Cass., Sez. V, sent. 6 ottobre 2021 (dep. 13 gennaio 2022), n. 1054, Pres. Sabeone, rel. Pezzullo, ric. Valea
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’utilizzabilità nei processi pendenti dei c.d. “dati esteriori delle comunicazioni”[1] acquisiti prima dell’entrata in vigore dell’art. 1 del D.L. n. 132 del 30 settembre 2021, che, come noto, ha introdotto una nuova disciplina sull’acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico e telematico ai fini di indagine penale, modificando l’art. 132 del d.lgs. n. 196 del 2003, c.d. codice della privacy (cod. priv.).
Si anticipa fin da ora che, secondo la Cassazione, trattandosi di una disposizione processuale relativa, in particolare, alla ricerca della prova, la questione della successione normativa nel tempo deve essere risolta facendo applicazione del principio tempus regit actum[2]. Devono pertanto considerarsi pienamente utilizzabili, nei processi pendenti a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge, i “dati esteriori” che siano stati acquisiti sulla base di un provvedimento del PM legittimamente emesso in conformità a quanto stabilito dal previgente art. 132 cod. priv.
La pronuncia in esame è intervenuta nei primi giorni dell’ottobre 2021, ovvero quando il regime normativo applicabile non prevedeva alcuna disciplina relativa ai tabulati acquisiti nella vigenza della legislazione precedente. Né il Supremo Collegio, nel proprio iter argomentativo, ha tenuto conto della disciplina intertemporale introdotta dal legislatore, in sede di conversione – avvenuta con la L. n. 178 del 23 novembre 2021 – con la quale è stato previsto, nello specifico, che l’utilizzabilità nei procedimenti in corso dei dati acquisiti in conformità all’art. 132 cod. priv. debba essere subordinata alla sussistenza di determinati presupposti (v. infra, punto 9) così de facto risolvendo il profilo di problematicità emerso non appena adottato il D.L. n. 132 del 2021.
2. Prima di esaminare le ragioni in base alle quali la Suprema Corte è giunta a tali conclusioni, è opportuno un breve riepilogo della vicenda sottoposta al suo esame.
L’imputato V.S.P. era stato condannato in primo grado per i reati di cui agli artt. 575, 411 c.p., 4 e 7 L. n. 895 del 1967 per l’omicidio e la distruzione del cadavere mediante incendio della ex compagna A.M. e per porto illegale in luogo pubblico dell’arma da sparo utilizzata per il medesimo omicidio.
L’imputato è stato poi assolto dalla Corte d’assise d’appello di Catanzaro per non aver commesso il fatto; la sentenza del giudice di seconde cure è stata però annullata dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 47018 del 2016, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore Generale di Catanzaro.
In particolare – e per quanto in questa sede rileva – la sentenza di annullamento ha valorizzato le conclusioni a cui era giunto il Tribunale in primo grado, che aveva riconosciuto la responsabilità dell’imputato in considerazione di una serie di rilevanti elementi probatori, tra i quali, segnatamente, le dichiarazioni testimoniali, la localizzazione territoriale dello stesso e il traffico di sms scambiati tra i diversi protagonisti della vicenda, ovvero tra l’imputato, la vittima e il nuovo compagno di quest’ultima. Elementi che, invece, la Corte d’appello aveva valutato in modo parcellizzato e senza effettuare un’adeguata correlazione logica di una serie di rilevanti profili indiziari.
Pertanto, tenuto conto dei principi di diritto espressi dalla Suprema Corte, la Corte di Assise d’appello ha confermato il giudizio di responsabilità di V.S.P. reso in primo grado ma, in parziale riforma della sentenza del giudice di prime cure, ha ritenuto prevalenti le circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, rideterminando così la pena complessiva in anni sedici di reclusione.
A seguito di un ulteriore ricorso per Cassazione della difesa e della pubblica accusa, la Suprema Corte è stata chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla vicenda sin qui articolata e, in ordine ai motivi originariamente formulati da entrambi i ricorrenti, ha dichiarato l’inammissibilità.
