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02 Dicembre 2020


Art. 24 del decreto "ristori": l'interpretazione restrittiva della Cassazione in tema di deposito telematico degli atti durante il periodo emergenziale

Cass., Sez. I, sent. 3 novembre 2020 (dep. 19 novembre 2020), n. 32566, Pres. Sandrini, Rel. Aprile, ric. PM Trib. Bologna



1. Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione si è soffermata sull’ambito di applicazione dell’art. 24 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (decreto “ristori”), rubricato «disposizioni per la semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze nella vigenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19».

L’occasione è stata offerta da un ricorso, presentato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, avverso l’ordinanza con cui il medesimo Tribunale accoglieva la richiesta di riesame proposta contro un provvedimento di applicazione di una serie di misure cautelari nei confronti di alcuni soggetti indagati, tra l’altro, del delitto di associazione con finalità di terrorismo di cui all’art. 270-bis c.p.

In particolare, in data 2 novembre 2020, cioè in piena vigenza del c.d. “decreto ristori”, il pubblico ministero inviava alla cancelleria del Giudice di legittimità, tramite posta elettronica certificata, motivi nuovi, come consentito dall’art. 311, comma 4, c.p.p.

L’organo dell’accusa, evidentemente, confidava nel dettato del quarto comma dell’art. 24 del d.l. 137/2020, che permette il deposito «di tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati» mediante posta elettronica certificata.

La Corte, tuttavia, fornendo un’interpretazione restrittiva della previsione da ultimo menzionata, ha dichiarato l’inammissibilità dei motivi nuovi, che sono stati valutati alla stregua di una memoria di parte[1].

 

2. Prima di analizzare il percorso argomentativo che ha condotto la Corte a una siffatta conclusione, pare opportuno svolgere una breve ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

L’emergenza da Covid-19 ha imposto un massiccio ricorso alla tecnologia per ovviare alle misure di distanziamento sociale adottate dal Governo, fenomeno che ha naturalmente coinvolto anche la giustizia. Così, già l’art. 83 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “cura Italia”)[2], contemplava taluni accorgimenti in tal senso, tra i quali figurava la possibilità, prevista dal comma 12-quater.1[3], di depositare in modalità telematica, presso ciascun ufficio del pubblico ministero che ne avesse fatto domanda, «memorie, documenti, richieste e istanze indicate dall'articolo 415-bis, comma 3, del codice di procedura penale, secondo le disposizioni stabilite con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia». Cosicché, lo scorso 11 maggio veniva istituito il Portale Deposito atti Penali (PDP), accessibile tramite un’apposita pagina web[4] e utilizzabile secondo le indicazioni contenute nell’apposito manuale messo a disposizione degli utenti[5].

La scelta del legislatore era stata salutata favorevolmente poiché, oltre a «trova[re] una giustificazione nel limitare il più possibile i contatti tra le persone al fine di fronteggiare l’emergenza», costituiva «un importante passo avanti nell’informatizzazione del processo penale»[6].

Tanto era stata fortunata quell’esperienza che l’esecutivo, dinanzi alla “seconda ondata” della pandemia, ha deciso di riproporre quel sistema, decidendo addirittura di implementarlo rispetto alla sua iniziale configurazione. Difatti, mentre il primo comma dell’art. 24 del d.l. 137/2020 va sostanzialmente a replicare il contenuto dell’art. 83, comma 12-quater.1, del d.l. 18/2020[7], il secondo conferisce al Ministro della giustizia il potere di indicare con decreto «ulteriori atti», diversi da quelli annoverati all’interno dell’art. 415-bis, comma 3, c.p.p., «per i quali sarà reso possibile il deposito telematico nelle modalità di cui al comma 1»[8].

Ma v’è di più: come già anticipato, il quarto comma dell’art. 24, fino al prossimo 31 gennaio, ammette «il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata» di «tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2», deposito da effettuare – prosegue la disposizione – «presso  gli indirizzi pec degli uffici  giudiziari  destinatari  ed  indicati  in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato sul Portale dei servizi telematici».

