Cass., Sez. V, ord. 8 ottobre 2021 (dep. 25 ottobre 2021), n. 38174, Pres. Pezzullo, rel. Carusillo, ric. Ubaldi
1. Con l’ordinanza in commento, la quinta sezione della Corte di cassazione ha sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite al fine di chiarire «se, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., sia di per sé ostativa la continuazione tra i reati» e, in caso di risposta negativa a tale quesito, a quali condizioni possa ritenersi operante la particolare tenuità del fatto in presenza del reato continuato.
2. Come noto, il problema concernente l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. a una pluralità di reati avvinti dalla continuazione accompagna l’istituto della particolare tenuità del fatto fin dal giorno successivo alla sua introduzione nel 2015[1] e si innesta sul secondo degli “indici-criteri” previsti dalla norma, quello relativo alla non abitualità del comportamento dell’autore.
Ai fini dell’esclusione della punibilità, infatti, non basta la tenuità dell’offesa, ma occorre anche che il reato oggetto del giudizio non si inserisca «in un rapporto di seriazione con uno o più altri episodi criminosi»[2].
L’“indice-criterio” della non abitualità del comportamento – il quale, è bene ricordare, ha superato il vaglio di compatibilità costituzionale del Giudice delle leggi[3] – viene riempito di contenuti, in termini che devono reputarsi tassativi[4], dal co. 3 dell’art. 131-bis c.p., secondo cui «il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate».
Mentre il primo dei tre parametri presi in considerazione dall’art. 131-bis co. 3 c.p., quello relativo alla dichiarazione di abitualità, professionalità e tendenza a delinquere, non solleva particolari problemi interpretativi essendo già legislativamente definito dagli artt. 102, 103, 105 e 108 c.p., non altrettanto perspicue sono le altre due ipotesi che contrassegnano in termini di abitualità il comportamento del reo e che, conseguentemente, escludono l’applicabilità della causa di non punibilità: l’aver commesso più reati della stessa indole o l’aver commesso reati aventi ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
3. La giurisprudenza si è da subito fatta carico di porre rimedio in via interpretativa alla scarsa precisione delle due suddette locuzioni e, in tal senso, il maggior sforzo definitorio è stato compiuto dalle Sezioni Unite Tushaj, le quali hanno tentato di meglio definire i contorni dell’abitualità di comportamento ostativa all’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto[5].
In particolare, con riferimento alla locuzione “più reati della stessa indole”, le Sezioni Unite, dopo aver osservato che «non si parla di condanne ma di reati», hanno affermato che «il tenore letterale lascia intendere che l’abitualità si concretizza in presenza di una pluralità di illeciti della stessa indole (dunque almeno due) diversi da quello oggetto del procedimento nel quale si pone la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis» e che «i reati possono ben essere successivi a quello in esame», vertendosi in un ambito differente da quello della recidiva. Inoltre, secondo la Cassazione nella sua più autorevole composizione, «la pluralità dei reati può concretarsi non solo in presenza di condanne irrevocabili, ma anche nel caso in cui gli illeciti si trovino al cospetto del giudice che, dunque, è in grado di valutarne l’esistenza; come ad esempio nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui».
Con riferimento, poi, alla locuzione “condotte abituali e reiterate”, per le Sezioni Unite il legislatore fa senz’altro riferimento ai reati «che presentano l’abitualità come tratto tipico» (ad es.: i maltrattamenti in famiglia) e ai reati «che presentano nel tipo condotte reiterate» (ad es.: gli atti persecutori): in tali ambiti, infatti, «la serialità è un elemento della fattispecie ed è quindi sufficiente a configurare l’abitualità che esclude l’applicazione della disciplina; senza che occorra verificare la presenza di distinti reati».
Con riguardo, infine, al concetto di “condotte plurime”, la Suprema Corte, una volta escluso che tale locuzione possa essere ridotta a «una mera, sciatta ripetizione di ciò che è stato denominato abituale o reiterato», ha sostenuto che «l’unica praticabile soluzione interpretativa è quella di ritenere che si sia fatto riferimento a fattispecie concrete nelle quali si sia in presenza di ripetute, distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti» (ad es.: un reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, generato dalla mancata adozione di distinte misure di prevenzione).
