Cass., Sez. V., sent. 21 settembre 2020 (dep. 9 novembre 2020), n. 31271, Pres. Miccoli, est. Guardiano
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione è tornata ad affrontare una questione tanto complessa quanto interessante relativa al settore dei reati contro la fede pubblica[1]: la configurabilità del falso ideologico (art. 479 c.p.) con riguardo agli atti pubblici c.d. dispositivi, consistenti cioè in manifestazioni di volontà dell’autore e non in rappresentazioni o descrizioni di fatti della realtà esterna[2].
La pronuncia si segnala per due profili interessanti. Da un lato, l’ascrizione delle decisioni giudiziarie nel novero degli atti pubblici in ordine ai quali è possibile integrare una falsità penalmente rilevante ai sensi dell’art. 479 c.p. (in questa circostanza si trattava di un’ordinanza giurisdizionale di natura cautelare in un giudizio amministrativo). D’altro lato, l’inedito iter logico-giuridico seguito per escludere l’elemento oggettivo della fattispecie, incentrato sull’inidoneità dello specifico falso contestato ad offendere la fede pubblica.
In filigrana, la sentenza sembra illuminare anche un tema di più ampia portata, andando a chiarire gli scopi di tutela perseguiti dal legislatore con i reati di falso e, soprattutto, i limiti e gli strumenti di non punibilità per i falsi c.d. inoffensivi[3].
2. Prendendo le mosse dal caso in esame, la sentenza annotata origina da un ricorso per cassazione proposto dall’imputato, condannato nei precedenti giudizi di merito per il delitto di falso ideologico in atto pubblico di cui all’art. 479 c.p.
L’accusa si fondava sul fatto che l’imputato, in qualità di presidente di sezione del T.A.R. ed estensore della decisione del ricorso cautelare, non aveva riportato fedelmente nel dispositivo dell’ordinanza il contenuto della deliberazione presa in camera di consiglio dal collegio, da egli presieduto.
Il procedimento cautelare era stato instaurato dal Comune di Milano innanzi al giudice amministrativo, al fine ottenere la sospensione della procedura avviata dal Governo per il recupero delle somme versate, tramite aumenti di capitale, da una società partecipata ad un’altra società, ritenute dalla Commissione Europea “aiuto di stato” e oggetto, a loro volta, di una causa di merito pendente davanti al Tribunale U.E.
Nello specifico, nel dispositivo dell’ordinanza cautelare di accoglimento della domanda di parte, relativa alla procedura interna, si prevedeva la sospensione non già del solo provvedimento nazionale di recupero somme, ma anche della presupposta decisione della Commissione U.E.
Tale statuizione, però, era stata formulata nonostante la deliberazione collegiale si fosse espressa, a maggioranza, in senso inequivocabilmente favorevole al riferimento al solo atto interno esecutivo, oggetto esclusivo del ricorso cautelare.
2.1. Con ben otto motivi di impugnazione, l’imputato ricorre in Cassazione, sostenendo l’insussistenza dei presupposti – oggettivi e soggettivi – di tipicità del delitto di falsità ideologica.
Sul primo versante, l’aggiunta, comparsa nella redazione dell’atto, sarebbe inidonea ad integrare l’elemento oggettivo del falso, posto che il dispositivo dell’ordinanza, da interpretare alla luce della motivazione complessiva, non si fondava su premesse fattuali o giuridiche false, ma anzi su argomentazioni condivise dall’intero collegio.
Sul secondo versante, si reputa indimostrato anche l’elemento soggettivo doloso, nella sua duplice dimensione rappresentativa e volitiva. In questo senso, non si ravvisa neppure un coerente movente giustificativo alla base della condotta illecita.
Con il terzo motivo di ricorso, poi, si sostiene che, anche a voler ritenere integrata la falsità ideologica, il fatto non dovrebbe essere punito alla stregua di un falso innocuo. Invero, la falsa indicazione riportata nel dispositivo risulta del tutto inoffensiva, sia rispetto alla fiducia riposta dai consociati, sia con riguardo al buon andamento dell’Amministrazione della giustizia, sotto il profilo della violazione degli obblighi di leale collaborazione e del riparto di competenze con le istituzioni europee.