È proprio sull’esatta portata di quest’ultima previsione, apparentemente molto ampia e idonea a ricomprendere anche il settore delle impugnazioni[9], che si concentra il Giudice di legittimità con la pronuncia in esame.

 

3. Al fine di dichiarare l’inammissibilità dei motivi nuovi trasmessi via pec dal pubblico ministero bolognese, la Corte di cassazione utilizza sostanzialmente due argomenti, l’uno concernente il rapporto tra il primo e il quarto comma dell’art. 24, l’altro – più generale – relativo alla gerarchia delle fonti del diritto in materia di digitalizzazione del processo.

 

3.1. Muovendo dal primo, dato che il comma 1 dell’art. 24 «riguarda il deposito degli atti presso la Procura nella sola fase di cui all’art. 415-bis c.p.p.», allora secondo i giudici di legittimità quelli successivi dovrebbero essere interpretati «alla luce del contesto di applicazione stabilito all’esordio dell’articolo e applicarsi, perciò, soltanto per il deposito negli (altri uffici) della Procura che non siano dotati del portale». In altre parole, considerata la struttura dell’art. 24, poiché il primo comma fa riferimento agli atti di una specifica fase del procedimento penale, quelli seguenti non potrebbero essere attinenti ad altri momenti dello stesso: «se il legislatore avesse voluto prevedere l’uso della pec come modalità di deposito generalizzata di tutti gli atti del processo penale a qualunque ufficio indirizzati» – osserva la Corte – «avrebbe manifestato in modo chiaro tale volontà, anteponendo le norme contenute nei commi 4 e 5 dell’art. 24 d.l. n. 137 del 2020» a quella di cui al comma 1.

Ne deriva, quindi, che l’art. 24, comma 4, renderebbe utilizzabile la posta elettronica soltanto nell’ambito di quelle Procure della Repubblica che non si avvalgono del portale del processo penale telematico istituito dal DGSIA.

Si tratta di un argomento che, preso di per sé, presta il fianco a diverse obiezioni. Per un verso, si potrebbe replicare come il legislatore abbia inteso ripercorrere la strada già tracciata durante la prima fase della pandemia con riferimento alle procure, continuando dunque a sfruttare l’apposito portale utilizzabile in sede di trasmissione degli atti che possono seguire la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari; per altro verso, si può osservare come si sia deciso di facilitare la vita degli operatori del diritto in un momento di generale difficoltà, in cui è del tutto ragionevole sfruttare al massimo le potenzialità offerte dalla tecnologia.

In altri termini, si è voluto introdurre «una sorta di… “doppio binario”»: alcuni atti, cioè quelli di cui al primo comma dell’art. 24 e quelli che devono essere individuati ai sensi del secondo comma, vanno depositati nell’apposito portale telematico, mentre gli altri «potranno “godere” del beneficio di essere depositati mediante l’invio di una semplice p.e.c.»[10].

Questa lettura è confortata dall’ampia formulazione del quarto comma dell’art. 24 che, nel menzionare «tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati», sembra estendere il proprio perimetro di applicazione sino ad includere anche i mezzi di impugnazione[11].

Del resto, la stessa relazione dell’Ufficio del Massimario, proprio nel giorno in cui il pubblico ministero ha presentato i motivi nuovi oggetto della declaratoria di inammissibilità, ha avallato questa impostazione.

Più nel dettaglio, l’Ufficio, rilevato che l’art. 23, comma 8, del decreto “ristori” consente alle parti, in sede di giudizio in cassazione, di inviare tramite pec le richieste, le conclusioni, nonché l’istanza di discussione orale, ha avuto cura di precisare come sia altresì possibile trasmettere al Giudice di legittimità, con la medesima modalità, tutti quei documenti e atti cui fa riferimento l’art. 24, comma 4[12].

 

3.2. Quanto al secondo argomento, la Suprema Corte dedica molte pagine della decisione ad un’approfondita ricognizione della normativa relativa alla digitalizzazione del processo, che merita ripercorrere sinteticamente[13].

