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05 Febbraio 2021


Induzione indebita ex art. 319-quater c.p. e legittimazione al risarcimento del danno in capo al soggetto indotto

Cass., Sez. VI, 29 ottobre 2020 (dep. 12 novembre 2020) n. 31890, Pres. Fidelbo, Rel. Ricciarelli



1. Nella sentenza che si segnala, la Cassazione stabilisce che, nel caso di induzione indebita ex art. 319-quater c.p., il soggetto indotto, che promette o dà l’utilità al pubblico ufficiale, non è legittimato a richiedere il risarcimento del danno, in quanto compartecipe dell’illecito.

Nella vicenda oggetto della pronuncia in esame il giudice di primo grado aveva inizialmente assolto l’imputato dall’accusa di concussione, per insussistenza del fatto; su ricorso della sola parte civile, la Corte d’Appello riformava la sentenza di assoluzione, condannando l’imputato al risarcimento del danno, previa riqualificazione della contestata concussione in induzione indebita.

Si proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, lamentando, fra l’altro, che il giudice di secondo grado aveva errato nell’applicare retroattivamente il novum derivante dalla l. n. 190/2012, ai sensi dell’art. 2, co. 4 c.p., in quanto le condotte contestate – in particolare la dazione dell’utilità dall’indotto al pubblico ufficiale – si erano svolte in parte dopo l’entrata in vigore dell’art. 319-quater c.p., con la conseguenza che l’integrazione diretta della fattispecie di induzione indebita avrebbe impedito la statuizione civile di condanna in ragione della strumentalità del comportamento dell’indotto rispetto al verificarsi dell’evento dannoso.

 

2. La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso annullando senza rinvio la sentenza impugnata, articola il suo ragionamento in due snodi fondamentali.

Il primo riguarda il consolidato orientamento della Suprema Corte circa il momento consumativo della categoria di reati a duplice schema fra i quali, secondo la sentenza in esame, deve essere inclusa l’induzione indebita.

Si tratta di quelle ipotesi, il cui idealtipo è rappresentato dalla fattispecie di corruzione, in cui l’esistenza di plurime e progressive modalità di realizzazione della condotta consente di individuare nella fattispecie astratta una netta separazione cronologica fra perfezione e consumazione[1]. Infatti, nel caso della corruzione, con la promessa dell’utilità quale corrispettivo del pactum sceleris il reato si perfeziona; l’eventuale dazione del tantundem in adempimento dell’accordo corruttivo rappresenta il momento consumativo – rilevante ai fini del decorso del termine prescrizionale – di un reato già perfetto[2].

Similmente – ponendosi all’estremo opposto – nel caso della concussione, la costrizione alla quale fa seguito la promessa perfeziona l’illecito che, nel caso, si consumerà al momento della dazione dell’indebito[3].

Il duplice schema si ripete anche nella figura ‘mediana’ dell’art. 319-quater c.p.: il reato «si perfeziona indifferentemente con la promessa o la dazione, fermo restando che la consumazione va correlata a tale momento, ove la dazione segua un’iniziale promessa»[4].

Questa constatazione consente alla Cassazione di affermare che la sentenza impugnata aveva errato nel ritenere applicabile l’art. 319-quater c.p. al caso di specie solo in quanto norma più favorevole; al momento dell’entrata in vigore della l. n. 190/2012 l’utilità promessa non era stata ancora consegnata e, pertanto, la consumazione del reato era avvenuta dopo l’introduzione dell’art. 319-quater c.p. con la dazione del tantundem, con la conseguenza che il pubblico ufficiale avrebbe dovuto essere sin dal primo grado tratto a processo con l’accusa di induzione indebita (assieme all’indotto costituitosi parte civile).

 

3. Il secondo snodo fondamentale concerne la figura dell’indotto nel reato di cui all’art. 319-quater c.p.

Sostiene, condivisibilmente, la sentenza in analisi che nell’induzione indebita «il soggetto che promette o eroga il denaro o l’utilità concorre al perfezionamento della fattispecie di reato, essendo da lui concretamente esigibile una condotta diversa»; nello schema concettuale dell’induzione indebita, quindi, il privato non può essere considerato il soggetto passivo del reato, bensì, stante la natura di illecito bilaterale, costui è da «reputare corresponsabile della dazione o della promessa».

Dal punto di vista risarcitorio, quindi, «non risulta concretamente ravvisabile la legittimazione e l’interessa ad agire, per ottenere un risarcimento del danno derivante da condotta induttiva, da parte del soggetto che con la sua condotta ha concorso alla realizzazione del risultato illecito che l’ordinamento intende scongiurare».

