Cass., Sez. IV, ord. 13 ottobre 2020 (dep. 3 dicembre 2020), n. 34337, Pres. Fumu, Est. Menichetti
1. Nel caso si debba effettuare un accertamento urgente di polizia giudiziaria sul tasso alcolemico, in relazione al reato di cui all’art. 186, comma 2, cod. str. è necessario il previo avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia al compimento dell’atto stesso, in conformità all’art. 114 disp. att. c.p.p.[1]. Si tratta, infatti, di un atto di polizia giudiziaria “garantito” dall’assistenza difensiva ex art. 356 c.p.p.[2], tra cui rientrano gli accertamenti etilometrici, quali species degli accertamenti urgenti ex art. 354 cpv. c.p.p.[3].
L’avviso è, quindi, funzionale all’effettività della difesa tecnica, la cui omissione è riconducibile nell’alveo delle nullità generali ex art. 178, lett. c), c.p.p., di talché – proprio per garantire la difesa ed evitare l’invalidità dell’atto – è essenziale dimostrare che l’avviso sia stato ritualmente dato dalla polizia giudiziaria procedente. Tale dimostrazione deve essere fornita tramite il verbale di accertamento urgente irripetibile ex art. 354, comma 2, c.p.p., redatto contestualmente al compimento dell’atto di indagine ex artt. 357, comma 2, lett. e) e 373, comma 4, c.p.p. sottoscritto preferibilmente, ma non necessariamente, anche dall’indagato oltre che dagli accertatori di polizia giudiziaria e destinato, in quanto atto irripetibile, al fascicolo dibattimentale.
Ma quid iuris nel caso in cui la prova dell’avviso per il compimento dell’alcooltest non sia contenuta nel verbale suddetto? Nella giurisprudenza di legittimità si profila un contrasto potenziale: vi è, da un lato, l’orientamento per cui la prova può esser fornita attraverso la testimonianza della polizia giudiziaria ovvero aliunde, cioè attraverso altri atti (come la stessa comunicazione di notizia di reato o l’annotazione di polizia giudiziaria) che, benché redatti successivamente, contengano l’esplicita menzione dell’avvenuto avviso all’indagato, mentre, dall’altro lato, si registra un diverso orientamento che si va profilando per cui la prova può esser data solo dal verbale contestuale dell’atto urgente, non potendosi supplire né con atti di successiva compilazione né con la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria, alla luce anche del divieto di cui all’art. 195, comma 4, c.p.p.
A causa di questo potenziale contrasto, aderendo più al secondo orientamento, ma consapevole del carattere maggioritario del primo, volto appunto a “non disperdere” gli elementi di prova comunque acquisiti, la quarta Sezione penale della Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite affinché risolvano il contrasto, fissando un principio di diritto importante nella materia de qua.
La Sezione remittente – menzionate le norme processuali penali coinvolte (artt. 354, 356 c.p.p., 114 disp. att. c.p.p., 357 e 373 c.p.p.) – considera come dai commi 3 e 4 dell’art. 186 cod. str. si possa desumere che l’avviso de quo deve esser dato dalla polizia giudiziaria procedente all’alcooltest tanto in caso di esito positivo dell’accertamento preliminare e non invasivo rappresentato dal c.d. “pre-test”, quanto in ogni caso di incidente stradale, nonché, infine, allorché gli accertatori abbiano motivo di ritenere che il conducente sia comunque in stato di ebbrezza alcolica. Viceversa, dal comma 5 dell’art. 186 cod. str. si desume che il conducente coinvolto in un sinistro e sottoposto a cure mediche subisce l’accertamento del tasso alcolemico in ospedale, su richiesta della polizia, ma senza previo avviso.