Ai sensi dei primi due commi dell’art. 48 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale, d’ora innanzi C.A.D.), «la trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata» ed «equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta». Tale regola – ad opinione della Corte – non è di immediata applicabilità ai processi, posto che l’art. 4 del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, recante «interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario», stabilisce che, in attuazione del Codice dell’amministrazione digitale, «le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informatizzazione e della comunicazione» siano individuate con decreto del Ministro della giustizia.

Sulla base di questa “delega”, è stato emanato il d.m. 21 febbraio 2011, n. 44[14] che, all’art. 35, demanda ad un apposito decreto dirigenziale «l'attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni», atto che tuttavia, come precisa la sentenza, non è ancora stato adottato, con la conseguente inutilizzabilità nel processo penale della firma digitale, di cui appunto si occupa il suddetto decreto ministeriale.

Ed è proprio l’impossibilità di impiegare questo tipo di firma che, ad avviso della Corte, impedisce la presentazione delle impugnazioni via pec, atteso che questa tecnologia «non attribuisce la paternità del documento trasmesso, svolgendo unicamente la funzione di certificare la provenienza del messaggio dalla casella di posta del mittente e la ricezione di esso da parte del destinatario». Ne discende che la posta elettronica certificata non consente di accertare l’identità di colui che sottoscrive l’atto, adempimento necessario per verificare il requisito della legittimazione a impugnare.

Pertanto, continuano a trovare applicazione le tradizionali modalità di inoltro dei mezzi di impugnazione delineate dagli artt. 582 e 583 c.p.p., disposizioni che hanno – puntualizza il Giudice di legittimità – «natura tassativa».

Ebbene, secondo la Suprema Corte l’art. 24, comma 4, d.l. n. 137/2020 non sarebbe in grado di incidere sul descritto impianto normativo. Infatti, al contrario del primo comma, che contiene la clausola «anche in deroga alle previsioni del decreto emanato ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193», il quarto non replica espressamente questo tipo di formula, con il corollario che «la regolamentazione introdotta dal d.l. n. 173 del 2020 non è in grado di derogare – nella materia delle impugnazioni – alle disposizioni dianzi citate».

E malgrado lo scorso 9 novembre, ossia in data successiva alla decisione in esame, il DGSIA abbia emanato il provvedimento con cui, in attuazione dell’art. 24, comma 4, sono stati determinati gli indirizzi pec degli uffici giudiziari destinatari degli atti (compreso quello della Cassazione), nonché le specifiche tecniche per procedere al deposito[15], ciò secondo la Suprema Corte non vale «ad attribuire efficacia al deposito telematico degli atti di impugnazione», data l’assenza di una disposizione di rango primario capace di derogare alla normativa sopra illustrata. 

Anche queste conclusioni non convincono fino in fondo.

Preme infatti osservare che, malgrado l’art. 48, comma 2, del C.A.D. subordini l’equiparazione della trasmissione degli atti tramite pec a quella effettuata con raccomandata   al presupposto che la legge non stabilisca diversamente, allo stato dell’arte «non è rintracciabile alcuna disposizione che introduca una deroga esplicita»[16]. Al contrario, è lo stesso Codice dell’amministrazione digitale, all’art. 2, comma 6, a sancire che le previsioni in esso contenute sono applicabili (anche) al procedimento penale, fatte salve eventuali eccezioni contemplate dalla disciplina del processo telematico.

Sotto questo angolo visuale, sembra allora del tutto inconferente il richiamo operato dalla Suprema Corte all’art. 4 del d.l. 193/2009 che, lungi dal derogare alla regola espressa dall’art. 48, comma 2, del C.A.D., si preoccupa soltanto di demandare al Guardasigilli il compito di regolare l’impiego della tecnologia nelle aule di giustizia[17].

Parimenti, in dottrina è tutt’altro che pacifico l’assunto, dato invece per acquisito dalla Corte di cassazione, relativo alla tassatività delle modalità di presentazione delle impugnazioni delineate dagli artt. 582 e 583 c.p.p. Non mancano infatti autorevoli voci che giudicano «troppo formalistica» l’impostazione che, muovendo dal presupposto secondo cui l’atto di impugnazione è a forma vincolata, esclude il ricorso a modalità diverse da quelle indicate dal codice di rito[18].  