L’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite non ha, tuttavia, contribuito a risolvere il dubbio relativo alla compatibilità o meno della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. con l’istituto della continuazione; dubbio che ha dato luogo a un contrasto interpretativo tra due diversi orientamenti.
4. Un primo e più restrittivo orientamento nega in assoluto la compatibilità tra la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto e la continuazione, e sostiene che ogniqualvolta si sia in presenza di un reato continuato non si possa far luogo all’applicazione dell’art. 131-bis c.p.
A sostegno di questa affermazione, in alcune sentenze si dà rilievo alla circostanza che dalle locuzioni “reati della stessa indole” e “reati aventi ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate” non è desumibile «alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini utilizzati, che l’indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria». Al contrario, secondo le medesime pronunce ben «possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell’ambito del medesimo procedimento», con la conseguenza che risulta significativamente ampliato il numero di casi in cui il comportamento può ritenersi abituale e, tra questi, figurano senz’altro i reati avvinti dal vincolo della continuazione[6].
In altre pronunce, poi, si sottolinea che, in caso di ripetuta violazione della stessa norma incriminatrice o di diverse disposizioni penali «sorrette dalla medesima ratio puniendi», il fatto deve essere considerato complessivamente nella sua «dimensione “plurima”», ciò che lo connota di «una gravità tale da non potere essere considerato di particolare tenuità»[7].
In termini ancora più espliciti, in alcune sentenze si legge che «il riconoscimento della continuazione incide sul trattamento sanzionatorio nella misura in cui segnala la minore intensità del dolo espresso nel corso della progressione criminosa, ma non consente di ritenere il fatto, anche nella dimensione consolidata dal riconoscimento dell’unicità del disegno criminoso, come una devianza “occasionale”, ovvero non reiterata», e che, dunque, «il riconoscimento della continuazione valorizzando l’identità del disegno criminoso incide sulla valutazione del complessivo disvalore della progressione criminosa, ma non elide la circostanza che osta al riconoscimento del beneficio, ovvero la “oggettiva” reiterazione di condotte penalmente rilevanti»[8].
Infine, in alcune delle sentenze più recenti riconducibili all’orientamento in discorso si afferma, forse un po’ troppo sbrigativamente, che «il reato continuato configura un’ipotesi di comportamento abituale»[9].
5. Un secondo e più recente orientamento, invece, ammette l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. al reato continuato.
Anzitutto, questo diverso orientamento rileva criticamente che «non vi può essere una identificazione tout court tra continuazione e abitualità nel reato» e che «la condizione ostativa costituita dalla commissione di più reati della stessa indole non appare per nulla sovrapponibile all’ipotesi del reato continuato, bensì risponde all’intento di escludere dall’ambito di applicazione della nuova causa di non punibilità comportamenti espressivi di una sorta di “tendenza o inclinazione al crimine”; inoltre, quanto alla condizione ostativa costituita da reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate, essa chiaramente riguarda i reati che strutturalmente richiedono che l’agente ponga in essere condotte reiterate nel tempo o abituali». Tanto premesso, si afferma che anche l’autore del reato continuato può accedere alla causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, dovendo il giudice in questi casi «“soppesare” l’incidenza della continuazione in tutti i suoi aspetti (tra questi: gravità del reato, capacità a delinquere, precedenti penali e giudiziari, durata temporale della violazione, numero delle disposizioni di legge violate, effetti della condotta antecedente contemporanea o susseguente al reato, interessi lesi e/o perseguiti dal reo, motivazioni – anche indirette – sottese alla propria condotta) per giungere ad esprimere un giudizio di meritevolezza o meno al riconoscimento della causa di non punibilità»[10].
Similmente, in altre pronunce si sottolinea che il vincolo della continuazione tra più reati non è da ritenersi di per sé ostativo all’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., a meno che «le violazioni non siano in numero tale da costituire ex se dimostrazione di serialità ovvero di progressione criminosa espressiva di particolare intensità del dolo o ancora di versatilità offensiva»[11].