Infine, con l’ultimo gruppo di motivi di gravame, si prospetta la rideterminazione, con concessione delle circostanze attenuanti generiche, e la riduzione, nel minimo edittale, del trattamento sanzionatorio, nonché il riconoscimento del beneficio di cui all’art. 175 c.p.
3. I giudici di legittimità riconoscono la fondatezza del ricorso sotto il profilo del difetto dell’elemento oggettivo del falso ideologico, assorbendo in esso le ulteriori censure.
Il ragionamento che conduce la Corte all’esito assolutorio si articola per gradi.
La riconducibilità della condotta dell’imputato al paradigma normativo dell’art. 479 c.p. principia dalla considerazione del particolare contenuto dispositivo dell’atto pubblico oggetto del falso.
In seconda battuta, l’indagine si concentra sulla peculiare natura giurisdizionale del provvedimento contestato e, più nello specifico, sulla possibilità e sui presupposti necessari per considerare ideologicamente falsa un’ordinanza di sospensione degli effetti di un provvedimento impugnato in sede cautelare innanzi al giudice amministrativo.
Solo alla fine l’esame si sposta dall’analisi strutturale degli elementi della tipicità oggettiva del delitto al giudizio di offensività in concreto della condotta.
Ecco, dunque, che, nella ricostruzione dei giudici di legittimità, come sovente avviene in materia di falsi, tipicità e offesa finiscono per integrarsi vicendevolmente: l’elemento oggettivo del reato non è integrato proprio sul presupposto dell’inidoneità della falsificazione a vulnerare la fede pubblica.
4. Il primo problema affrontato dalla sentenza attiene a se, e a quali condizioni, gli atti dispositivi possano essere oggetto di una condotta di falsità ideologica rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 479 c.p.[4] (§ 4).
L’atto dispositivo, come è stato chiarito dalla recente giurisprudenza opportunamente richiamata nella pronuncia, consiste in una manifestazione di volontà e non nella rappresentazione o descrizione di un fatto della realtà esterna.
A differenza dei documenti c.d. narrativi che, contenendo dichiarazioni di verità o di scienza, sicuramente possono essere oggetto di falsità ideologica, quelli dispositivi, limitandosi ad esprimere una volontà e non un accertamento, non sempre sono stati considerati suscettibili di immutatio veri.
La Corte registra tali dubbi ermeneutici, richiamando, per segnarne il definitivo tramonto, la tesi iniziale seguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza[5]. Questa escludeva la configurabilità del falso ideologico negli atti dispositivi, anche in base alla lettura della clausola di chiusura dell’art. 479 c.p. che riferirebbe il dovere di veridicità del p.u. al solo momento intellettivo della documentazione o attestazione e non anche a quello volitivo.
Si riteneva che gli atti dispositivi si attagliassero meglio alle categorie della giustizia-ingiustizia e dell’opportunità-inopportunità rispetto a quelle della verità-falsità. Tutto al più, in questi casi, la volontà potrebbe risultare viziata da un errore[6].
La sentenza, quindi, dà atto di come l’evoluzione giurisprudenziale, accolta anche dalle Sezioni Unite, abbia superato tale approccio ermeneutico, ritenendo sussumibili anche gli atti dispositivi nell’alveo della falsità ideologica[7].
La Corte contribuisce a ribadire e delineare le condizioni operative per siffatta configurabilità.
Ponendosi nel solco delle più recenti prese di posizione, confermate tra l’altro dalla giurisprudenza in tema di autorizzazione paesaggistica che attesta la conformità dell’intervento alla normativa di settore senza falsificare i presupposti di fatto[8], i giudici di legittimità propongono una ulteriore e più analitica suddivisione in due tipi degli atti dispositivi, rispetto ai quali la falsità si atteggerebbe in maniera differente.
Quando l’atto, oltre a contenere una manifestazione di volontà, si riferisce ad una precisa situazione, spesso presupposto della sua emanazione, fa indirettamente fede della sua esistenza, ben potendo integrare il reato di falsità ideologica in atti pubblici.
Quest’ultimo, secondo il diritto vivente, quindi, può pacificamente investire anche le attestazioni cd. implicite contenute nell’atto.
Se, invece, l’adozione del provvedimento è lasciata ad un apprezzamento discrezionale e non è possibile delimitare le situazioni che possono causarlo, è necessario che l’atto contenga espressa menzione dei presupposti della sua emanazione per fare pubblicamente fede della loro esistenza.