 

Ad ogni modo, anche se si volesse accogliere l’interpretazione offerta sul punto dalla Suprema Corte, occorrerebbe comunque affermare che il quarto comma dell’art. 24, nonostante non vi deroghi esplicitamente, è perfettamente in grado di rendere inapplicabili tanto l’art. 4 del d.l. 193/2009, quanto gli artt. 582 ss. c.p.p., per tre ordini di ragioni.

Anzitutto, il d.l. 137/2020 rappresenta una fonte di rango legislativo emanata successivamente alle predette disposizioni, con la conseguenza che, almeno nel periodo di efficacia della normativa emergenziale, il decreto “ristori” deve ritenersi prevalente[19].

In secondo luogo, non si può omettere di considerare l’intenzione del legislatore che, chiaramente rivolta ad impedire il più possibile il contatto tra gli avvocati e il personale delle cancellerie degli uffici giudiziari, induce a maggior ragione a concludere per la supremazia della normativa di nuovo conio. 

Inoltre, vale la pena di ricordare come lo scorso 9 aprile la Corte di cassazione, la Procura Generale presso la stessa e il C.N.F. avessero sottoscritto un protocollo d’intesa, in vigore fino al 31 luglio, che contemplava l’impegno da parte dei difensori di trasmettere alla Cancelleria della Suprema Corte tramite pec, entro sette giorni «dalla comunicazione contenente l’avviso di fissazione dell’adunanza o udienza camerale», la copia «degli atti processuali del giudizio di cassazione, sia civili che penali, già in precedenza depositati nelle forme ordinarie previste dalle legge». Orbene, dal momento che con un mero protocollo, ossia con uno strumento di soft law, si era ritenuto di consentire l’inoltro di questi atti per via telematica, a maggior ragione lo si deve ammettere in forza del d.l. n. 137/2020, che ha efficacia vincolante[20].

Quanto alla circostanza che la posta elettronica certificata non permetterebbe di risalire con assoluta certezza al firmatario dell’atto di impugnazione[21], pare ragionevole affermare come, in questa fase storica così particolare, il Governo abbia fatto ricorso al buon senso, gettando magari le basi per affrontare la questione in modo più sereno e attento una volta usciti dalla pandemia.

Peraltro, sotto questo profilo pare essere risolutivo il già citato provvedimento del DGSIA datato 9 novembre, in cui si puntualizza come «l’atto del procedimento in forma di documento informatico, da depositare attraverso il servizio di posta elettronica certificata presso gli uffici giudiziari», debba essere «sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata», accorgimento che spezza via i dubbi manifestati dal Giudice di legittimità in ordine alla difficoltà di procedere all’identificazione del soggetto impugnante[22].

 

4. L’approdo cui è pervenuta la Corte di cassazione lascia tutt’altro che stupiti, visto l’approccio molto rigoroso con cui sovente, specie in materia di impugnazioni, ha affrontato la questione dell’invio a mezzo pec di documenti agli uffici giudiziari[23].

Infatti, l’impostazione che esclude l’ammissibilità di atti quali i nuovi motivi di ricorso ove inoltrati con questa modalità è ormai consolidato[24], come attestato dalla stessa pronuncia in commento, la cui motivazione in punto di diritto esordisce con l’elenco di una serie di decisioni dello stesso tenore di quella esaminata[25]. Persino in materia cautelare, settore in cui l’attenzione è sempre elevata, la Suprema Corte rimane ferma sulla propria posizione[26], tanto è vero che di recente il Tribunale del riesame di Milano, offrendo a sua volta una lettura restrittiva dell’art. 24 del d.l. “ristori”, ha deciso di ritenere inammissibili tutte le impugnazioni presentate tramite pec[27].

