i principali approdi raggiunti dalla giurisprudenza di legittimità alle cui affermazioni di principio si richiama la sentenza in commento.
7. Partendo dalla dichiarata autonomia delle due responsabilità e quindi dall’impossibilità per l’art. 131-bis c.p. di allungare automaticamente i propri tentacoli sulla responsabilità amministrativo-penale da organizzazione dell’ente, è chiaro che l’attenzione vada posta sull’art. 8 D.lgs. n. 231/01, che si occupa proprio dei rapporti tra la responsabilità citata e quella, individuale, del soggetto agente.
A seconda della lettura che si offre della norma, letterale o sistematica, si è infatti indotti a ritenere la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto estensibile automaticamente o meno.
Seguendo un’interpretazione strettamente aderente al dettato normativo, le ipotesi in cui la responsabilità dell’ente è autonoma, sarebbero soltanto quelle ivi indicate: l’impossibilità di identificare l’autore del reato, la non imputabilità dello stesso e l’estinzione del reato per una causa diversa dall’amnistia. Evidentemente, l’art. 131-bis c.p. non rientra in nessuna delle dette categorie. Questo d’altronde è, come abbiamo già visto, uno degli argomenti che hanno spinto il Tribunale, nella vicenda che di cui ci occupiamo, ad assolvere l’ente ex art. 131-bis c.p..
Tuttavia, Cass. Pen., Sez. III, sent. 17 novembre 2017 n. 9072[9], ha indicato che la via da seguire, al fine di evitare irragionevolezze ed aporie di sistema, è quella dell’interpretazione sistematico-teleologica della norma de qua.
La causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis c.p. interviene, infatti, solamente per ragioni di “opportunità punitiva” e di deflazione, legate alla “necessità di pena”, permettendo al giudice di non punire un fatto che integra tutti gli elementi costitutivi del reato[10]. Sarebbe allora asistematico, punire nei casi in cui il reato è estinto (per esempio, per prescrizione[11]) e non quando è perfetto ma non perseguito e sanzionato per ragioni di mera opportunità e politica criminale[12].
Secondo questa lettura, pertanto, l’art. 8 D.lgs. n. 231/01 preciserebbe solamente i casi in cui l’ente è sicuramente punibile in via autonoma, ma non direbbe in nessun modo che sarebbero soltanto quelli. Anzi, la norma parrebbe esprimere un principio generale di autonomia della responsabilità dell’ente, lasciando aperta la possibilità di farvi rientrare altri istituti non espressamente contemplati.
Qualcuno ha però dubitato della legittimità di operare una tale operazione ermeneutica in materia penale, soprattutto quando gli effetti risultino in malam partem, finendo per estendere (e non di poco) l’area della punibilità[13].
Alle critiche mosse in dottrina è comunque risultata impermeabile la giurisprudenza successiva[14], la quale oltre a ribadire quanto appena visto, adduce un nuovo argomento, basato sulla voluntas legis, che rafforzerebbe il valore di principio generale in materia dell’art. 8 D.lgs. n. 231/01. Infatti, la Relazione di accompagnamento al D.lgs. n. 231/01 puntualizza che «le cause di estinzione della pena […] al pari delle eventuali cause di non punibilità […] non reagiscono in alcun modo sulla configurazione della responsabilità in capo all’ente, non escludendo la sussistenza di un reato»[15]. Il legislatore sembrerebbe essere stato dunque mosso dal chiaro intento di tenere i due illeciti concettualmente distinti, anche al fine di evitare che alcune strategie organizzative adottate dall’ente possano creare sacche di indebita impunità.
8. Come visto in precedenza, la giurisprudenza di legittimità è di recente giunta a mettere in discussione – a prescindere dalla lettura che si voglia dare all’art. 8 D.lgs. n. 231/01 – la stessa possibilità di applicare la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto alla responsabilità degli enti.
L’assunto parte dalla presa di coscienza che, come stabilito dalle citate Sezioni Unite del 2014, la responsabilità degli enti rappresenti un tertium genus, il che implica la non immediata applicabilità alla stessa sia degli istituti di matrice penale che di quelli di matrice amministrativa. Anzi, l’importante presa di posizione delle Sezioni Unite sembra voler dire che, laddove il legislatore sia silente, la possibilità di ricercare la soluzione più opportuna vada rimessa nelle mani del Giudice.
Questo ha permesso a Cass. Pen., Sez. III, sent. 23 gennaio 2019, n. 11518 di interrogarsi sulla compatibilità dell’art. 131-bis c.p. con il sistema della responsabilità amministrativo-penale degli enti giungendo alla conclusione secondo cui, una lettura eccessivamente dilatata della norma in questione, sostenuta dall’idea di privilegiare su tutto esigenze deflattive, ne avrebbe determinato un’applicazione ben al di fuori dei limiti tassativamente imposti dal legislatore.