In definitiva, dopo aver sgombrato il campo dal possibile equivoco circa la valenza solo sanzionatoria in bonam partem dell’art. 319-quater c.p. nel caso di specie, la Corte giunge alle proprie conclusioni circa l’assenza di un danno risarcibile in capo all’indotto partendo dalla natura di illecito necessariamente plurisoggettivo – in senso proprio – del delitto in discussione[5].

Tuttavia, la stessa sentenza in commento pone le premesse per il ridimensionamento della soluzione individuata nella parte in cui si precisa – probabilmente nell’ambito di un obiter dictum – che l’art. 319-quater c.p., pur essendo reato a concorso necessario, ammette la configurabilità del tentativo.

Infatti, una volta sancita l’applicabilità dell’art. 56 c.p. alla figura dell’induzione indebita, si pone il problema di valutare la posizione di danneggiato o meno del privato che resiste alle pressioni del pubblico ufficiale[6].

 

4. Preliminarmente, tuttavia, occorre soffermarsi brevemente sulla dichiarata compatibilità fra art. 56 c.p. ed art. 319-quater c.p.

La sentenza in analisi suggerisce che simile orientamento sia pacifico in giurisprudenza: «È stato autorevolmente rilevato che il reato di induzione indebita rientra tra quelli plurisoggettivi a concorso necessario, pur non potendo escludersi la configurabilità del tentativo (sul punto Sez. U. n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258470-6)»; in effetti, in questo senso si sono susseguite diverse decisioni.

La prima è la notissima e già menzionata sentenza delle Sezioni Unite nel caso Maldera, che ha classificato la fattispecie di cui all’art. 319-quater c.p. come reato a concorso necessario, poiché simile caratteristica strutturale è centrale nella distinzione fra questa figura di reato e quella contigua della concussione[7] e, ciononostante, ha ammesso la configurabilità del tentativo di induzione[8].

Tuttavia, in questa occasione non sembra che la Cassazione si sia posta il problema teorico sotteso alla soluzione raggiunta, e cioè l’attrito con la regola dell’irrilevanza penale dell’istigazione non accolta sancito dall’art. 115 c.p. Infatti, se si è in presenza di un reato necessariamente plurisoggettivo in senso proprio, la punibilità di un solo concorrente necessario in ragione della integrazione del suo segmento di condotta (ed in assenza di condotta tipica da parte del correo) dovrebbe essere esclusa in ragione della impossibilità, nel nostro ordinamento, di configurare il tentativo di concorso, salvo che sia espressamente previsto dalla legge[9].

Successivamente la Cassazione ha ribadito l’applicabilità del tentativo di induzione indebita nelle ipotesi in cui l’intraneus ponga in essere la condotta tipica, ma il privato non assecondi la richiesta perentoria del pubblico ufficiale[10]. In queste occasioni, la Suprema Corte ha abbandonato la teorica del reato a concorso necessario, abbracciando la tesi della norma a due fattispecie[11], nonostante simile impostazione fosse stata espressamente rigettata dalle Sezioni Unite Maldera[12].

In questa sede non si intende affrontare la complessa tematica della natura monosoggettiva o plurisoggettiva del reato di induzione indebita, ma solo porre in evidenza una duplice necessità di approfondimento che l’impostazione da ultimo adottata dalla giurisprudenza richiede.

La prima è legata alla mancata spiegazione delle ragioni che hanno portato la Suprema Corte a discostarsi dall’autorevole precedente della sentenza Maldera nello stabilire la natura monosoggettiva della norma di cui all’art. 319-quater c.p.; sul punto sarebbe auspicabile un’esplicita motivazione[13].

La seconda, probabilmente connessa alla prima, riguarda le ricadute che la evidenziata natura di duplice reato monosoggettivo dell’induzione indebita produce sulla delimitazione dei rapporti con la concussione, sia consumata[14] sia tentata.

A quest’ultimo proposito, infatti, l’assenza del fine indebito del privato che si indirizza al medesimo risultato auspicato dell’intraneus costringe l’interprete ad affidarsi solo alla valutazione quantitativa astratta della capacità della condotta del pubblico ufficiale a limitare –in modo blando – l’autodeterminazione del privato. In altri termini, al netto delle infrequenti condotte violente del pubblico ufficiale, per discriminare fra tentata concussione e tentata induzione si dovranno selezionare e distinguere la «minaccia esplicita o implicita di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto, della libertà di autodeterminazione del destinatario»[15] dalla «condotta di persuasione, suggestione (…), pressione morale, con più tenue valore condizionante»[16] senza che i «più ampi margini decisionali» del privato indotto possano essere illuminati dalla «acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, [motivata] dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale»[17]; si tratta di una distinzione che può importare significative difficoltà di prova[18] e corrispondente arbitrarietà della decisione giudiziale.