Ciò posto, la Corte prende atto dell’orientamento giurisprudenziale – sviluppatosi soprattutto negli anni 2019-2020 – per cui la prova dell’avviso all’indagato della facoltà di nominare un difensore di fiducia può esser data dalla testimonianza degli operanti ovvero può essere desunta da atti redatti successivamente. Tuttavia, i Giudici manifestano forti perplessità sulla correttezza di quest’interpretazione che si tradurrebbe, a loro dire, in una denegata garanzia difensiva. A supporto di ciò, viene richiamato l’arresto delle Sezioni Unite 29 maggio 2003, Torcasio, relativo al divieto di testimonianza per l’agente di polizia giudiziaria sulle dichiarazioni non verbalizzate; insegnamento che costituirebbe quindi una sorta di “faro” idoneo ad illuminare l’interprete anche quando – come nel caso di specie – non si tratti di dichiarazioni rese da potenziali testimoni, atteso che con tale divieto, inteso nel senso più lato, si salvaguardia il principio di formazione della prova nel contraddittorio del dibattimento.
Una questione, pertanto, assai interessante, su cui però – almeno a breve – le Sezioni Unite adite non si pronunceranno perché il Presidente Aggiunto delle Sezioni Unite Penali, ai sensi dell’art. 172 disp. att. c.p.p., ritenendo che taluni profili debbano essere approfonditi, ha restituito il 14 dicembre 2020 gli atti alla Sezione remittente. Ma la rilevanza della questione resta intatta ed anzi può essere utilmente sviluppata. Conviene, pertanto, analizzare le due differenti interpretazioni, per verificare se, e fino a che punto, sia condivisile quanto sostenuto dai giudici nell’ordinanza di rimessione.
2. Prima dell’ordinanza di rimessione in esame, la medesima Quarta Sezione, in differenti composizioni del collegio, aveva, in alcuni casi recenti, espressamente affermato che la prova dell’avviso all’indagato, circa la facoltà di farsi assistere da un difensore fiduciario durante l’accertamento etilometrico, se non inserita nel relativo verbale redatto contestualmente, ben può essere fornita dalla testimonianza di uno degli accertatori di polizia giudiziaria[4]. Tale testimonianza resa in dibattimento, sovente a distanza di molto tempo dall’accertamento, sarebbe, secondo quest’interpretazione, ammissibile sulla base di alcuni argomenti: anzitutto, il fatto che l’avviso de quo non debba necessariamente confluire nel verbale di accertamento redatto ex art. 357 c.p.p. perché l’art. 115 disp. att. c.p.p. non prescrive l’indicazione di quest’adempimento; in secondo luogo, la circostanza che il menzionato art. 357 c.p.p., nel prevedere la redazione del “verbale” per gli accertamenti urgenti di polizia giudiziaria, non prevede, tuttavia, che ciò sia a pena di nullità o inutilizzabilità.
A ciò si aggiunga che un aggancio alla tesi della piena operatività della testimonianza, in relazione all’avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p., sarebbe rinvenibile in una nota sentenza della Cassazione del 2015[5]. Ivi si è affermato, in un contesto completamente diverso quale quello di un omicidio volontario, che è ammissibile la testimonianza degli operatori di polizia giudiziaria circa quanto direttamente percepito, nell’immediatezza dei fatti, ma da questi non verbalizzato. Si è precisato, in particolare, che la testimonianza non è vietata dall’art. 195, comma 4, c.p.p. (riguardando, tale divieto, il contenuto delle dichiarazioni s.i.t. acquisite e verbalizzate ai sensi degli artt. 351 e 357, comma 2, c.p.p.) e che anzi essa si possa estendere alle ragioni dell’omessa verbalizzazione.
Inoltre, le pronunce riconducibili a questo indirizzo hanno affermato che la prova dell’avvenuto adempimento dell’obbligo ex art. 114 disp. att. c.p.p. può essere desunta dalla comunicazione di notizia di reato ovvero dall’annotazione di polizia giudiziaria, atti redatti successivamente, il primo da parte dell’ufficiale di polizia giudiziaria responsabile del reparto ed il secondo dagli stessi accertatori. In particolare, si è sostenuto che «la comunicazione della notizia di reato è atto redatto dalla polizia giudiziaria, come il verbale di accertamenti a questa allegato e la specifica menzione dell’avviso con indicazione del contesto spazio-temporale di questo e dell’u.p.g. che lo dette dimostra l’effettività dell’adempimento»[6].