3. Per quanto rileva ai presenti fini, inammissibile è stata altresì dichiarata l’ulteriore eccezione proposta dalla difesa dell’imputato all’udienza del 6 ottobre 2021, con la quale è stato richiesto alla Corte di dichiarare l’inutilizzabilità delle “acquisizioni telefoniche e telematiche” in atti; evidenze sulle quali si sarebbe basato in larga parte il giudizio di responsabilità dell’imputato.
Tale eccezione era fondata sulla considerazione che, nelle more del giudizio, era entrato in vigore il già menzionato art. 1 del D.L. n. 132 del 2021, con conseguente modifica dell’art. 132 cod. priv., ovvero il parametro normativo per le acquisizioni dei dati utilizzati nel procedimento in questione.
Ad avviso dei difensori, sarebbe stato necessario tener conto delle nuove disposizioni anche nei procedimenti in corso e la sanzione dell’inutilizzabilità, quale conseguenza del mancato rispetto delle nuove condizioni – in particolare per l’assenza del decreto motivato del giudice – si sarebbe dovuta applicare anche alle acquisizioni di dati antecedenti al D.L. n. 132 del 2021.
4. Ai fini di una efficace analisi della pronuncia in commento, con specifico riferimento a tale eccezione, occorre richiamare, in estrema sintesi (e considerata l’ampia analisi che la questione ha sollecitato in dottrina[3]) le ragioni e la natura delle modifiche introdotte alla citata norma del codice della privacy.
All’origine del mutamento normativo vi è una pronuncia della Corte di giustizia, nota come sentenza HK, del 2 marzo 2021[4]. I giudici di Lussemburgo, interpretando l’art. 15, par. 1, dir. 2002/58/CE in materia di trattamento dei dati personali, hanno individuato una serie di condizioni a cui gli Stati membri devono subordinare l’accesso ai dati conservati dai fornitori da parte dell’autorità pubblica per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati, in modo da poter bilanciare tale esigenza con la contrapposta necessità di tutelare il diritto alla riservatezza.
In particolare, secondo la Corte di giustizia, l’accesso ai dati può essere consentito solo: (i) in presenza di «forme gravi di criminalità» o per far fronte a «gravi minacce alla sicurezza pubblica», a prescindere dal periodo di tempo cui i dati ineriscono, dalla quantità e qualità degli stessi e (ii) se vi sia la preventiva autorizzazione di un’autorità giudiziaria o amministrativa indipendente e terza rispetto alle parti, pubbliche e private. In sintesi, sarebbe di fatto precluso all’organo inquirente titolare delle indagini il potere di acquisizione diretta di tali informazioni e dati personali.
Nonostante la sentenza sia stata pronunciata, in via pregiudiziale, con riferimento all’ordinamento estone – che rispetto alla figura del Pubblico Ministero presenta numerosi profili di differenziazione da quello italiano (basti considerare che l’organo inquirente in Estonia è nominato dall’esecutivo ed è soggetto a forme di influenza da parte del Ministro della giustizia mentre il Pubblico Ministero italiano è assistito da piene garanzie di autonomia e indipendenza) – i principi espressi dalla Corte di giustizia sono stati prontamente “recepiti” nell’ordinamento nazionale.
4.1. Infatti, lo scorso 30 settembre 2021, con il D.L. n. 132 del 2021, sono state introdotte rilevanti modifiche all’art. 132 cod. priv., il quale, nella sua precedente formulazione, consentiva al Pubblico Ministero, con decreto motivato, di acquisire direttamente i tabulati telefonici presso i fornitori di servizi di comunicazione per la repressione di una qualunque fattispecie di reato in astratto configurabile.
