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20 Settembre 2021


Dopo la sentenza n. 253/2019 della Corte costituzionale: oneri di allegazione e istanze di permesso premio dell’ergastolano non collaborante

Cass., Sez. I, sent. 14 luglio 2021 (dep. 10 settembre 2021), n. 33743, Pres. Iasillo, est. Magi



1. Il 10 settembre 2021 è stata depositata dalla Corte di cassazione, I sez. penale, la sentenza n. 33743, che prende significativamente posizione sul complesso tema degli oneri di allegazione gravanti sul condannato per un delitto compreso nel disposto dell’art. 4-bis co. 1 ord. penit., nel caso che intenda richiedere un permesso premio pur non avendo collaborato con la giustizia.

L’occasione è fornita dal ricorso avverso un’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna, che, ad avviso della Suprema Corte, aveva confermato senza adeguata argomentazione, invece necessaria a fronte dell’ormai intervenuto “rafforzamento dei caratteri giurisdizionali del reclamo” in materia (cfr. sent. Corte cost. n. 113/2020), la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di permesso premio presentata al magistrato di sorveglianza competente da un condannato alla pena dell’ergastolo per delitti di mafia. Di qui la decisione di annullamento dell’ordinanza bolognese con rinvio per un nuovo esame.

 

2. Come noto, la sent. Corte cost. 253/2019[1] ha aperto una fenditura nel muro di ostatività elevato dall’art. 4-bis co. 1 ord. penit. alla concessione di benefici penitenziari per gli autori dei delitti ivi elencati, tra i quali quelli commessi dall’istante, che non abbiano prestato condotte collaborative e che non abbiano potuto accedere neppure alle ipotesi surrogatorie descritte nell’art. 4-bis co. 1-bis ord. penit. della collaborazione impossibile, inesigibile o inefficace.

La preclusione era connessa dal legislatore ad una presunzione assoluta per la quale, senza collaborazione con la giustizia, doveva ritenersi che il condannato certamente mantenesse collegamenti con i gruppi criminali di riferimento, segnale manifesto di elevata pericolosità sociale.

La Corte Costituzionale, con un ragionamento particolarmente ampio e complesso, anche arricchito dalle considerazioni conformi svolte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Viola c. Italia, è intervenuta mediante una sentenza additiva, grazie alla quale la presunzione negativa, gravante sul condannato non collaborante – proprio due ergastolani, nei casi allora all’attenzione del Giudice delle leggi – è stata giudicata incostituzionale ove assoluta, e compatibile invece con i principi di cui agli art. 3 e 27 Cost., soltanto ove relativa e perciò vincibile da prova contraria, che si ottiene con l’acquisizione di elementi che escludano tanto l’attualità dei collegamenti dell’istante con la criminalità organizzata, quanto il pericolo di un loro ripristino.

 La pronuncia della Consulta grava l’interessato di un onere di “specifica allegazione” in ordine ai due profili da ultimo citati.

 

3. La sentenza della cassazione interviene dunque in un caso in cui il Tribunale di sorveglianza, adito in sede di reclamo avverso una pronuncia di inammissibilità resa dal magistrato di sorveglianza competente, ne avalla la ricostruzione, secondo la quale lo spiegamento di allegazioni complete circa i due temi che occorre provare (assenza di collegamenti perduranti e assenza di pericolo di ripristino) costituisce un presupposto per la stessa ammissibilità della domanda di permesso premio.

In particolare, nel caso di specie, l’istanza si soffermava sulla condotta intramuraria, sull’assenza di carichi pendenti e di segnalazioni negative di pubblica sicurezza, nonché sulla mancata censura della corrispondenza in partenza o in arrivo, ma risultava afasica rispetto alla “sorte degli altri sodali” e alla “eventuale operatività dell’associazione nel territorio di origine”.