In altre pronunce, poi, al fine di ammettere l’applicabilità della particolare tenuità del fatto al reato continuato si fa leva sulla distinzione tra continuazione diacronica (più reati avvinti dalla continuazione ma commessi in contesti spazio-temporali diversi) e continuazione sincrona (più condotte penalmente rilevanti espressive di un medesimo disegno criminoso e realizzate in un unico contesto spazio-temporale) e sul carattere sostanzialmente unitario del fatto in questa seconda ipotesi. In particolare, si rileva che, in caso di continuazione sincrona, la volizione criminosa è «sostanzialmente unica stante la contemporanea esecuzione delle distinte azioni delittuose e, non già, ripetuta nel tempo, seppur sempre in applicazione dell’unitario disegno criminoso, condotta che comunque presuppone singola volizione a sostegno dell’ulteriore azione illecita commessa in diverse condizioni di tempo e luogo». Conseguentemente, «la volontà criminosa, quando regge singola azione od anche più azioni, ma poste in essere nel medesimo contesto spazio temporale, non appare incompatibile con il concetto di estemporaneità dell’azione illecita rispetto alla positiva personalità del reo, posto alla base della disciplina della causa di non punibilità, ex art 131-bis c.p.»[12].
Infine, in alcune pronunce vengono richiamati due ulteriori argomenti a sostegno della tesi della compatibilità della causa di non punibilità di cui all’art 131-bis c.p. con il reato continuato.
In particolare, alcuni arresti, evocando il carattere di favore dell’istituto della continuazione, sottolineano che «escludere il reato continuato dall’area di operatività dell’art. 131-bis c.p. significa perseguire un effetto contrario alla intentio legis»[13]: l’imputato, infatti, pur beneficiando del regime sanzionatorio di favore di cui all’art. 81 c.p., subirebbe un contraddittorio trattamento di sfavore, non potendo accedere, senza alcuna possibilità di deroga, alla causa di non punibilità dell’art. 131-bis c.p.[14].
Nei medesimi arresti, inoltre, si evidenzia che la sottrazione del reato continuato dall’ambito di operatività dell’art. 131-bis c.p. finirebbe per frustrare le finalità deflattive sottese alla causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto[15].
* * *
6. In attesa della decisione delle Sezioni Unite, ci limitiamo ad alcune brevi riflessioni.
Anzitutto, rileviamo come la giurisprudenza di legittimità non si sia sempre distinta per chiarezza e linearità nell’affrontare il problema della compatibilità letterale, prima ancora che logico-sistematica, della continuazione con il co. 3 dell’art. 131-bis c.p.[16].
Tralasciando l’ipotesi di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere, non conferente all’attuale questione, tre sono infatti le possibili soluzioni al problema in esame: a) il reato continuato è riconducibile (almeno in parte) alla locuzione “reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”; b) il reato continuato è riconducibile (almeno in parte) alla locuzione “reati della stessa indole”; c) il reato continuato non è riconducibile a nessuna delle due anzidette locuzioni.
Evidentemente, qualora la soluzione corretta fosse quella sub c), non vi sarebbero ostacoli, quantomeno di ordine letterale, all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. al reato continuato.
Bisogna dunque verificare se le opzioni sub a) e sub b) possono essere escluse con certezza.
7. Pare, in primo luogo, da escludere che il reato continuato possa essere ricondotto (almeno in parte) alla locuzione “reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate” e, più in particolare, alla locuzione “condotte plurime”[17].
A ben vedere, infatti, ai sensi dell’art. 131-bis co. 3 c.p. il carattere plurimo contraddistingue le condotte, e non già i reati (come invece nel caso della continuazione). In altri termini, la disposizione in parte qua sembra fare riferimento a fattispecie criminose – diverse e ulteriori rispetto ai reati necessariamente o eventualmente abituali, già riconducibili alla locuzione “condotte abituali e reiterate” – che implicano o che comunque nel caso concreto presentano una molteplicità di condotte.
Del resto, questa lettura appare in linea non solo con l’interpretazione offerta dalla dottrina più rigorosa[18], ma con le stesse Sezioni Unite Tushaj, le quali, come già ricordato (supra, § 3), nell’esplicare la locuzione “condotte plurime” hanno fatto riferimento a «ripetute, distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti».