In un altro caso[7], anziché farsi riferimento alla comunicazione di notizia di reato o all’annotazione di polizia giudiziaria, si è ritenuto di poter differire nel tempo la redazione del verbale di accertamento urgente ex art. 354 cpv. c.p.p., affermando la sufficienza di un avvertimento orale in sede di compimento dell’atto, trasposto poi nel verbale redatto in un secondo momento.
Se possibile, quest’interpretazione sulla ricavabilità aliunde della prova dell’avvenuto avviso all’indagato è ancora più fragile e meno condivisibile di quella sull’ammissibilità della testimonianza indiretta; intanto perché la comunicazione di notizia di reato e l’annotazione della polizia giudiziaria procedente non sono atti destinati al fascicolo dibattimentale (se non col consenso delle parti), per cui il giudice del dibattimento non può conoscerli, a meno di ritenere che li acquisisca solo per verificare la sussistenza dell’avviso, non potendone utilizzare il contenuto a fini decisori, e poi perché un atto che deve essere redatto contestualmente – nella specie il verbale di accertamenti urgenti di polizia giudiziaria ex art. 354 cpv. c.p.p. – deve, appunto in contestualità, essere completo in ogni sua parte (compreso l’avviso all’indagato), altrimenti a posteriori non solo sarà facile e comodo per la polizia giudiziaria completarlo, ma soprattutto, così facendo, perde la sua funzione di garanzia e la sua caratteristica peculiare che è quella di rappresentare compiutamente l’accaduto, senza nulla omettere, giacché è proprio per questo che l’atto è urgente ed irripetibile, quindi – come tale – destinato ad essere inserito nel fascicolo dibattimentale ex art. 431 lett. b) c.p.p. e poi ad essere pienamente utilizzabile a fini decisori.
3. Proprio per reagire a questi orientamenti, un collegio più attento all’effettività del diritto di difesa ha cercato di recuperare e fare proprio, in misura ampia, il divieto di testimonianza de relato per gli operatori di polizia giudiziaria, sancito dall’art. 195, comma 4, c.p.p., con riguardo alle dichiarazioni acquisite dalle persone informate sui fatti ex art. 351 c.p.p. e verbalizzate ex art. 357 c.p.p. Detta interpretazione è stata per così dire “estesa” nella sua portata applicativa concreta alla luce della decisione delle Sezioni Unite Torcasio del 2003[8], laddove queste ultime hanno precisato che il divieto de quo «non può essere interpretato nel senso di rendere legittima la testimonianza di secondo grado del funzionario di polizia in caso di mancata verbalizzazione dell’atto [..]. Così interpretata, la norma finirebbe per tradire il suo scopo fondamentale, che è quello di evitare l’introduzione nel dibattimento, a fini probatori, di dichiarazioni acquisite in un contesto procedimentale non correttamente formalizzato, [nonché] di salvaguardare il principio di formazione della prova nel contraddittorio del dibattimento». Ne consegue che il divieto di testimonianza indiretta per la polizia giudiziaria deve ritenersi sussistente anche quando – come nel caso di omesso avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p. – questa non abbia proceduto a verbalizzare in tutto o in parte l’atto, e non solo in caso di compiuta verbalizzazione dell’atto stesso.
Muovendo da questa corretta e condivisibile premessa, il Collegio – nella sua ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite – precisa che la redazione del verbale non può essere «surrogata»[9] dalla deposizione dell’agente di polizia giudiziaria sul contenuto della dichiarazione (relativa alla facoltà di avvalersi o meno di un difensore) resa agli accertatori dal conducente indagato; e ciò in quanto la «consacrazione», per iscritto e contestuale, dell’avviso e della relativa ricezione «in un atto destinato a documentare l’attività svolta», attesa la sua natura fidefacente, non è un formalismo fine a se stesso, ma è coessenziale a un atto di garanzia (quale è l’avviso de quo), da ritenersi tale se vi è la prova certa (id est: la redazione scritta contestuale) del medesimo e non una prova incerta e appunto “surrogata”[10].
Pertanto, anche il riferimento all’art. 115 disp. att. c.p.p. è scarsamente significativo, perché è dalla normativa nel suo complesso che emerge la imprescindibile contestualità (ex art. 373, comma 4, c.p.p.) tra l’avviso e la sua verbalizzazione, indipendentemente da quanto dica o non dica una norma attuativa.