In particolare, ai sensi della nuova disposizione, innanzitutto, sono stati individuati una serie di presupposti necessari per l’acquisizione dei tabulati: (i) la necessità che si proceda per reati puniti con la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni o per illeciti tassativamente menzionati, quali quelli previsti agli artt. 612 e 660 c.p., purché, in questi ultimi casi, siano gravi; (ii) la sussistenza di sufficienti indizi di reato; (iii) la rilevanza dei dati da acquisire ai fini della prosecuzione delle indagini.
Inoltre, diverso, è anche l’organo competente: si è previsto che l’acquisizione presso il fornitore debba avvenire con decreto motivato del giudice, terzo e imparziale.
5. È proprio alla luce di tale articolata premessa che la Cassazione, nella pronuncia in esame, svolge la propria analisi in merito alla portata dell’eccezione sollevata e, dunque, alla possibilità di considerare utilizzabili o meno i dati acquisiti in conformità al previgente art. 132 cod. priv. nei procedimenti pendenti.
5.1. Secondo i giudici di legittimità, innanzitutto (punto 1.2.1.), l’inutilizzabilità dei dati telefonici e informatici acquisiti deve essere esclusa in considerazione del fatto che l’art. 132, comma 3, cod. priv., così come novellato dal D.L. n. 132 del 2021, non prevede la sanzione invocata; anzi, è del tutto silente in merito alle conseguenze di una eventuale «patologica acquisizione» dei dati.
Tale rilievo, secondo la Cassazione, trova altresì conferma nel comma 3 bis del medesimo articolo, il quale, invece – nello specifico caso in cui il decreto emesso dal PM per ragioni di urgenza non venga convalidato dal giudice nel termine stabilito – prevede espressamente l’inutilizzabilità dei dati così acquisiti.
Considerata poi l’assenza di qualsivoglia previsione testuale, non potrebbe nemmeno venire in rilievo l’art. 191 c.p.p. Questa norma infatti prevede la sanzione dell’inutilizzabilità solamente quando le prove siano state acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, non, invece, quando l’assunzione, pur consentita, sia avvenuta senza osservare le prescritte modalità. In tale ultimo caso è prevista l’applicabilità della sola disciplina delle nullità processuali[5].
5.2. Inoltre, prosegue la Suprema Corte (punto 1.2.1.1.), anche qualora fosse astrattamente possibile profilare l’inutilizzabilità dei dati acquisiti nell’inosservanza delle formalità previste al novellato art. 132, comma 3, cod. priv., la sanzione de qua andrebbe comunque esclusa nel caso di specie, da un lato, considerate le ragioni che hanno determinato l’elaborazione del decreto-legge, dall’altro lato, valorizzato il collegamento con la disposizione del comma 3 bis.
Questa conclusione andrebbe desunta, segnatamente, dal fatto che il D.L. n. 132 del 2021 non contiene una disciplina transitoria per quanto attiene ai dati di traffico telefonico e telematico già acquisiti nel corso di procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto.
Invero, è il caso di sottolineare che nella bozza del decreto in esame era stata prevista una apposita disciplina intertemporale che, qualificando l’art. 132 cod. priv. come norma processuale, prevedeva l’applicazione del principio tempus regit actum. Tuttavia, l’utilizzabilità dei dati già acquisiti veniva subordinata alla condizione che fossero comunque rispettati i presupposti stabiliti dal decreto stesso[6]. Di tale disciplina transitoria si è poi omesso ogni riferimento nel testo definitivo del decreto.
Dunque, preso atto di tale vuoto normativo, secondo la Cassazione occorre riferirsi ai principi generali e applicare il criterio del tempus regit actum, la cui operatività trova, del resto, anche conferma nella costante giurisprudenza della Suprema Corte.
Innanzitutto, il riferimento è ai principi espressi dalle Sezioni Unite Gatto in materia di intercettazioni. In particolare, in quella pronuncia era stato stabilito che la disciplina sopravvenuta non può incidere, in mancanza di specifiche disposizioni legislative, sull’utilizzazione delle intercettazioni; la successione delle norme processuali, infatti, è regolata dal principio tempus regit actum, dunque, rimangono validi tutti gli atti compiuti nella vigenza della legge precedente[7].