 

5. Ciò premesso, occorre entrare nel vivo del problema della risarcibilità del danno da reato in capo al privato che subisce le iniziative del pubblico ufficiale senza prestare alcun tipo di acquiescenza.

Una prima soluzione si potrebbe ottenere ponendosi nella prospettiva di chi ritiene che l’art. 319-quater c.p. sia espressivo di un reato necessariamente plurisoggettivo in senso proprio[19] ed applicando rigorosamente il principio generale sancito dall’art. 115 c.p. – non derogato nel caso dell’induzione indebita –; date queste premesse, si dovrebbe ritenere che al privato che ha resistito all’induzione non spetti il diritto al risarcimento del danno da reato in ragione dell’impossibilità di configurare a priori l’illecito penale in discussione[20].

Viceversa, adottando il metro di giudizio assunto dalla Suprema Corte e da quella parte della dottrina favorevole alla configurabilità del tentativo di induzione indebita, vi è la necessità di stabilire se la condotta del solo pubblico ufficiale comporti un danno risarcibile ai sensi dell’art. 185 c.p.

Trattandosi di delitto tentato, la componente di danno in capo all’indotto sarà verosimilmente quella non patrimoniale[21], potendosi individuare solamente una forma di patimento psicologico come conseguenza delle pressioni o nelle richieste perentorie dell’intraneus, cui il privato resiste.

Le problematiche sottese a questa indagine sono messe in risalto dal paragone con la contigua fattispecie della concussione, nell’ipotesi in cui il privato reagisca alla minaccia del male ingiusto, contrastandola[22]. Nel caso dell’art. 317 c.p. l’extraneus subisce una importante forma di costrizione che limita fortemente, senza annullarla del tutto, la propria libertà di autodeterminazione[23].

In questo caso, la risarcibilità del danno morale pare garantita dalla presenza di atti idonei a provocare la costrizione che, nonostante il privato vi resista, è da quest’ultimo percepita e subita nei suoi caratteri essenziali, con ciò provocando una situazione di sofferenza psicologica qualificabile come danno morale[24].

Nel tentativo di induzione indebita, invece, la situazione appare molto più sfumata, in primo luogo perché non è possibile agganciare l’esistenza del danno risarcibile del privato alla lesione del bene giuridico della libertà di autodeterminazione[25].

La difficoltà di individuazione del patimento sul quale fondare il danno non patrimoniale risiede, inoltre, nel fatto che il privato subisce una non-minaccia da parte del pubblico ufficiale che gli prospetta, come contropartita della promessa o della dazione, un effetto astrattamente vantaggioso.

La scelta del privato, che decide di non aderire alle pressioni, richieste perentorie ecc., si incardina in un substrato in cui non solo la libertà di autodeterminazione non è significativamente compressa ma, anche, il metro di giudizio sul come rispondere alla condotta del p.u. è meramente utilitaristico, poiché il privato deve decidere se aderire o meno alla «prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale, [determinandosi] coscientemente e volontariamente alla promessa o alla dazione dell’indebito»[26].

In questa situazione pare doversi escludere un turbamento psicologico tale da giustificare un risarcimento del danno, atteso che il privato, in definitiva, è solo indotto a reagire ad una sollecitazione – per quanto insistente – in funzione della quale deve scegliere se rispettare la legge oppure porre in essere un comportamento illecito, ma per lui immediatamente vantaggioso.

In altri termini, mutuando la terminologia adottata dalla sentenza Maldera, se è indubbio che un danno non patrimoniale vi possa essere nel caso in cui il privato sia riuscito a non farsi costringere dalla minaccia del p.u., pare, invece, poco verosimile che la stessa situazione si possa verificare quando il privato non si è fatto convincere dalla prospettazione di un vantaggio indebito proveniente dal p.u.[27].

Di contro, in maniera forse paradossale, ritenere sussistente un danno morale risarcibile nell’ipotesi di induzione tentata equivarrebbe a ‘premiare’ il privato per aver scelto un comportamento – non violare un precetto penale – che, normalmente, l’ordinamento ritiene doveroso, salvi i casi in cui decisione illecita sia frutto di una scelta non libera.