Difatti, l’art. 131-bis c.p., nella lettura offerta dalla Corte, richiederebbe una verifica della concreta manifestazione del reato, contenente anche criteri soggettivi connessi all’agente, che non sarebbe possibile svolgere con riferimento alla responsabilità degli enti (che, si ricordi, ha come obiettivo primo quello di stimolare, attraverso l’adozione di corretti modelli organizzativi, la prevenzione dei reati all’interno delle persone giuridiche).
Dimostrando di condividere queste argomentazioni, il Collegio giudicante nel caso in commento va oltre ed aggiunge che, siccome il reato, in tema di responsabilità degli enti, diventa unicamente un presupposto storico per fondare la responsabilità amministrativo-penale, che è diversamente volta a sanzionare la colpa di organizzazione, l’art. 131-bis c.p. non sarebbe applicabile alla responsabilità degli enti. Questa, infatti, sembrerebbe non lasciare spazio ad una valutazione concreta del fatto-reato alla luce degli “indici-criteri” (offesa di particolare tenuità, da valutare secondo gli “indici-requisiti” della modalità della condotta e dell’esiguità del danno o pericolo, alla luce dei criteri di cui all’art. 133, co. I, c.p.; non abitualità del comportamento) richiesti dalla causa di non punibilità per escludere la perseguibilità del comportamento tenuto dall’agente.
9. La presa di posizione della giurisprudenza di legittimità, nonostante la presenza in dottrina di varie voci contrarie[16], risulta dunque forte.
In primo luogo, non è posto in dubbio che la responsabilità penale del soggetto agente e quella amministrativo-penale da organizzazione dell’ente siano autonome, così non potendo operare un’automatica estensione della sentenza che assolve l’autore del reato ex art. 131-bis c.p. anche nei confronti dell’ente.
In secondo luogo, sembra farsi sempre più strada l’idea che non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. e responsabilità degli enti da reato siano incompatibili, stante l’ontologica diversità tra il reato come considerato nella norma del Codice e quello preso in considerazione dal D.lgs. n. 231/01.
Ad avviso di chi scrive, tale ultima presa di posizione appare troppo netta e non arriverebbe comunque necessariamente ad escludere la possibilità di applicare l’istituto di favore anche agli enti. Infatti, in attesa di un auspicabile intervento chiarificatore del legislatore sul punto, potrebbe ipotizzarsi una soluzione interpretativa in base alla quale la tenuità del fatto-reato presupposto rappresenti soltanto uno tra i diversi requisiti da accertare al fine di ritenere l’illecito commesso dall’ente non punibile ai sensi dell’art. 131-bis c.p., richiedendosi al Giudice di effettuare una valutazione in concreto circa la (non) gravità del deficit organizzativo dell’ente, alla luce non solo dei requisiti di cui all’art. 131-bis c.p., ma anche dell’intera disciplina di cui al D.lgs. n. 231/01.
Non v’è dubbio che i presupposti su cui si fonda la responsabilità da (mala) organizzazione delle persone giuridiche siano non pienamente coincidenti con i requisiti di applicabilità dell’art. 131-bis c.p.: in particolare appare difficile richiedere una verifica della concreta manifestazione del reato, anche attraverso la considerazione di aspetti soggettivi quali il comportamento non abituale e le modalità della condotta, alla luce dei criteri individuati dall’art. 133, co. I, c.p., che sarebbe improprio svolgere rispetto agli enti[17].
Tuttavia, la soluzione prospettata permetterebbe di non sacrificare in toto le esigenze costituzionali sottese alla clausola di non punibilità (in particolare, extrema ratio e frammentarietà), sforzandosi di trovare un punto di equilibrio nel sistema.
Del resto, l’idea del tertium genus di responsabilità sembra nascere proprio al fine di, da un lato, permettere un sostanziale alleggerimento nell’applicazione dei principi costituzionali che operano nella materia penale intesa in senso stretto, dall’altro, consentire al Giudice di trovare all’interno dell’ordinamento la soluzione più adeguata alle peculiarità di una responsabilità riferita a soggetti, quali le persone giuridiche, che non sono quelli di cui tradizionalmente si occupa il diritto penale.
In questo modo, potrebbe tentarsi un contemperamento fra le esigenze potenzialmente in contrasto: non punire fatti che risultino “bagatellari” anche rispetto alla responsabilità degli enti, incentivare le persone giuridiche ad adottare modelli organizzativi che permettano di prevenire la commissione di reati evitando zone di impunità davanti a fatti che, sebbene non gravi con riferimento all’agente, ben potrebbero risultarlo rispetto alla persona giuridica ed infine, garantire il rispetto del principio di legalità penale ed il sotteso favor libertatis. È vero, infatti, che si opererebbe un’estensione della clausola di non punibilità oltre il proprio dettato normativo, andando ad individuare nuovi parametri di riferimento per il fatto tenue peculiari dell'ente collettivo, ma l’allargamento questa volta non sarebbe dell’area di rilevanza penale bensì di un istituto di favore che è in grado di veicolare i principi della frammentarietà e dell’extrema ratio.