È bene sottolineare, peraltro, che, qualora invece si ritenesse convincente assimilare il reato continuato al concetto di “condotte plurime”, si dovrebbe giocoforza escludere, in ogni caso e per così dire in automatico, l’applicabilità della particolare tenuità del fatto alla continuazione. E, a questo punto, apparirebbe artificioso, se non contraddittorio, ammettere comunque l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. al reato continuato attraverso il richiamo di quella giurisprudenza che, con riferimento a problematiche applicative affatto diverse, ha indicato la via della considerazione unitaria del reato continuato non soltanto ove la legge espressamente lo preveda, ma anche in tutti quei casi in cui tale «soluzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo»[19]. Attraverso questo escamotage, infatti, si rischia di elidere del tutto l’indice-criterio della non abitualità del comportamento, il quale, però, nella visione del legislatore rimane pur sempre uno dei presupposti necessari e ineludibili ai fini della non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis c.p.
8. È possibile, invece, intravedere una parziale sovrapposizione tra la continuazione e la locuzione “più reati della stessa indole”.
A un primo sguardo, invero, in entrambi i casi si è di fronte a una pluralità di reati (e non di condotte). Questa pluralità di reati, tuttavia, non è perfettamente coincidente nella continuazione e nella locuzione “più reati della stessa indole”: mentre, infatti, nel caso del reato continuato i diversi reati sono riconducibili tutti a un medesimo disegno criminoso, l’espressione di cui al co. 3 dell’art. 131-bis c.p. fa riferimento a più reati, non importa se riconducibili o meno a un unico programma criminoso, caratterizzati dalla stessa indole.
Resta da capire cosa si intenda esattamente con il concetto di reati della stessa indole. Ebbene, secondo la giurisprudenza assolutamente costante, per tali devono intendersi non soltanto quei reati che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni. Secondo questa stessa giurisprudenza, alla stregua di tale criterio e sulla base della valutazione discrezionale del giudice, più reati possono considerarsi omogenei per comunanza di caratteri fondamentali quando siano simili le circostanze oggettive nelle quali si sono realizzati, quando le condizioni di ambiente e di persona nelle quali sono state compiute le azioni presentino aspetti che rendano evidente l’inclinazione verso un’identica tipologia criminosa, ovvero quando le modalità di esecuzione, gli espedienti adottati o le modalità di aggressione dell’altrui diritti rivelino una propensione verso la medesima tecnica delittuosa[20].
Alla luce di quanto appena detto sembra proprio che non vi siano ostacoli di ordine letterale all’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. al reato continuato, fatta eccezione dei soli casi in cui i reati realizzativi del medesimo disegno criminoso siano espressivi, secondo una valutazione discrezionale condotta dal giudice caso per caso, della stessa indole.
E tale compatibilità, si badi bene, va ben oltre i casi di continuazione sincrona sinora considerati dalla giurisprudenza (supra, § 5): riteniamo, infatti, che nulla osti all’applicazione della particolare tenuità del fatto rispetto a reati che – consumati in contesti spazio-temporali differenti in esecuzione di un medesimo disegno criminoso – oltre a realizzare un’offesa tenue, non risultano contrassegnati da una stessa indole ma appaiono piuttosto frutto di una deliberazione estemporanea o comunque occasionale.
9. Ammessa, nei termini appena sopra esposti, la compatibilità sul piano letterale dell’istituto della continuazione con la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., ci sembra che non vi siano nemmeno ostacoli di ordine logico-sistematico o attinenti alla ratio dei due istituti.
Essi, infatti, rispondono a esigenze affatto diverse. Da un lato, l’istituto della continuazione mira ad attenuare il rigore sanzionatorio del cumulo materiale, sostituendo a esso il diverso regime del cumulo giuridico qualora i reati realizzati con più azioni od omissioni siano il frutto di un’unica determinazione del soggetto agente[21]. Dall’altro lato, la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. risponde a una finalità di depenalizzazione in concreto, prevedendo la non punibilità di quei fatti che, nella loro concreta realizzazione, appaiano solo minimamente offensivi e, dunque, non meritevoli di pena[22].
Ebbene, può ben presentarsi all’attenzione del giudice un reato continuato che, entro i limiti consentiti dal tenore letterale dell’art. 131-bis co. 3 c.p. (supra, § 8), per le sue particolari modalità realizzative abbia cagionato un’offesa tenue ai beni giuridici tutelati e, allo stesso tempo, suggerisca il carattere soltanto occasionale del contegno illecito dell’agente.