Questo canone è stato di recente ribadito dai giudici di legittimità[8], i quali hanno avuto modo di precisare che il principio di retroattività della norma più favorevole, implicitamente ricavabile – secondo quanto affermato nella nota sentenza Scoppola c. Italia della Corte EDU – dall’art. 7 CEDU, non è applicabile con riferimento alle norme processuali, per le quali resta fermo, quale principio regolatore, quello del tempus regit actum[9].
La Suprema Corte, nel dichiarare l’inammissibilità dell’eccezione sollevata (punto 1.3.), ha altresì fatto applicazione di un consolidato principio espresso dalla propria giurisprudenza, quello della c.d. “prova di resistenza”: qualora con il ricorso per Cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, è necessario che la difesa evidenzi – a pena di inammissibilità – l’incidenza dell’eventuale eliminazione dello stesso. Infatti, gli elementi di prova illegittimamente acquisiti diventano irrilevanti e ininfluenti se – nonostante la loro eliminazione – le ulteriori risultanze siano tali da non dar luogo ad un mutamento del convincimento del giudice[10]. Nel caso di specie, tale onere probatorio, ad avviso dei giudici di legittimità, non sarebbe stato adeguatamente assolto dai difensori dell’imputato.
Alla luce, dunque, delle considerazioni complessivamente svolte, la Corte di Cassazione ha concluso nel senso della piena utilizzabilità dei dati acquisiti in conformità al previgente art. 132 cod. priv.
6. La sentenza in commento, pur giungendo a conclusioni condivisibili quanto alla sorte dei dati così acquisiti, ha tuttavia omesso di soffermarsi su alcune questioni che, invece, appaiono particolarmente rilevanti ai fini di una completa soluzione della questione[11].
Se infatti sembra coerente con le coordinate del sistema processuale nazionale il riferimento al generale principio del tempus regit actum, considerata la natura (processuale e non sostanziale) della norma novellata, al fine di escludere l’inutilizzabilità dei dati informatici e telematici già acquisiti, sarebbe stato probabilmente opportuno che la Cassazione si fosse soffermata anche in ordine alla possibilità di applicare, o meno, retroattivamente i principi espressi dalla sentenza HK, così da evitare qualsiasi motivo di eventuale frizione con il diritto dell’Unione europea.
In sede di motivazione, nonostante l’articolata premessa, non si rinviene alcun riferimento a tale questione, forse anche per l’assenza di un adeguata sollecitazione sul punto da parte della difesa dell’imputato, la cui eccezione è infatti stata definita dalla Cassazione come «non compiutamente argomentata».
Il problema, segnatamente, si pone in virtù del fatto che, come noto, le pronunce della Corte di giustizia rese in sede pregiudiziale vincolano in linea di principio (ovvero, ferma restando la possibilità di un nuovo rinvio interpretativo sulle stesse questioni) tutte le giurisdizioni degli Stati membri, hanno carattere dichiarativo e spiegano i propri effetti, di regola, con efficacia ex tunc, imponendo così la loro applicazione a tutte le situazioni pregresse sorte prima della sentenza, purché non ancora esaurite[12].
In concreto, dunque, nel caso di specie, sarebbe forse stato opportuno non pretermettere la questione della (in)applicabilità retroattiva dei principi sanciti dal giudice di Lussemburgo in HK, bensì fornire un’adeguata motivazione in merito, anche all’eventuale fine di valorizzare la tesi dell’utilizzabilità dei “dati esteriori” già acquisiti.