Con la pronuncia che qui si segnala la cassazione chiarisce la portata dell’onere di allegazione, ribadendo che è necessario che gli elementi di fatto che vengono prospettati abbiano una «efficacia “indicativa” anche in chiave logica di quanto occorre a rapportarsi al tema di prova» e non debbano invece fornirne una prova integrale. Devono, in sostanza, costituire pregnanti spunti per lo svolgimento di una istruttoria, questa sì necessariamente ampia e completa, che è però di pertinenza della magistratura di sorveglianza.

 

4.  La Cassazione basa la sua ricostruzione su un delicato passaggio della sent. n. 253/2019 (cfr. par. 9), nel quale questo onere di allegazione, che costituisce un elemento di novità che la Consulta utilizza nel momento in cui scalfisce l’assolutezza della presunzione negativa gravante sul non collaborante, è descritto in rapporto agli oneri di allegazione già gravanti sull’istante non collaborante che voglia accedere al beneficio mediante i meccanismi surrogatori di cui all’art. 4-bis co. 1-bis ord. penit.

Secondo la Cassazione, dunque, il richiamo della Corte Costituzionale ad una serie di pronunce di legittimità in materia di collaborazione impossibile o inesigibile (sent. 36057/2019; 29869/2019; 47044/2017) è da leggersi come volto soltanto a chiarire la portata dell’onere di allegazione relativo all’assenza di collegamenti attuali e di pericolo di un loro ripristino, per la prima volta imposto all’istante.

Nel caso dei meccanismi surrogatori, infatti, al condannato non collaborante è richiesto di allegare e prospettare circostanze idonee a dimostrare l’impossibilità di una collaborazione utile, oppure la limitatezza del proprio contributo nelle dinamiche del gruppo criminale, ma sempre nella dimensione di spunti, pur necessari, cui poi segue l’istruttoria d’ufficio del Tribunale di sorveglianza, cui spetta la decisione finale.

Se dunque è nuovo l’oggetto dell’allegazione, si parametra comunque alla giurisprudenza già consolidatasi la portata dell’onere.

Per la cassazione, quindi, l’istante non collaborante che abbia commesso delitti compresi nel disposto dell’art. 4 bis co. 1 ord. penit. «è tenuto ad illustrare gli elementi fattuali che abbiano concreta portata “antagonista” sul piano logico rispetto al fondamento della presunzione relativa di pericolosità» e se ne citano alcuni, effettivamente offerti nel caso sottoposto al suo esame, ma si aggiunge che non può essere invece chiesto, allo stesso istante, di riferire su circostanze che sono al di fuori della sua sfera di conoscibilità, soprattutto in relazione al pericolo di ripristino di collegamenti (ad esempio circa l’operatività del gruppo criminale sul territorio).

Il tema di prova relativo al pericolo di ripristino è d’altra parte assai scivoloso, comportando una valutazione sul futuro, e da subito si è segnalato in dottrina come fattore potenzialmente assai penalizzante[2], visto che richiede di provare che continuerà a non esistere ciò che oggi non c’è.

Per la Cassazione, su questo versante il condannato non può dire molto più di quel che resti dentro il confine delle mura che da lungo tempo lo ospitano. La magistratura di sorveglianza, tuttavia, nei primi provvedimenti resi in materia[3], ha in realtà iniziato a valorizzare come significativi alcuni dati che, a differenza di quello relativo alla perdurante operatività del gruppo criminale, ben possono essere nella disponibilità dell’istante, e che perciò gli può essere richiesto di evidenziare, ove sussistano: l’assenza di familiari nel territorio dove opera il gruppo criminale, il loro trasferimento altrove, un tenore di vita del nucleo familiare compatibile con i propri introiti leciti, l’assenza di coinvolgimento in vicende criminali anche da parte dei congiunti. Si tratta di argomenti per altro tratti dalle valutazioni richieste, ad esempio, dall’art. 41-bis co 2-bis penultimo cap. ord. penit. per la proroga del regime differenziato. Gli sforzi della cassazione e della giurisdizione di merito, sotto questo profilo, appaiono indirizzati nello stesso verso, che è quello di ottenere valutazioni individualizzate serie, arginando il rischio che il requisito sul pericolo di ripristino si arresti su formule astratte, che lo rendano inattingibile.