10. Non decisivo, invece, ci sembra uno degli argomenti richiamati da alcune sentenze di legittimità a sostegno della tesi della compatibilità della continuazione con la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto e incentrato, in buona sostanza, sul pregiudizio della finalità deflattiva propria dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. prodotto da uno sbarramento totale dell’applicazione dell’esimente al reato continuato.
A tacer del fatto che ogniqualvolta la legge definisce uno o più presupposti in relazione a un qualsiasi istituto (dunque non solo quello di cui all’art. 131-bis c.p.) ne limita giocoforza il suo ambito di applicazione, è appena il caso di evidenziare che, rispetto al diverso problema dell’applicabilità della particolare tenuità del fatto nell’ambito del micro-sistema del giudizio davanti al giudice di pace, le Sezioni Unite hanno optato per la soluzione negativa proprio sulla base di ragioni di ordine sistematico, giustamente non attribuendo alcun rilievo all’argomento, che anche lì avrebbe potuto essere speso per pervenire all’opposta soluzione, della preservazione delle finalità deflattive proprie della causa di punibilità di cui all’art. 131-bis c.p.[23].
In conclusione, ribadiamo che non vi sono preclusioni di ordine letterale, né tanto meno di ordine logico-sistematico, all’applicabilità della particolare tenuità del fatto al reato continuato, tanto nel caso in cui esso si manifesti in forma sincrona quanto in quello in cui si presenti in forma diacronica. L’unica eccezione alla generale compatibilità tra i due istituti è rappresentata dal particolare caso in cui i reati uniti dal vincolo della continuazione siano valutati dal giudice come caratterizzati dalla medesima indole ai sensi del co. 3 dell’art. 131-bis c.p. nei termini sopra esposti (supra, § 8). Ciò detto, spetterà al giudice di merito, alla luce delle particolarità del singolo caso concreto, verificare se il reato continuato, oltreché tenue, sia espressivo di un comportamento occasionale del soggetto agente o se, al contrario, la realizzazione del disegno criminoso, per numero di reati commessi o per l’arco di tempo entro il quale è stato perseguito, sia espressivo di una abitualità ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità.
Non resta ora che aspettare il responso delle Sezioni Unite.
[1] Per tutti, T. Padovani, Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida dir., 2015, n. 15, p. 22; G. Alberti, La particolare tenuità del fatto, in Il Libro dell’anno del diritto 2017, § 2.5; V. Bove, Particolare tenuità del fatto, Milano, 2019, p. 206 ss.
[2] In questi termini la Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 28/2015.
[3] Il riferimento è a C. cost., ord. 10 ottobre-21 dicembre 2017, n. 279, che ha dichiarato manifestamente infondata una questione di legittimità relativa all’art. 131-bis c.p., in rapporto agli artt. 3, 25 e 27 Cost., nella parte in cui attribuisce rilievo alla non abitualità del comportamento.
[4] In questi termini si è espressa Cass., sez. un., 25 febbraio (dep. 6 aprile) 2016, n. 13681, Tushaj.
[5] Ancora Cass., sez. un., 25 febbraio (dep. 6 aprile) 2016, n. 13681, Tushaj.
[6] In questi termini Cass., sez. III, 28 maggio (dep. 13 luglio) 2015, n. 29897, Gau. I medesimi argomenti vengono richiamati da: Cass., sez. III, 1° luglio (dep. 31 ottobre) 2015, n. 43816, Amodeo; Cass., sez. V, 15 maggio (dep. 11 novembre) 2015, n. 45190, C., con nota di L. Brizi, L’applicabilità dell’art. 131-bis nelle ipotesi di continuazione di reati: un dialogo davvero (im)possibile?, in Cass. pen., 2016, p. 3269 ss.; Cass., sez. V, 14 novembre 2016 (dep. 1° febbraio 2017), n. 4852, De Marco; Cass., sez. V, 15 maggio (dep. 20 ottobre) 2017, n. 48352, Mogoreanu; Cass., sez. VI, 13 dicembre 2017 (dep. 24 gennaio 2018), n. 3353, Lesmo; Cass., sez. III, 29 marzo (dep. 4 maggio) 2018, n. 19159, Fusaro; Cass., sez. II, 16 maggio (dep. 25 settembre) 2018, n. 41453, Ndaye; Cass., sez. IV, 25 settembre (dep. 8 ottobre) 2018, n. 44896, Abramo; Cass., sez. VI, 20 marzo (dep. 2 maggio) 2019, n. 18192, Franchi; Cass., sez. III, 4 ottobre (dep. 11 dicembre) 2019, n. 50002, Giri, in questa Rivista, con nota di F. Nigro Imperiale, Non punibilità per particolare tenuità del fatto e reato continuato: verso una possibile compatibilità?