 

 

[1] Cfr. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2020, p. 468 ss. e, anche per un convincente approfondimento in chiave critica, Aimi, Le fattispecie di durata, Torino, 2020, p. 187 ss.

[2] La dazione che segue la promessa, quindi, non può essere considerata un mero post-fatto. Nei termini indicati nel corpo del testo si è definitivamente espressa Cass. Sez. Un., 25 febbraio 2010 (dep. 21 aprile 2010) n. 15208 in Dir. pen. proc., 2010, p. 955 ss. con nota di Maiello, La corruzione susseguente in atti giudiziari tra testo, contesto e sistema.

[3] Cass. sez. VI, 3 novembre 2015 (dep. 13 novembre 2015) n. 45468, rv. 265453 in C.E.D. Cassazione, richiamata dalla sentenza in analisi, e Cass. sez. VI, 12 giugno 2013 (dep. 1° luglio 2013) n. 28431, rv. 255613 in C.E.D. Cassazione, nonché le precedenti decisioni (relative alla formulazione dell’art. 317 c.p. ante l. n. 190/2012) elencate nel punto 4 del considerato in diritto di quest’ultima sentenza.

[4] Secondo considerato in diritto della sentenza in esame. Nei medesimi termini, sempre in seguito alla riqualificazione da concussione ad induzione indebita, v. Cass. sez. VI, 11 gennaio 2013 (dep. 8 aprile 2013) n. 16154, rv. 254541 in C.E.D. Cassazione e, in dottrina, v. Benussi, Art. 319-quater, in Codice penale commentato, diretto da Dolcini-Gatta, II, Milano, 2015, p. 348.

[5] In ciò con formandosi agli orientamenti espressi dalla sentenza Maldera, Cass. Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014) n. 12228, in Dir. pen. cont., 17 marzo 2014, con nota di Gatta, Dalle Sezioni Unite il criterio per distinguere concussione ed induzione indebita: minaccia di un danno ingiusti vs. prospettazione di un vantaggio indebito.

[6] Situazione già ipotizzata e risolta in senso positivo da Cass. Sez. VI, 22 giugno 2016 (dep. 22 agosto 2016) n. 35271, in Cass. pen., 2018, p. 229 ss., con nota di Pantanella, Il tentativo del reato di cui all’art. 319-quater c.p., punto 9.4 del considerato in diritto e da Cass. Sez. VI, 29 maggio 2018 (dep. 2 agosto 2018) n. 37589 in Arch. pen., 2020 n. 1 (s.m.), con nota di Rippa, Dalla concussione alla corruzione, passando per l’induzione indebita a dare o promettere utilità. La strada si interrompe a “mezza via”.

[7] Secondo la sentenza Maldera (Cass. Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014) n. 12228, cit.): la condotta induttiva – al contrario di quella costrittiva – presuppone il concorso necessario del privato (punto 12 del considerato in diritto); il vantaggio indebito del privato rappresenta un criterio di essenza del reato di cui all’art. 319-quater c.p. al pari della minaccia tipizzante la concussione (punto 14.5 del considerato in diritto); nel caso della concussione, la costrizione ingenera nel privato il timore di un male ingiusto (punto 13.8 del considerato in diritto), al contrario nell’induzione indebita l’abuso prevaricatore ed il vantaggio indebito costituiscono una combinazione sinergica (punto 14.5 del considerato in diritto), il cui pendant nel versante soggettivo dell’illecito è rappresentato dalla convergenza dei processi volitivi del pubblico ufficiale e del privato (punto 23.4 del considerato in diritto).

[8] Nella parte in cui si preoccupa di distinguere il tentativo di induzione indebita dalla istigazione alla corruzione attiva (punto 24.3 del considerato in diritto).

[9] V., sul punto, le osservazioni di Merenda, I reati a concorso necessario fra coautoria e partecipazione, Roma, 2016, p. 150 ss. In generale, sull’impossibilità di configurare il tentativo nei reati necessariamente plurisoggettivi in senso proprio, v. Zanotti, Profili dogmatici dell’illecito plurisoggettivo, Milano, 1985, p. 158 ss.