5. Non nutrendo alcuna perplessità sulla conciliabilità, alle condizioni suddette, dell’atto dispositivo con la definizione codicistica del falso ideologico di cui all’art. 479 c.p., la Corte si interroga sulla possibilità di applicare tali coordinate ermeneutiche ai provvedimenti giurisdizionali.
Il tema non è nuovo alla dottrina e alla giurisprudenza[9]. La casistica, finora, ha riguardato soprattutto le ipotesi di falsità ideologica commesse per induzione dal giudice nella compilazione della sentenza ai sensi degli artt. 48 e 479 c.p.[10]; vale a dire, quando il giudice adotta provvedimenti sulla base di presupposti falsamente rappresentati da una delle parti processuali e, in queste ipotesi, del falso è chiamato a rispondere il solo autore del documento sulla cui scorta è stata adottato la decisione errata (c.d. autoria mediata).
Tale soluzione, secondo la pronuncia in commento, si può spiegare soltanto se si presuma la piena ipotizzabilità di una falsità ideologica in sentenza commessa motu proprio dal giudice.
La Corte, quindi, coglie l’occasione per alcune puntualizzazioni sui provvedimenti giurisdizionali (decreti, ordinanze, sentenze), quali possibili oggetti di una immutatio veri rilevante penalmente.
Si tratta, in primis, di atti pubblici a tutti gli effetti, formati dal giudice nell’esercizio delle sue funzioni e, dunque, da un pubblico ufficiale (art. 357 co. 1 c.p.)[11].
D’altro lato, rappresentano un caso di documento sicuramente dispositivo, consistente nella «manifestazione di volontà di un organo titolare del potere di dicere ius dello Stato».
Logico corollario di tale prospettiva è l’estensione agli atti giurisdizionali dei principi di diritto relativi all’art. 479 c.p., purché la falsità del provvedimento dipenda non dall’invalidità degli argomenti addotti ma dalla non veridicità dei relativi presupposti fattuali.
6. Addivenuta alla conclusione di poter configurare, almeno in astratto, il falso ideologico anche rispetto ad un atto dispositivo di natura giurisdizionale, la Corte si confronta con le peculiarità del documento in concreto contestato (§ 4.1.).
Il problema è comprendere se, ed in quali termini, possa considerarsi ideologicamente falso il dispositivo di un’ordinanza cautelare rispetto alla decisione collegiale su cui si era formata la maggioranza in camera di consiglio. La falsità, nello specifico, sarebbe consistita nel fatto che, al contrario di quanto effettivamente statuito, i giudici avevano deliberato non per la sospensione del provvedimento europeo, ma solo dell’atto interno esecutivo.
La Corte non nutre alcun dubbio sulla considerazione dell’ordinanza quale atto pubblico di natura dispositiva.
A questi fini, la sentenza valorizza, innanzitutto, la collocazione della misura sospensiva degli effetti del provvedimento impugnato tra gli strumenti attraverso i quali si realizza la c.d. tutela cautelare atipica (art. 55 c.p.a.).
Efficacia dirimente, poi, è riconosciuta, proprio alla necessità di un’apposita motivazione dell’ordinanza in relazione al periculum in mora e al fumus boni iuris. La sua essenza, in ossequio alla previsione dell’art. 55, co. 9, c.p.a., che esprime il più generale principio contenuto nell’art. 111, co. 6., Cost., si riflette nel dispositivo che, a sua volta, concretizza la volontà dell’organo pubblico collegiale in relazione alla specifica domanda cautelare formulata.
Ciò premesso in astratto, la Corte, in linea con la summenzionata ricostruzione ermeneutica, richiede che, in concreto, la falsità della conclusione dispositiva dipenda dall’immutatio veri delle premesse fattuali di cui fa indirettamente fede.
Tra queste, si ritiene che il ragionevole affidamento dei consociati sorga anche sulla corrispondenza tra la decisione esposta nella motivazione e nel conseguente dispositivo e il risultato cui è pervenuto il collegio nel segreto della camera di consiglio, che costituisce antecedente logico-giuridico della prima.
Ne deriva che quando tale coincidenza viene meno per effetto di un’azione dolosa, nulla osta alla sussistenza del reato di cui all’art. 479 c.p. che, appunto, tende a tutelare la frustrazione di tale fiducia.