Al contrario la Suprema Corte, in un inciso, nel ribadire come la magistratura di sorveglianza debba necessariamente pronunciarsi, al di là degli spunti non esaustivi offerti dall’interessato, tanto sull’assenza di attuali collegamenti quanto appunto sull’insussistenza di un pericolo di ripristino, sottolinea come tale ultimo elemento possa essere «agevolato dal permesso», imponendo perciò «una prognosi secondo i contenuti della decisione». Sembra potersene dedurre che la stessa dovrà concretizzarsi e funzionalizzarsi al beneficio concesso, con conseguente maggiore impegno motivazionale quanto più il permesso sia ampio e riconduca, ad esempio, il condannato in contesti nei quali commise i reati, invece che in un ambito locale e distante dagli stessi.

 

5. La pronuncia della Cassazione contribuisce dunque a delineare efficacemente il quadro entro il quale la magistratura di sorveglianza è chiamata ad una valutazione di merito delle istanze di permesso premio che le provengono dai condannati per delitti di 4-bis co. 1 ord. penit. non collaboranti, arando l’unico terreno che allo stato la Corte Costituzionale ha sgombrato dalla preclusione assoluta all’accesso al beneficio richiesto.

Com’è noto, infatti, la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla prima Sezione della Cassazione[4] in materia di compatibilità con gli art. 3 e 27 Cost. della preclusione di accesso alla liberazione condizionale per i condannati per delitti di mafia alla pena dell’ergastolo, ove non collaboranti né in possesso delle condizioni surrogatorie di cui all’art. 4-bis co. 1-bis ord. penit., ha visto “esibire” l’incostituzionalità della preclusione, ma non dichiararla, con rinvio per la trattazione al 22 maggio 2022[5], in attesa di un intervento legislativo in grado di evitare possibili squilibri che sarebbero potuti derivare da una sentenza di accoglimento al complessivo sistema di contrasto alla criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso.

 

 

[2] Cfr., ad esempio, A. Pugiotto, Due decisioni radicali della Corte Costituzionale in tema di ostatività penitenziaria: le sentenze nn. 253 e 263 del 2019, in Riv. Aic n. 1/2020, che afferma come il criterio evochi «sciamaniche capacità predittive» e cita una precedente arresto della S.C. in cui se ne parlava in termini di «problematica aderenza a canoni epistemologici basati sulla materialità dell’oggetto» (cfr. sent. Cass. I pen. 28 gennaio 2020 n. 5553) e D. Galliani, L’ergastolo e il regime ostativo, ovvero la speranza presa sul serio, in Ristretti Orizzonti, 19 dicembre 2019, che ne parla come di un rischioso «onnivoro contenitore».

[3] Cfr. Trib. Sorv. Perugia 3 dicembre 2020, in Giur. Pen. 11 dicembre 2020.

[4] Cass. ord. 3 giugno 2020, reg. 100/2020 in G.U. n. 34, prima serie speciale, 2020.

[5] Corte Cost. ord. 15 aprile 2021 n. 97, pubblicata con commento di E. Dolcini, L’ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021: eufonie, dissonanze, prospettive inquietanti, in questa Rivista, 25 maggio 2021; D. Galliani, Il chiaro e lo scuro. Primo commento all’ordinanza 97/2021 della Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo, in Giustizia Insieme, 20 maggio 2021 e, volendo, F. Gianfilippi, Ergastolo ostativo: incostituzionalità esibita e ritardi del legislatore. Prime note all’ordinanza 97/2021, in Quest. Giust. 27 maggio 2021.