[10] Cass. Sez. VI, 11 aprile 2014 (dep. 21 luglio 2014) n. 32246 in Cass. pen., 2014, p. 4088 ss. con nota di Magro, Il tentativo di induzione indebita; Cass. Sez. VI, 22 luglio 2015 (dep. 20 novembre 2015) n. 46071, rv. 265351 in C.E.D. Cassazione; Cass. Sez. VI, 12 gennaio 2016 (dep. 22 febbraio 2016) n. 6846, rv. 265901 in C.E.D. Cassazione; Cass. Sez. VI, 22 giugno 2016 (dep. 22 agosto 2016) n. 35271, cit.; Cass. Sez. VI, 29 maggio 2018 (dep. 2 agosto 2018) n. 37589 cit.

[11] Originariamente proposta, in giurisprudenza, da Cass. Sez. VI, 11 gennaio 2013 (dep. 15 aprile 2013) n. 17285, rv. 254620 in C.E.D. Cassazione e, in dottrina, da Seminara, I delitti di concussione e induzione indebita, in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, a cura di Mattarella-Pelissero, Torino, 2013, p. 396 ss. e Piva, Premesse ad un’indagine sull’ “induzione” come forma di concorso e “condotta-evento” del reato, Napoli, 2013, p. 73 ss. In questi termini v., in particolare, Cass. Sez. VI, 12 gennaio 2016 (dep. 22 febbraio 2016) n. 6846, cit., punto 2.1 del considerato in diritto (citata ad abundantiam da Cass. Sez. VI, 22 giugno 2016 (dep. 22 agosto 2016) n. 35271, cit. punto 8.2. del considerato in diritto) e Cass. Sez. VI, 29 maggio 2018 (dep. 2 agosto 2018) n. 37589 punto 4.2. del considerato in diritto); in dottrina optano per la norma a due fattispecie, ad es., Magro, Il tentativo di induzione indebita, cit., p. 4101 ss. e Bartolo, L’art. 319-quater e i “nuovi” reati di “induzione indebita e “corruzione indotta”, in Arch. pen., 2015, n. 2, p. 7 ss.

[12] Cass. Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014) n. 12228, cit., punto 23.4 del considerato in diritto.

[13] In senso concorde, anche nell’ottica delle prevedibilità della decisione giudiziale, v. Pantanella, Il tentativo del reato di cui all’art. 319-quater c.p., cit., p. 242 ss.

[14] La diversa tesi della pluralità di reati monosoggettivi risulta scarsamente compatibile con la ritenuta interdipendenza oggettiva e psicologica fra le condotte dei vari soggetti attivi dell’induzione indebita (v. la precedente nota 7) e potrebbe addirittura suggerire la necessità di un ripensamento della soluzione raggiunta per delimitare lo spazio applicativo dell’induzione indebita da quello della contigua fattispecie di concussione.

[15] Cass. Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014) n. 12228, cit., punto 25 del considerato in diritto.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Tutte le volte in cui la dicotomia minaccia-non minaccia non appare chiaramente individuabile nel caso di specie; ad es. nel caso limite dell’abuso di qualità già identificato dalla sentenza Maldera (Cass. Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014) n. 12228, cit., punto 17 del considerato in diritto), nell’ipotesi del tentativo non sarebbe per nulla agevole indagare la «dialettica utilitaristica» della tentata induzione indebita, da contrapporre alla «coercizione» della tentata concussione (problema che sarebbe astrattamente risolvibile aderendo a quell’orientamento che, discostandosi dai dicta della sentenza Maldera, associa il mero abuso di qualità alla fattispecie costrittiva; v., sul punto e anche per ulteriori osservazioni critiche sulle reali capacità selettive dell’abuso, Bartolucci, L’ “abuso di qualità” del pubblico ufficiale nel prisma tra concussione e induzione indebita, in Dir. pen. proc., 2016, p. 1236 ss.).

[19] Si esprimono a favore della natura necessariamente plurisoggettiva dell’induzione, ad es., Donini, Il cor(eo)indotto tra passato e futuro. Note critiche a SS. UU. 24 ottobre-14 marzo 2014 n. 29180, Cifarelli, Maldera e a., e alla l. n. 190 del 2012, in Cass. pen., 2014, p. 1486; Benussi, Art. 319-quater, cit., p. 329 ss.; Padovani, Metamorfosi e trasfigurazione. La disciplina nuova dei delitti di concussione e di corruzione, in Arch. pen., 2012, p. 788; Ronco, L’amputazione della concussione e il nuovo delitto di induzione indebita, in Arch. pen., 2013, p. 47 ss.; Romano, Art. 319-quater, in Commentario sistematico. I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2019, p. 265 e, pur con qualche riserva, Rippa, Dalla concussione alla corruzione, passando per l’induzione indebita a dare o promettere utilità, cit., p. 28 ss.