[7] In questi termini Cass., sez. V, 10 febbraio (dep. 28 giugno) 2016, n. 26813, Grosoli. I medesimi argomenti vengono richiamati da: Cass., sez. V, 14 novembre 2016 (dep. 1° febbraio 2017), n. 4852, De Marco; Cass., sez. III, 4 aprile 2017 (dep. 11 gennaio 2018), n. 776, Del Galdo; Cass., sez. III, 4 ottobre (dep. 11 dicembre) 2019, n. 50002, Giri.
[8] In questi termini Cass., sez. II, 15 novembre 2016 (dep. 2 gennaio 2017), n. 1, Cattaneo. I medesimi argomenti vengono richiamati da: Cass., sez. II, 5 aprile (dep. 7 giugno) 2017, n. 28341, Modou; Cass., sez. V, 15 maggio (dep. 20 ottobre) 2017, n. 48352, Mogoreanu; Cass., sez. I, 24 ottobre (dep. 12 dicembre) 2017, n. 55450, Greco; Cass., sez. VI, 13 dicembre 2017 (dep. 24 gennaio 2018), n. 3353, Lesmo; Cass., sez. III, 29 marzo (dep. 4 maggio) 2018, n. 19159, Fusaro; Cass., sez. IV, 25 settembre (dep. 8 ottobre) 2018, n. 44896, Abramo; Cass., sez. VI, 20 marzo (dep. 2 maggio) 2019, n. 18192, Franchi.
[9] Cfr. Cass., sez. V, 14 novembre 2016 (dep. 1° febbraio 2017), n. 4852, De Marco; Cass., sez. II, 5 aprile (dep. 7 giugno) 2017, n. 28341, Modou; Cass., sez. V, 15 maggio (dep. 20 ottobre) 2017, n. 48352, Mogoreanu; Cass., sez. I, 24 ottobre (dep. 12 dicembre) 2017, n. 55450, Greco; Cass., sez. VI, 13 dicembre 2017 (dep. 24 gennaio 2018), n. 3353, Lesmo; Cass., sez. III, 29 marzo (dep. 4 maggio) 2018, n. 19159, Fusaro; Cass., sez. II, 16 maggio (dep. 25 settembre) 2018, n. 41453, Ndaye; Cass., sez. IV, 25 settembre (dep. 8 ottobre) 2018, n. 44896, Abramo; Cass., sez. VI, 20 marzo (dep. 2 maggio) 2019, n. 18192, Franchi; Cass., sez. III, 4 ottobre (dep. 11 dicembre) 2019, n. 50002, Giri.
[10] Questa e le precedenti citazioni sono tratte da Cass., sez. II, 29 marzo (dep. 26 aprile) 2017, n. 19932, Di Bello, rispetto alla quale si vedano le valutazioni adesive di S. Santini, Non punibilità per particolare tenuità del fatto e reato continuato, in Dir. pen. cont, 30 giugno 2017. I medesimi argomenti vengono richiamati da: Cass., sez. V, 26 marzo (dep. 16 luglio) 2018, n. 32626, P.; Cass., sez. II, 6 giugno (dep. 24 settembre) 2018, n. 41011, Ba Elhadji; Cass., sez. IV, 25 settembre (dep. 19 ottobre) 2018, n. 47772, Bommartini; Cass., sez. II, 10 settembre (dep. 17 ottobre) 2019, n. 42579, D’Ambrosio.
[11] Così Cass., sez. II, 7 febbraio (dep. 2 marzo) 2018, n. 9595, Grasso. Le medesime considerazioni si ritrovano anche in: Cass., sez. IV, 25 settembre (dep. 19 ottobre) 2018, n. 47772, Bommartini; Cass., sez. IV, 13 novembre 2019 (dep. 16 marzo 2020), n. 10111, De Angelis.