Peraltro, tale linea interpretativa potrebbe consentire, data la più volte affermata autonomia tra le due responsabilità, di applicare la causa di non punibilità nei confronti dell’ente anche qualora il fatto-reato commesso dall’agente dovesse risultare, alla stregua degli “indici-criteri” indicati dall’art. 131-bis c.p., non “bagatellare” e quindi meritevole e bisognoso di pena.
Resta chiaro, per concludere, che – pur ritenendosi allo stato percorribile la strada interpretativa appena accennata – un intervento legislativo in materia sarebbe la soluzione sicuramente preferibile[18], in quanto permetterebbe di risolvere definitivamente la questione nel pieno rispetto della separazione dei poteri. Tuttavia, va dato atto del fatto che, il legislatore, a soli pochi anni dalla sua introduzione, sembrerebbe voler andare in ben altra direzione, espungendo del tutto lo strumento deflattivo di cui all’art. 131-bis c.p. dal sistema[19].
[1] Per un commento si veda P. Cirillo, L’estensione della particolare tenuità del fatto agli enti al vaglio della Cassazione, in Dir. pen. cont., fasc. 5/2018, p. 157 ss.
[2] Per una disamina completa dell’istituto di recente introduzione si suggerisce, tra i tanti, C. Santoriello, La clausola di particolare tenuità del fatto, Napoli 2016.
[3] Il passaggio sembra far intendere che il rappresentante legale della società sia stato a sua volta prosciolto ex art. 131-bis, ma la sentenza non si esprime chiaramente sul punto e non fornisce ulteriori dettagli.
[4] Si consideri che molti reati-presupposto contemplati dal D.lgs. n. 231/01, che offre un’elencazione tipica e tassativa, rientrano nei limiti edittali previsti dal 131-bis c.p. (la pena deve essere di cinque anni nel massimo).
[5] Si veda, ad esempio, Cass. Pen., Sez. V, sent. 4 aprile 2013, n. 20060.
[6] In tale passaggio argomentativo la sentenza condivide e si richiama esplicitamente a quanto già affermato da Cass. Pen., Sez. III, sent. 17 novembre 2017, n. 9072.
[7] Pur non esplicitandolo, è chiaro che la Corte accolga un’interpretazione anti-letterale e sistematica dell’art. 8 D.lgs. n. 231/01. Per approfondire il dibattito sulla questione si veda il paragrafo 7 del presente commento.
[8] Si è già fatto notare in precedenza che molti reati-presupposto contemplati nel D.lgs. n. 231/01 potenzialmente rientrano nell’ambito applicativo tracciato dall’art. 131-bis c.p.
[9] Seguita senza eccezioni dalla giurisprudenza di legittimità successiva. Il numero di pronunce sul tema non può però dirsi ad oggi rilevante.
[10] Almeno seguendo la teoria tripartita.
[11] Cfr. Cass. pen., Sez. IV, 18 aprile 2018, n. 22468.
[12] A sostegno di questa conclusione, basti ricordare che la sentenza che applica la particolare tenuità (definita da attenta dottrina una “cripto-condanna”) deve iscriversi nel casellario giudiziale ed ha effetto di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso nel giudizio civile o amministrativo di danno ex art. 651-bis c.p.p..
[13] Secondo P. Cirillo, L’estensione della particolare tenuità del fatto, cit., p. 168 ss., si tratterebbe di vera e propria estensione analogica in malam partem.
[14] Cass. Pen., Sez. III, sent. 23 gennaio 2019, n. 11518.
[15] Argomento già utilizzato in dottrina da T. Guerrini, Clausole di esclusione della punibilità e responsabilità degli enti, in Riv. resp. amm. enti, 2016, 1, p. 128 ss., proprio al fine di escludere l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. alla responsabilità degli enti da reato.
[16] Oltre a quelle già citate, si veda V. D’Acquarone, Tenuità del fatto: brevi riflessioni sulla posizione dell'ente, in Riv. resp. amm. enti, 2016, 1, p. 143 ss.; C. Piergallini, Premialità e non punibilità nel sistema della responsabilità degli enti, in Dir. pen. proc., fasc. 4/2019, p. 543.
[17] Questo profilo, che ben emerge in Cass., Sez. III, sent. 23 gennaio 2019, n. 11518, si può considerare sicuramente condivisibile.
[18] Lo segnala già C. Piergallini, Premialità e non punibilità, cit., p. 543.