[20] V. gli A. citati alla nota 9 e Rippa, Dalla concussione alla corruzione, passando per l’induzione indebita a dare o promettere utilità, cit., p. 23 ss. La necessità di una disposizione derogatoria del divieto di criminalizzazione del tentativo di concorso sembra trovare conferma nelle recenti vicende della corruzione tra privati. Infatti, nel momento in cui è stato riformulato l’art. 2635 c.c. da parte dell’art. 3 d.lgs. n. 75/2017, il legislatore (che era obbligato a rendere penalmente rilevante l’istigazione non accolta ai sensi dell’art. 3 della decisione quadro 2003/568/GAI) ha contestualmente introdotto l’art. 2635-bis c.c. che rappresenta una deroga al disposto dell’art. 115 c.p. Contra, sostengono autorevolmente la configurabilità del tentativo di induzione indebita, pur nella rilevata struttura di reato a concorso necessario, Romano, Art. 319-quater, cit., p. 265 e Benussi, Art. 319-quater, cit., p. 329 e 349 ss.

[21] Pare difficile, infatti, ipotizzare una situazione in cui la condotta di induzione generi un danno materiale al privato; sull’applicabilità delle disposizioni dell’art. 185 c.p. anche all’ipotesi di delitto tentato v., ad es. Mantovani, cit., p. 962. Da segnalare, anche, che secondo la Magistratura contabile, l’integrazione in forma tentata di uno dei reati contro previsti al capo I del titolo II del libro II del codice penale giustifica il diritto al risarcimento del danno all’immagine della p.a. (Sez. I Giurisd. Centr. App., sent. n. 641/2014).

[22] V., ad es., Cass. Sez. Feriale, 8 agosto 2019 (dep. 19 settembre 2019) n. 38658, rv. 277305 in C.E.D. Cassazione.

[23] Secondo la prevalente dottrina, fra gli interessi tutelati dalla norma incriminatrice in discussione vi è anche la libertà di autodeterminazione del privato; v. Romano, Art. 317, in Commentario sistematico. I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2019, p. 97 ss.; conforme, in giurisprudenza, Cass. Sez. Un. 6 dicembre 1991 (dep. 1° febbraio 1992) n. 1048, in Cass. pen., 1992, p. 1475 ss.

[24] Cfr. di recente, pur nell’assenza della specificazione della natura patrimoniale o non patrimoniale dei danni, Cass. Sez. Feriale, 8 agosto 2019 (dep. 19 settembre 2019) n. 38658, cit. (ma dalla descrizione dei fatti contenuta nel punto 1 del ritenuto in fatto e nel resto del corpo della decisione sembra possibile inferire logicamente che il privato non abbia subito un danno patrimoniale) e Cass. Sez. VI, 29 maggio 2018 (dep. 2 agosto 2018) n. 37589, cit. che, pur riguardando espressamente il danno non patrimoniale è relativa ad una ipotesi di riqualificazione del fatto da concussione a tentata induzione indebita.

[25] Constatando che vittima e danneggiato coincidono, come avviene nell’ipotesi della concussione; sul fatto che, invece, l’unico soggetto passivo reato di cui all’art. 319-quater c.p. sia la p.a. v., per tutti, Romano, Art. 319-quater, cit., p. 264 ss. Simile conclusione appare inevitabile avendo riguardo al fatto che la condotta induttiva del p.u. non può che avere (per differenziarsi da quella costrittiva) un modesto valore condizionante della libertà di autodeterminazione del privato, pur non declinandosi un rapporto di completa parità fra i due soggetti attivi (che, invece, è indicativo della corruzione). Non a caso, quindi, attenta dottrina ha catalogato l’induzione indebita come «autonoma fattispecie di reato dal contenuto corruttivo e che si differenzia dalle altre forme corruttive solo per l’elemento dell’“abuso della qualità o dei poteri” che la caratterizza» (Benussi, Art. 319-quater, cit., p. 329).

[26] Cass. Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014) n. 12228, cit., punto 14.5 del considerato in diritto.

[27] Cass. Sez. Un., 24 ottobre 2013 (dep. 14 marzo 2014) n. 12228, cit., «l’induzione non costringe ma convince» punto 14.5 del considerato in diritto, che sembra riferirsi a Padovani, Il confine conteso: metamorfosi dei rapporti tra concussione e corruzione ed esigenze “improcrastinabili” di riforma, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 1309 ss.