Inoltre, la Suprema Corte avrebbe potuto escludere l’applicabilità dei principi di HK, facendo leva sulla considerazione – a più riprese sostenuta dalla Corte costituzionale[13] – in base alla quale le sentenze della Corte di giustizia hanno lo stesso valore delle norme che interpretano e non ne mutano, per il solo intervento di una pronuncia interpretativa, gli effetti nell’ordinamento nazionale. Pertanto, i giudici di legittimità avrebbero potuto argomentare nel senso di escludere che le disposizioni dell’art. 15 della dir. 2002/58/CE fossero dotate di effetto diretto – in quanto prive del necessario carattere chiaro, preciso e incondizionato – giungendo così ad affermare che, pur esistente l’antinomia tra diritto interno e sovranazionale, all’immediata applicazione del dictum della sentenza HK avrebbe ostato l’assenza di effetto diretto della norma interpretata dalla Corte di giustizia.
La Corte non sembra poi tenere in considerazione un’ulteriore questione, che, di per sé, appare idonea a profilare un diverso e autonomo profilo di potenziale contrasto con il diritto dell’Unione. L’applicabilità del principio tempus regit actum presuppone, infatti, che la modalità di acquisizione dei tabulati acquisiti nella vigenza del precedente art. 132 cod. priv. fosse legittima, in quanto conforme all’art. 15, dir. 2002/58/CE, letto alla luce delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e così come interpretato dalla Corte di giustizia nella giurisprudenza in sentenze già precedenti a HK[14]. In tal senso, la dottrina aveva già rilevato margini di frizione[15], costantemente esclusi dai giudici di legittimità che, invece, si sono sempre espressi nel senso di una piena compatibilità della disciplina italiana di acquisizione dei dati esteriori con le esigenze evidenziate dalle pronunce della Corte di giustizia[16]. Dunque, sarebbe forse stato opportuno che la Suprema Corte argomentasse anche in relazione a tale profilo, ribadendo gli approdi della propria precedente giurisprudenza, ovvero, qualora avesse evidenziato effettivamente un contrasto, avrebbe potuto evidenziare che il contrasto si sarebbe verificato con una norma UE non dotata di effetto diretto e che quindi sarebbe spettato al legislatore o alla Consulta superare gli eventuali profili di antinomia esistenti.
Infine, l’utilizzabilità delle acquisizioni fondate sul previgente art. 132 cod. priv. risulta coerente con l’impostazione di fondo su cui si è costruito l’itinerario argomentativo della sentenza HK. La Corte di giustizia ha infatti analizzato l’intera questione oggetto della pronuncia alla luce del canone di proporzionalità, nel senso della necessità di operare un delicato bilanciamento tra due contrapposti interessi: la tutela della riservatezza e l’esigenza di repressione e contrasto della criminalità. Non sarebbe dunque conforme al principio di proporzionalità prevedere la radicale inutilizzabilità degli elementi acquisiti precedentemente, poiché in tal modo sarebbe vanificata integralmente l’attività investigativa già compiuta e impedita ogni forma di accertamento della responsabilità penale.
7. In ogni caso, è bene sottolineare che la specifica questione sottoposta al vaglio della Cassazione non presentava profili problematici con riferimento al rispetto dei principi sanciti dalla sentenza HK.
Innanzitutto, nel caso di specie era rispettata la previsione relativa alla gravità del reato per cui si procedeva, trattandosi di illeciti puniti con la pena della reclusione non inferiore ad anni ventuno (art. 575 c.p.) e con la reclusione da due a sette anni (art. 411 c.p.).
Dalla sentenza della Cassazione emerge che anche le ulteriori condizioni relative alla sussistenza di sufficienti indizi di reato e alla rilevanza delle acquisizioni ai fini della prosecuzione delle indagini fossero soddisfatte.