[12] Così Cass., sez. V, 31 maggio (dep. 19 luglio) 2017, n. 35590, Battizocco. I medesimi argomenti vengono richiamati da: Cass., sez. V, 15 gennaio (dep. 5 febbraio) 2018, n. 5358, Cass., sez. V, 26 marzo (dep. 16 luglio) 2018, n. 32626, P.; Cass., sez. IV, 25 settembre (dep. 19 ottobre) 2018, n. 47772, Bommartini; Cass., sez. IV, 13 novembre 2019 (dep. 16 marzo 2020), n. 10111, De Angelis; Cass., sez. V, 13 luglio (dep. 2 novembre) 2020, n. 30434, Innocenti.
[13] Cfr. Cass., sez. II, 29 marzo (dep. 26 aprile) 2017, n. 19932, Di Bello. Si vedano anche: Cass., sez. II, 6 giugno (dep. 24 settembre) 2018, n. 41011, Ba Elhadji; Cass., sez. II, 10 settembre (dep. 17 ottobre) 2019, n. 42579, D’Ambrosio.
[14] Ibidem.
[15] Ancora Cass., sez. II, 29 marzo (dep. 26 aprile) 2017, n. 19932, Di Bello. Si vedano anche: Cass., sez. II, 6 giugno (dep. 24 settembre) 2018, n. 41011, Ba Elhadji; Cass., sez. II, 10 settembre (dep. 17 ottobre) 2019, n. 42579, D’Ambrosio.
[16] Rileva questa poca chiarezza anche A. Gullo, sub art. 131-bis, in E. Dolcini, G.L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, Milano, 2021, p. 1987.
[17] Così G. Alberti, In tema di particolare tenuità del fatto e reato continuato, in Dir. pen. cont., 5 ottobre 2015, § 6; in senso contrario, v. però L. Brizi, L’applicabilità dell’art. 131-bis nelle ipotesi di continuazione di reati, cit., p. 3278
[18] V. ancora A. Gullo, sub art. 131-bis, cit., p. 1988. Si veda, in una prospettiva in parte diversa, anche R. Bartoli, L’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. proc., 2015, pp. 668-9, il quale, attraverso un’interpretazione teleologicamente orientata, afferma che «condotte plurime si hanno quando sono realizzati più atti tipici nello stesso contesto temporale (più ingiurie, più minacce, più lesioni, più sottrazioni realizzate in un unico contesto temporale, il quale determina l’unicità del reato, ma che rispetto alla particolare tenuità del fatto neutralizza la “non abitualità”) o comunque sono realizzati più atti rispetto a fattispecie incriminatrici che tipizzano più condotte “progressive”: ad esempio, accettazione della promessa e ricezione oppure realizzazione di promessa e dazione».
[19] Così si è espressa Cass., sez. un., 26 febbraio (dep. 27 giugno) 1997, n. 1, Mammoliti, con riferimento al caso di condanna per reati avvinti dal vincolo della continuazione e persistenza dell’efficacia della custodia cautelare. Successivamente hanno ribadito il medesimo concetto anche: Cass., sez. un., 30 giugno (dep. 5 ottobre) 1999, n. 14, Ronga, con riferimento alla scindibilità del cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato al fine della concessione di benefici penitenziari; Cass., sez. un., 27 novembre 2008 (dep. 23 gennaio 2009), n. 3286, Chiodi, con riferimento alla valutazione della circostanza attenuante della riparazione integrale del danno di cui all’art. 62 n. 6 c.p. in relazione a ciascuno dei reati uniti dal vincolo della continuazione.
[20] Così Cass., sez. III, 4 ottobre (dep. 5 dicembre) 1996, n. 3362, Barrese. Di recente, nello stesso senso, v.: Cass., sez. III, 10 maggio (dep. 13 settembre) 2019, n. 38009, Assisi; Cass., sez. III, 20 settembre (dep. 6 dicembre) 2019, n. 49717, Brasile.
[21] Cfr., per tutte, Cass., sez. un., 28 gennaio (dep. 13 giugno) 2013, n. 25939, Ciabotti.
[22] In dottrina, per tutti, R. Bartoli, L’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, cit., p. 661. In giurisprudenza, per tutte, Cass., sez. un., 25 febbraio (dep. 6 aprile) 2016, n. 13681, Tushaj.
[23] Cass., sez. un., 22 giugno (dep. 28 novembre) 2017, n. 53683, Perini.