7. Nei passaggi conclusivi della sentenza, la Corte, in applicazione di tali principi, ravvisa il difetto di tipicità della fattispecie penale nel caso di specie.
Una lettura unitaria ed inscindibile della motivazione e del dispositivo dell’ordinanza dimostra che non è vero che quest’ultima sia falsa perché non riproduttiva dell’effettivo contenuto della decisione emersa nella delibera della camera di consiglio.
I giudici di legittimità aggiungono sul punto che il provvedimento europeo non era stato oggetto di ricorso; inoltre, il difetto di giurisdizione del T.A.R. su di esso ne rendeva del tutto inutile ed improduttiva di effetti la sospensione (tra l’altro già disposta in ambito sovranazionale in pendenza del giudizio intrapreso innanzi al tribunale europeo).
Nessuna falsa rappresentazione della realtà risulta configurabile, in quanto l’ordinanza conclude per l’accoglimento dell’istanza cautelare volta alla sospensione degli atti del procedimento amministrativo interno.
Quanto al riferimento alla misura europea, innegabilmente contenuto nel dispositivo, la Corte ha modo di precisare la sua inidoneità a vulnerare la fede pubblica, id est l’affidamento dei terzi in ordine alla corrispondenza tra il contenuto dell’ordinanza e la decisione sulla lite cautelare assunta dal collegio.
Che sia così, del resto, si evincerebbe dal fatto che nessun effetto diverso da quello che si è verificato sul versante dell’accoglimento della domanda cautelare sarebbe derivato nel caso in cui nel dispositivo fosse mancata l’aggiunta relativa al provvedimento comunitario.
Si tratta, a parere della Corte, di un «elemento spurio» e «privo di qualsiasi logica processuale» nell’economia dell’atto.
La sua irrilevanza è tale che l’aggiunta, più che un falso innocuo, va considerata tamquam non esset, a causa della sua radicale inidoneità offensiva.
Su queste basi, con sentenza di annullamento senza rinvio, l’imputato viene assolto dal reato previsto dall’art. 479 c.p. con la formula piena perché il fatto, contestatogli e riconosciuto nei precedenti giudizi di merito, non sussiste.
8. La decisione in commento si segnala, come anticipato in apertura, perché rappresenta uno degli sviluppi più recenti dell’indirizzo ermeneutico che allarga le maglie della falsità ideologica anche agli atti dispositivi.
Facendo coerente applicazione dei principi di diritto di tale orientamento, la peculiare natura giurisdizionale dell’ordinanza cautelare non impedisce alla Corte, almeno in astratto, di considerare anche un provvedimento del giudice oggetto di una possibile immutatio veri penalmente rilevante.
La soluzione, a ben vedere, nonostante sia oramai acquisita in giurisprudenza, è nient’affatto scontata, sollevando delicati problemi di compatibilità con la tipicità dei reati di falso, non essendo neppure immune da censure in termini di divieto di analogia[12].
Del resto, il tema, soprattutto quando riguarda il puro sindacato di merito delle sentenze (al di là, quindi, dei casi di attestazioni implicite false), si inserisce nella macroarea del falso c.d. valutativo, i cui contorni sono da sempre, e specie negli ultimi tempi, discussi tra gli interpreti[13].
La sentenza in esame si lascia apprezzare perché, inserendosi in tale dibattito, aderisce ad una soluzione equilibrata e ragionevole. Riprendendo i passaggi essenziali espressi dalla Cassazione, nella sua più autorevole composizione, ritiene integrabile il fatto tipico dell’art. 479 c.p. solo a fronte di dichiarazioni false che si annidano nella premessa, dichiarativa della sussistenza di presupposti di fatto, che precede la parte propriamente dispositiva.
Anche l’esito assolutorio a cui si addiviene nel caso concreto è condivisibile, destando qualche dubbio solo per lo strumento tecnico-giuridico utilizzato.
Il difetto dell’elemento oggettivo della fattispecie passa, infatti, per la sua inidoneità a vulnerare la fede pubblica, sub specie di affidamento che i consociati nutrono nella corrispondenza tra il contenuto dell’ordinanza e la deliberazione cautelare assunta dal collegio.
Sennonché, a voler fare una rigorosa applicazione degli istituti di teoria generale del reato, si sarebbe portati a dire che delle due l’una: o il falso non sussiste nella sua dimensione oggettiva, non ravvisandosi un’ordinanza cautelare in contrasto con la decisione collegiale o, se l’immutatio veri è stata realizzata, il fatto è tipico, ancorché del tutto inoffensivo in concreto.