Si può, inoltre, osservare che i dati esteriori delle comunicazioni e quelli relativi al posizionamento dell’imputato sono stati regolarmente acquisiti secondo il consueto filtro dell’art. 495 c.p.p. e sono stati ammessi come prove dal giudice in sede dibattimentale, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, in conformità, ai principi sanciti dalla stessa Corte di giustizia. Quello del rispetto del contraddittorio è infatti stato un tema particolarmente valorizzato in HK, come già rilevato in dottrina[17]; la sentenza, al punto 44, prevede che «la necessità di escludere informazioni ed elementi di prova ottenuti in violazione delle prescrizioni del diritto dell’Unione deve essere valutata alla luce, in particolare, del rischio che l’ammissibilità di informazioni ed elementi di prova siffatti comporta per il rispetto del principio del contraddittorio e, pertanto, del diritto ad un processo equo». Da tale espressione, si potrebbe dunque desumere, in linea generale, l’utilizzabilità di quel materiale probatorio già acquisito, in quanto è stata rispettata la condizione, richiesta dalla Corte di giustizia, legata all’acquisizione in contraddittorio dei tabulati.
8. Per concludere, occorre evidenziare che quanto stabilito nella sentenza in esame trova applicazione con riferimento ai soli procedimenti definiti tra la data l’entrata in vigore del D.L. n. 132 del 2021, ovvero il 30 settembre 2021, e l’introduzione della legge di conversione del decreto, L. n. 178 del 23 novembre 2021[18].
La legge di conversione, infatti, è intervenuta a porre rimedio a tutti gli aspetti più critici emersi immediatamente dopo l’entrata in vigore del decreto-legge[19]. In particolare, per quanto qui rileva, è stata introdotta una specifica disciplina transitoria al comma 1 bis dell’art. 1 del D.L. n. 132 del 2021, in base alla quale i «dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico e alle chiamate senza risposta, acquisiti nei procedimenti penali in data precedente alla data di entrata in vigore del presente decreto, possono essere utilizzati a carico dell’imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l’accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’articolo 4 del codice di procedura penale e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi».
Dunque, alla generale applicabilità del principio tempus regit actum per i procedimenti pendenti il legislatore ha introdotto due specifici correttivi: (i) la necessità che i dati acquisiti non rappresentino l’unico elemento di prova idoneo a fondare la responsabilità dell’imputato e che (ii) il reato sia “grave”, richiedendo anche per il regime transitorio che il fatto sia punito con l’ergastolo o con la reclusione non inferiore a tre anni nel massimo.
9. Dalla disciplina transitoria introdotta in sede di conversione emerge dunque che le informazioni relative al traffico telefonico e telematico già acquisite nel corso di procedimenti ancora pendenti all’entrata in vigore della L. n. 178 del 2021 sono utilizzabili esclusivamente qualora siano rispettati i requisiti di cui si è detto; in caso contrario devono considerarsi inutilizzabili.
Nonostante la norma faccia riferimento alla persona dell’“imputato” e non anche a quella dell’“indagato”, deve ritenersi applicabile a tutti giudizi pendenti, anche prima che sia stata esercitata l’azione penale (es., in fase cautelare). Si tratta infatti di un’estensione, in bonam partem, fondata sulla previsione di cui all’art. 61 c.p.p.[20].
Tuttavia, residuano alcuni profili di criticità: il legislatore non ha definito né quale sia l’autorità investita del compito di valutare la sussistenza delle condizioni previste, né quale sia il momento in cui tale giudizio dovrebbe essere compiuto.
Il problema si potrebbe porre, in particolare, per la fase dibattimentale. Risulta complesso immaginare, ad esempio, che il giudice, quando ammette le prove con ordinanza ai sensi dell’art. 495 c.p.p., possa essere in grado di compiere ex ante una valutazione rispetto alla rilevanza dei dati acquisiti per escluderne, o meno, l’utilizzabilità. Solo all’esito dell’esame complessivo degli elementi probatori a carico dell’imputato il giudice potrebbe infatti verificare che i dati relativi al traffico telematico e telefonico acquisiti sulla base del previgente art. 132 cod. priv. hanno in concreto rappresentato il principale degli elementi di prova nel giudizio di responsabilità.
[1] Per “dati esteriori” si intendono le informazioni relative al flusso di traffico telefonico – sia in entrata che in uscita (comprese le chiamate perse) – e telematico, ovvero i c.d. “files di log”, dai quali è possibile risalire alla precisa finestra temporale nella quale vi è stata una connessione internet. Nello specifico, quanto alla tipologia delle informazioni acquisibili in tal senso, cfr. l’art. 1 del D.lgs. n. 109 del 2008.