La garanzia a tutela del diritto di difesa, infine, implica che l’omissione dell’avviso in oggetto determina una nullità generale “intermedia”, ex artt. 178, lett. c) e 180 c.p.p., come riconosciuto dalle Sezioni Unite Bianchi del 2015[11].
4. Come accennato supra, le Sezioni Unite hanno restituito il fascicolo con la dedotta questione alla sezione remittente, per cui dovremo attendere la soluzione del potenziale contrasto. Allo stato, quindi, delle due l’una: o questo collegio della Quarta Sezione, malgrado la restituzione, insiste nella sua impostazione garantista, decidendo in conformità alla ratio dell’ordinanza di rimessione e così rendendo concreto il contrasto stesso oppure rinuncia all’impostazione prospettata, adagiandosi sul consolidato orientamento contrario che ammette la testimonianza indiretta o comunque la prova successiva dell’avviso de quo.
Sperando che non sia così, ed anzi auspicando che il Collegio voglia sviluppare la propria interpretazione maggiormente in linea coi canoni accusatori del processo penale, si possono addurre a sostegno due ulteriori argomenti.
Si è riferito più sopra intorno all’operatività o non operatività del divieto ex art. 195, comma 4, c.p.p., con conseguente inammissibilità o ammissibilità della testimonianza indiretta di polizia giudiziaria, ma sempre in ordine alle dichiarazioni – verbalizzate o meno – rese a mezzo s.i.t. dalle persone informate sui fatti, quindi dai potenziali testimoni, mentre nel caso in esame sembra più adeguato e pertinente applicare – sempre con funzione di garanzia dell’indagato e di effettività dell’avviso – il divieto di testimonianza, gravante sulla polizia giudiziaria, in ordine alle dichiarazioni «comunque rese nel corso del procedimento» dall’indagato ai sensi dell’art. 62 c.p.p. Non vi è dubbio che, nel momento in cui la polizia giudiziaria decide di procedere a un accertamento urgente ex art. 354 cpv. c.p.p. deve aver già individuato un indagato ben preciso (il conducente), attraverso una valutazione di attribuibilità a lui del fatto-reato; vi è pertanto un “procedimento”, da cui consegue l’avviso de quo ed il divieto di testimonianza ex art. 62, comma 1, c.p.p.[12], non potendosi obiettare che il divieto riguardi solo le dichiarazioni sul merito del fatto. Pare, infatti, che il vocabolo “comunque” contenuto nella disposizione e, soprattutto, la funzione di garanzia della norma ne impongano l’applicazione per tutte le dichiarazioni, anche per quelle per così dire sul rito, cioè funzionali ad avvalersi o meno di una determinata garanzia, come nella fattispecie concreta.
Del resto, la stessa decisione delle Sezioni Unite Torcasio fa riferimento anche al divieto di testimonianza ex art. 62 c.p.p., il che quindi legittima e rinforza il percorso argomentativo seguito dalla Quarta Sezione nella sua ordinanza di rimessione. Ma non solo: l’esperienza pratica – per questa tipologia di dibattimenti – insegna che nella stragrande maggioranza dei casi gli agenti di polizia giudiziaria, accertatori del reato di guida in stato in ebbrezza, allorché vengono poi in udienza citati quali testi del pubblico ministero, non si ricordano quasi nulla del fatto, salvo rare eccezioni dovute a memoria prodigiosa o singolarità/gravità del fatto stesso, men che meno ricordano le modalità esecutive dell’accertamento stesso, il che è del tutto comprensibile se si tiene conto del tempo (di solito anni) intercorrente tra l’accertamento e l’udienza istruttoria, nonché, e forse ancor più, se si considera che per gli appartenenti alla polizia giudiziaria si tratta di un reato (e quindi di un accertamento) del tutto seriale, di routine. In definitiva, ciò implica che costoro chiedano pressoché regolarmente al giudice di poter consultare atti a loro firma, secondo la regola ex art. 499, comma 5 c.p.p., contenuti nel fascicolo del pubblico ministero; sicché da un lato l’oralità risulta fortemente attenuata, ma dall’altro, ai nostri fini, non si può ragionevolmente contare sulla testimonianza (o su altra prova a posteriori) per dimostrare l’effettività dell’avviso ex art. 114 disp. att. c.p.p. e quindi della garanzia per l’indagato, atteso che la memoria del teste è una mera finzione.