Se, come sembra dalla ricostruzione della Corte, è quest’ultima la prospettiva in cui muoversi, il falso è innocuo e la non punibilità è subordinata ad un giudizio valutativo. Tale verifica andrebbe fatta valere mediante la figura del reato impossibile (art. 49 co. 2 c.p.), ovvero, secondo altra teoria, nell’ambito della tipicità c.d. apparente, considerata come categoria non meramente formale ma inclusiva dell’offesa[14].
Vero è che quest’ultima distinzione è più teorica che pratica, differendo solo sulla possibilità di applicare o meno la misura di sicurezza ex art. 49, ult. co. c.p. Tuttavia, essa rileva soprattutto per le conseguenze sistematiche che comporta[15].
Il tema è caratteristico di diverse tipologie di falsità documentali, oramai pacificamente considerate fattispecie plurioffensive, e attiene, più in generale, alla tenuta del principio, risalente alla Relazione al codice penale, per cui falsitas quae nemini nocet non punitur[16].
Proprio la sentenza in commento, nel ragionamento conclusivo, sembra dare implicito riconoscimento, più che al richiamato falso innocuo in senso stretto, alla categoria, per la verità scarsamente diffusa nella prassi, del falso c.d. inutile (o irrilevante)[17], cadendo la falsificazione su un’aggiunta del tutto ininfluente ai fini del procedimento cautelare.
[1] La complessità del titolo VII del libro II del codice penale è ben compendiata dalle immagini via via evocate dagli Autori per rappresentarne i reati: dall’“enigmatica sfinge” di Carrara, al “fascio di ortiche” di Antolisei, fino alla “fata morgana” di Malinverni.
[2] Sulla tendenza a riconoscere una portata onnivora al falso ideologico v. A. Sereni, Valutazioni tecniche e falsità documentali nel diritto vivente, in Arch. pen., 2019, 1, pp. 7 ss.; F.A. Siena, Problemi vecchi e nuovi delle false dichiarazioni sostitutive, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2020, 3, pp. 242 ss.; R. Bartoli, Il falso per omissione e il falso c.d. implicito tra legalità ed esigenze di tutela, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 2, pp. 521 ss.
[3] I. Giacona, La problematica dell’offesa nei delitti di falso documentale, Torino, 2007.
[4] V. A. Nappi, Falso e legge penale, Milano, 1999, pp. 143 ss.; G. Amarelli, Sulla configurabilità della falsità ideologica negli atti pubblici dispositivi, in Cass. pen., 1999, pp. 1176 ss.; G. Fuochi Tinarelli, Atti dispositivi: ammissibilità del falso ideologico, in Foro it, 1990, II, pp. 389 ss.
[5] In giurisprudenza, Sez. un., 1 aprile 1971, Tecci in Cass. pen., 1972, p. 2273 e Cass., sez. V, 18 giugno 1999, Lecci. In dottrina, A. De Marsico, Falsità in atti, in Enc. dir., vol. XVI, Giuffrè, 1968, p. 560 ss.
[6] F. Carnelutti, Teoria del falso, Padova, 1935 pp. 156-157.
[7] Cass., Sez. un., 3 febbraio 1995, n. 1827, in Cass. pen., 1995, pp. 1816 ss. con nota di A. Nappi, Sulla falsità ideologica del diploma di laurea; Cass., Sez. un., 28 giugno 2007, n. 35488, in Dir. pen. proc., 2008, 8, pp. 999 ss. con nota di De Pellegrini, Quando la falsità del privato comporta la falsità dell’atto pubblico a contenuto dispositivo? Di recente, Cass., Sez. V, 20 novembre 2014, in Mass. Uff., n. 261969. Da ultimo, con riguardo all’art. 481 c.p. v. Cass., Sez. V, 7 settembre 2020, n. 28847 in Cass. pen., 2021, 2, pp. 503 ss. con nota di M. Fumo.
[8] Il contrasto interno alla quinta sezione della Cassazione (riflesso nelle pronunce dell’11 dicembre 2018, n. 10304 e del 16 gennaio 2018, n. 7879) è stato composto dalla recente restituzione degli atti alla sezione rimettente da parte del Presidente aggiunto della Corte di cassazione.