[2] Su cui, ex multis, v. G. Lozzi, Lineamenti di procedura penale, Torino, 2017, p. 80.
[3] Cfr., ex multis, G. Amato, Nella “costruzione” normativa si è sminuito il ruolo del Pm, in Guida al diritto, 16 ottobre 2021; G. Battarino, Acquisizione di dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale: il decreto-legge 30 settembre 2021 n. 132, in Questione giustizia, 5 ottobre 2021; A. Malacarne, La decretazione d’urgenza del Governo in materia di tabulati telefonici: breve commento a prima lettura del d.l. 30 settembre 2021, n. 132, in questa Rivista, 8 ottobre 2021; C. Parodi, Sottratto al P.M. il potere di richiedere autonomamente i tabulati, in www.ilpenalista.it, 1° ottobre 2021; F. Resta, La nuova disciplina dell’acquisizione dei tabulati, in www.ilpenalista.it, 2 ottobre 2021.
[4] Corte giust., 2 marzo 2021, causa C-746/18, Prokuratuur (Conditions d’accès aux données relatives aux communications électroniques), ECLI:EU:C:2021:152. Per un commento alla sentenza cfr. M. Aranci, L’acquisizione dei dati esteriori delle comunicazioni nel processo penale italiano dopo la sentenza H.K.: alcuni spunti di riflessione sulle prime applicazioni giurisprudenziali, in Legislazione Penale, 19 luglio 2021; L. Filippi, La disciplina italiana dei tabulati telefonici e telematici contrasta con il diritto U.E., in www.dirittodidifesa.eu, 20 marzo 2021; G. Formici, L’incerto futuro della data retention nell’Unione europea: osservazioni a partire dalla sentenza H.K. v. Prokuratuur, in www.sidiblog.org, 27 aprile 2021.
[5] Cfr. sul punto anche Cass. Pen., sez. II, 7 febbraio 2018, n. 9494.
[6] In particolare, nella bozza la disciplina transitoria era articolata nei seguenti termini:
«Art. 2. (Disposizione transitoria in materia di modifiche alla disciplina dell’acquisizione dei dati per fini di indagine penale).
1. I dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni, e alle chiamate senza risposta, acquisiti nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere utilizzati, quando l’acquisizione è stata disposta dall’autorità giudiziaria, se ricorrono i presupposti previsti dall’articolo 132, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, così come modificato dall’articolo 1 del presente decreto.
2. Ai fini di cui al comma 1, nella prima udienza successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto, il giudice, sentito le parti, provvede con ordinanza alla convalida del provvedimento di acquisizione dei dati. Nei procedimenti in cui l’azione penale non è stata esercitata, alla verifica procede, anche di ufficio, il giudice per le indagini preliminari all’atto dell’adozione del primo provvedimento successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto che è presupponga la valutazione dei dati di cui al comma 1».
[7] Cass. Pen., Sez. un., 16 novembre 2003, n. 919, Gatto. In particolare, nel pronunciarsi sull’applicabilità della sanzione dell’inutilizzabilità introdotta dall’art. 203 c.p.p., facendo applicazione del principio tempus regit actum, le Sezioni Unite hanno ritenuto legittime le intercettazioni ambientali autorizzate, precedentemente all’entrata in vigore della L. 1° marzo 2001 n. 63, nell’ambito di indagini relative a fenomeni di criminalità organizzata, sulla base di informazioni confidenziali acquisite da organi di polizia giudiziaria nonostante, secondo la nuova normativa, le dichiarazioni sono indizi idonei a legittimare le operazioni di intercettazioni finché non si sia provveduto alla loro audizione ai sensi dell’art. 267, comma 1 bis c.p.p.