Ebbene, se già in passato questo tipo di atteggiamento nei confronti della tecnologia aveva destato non poche perplessità[28], oggi il problema si fa ancor più serio, in ragione dell’impellente necessità, in un momento come questo, di aprire nuovi canali di accesso alla giustizia per assicurare l’effettivo esercizio del diritto di difesa[29].

A tale proposito, risulta infatti decisamente insufficiente la mera facoltà, offerta alle cancellerie dei tribunali dall’art. 16 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, di notificare gli atti via pec alle parti, i difensori delle quali, invece, non godono della stessa possibilità nella direzione inversa[30].

Sennonché, la Suprema Corte non soltanto non sembra accorgersi dell’importanza di favorire un cambio di passo del processo penale, ma anzi dimostra di volere contrapporsi alla caduta di quella «barriera ideologica» per lungo tempo eretta nei confronti del digitale e alla quale il Covid-19 ha assestato un duro colpo[31].

Dinanzi a tale atteggiamento di chiusura, l’auspicio è che, già in sede di conversione del decreto “ristori”, il Parlamento chiarisca in maniera ancora più esplicita la portata generale dell’art. 24, comma 4[32]. In prospettiva di lungo periodo, invece, non si può che invocare un intervento deciso del legislatore nel segno della modernizzazione: la pandemia, oltre ad aver rappresentato un «formidabile laboratorio di sperimentazione»[33], ha reso oltremodo evidente la già avvertita esigenza di «un ripensamento complessivo degli assi portanti del processo penale alla luce degli sviluppi tecnologici»[34].

 

 

[1] Per un primo commento alla sentenza si vedano G. Briola – M. Arienti – M. Picotti, La cassazione delle PEC. Necessari rimedi in sede di conversione del decreto ristori?, in Giur. Pen. Web, 2020, 11, nonché G. Vitrani – R. Arcella, Inammissibilità (presunta?) degli atti di impugnazione depositati a mezzo PEC nel processo penale, in ilProcessoTelematico, 27 novembre 2020.

[2] Sul decreto “cura Italia” e le sue implicazioni dal punto di vista tecnologico si vedano, tra gli altri, E. Amodio – E.M. Catalano, La resa della giustizia panale di fronte alla bufera del contagio, in questa Rivista, 5/2020, p. 267; L. Giordano, Il processo penale a distanza ai tempi del coronavirus, in Dir. pen. proc., 2020, p. 920; S. Lorusso, Il cigno nero del processo penale, in questa Rivista, 11 maggio 2020; O. Mazza, Distopia del processo a distanza, in Arch. pen. Web, 2020, n. 1; S. Napolitano, Dall’udienza penale a distanza all’aula virtuale, in questa Rivista, 7/2020, p. 25; F. Ruggieri, Il processo penale al tempo del COVID-19: modelli alternativi di gestione della crisi, in Aa.Vv., Sistema delle fonti ed emergenza sanitaria, in Leg. pen., 18 maggio 2020, p. 1 ss.; G. Santalucia, La tecnica al servizio della giustizia penale. Attività giudiziaria a distanza nella conversione del decreto “cura Italia”, in giustiziainsieme.it, 10 aprile 2020.

[3] Aggiunto dall'art. 3, comma 1, lett. f del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla l 25 giugno 2020, n. 70.

[4] Il provvedimento è disponibile a questo indirizzo.

[5] Il Manuale Utente Portale Deposito atti Penali (PDP) è consultabile a questo indirizzo.

[7] Tanto è vero che, lo scorso 4 novembre, il Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia ha emanato un provvedimento, attuativo per l’appunto dell’art. 24, comma 2, che richiama quello dell’11 maggio. L’atto è consultabile a questa pagina.