[9] Sul tema già F. Ramacci, Due casi di falsità in sentenza, in Giust. pen., 1968, II, pp. 917 ss.; G. Spagnolo, Sulla configurabilità del falso ideologico nella sentenza e nei documenti “dispositivi”, in Arch. pen., 1969, II, pp. 221 ss. Più recentemente, cfr. i lavori citati in nota n. 12.
[10] Cass., sez. V, 24 settembre 2014, n. 48389 con nota di P. Di Stefano, Falsità in atto, falso ideologico mediante induzione in errore al pubblico ufficiale, decreto ingiuntivo, in Foro.it, 2015, 9, pp. 516 ss.; Cass., sez. fer., 29 agosto 2013, n. 39192; Cass., Sez. I, 17 gennaio 2003, n. 224339 con nota di R. Bartoli, Falsità ideologica per induzione in atti dispositivi e corruzione in atti giudiziari, in Dir. pen. proc., 2003, 9, pp. 1123 ss.; Cass., sez. V, 9 febbraio 2010 in Guida al dir., 2010, 13, 87.
[11] M. Romano, I delitti contro la Pubblica amministrazione. I delitti dei privati. Le qualifiche soggettive pubblicistiche, Milano, 1999, p. 271 ss.
[12] Cfr., di recente, i rilievi mossi, a partire da un caso di falsità nelle motivazioni di una sentenze da F. A. Siena, Falsità ideologica di una sentenza. Attestazioni implicite, vero legale e giudizi tecnici, in Arch. pen. online, 2019, 3 (Contra: M. Fumo, Abuso d’ufficio, falso valutativo e controllo del giudice amministrativo, cit.).
[13] Si ritiene, in generale, che i rapporti tra reati di falso e giudizi valutativi possano essere risolti applicando i criteri generali dettati da Cass., Sez. Un., 31 marzo 2016, n. 22474 rispetto alle false comunicazioni sociali.
[14] Sui rapporti tra tipicità e offesa nell’ottica della concezione realistica del reato v. G. Neppi Modena, voce Reato impossibile, in Dig. Disc. Pen., 4° ed., Torino, 1987. Sulla teoria della tipicità apparente v. G. Fiandaca – V. Musco, Diritto penale, parte generale, IV, Bologna, 2004, p. 160 ss.
[15] Tali profili sono stati analizzati, con riguardo alle differenze tra l’art. 49, co. 2 c.p. e l’art. 131 bis c.p., da Cass., Sez. Un., 6 aprile 2016, nn. 13681 e 13682, Tushaj e Coccimiglio, in Dir. pen. proc., 2016, 894 ss., con nota di G. Amarelli, Le Sezioni Unite estendono l’ambito di operatività dell’art. 131 bis c.p. ai reati con soglie di punibilità.
[16] Sui beni giuridici tutelati dalle falsità documentali, in giurisprudenza v. Cass., Sez. un., 24 settembre 2007, n. 35488 in Dir. pen. proc., 2008, p. 1128, con nota di S. De Flammineis. In dottrina, v. ampiamente S. Fiore, Ratio della tutela e oggetto dell’aggressione nella sistematica dei reati di falso, Napoli, 2000, p. 41 ss.; R. Rampioni, Il problema del bene giuridico nelle falsità documentali, in AA.VV., Le falsità documentali, in F. Ramacci (a cura di), Padova 2001, p. 134 ss. e R. Bartoli, Le falsità documentali, in M. Pelissero – R. Bartoli (a cura di), Reati contro la fede pubblica, Torino, 2011, p. 58 ss.
[17] È significativo che una soluzione sostanzialmente simile sia stata raggiunta anche nel diverso comparto ordinamentale del diritto amministrativo con riguardo alle falsità dichiarative di cui all’art. 80 d.lgs. 50/2016. L’A.P. n. 16 del 2020, infatti, ha ritenuto che, ai fini dell’esclusione degli operatori economici dalle procedure di evidenza pubblica, non è sufficiente che l’informazione dichiarata sia falsa ma è anche necessaria la sua idoneità a sviare la p.a. nell’adozione dei provvedimenti concernenti la gara. L’effetto è strettamente connesso al sistema in cui opera ma è comune il presupposto di privare di rilevanza, non solo penale, i falsi c.d. inutili.