In conclusione, solo l’inserimento contestuale dell’avviso de quo nel momento della redazione del verbale di accertamento etilometrico sembra costituire tanto prova certa del corretto e completo compimento dell’atto quanto garanzia effettiva per il conducente indagato.
[1] Sulla disposizione attuativa dell’art 114 si veda f. la marca, sub art. 114, in Commento al nuovo codice di procedura penale (coordinato da M. Chiavario), La normativa complementare, Vol. I, Norme di attuazione, Torino, 1992, p. 403.
[2] Sull’assistenza difensiva ex art. 356 c.p.p., cfr. r. sanlorenzo, sub art. 356, in Commento al nuovo codice di procedura penale (coordinato da M. Chiavario), Vol. IV, Torino, 1990, p. 149.
[3] Sull’accertamento etilometrico, quale atto di indagine indifferibile e urgente della p.g., v. ad es.: T. Alesci, Le modalità di accertamento del tasso alcolemico e il rispetto delle garanzie difensive, in Giur. it., 2016, p. 2504; D. Curtotti, Rilievi e accertamenti tecnici, Padova, 2013, spec. p. 215-222; F. Giunchedi, Accertamenti tecnici, in Dig. Disc. Pen., Agg., Vol. V, Torino, 2010, p. 4 e L. Ludovici, Alcooltest: profili processuali, ivi, Agg., Vol. IX, Torino, 2016, p. 68.
[4] Cass., sez. IV, 10 settembre 2019, n. 3725, in CED 278027; in conformità Cass., sez. IV, 6 febbraio 2019, n. 7677, ivi, 275148.
[5] Si tratta del caso, noto alle cronache giudiziarie, dell’omicidio di Chiara Poggi e conseguente procedimento penale a carico del fidanzato Stasi: Cass., sez. V, 12 dicembre 2015, n. 25799, Stasi, in CED 267260 e, con specifico riferimento alla testimonianza degli operatori di p.g. in merito ai “segni” direttamente percepiti nell’immediatezza dei fatti, in Cass. pen., 2016, p. 4519.
[6] Cass., sez. IV, 6 febbraio 2019, cit., ove si precisa, peraltro, che l’omessa menzione nel verbale di accertamenti urgenti, trattandosi di modulo precompilato, può ragionevolmente ascriversi ad una semplice dimenticanza.
[7] Cass., sez. IV, 15 settembre 2020, n. 27110, Rossi, in CED 279958-01.
[8] Cass., Sez. un., 29 maggio 2003, n. 36747, Torcasio, in Cass. pen. 2004, p. 21. Nello stesso senso cfr. Cass., sez. III, 23 novembre 2016, n. 13205 ivi 269327 e Cass., sez. VI, 17 marzo 2010, ivi 246738.
[9] La scelta del verbo è perfetta, in quanto ben esprime il fatto che la testimonianza de relato è un minus rispetto alla doverosa, completa e contestuale verbalizzazione dell’atto.
[10] Come afferma l’ordinanza remittente: «non può essere sostituito con una deposizione ciò che non risulta dal verbale, così come non può essere utilizzata una dichiarazione orale per recuperare atti che non sono stati formalizzati ma dovevano esserlo» (p. 6).
[11] Cass., Sez. un., 29 gennaio 2015, Bianchi, in Dir. pen. proc. 2015, p. 848, con nota di M. Jelovcic, Guida in stato di ebbrezza: le Sezioni unite sul termine per eccepire la nullità per mancata informazione dei diritti difensivi.
[12] Sull’art. 62 c.p.p. v., in particolare: O. Dominioni, sub art. 62 c.p.p., in E. Amodio – O. Dominioni, Commentario del nuovo codice di procedura penale, vol. I, Milano, 1989, p. 395 e R.E. Kostoris, sub art. 62 c.p.p., in Commento al nuovo codice di procedura penale (coordinato da M. Chiavario), vol. I, Torino, 1989, p. 316.