[8] Da ultimo, v. Cass. Pen., sez. V, 28 settembre 2020, n. 31849; Cass. Pen., sez. III, 29 novembre 2019 (dep. 2020), n. 8785.
[9] Cfr. Cass. Pen., Sez. un., 17 luglio 2014, n. 44895.
[10] Cfr. Cass. Pen., sez. III, 2 ottobre 2014, n. 3207; Cass. Pen., sez. II, 18 novembre 2016, n. 7986; Cass. Pen., sez. V, 6 ottobre 2020 n. 31823.
[11] Si segnala sul punto la più recente sentenza Cass. Pen., sez. III, udienza del 16 febbraio 2022 – le cui motivazioni non sono ancora state depositate – con la quale la Suprema Corte ha affrontato nuovamente il tema dell’utilizzabilità dei tabulati telefonici acquisiti su decreto del Pubblico ministero prima delle modifiche intervenute con il D.L. 132 del 2021. Dal principio di diritto della sentenza emerge che in tale occasione la Cassazione, pur confermando la soluzione della pronuncia in esame, ha concluso per l’utilizzabilità dei tabulati acquisiti in conformità al precedente art. 132 cod. priv. alla luce di diverse considerazioni. In particolare, il riferimento è al par. 43 della sentenza HK, in forza del quale gli Stati membri non devono necessariamente prevedere l’inutilizzabilità dei dati acquisiti in violazione della direttiva ma possono emanare «norme e prassi nazionali che disciplinino la valutazione e la ponderazione delle informazioni e degli elementi di prova», opzione prescelta dal legislatore italiano con la legge n. 178 del 2021.
[12] Cfr., sul punto, Corte giust., 27 marzo 1980, causa C-61/79, Denkavit, ECLI:EU:C:1980:100; sul punto, v. G. Strozzi, R. Mastroianni, Diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale, Torino, 2017, p. 444.
[13] Cfr. Corte cost., 11 luglio 1989 n. 389; Corte cost., 13 luglio 2007, n. 284.
[14] Cfr. Corte giust, 8 aprile 2014, cause riunite C‑293/12 e C‑594/12, Digital Rights Ireland Ltd, ECLI:EU:C:2014:238; Corte giust., 21 dicembre 2016, cause riunite C-203/15 e C-698/15, Tele2 Sverige AB, ECLI:EU:C:2016:970; Corte giust., 6 ottobre 2020, cause riunite C 511/18, C 512/18 e C 520/18, La Quadrature du Net, ECLI:EU:C:2020:791 e causa C-623/17, Privacy International, ECLI:EU:C:2020:790
[15] Sul punto, L. Luparia Donati, Data retention e processo penale. Un’occasione mancata per prendere i diritti davvero sul serio, in Diritto di internet, 2019; I. Neroni Rezende, Dati esterni alle comunicazioni e processo penale: questioni ancora aperte in tema di data retention, in questa Rivista, 2020.
[16] Cfr. Cass. Pen, 10 dicembre 2019 n. 5741; Cass. Pen., 25 settembre 2019 n. 48737; Cass. Pen., 19 aprile 2019 n. 36380; Cass. Pen., 24 aprile 2018 n. 33851.
[17] Cfr. M. Aranci, L’acquisizione dei dati esteriori, cit., p. 18.
[18] Per un primo commento sulle novità introdotte cfr. G. Pestelli, Convertito in legge il D.L. 132/2021: le modifiche apportate (e quelle mancate) in materia di tabulati, in www.quotidianogiuridico.it, 18 novembre 2021; L. Tavassi, acquisizione di tabulati, tutela della privacy e rispetto del principio di proporzionalità, in Arch. pen. web, 2022.
[19] Quanto alle principali criticità emerse dall’art. 1 del D.L. n. 132 del 2021 cfr. la Relazione Ufficio del Massimario e del Ruolo n. 55/2021, 13 ottobre 2021.
[20] Cfr. G. Pestelli, Convertito in legge il D.L. 132/2021, cit.