[8] Sul decreto “ristori” si vedano M. Agostini – M. Petrini, Decreto legge Ristori, le disposizioni emergenziali per l’esercizio della attività giurisdizionale, in giustiziainsieme.it, 30 ottobre 2020; M. Bozzaotre, Decreto legge Ristori, il deposito telematico degli atti penali: significative novità e sconsolanti conferme, ivi, 30 ottobre 2020; M. Gialuz – J. Della Torre, D.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e processo penale: sulla “giustizia virtuale” servono maggiore cura e consapevolezza, in questa Rivista, 9 novembre 2020; A. Marandola, Il “pacchetto giustizia” del D.L. Ristori: nuove misure per limitare gli effetti pandemici nelle aule di giustizia, in IlPenalista, 30 ottobre 2020; G. Pestelli, D.l. 137/2020 (c.d. Ristori): i nuovi interventi sulla procedura penale e l’ordinamento penitenziario, in Quot. giur., 30 ottobre 2020.

[9] Settore che più di tutti, ad avviso di M. Gialuz – J. Della Torre, D.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e processo penale: sulla “giustizia virtuale” servono maggiore cura e consapevolezza, cit., dovrebbe «maggiormente giovarsi di tale – positivo – cambio di passo del Governo».

[10] Per queste considerazioni, M. Bozzaotre, Decreto legge Ristori​, il deposito telematico degli atti penali, cit.

[11] Pongono l’accento sulla natura «generica e aperta» della clausola in esame, G. Briola – M. Arienti – M. Picotti, La cassazione delle PEC. Necessari rimedi in sede di conversione del decreto ristori?, cit., p. 9.

[12] Cfr. Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del massimario e del ruolo, Le novità per il giudizio penale in Cassazione introdotte dal d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 in tema di emergenza epidemiologica da COVID-19, 2 novembre 2020, in questa Rivista, 12 novembre 2020, p. 12 s.

[13] Per una più approfondita ricostruzione del faticoso – e ancora in corso – percorso verso la digitalizzazione del processo penale si veda B. Galgani, Il processo penale paperless: una realtà affascinante, ancora in divenire, in L. Lupária – L. Marafioti – G. Paolozzi (a cura di), Dimensione tecnologica e prova penale, Torino, 2019, p. 248 ss.

[14] Intitolato «Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24».

[15] Il provvedimento e l’elenco degli indirizzi pec degli uffici giudiziari sono reperibili a questo indirizzo.

[16] Per queste riflessioni v. L. Belvini, Il divieto per le parti private di indirizzare all’autorità giudiziaria atti tramite p.e.c.: un eccesso di formalismo, in Proc. pen. giust., 2020, p. 369. Nello stesso senso M. Bozzaotre, Il processo penale telematico dal punto di vista della difesa, in giustiziainsieme.it, 25 marzo 2019, ad avviso del quale «è certamente vero che il C.A.D. faccia salve eventuali diverse disposizioni, ma qui il punto è proprio che… “diverse” disposizioni non vi sono».

[17] Sostengono come l’art. 4 del d.l. 193/2009 non contenga «alcuna prescrizione in ordine alle modalità di deposito telematico», G. Vitrani – R. Arcella, Inammissibilità (presunta?) degli atti di impugnazione depositati a mezzo PEC nel processo penale, cit.

[18] Cfr. G. Tranchina, voce Impugnazione (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Agg., vol. II, Milano, 1998, p. 407, nota 72. Per una ricognizione delle posizioni della dottrina in materia si vedano M. Gialuz, sub art. 583 c.p.p., in A. Giarda – G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, II, Milano, 2017, p. 3046 s., nonché A. Marandola, Disposizioni generali, in G. Spangher (a cura di), Trattato di procedura penale, vol. 5, Milano, 2009, p. 171 ss.

[19] Sottolinea il valore primario della normativa in esame, con la conseguente possibilità di ritenere derogati gli artt. 582 e 583 c.p.p., L. Giordano, L’art. 24 del cd. decreto Ristori permette la presentazione di impugnazioni a mezzo PEC?, in ilProcessoTelematico, 16 novembre 2020. Nello stesso senso, G. Briola – M. Arienti – M. Picotti, La cassazione delle PEC. Necessari rimedi in sede di conversione del decreto ristori?, cit., p. 13, nonché G. Vitrani – R. Arcella, Inammissibilità (presunta?) degli atti di impugnazione depositati a mezzo PEC nel processo penale, cit.

[20] Il Protocollo di intesa per la trattazione delle adunanze ex art. 375 c.p.c. e delle udienze ex art. 611 c.p.p. è consultabile a questo indirizzo.

[21] Assunto peraltro non pacifico in giurisprudenza. Al riguardo v. Cass., Sez. II, 22 settembre 2020, n. 26506, in Dir. pen. proc., 2020, p. 1310, in cui, in tema di notifica via pec della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare ex art. 299, comma 3, si evidenzia come questa modalità di trasmissione degli atti offra le stesse certezze della raccomandata in ordine all’identificazione del mittente e all’avvenuta ricezione del documento.

[22] È di questo avviso L. Giordano, L’art. 24 del cd. decreto Ristori permette la presentazione di impugnazioni a mezzo PEC?, cit.

[23] Anche se, come precisa B. Galgani, Il processo penale paperless: una realtà affascinante, ancora in divenire, cit., p. 260 ss., meritano di essere segnalati seppur «timidi segnali di “apertura”» della giurisprudenza, ad esempio in tema di invio di memorie via pec. Per una pronuncia ispirata al criterio del favor impugnationis cfr. Cass., Sez. III, 28 novembre 2013, n. 2886, in Cass. pen., 2014, p. 2183, con nota di J. Della Torre, La Cassazione tra forma e favor impugnationis: legittima la spedizione dell’atto di appello mediante raccomandata del servizio postale privato.

[24] Parla di «ferma chiusura» della giurisprudenza nei confronti della tematica, M. Bozzaotre, Il processo penale telematico dal punto di vista della difesa, cit., il quale ne critica l’approccio eccessivamente formale.

[25] Quanto all’inammissibilità del ricorso per cassazione cfr., ex plurimis, Cass., Sez. IV, 15 novembre 2019, n. 52092, in CED Cass., n. 277906-01.

[26] V. Cass., Sez. IV, 15 maggio 2018, n. 43872, in ilProcessoTelematico, 20 novembre 2018, con commento di V. Bove, La Cassazione è sempre più granitica sul punto: sono inammissibili le impugnazioni (anche quelle cautelari) trasmesse con PEC.

[27] Orientamento reso noto dalla Camera Penale milanese, che ha affermato di reputarlo errato. Al riguardo si veda Alert della Camera Penale gli avvocati milanesi: il Tribunale del Riesame dichiara inammissibili le impugnazioni via PEC, in Dir. giust., 20 novembre 2020.

[28] Sotto questo punto di vista, S. Lorusso, Il cigno nero del processo penale, cit., senza mezzi termini, osserva che «l’ostracismo alla rivoluzione digitale […] non ha molto senso, si traduce in posizioni vintage che erigono barricate destinate ad essere spazzate via senza particolare sforzo dalla realtà e dalla storia».

[29] Come peraltro avevano richiesto a gran voce le Camere penali e alcune Procure della Repubblica. Al riguardo, Unione delle Camere Penali Italiane, Covid e giustizia penale: le proposte UCPI al Ministro della Giustizia e il documento condiviso con le più importanti procure italiane, in camerepenali.it, 27 ottobre 2020.

[30] Evidenzia questa problematica disparità di trattamento, G. Caputo, Nuovi orizzonti in tema di notificazione via pec, in Arch. pen. Web, 2017, n. 1, p. 1.

[32] Come del resto è già stato suggerito in dottrina. In proposito, S. Mangiaracina, Prove tecniche per la “soppressione” del giudizio di appello?, in Arch. pen. Web, 2020, n. 3, p. 2, la quale, prefigurandosi la possibilità di letture restrittive della disposizione, ha sottolineato l’opportunità di «una maggiore precisione terminologica in sede di conversione», proprio al fine di «scongiurare il rischio di letture “formalistiche” da parte della giurisprudenza», rischio che tuttavia si è già avverato.

[33] In questi termini O. Mazza, Distopia del processo a distanza, cit., p. 2.

[34] Testualmente B. Galgani, Il processo penale paperless: una realtà affascinante, ancora in divenire, cit., p. 272.