Cass., Sez. VI, sent. 22 gennaio 2020 (dep. 28 gennaio 2020), n. 3520, Pres. Criscuolo, est. De Amicis
1. La Corte di cassazione prende di mira un’altra stortura applicativa del procedimento di riconoscimento degli ordini europei di indagine penale (OEI) provenienti dall’estero[1], stavolta stigmatizzando una violazione della disciplina dell’opposizione al relativo decreto.
Parliamo di un’impugnazione che, nella lettura che appare preferibile, costituisce l’unica forma di controllo del decreto di riconoscimento[2] e, come tale, dovrebbe essere oggetto della massima attenzione. Non dovrebbe, in particolare, sfuggire il fatto che essa presenta un doppio binario operativo. Di regola è proponibile solo dalla difesa, e si esaurisce in una procedura semplificata, imperniata su una decisione de plano del g.i.p. dopo aver “sentito il procuratore della Repubblica” (art. 13 comma 2 d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108). In rapporto ai decreti di riconoscimento degli ordini europei di sequestro probatorio, tuttavia, l’opposizione è proponibile anche dall’eventuale terzo a cui il bene è stato sequestrato o che avrebbe diritto alla restituzione del medesimo, e postula una decisione a seguito di un’udienza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 127 c.p.p. (art. 13 comma 7).
La seconda procedura è comprensibilmente più garantistica, considerato l’impatto del sequestro su diritti di primaria importanza quali la proprietà e la libertà di iniziativa economica. Tuttavia nel caso in esame, nonostante che l’opposizione riguardasse un ordine europeo di sequestro emesso dall’Olanda, il g.i.p. non l’aveva adottata, limitandosi a provvedere de plano secondo le cadenze della prima procedura. Una violazione che, a fronte della mancata fissazione di un’udienza, non poteva che essere denunciata impugnando il decreto di riconoscimento con un ricorso in cassazione per violazione della legge processuale (art. 606 comma 1 lett. c c.p.p.).
Pronta la risposta della Corte di cassazione, la quale, sulla scorta della chiara biforcazione procedimentale sancita dalla legge, ha ineccepibilmente decretato l’inosservanza del citato art. 13.
2. Merita spendere qualche considerazione in riferimento alle conseguenze della violazione. Nessun dubbio sul fatto che, venendo in gioco la trasgressione di una norma relativa alla difesa, si determini una nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178 lett. c c.p.p.
Più articolato il discorso relativo alla natura della nullità. La cassazione la definisce di tipo assoluto, ed è una conclusione che trova conforto nella gravità dell’inosservanza: eludendo le forme imposte dall’art. 127 c.p.p., il g.i.p. aveva sostanzialmente compromesso il contraddittorio.
La logica di tassatività ex art. 177 c.p.p., tuttavia, obbliga ad approfondire la questione. Le nullità assolute di ordine generale, insanabili e rilevabili in ogni stato e grado del procedimento, sono solo quelle specificamente individuate dall’art. 179 comma 1 c.p.p.; in tutti gli altri casi previsti dall’art. 178 si ricade nella figura delle nullità intermedie, sanabili e rilevabili entro i termini previsti dall’art. 180.
3. Le nullità assolute di ordine generale poste a presidio della difesa sono di due tipologie, entrambe insuscettibili di letture estensive al di là delle loro implicazioni letterali.
La prima è quella della “assenza” del difensore “nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza”. La possibilità di invocarla, però, nel nostro caso è impedita dalla circostanza che il procedimento di opposizione non richiede la partecipazione necessaria del difensore. Appare netto, al riguardo, l’art. 127 comma 3 c.p.p., in forza del quale i difensori “sono sentiti se compaiono”.
Non induce ad una diversa conclusione l’art. 14 § della direttiva 2014/41 sull’OEI, il quale vincola gli Stati ad assicurare “mezzi d’impugnazione equivalenti a quelli disponibili in un caso interno analogo”. A tale prescrizione è consentito riconoscere l’efficacia diretta tipica degli atti normativi dell’Unione sufficientemente precisi ed incondizionati. Si può ritenere, dunque, che essa permetta di estendere all’opposizione le medesime garanzie di cui fruisce il suo equivalente nazionale, ossia il riesame[3]. Anche avvalendosi di tale possibilità ermeneutica, però, il risultato non cambierebbe. Il difensore non ha il dovere di partecipare neppure all’udienza di riesame dei sequestri interni, considerato che pure gli artt. 257 e 324 comma 6 c.p.p. si limitano, sotto questo profilo, a rinviare alle forme dell’art. 127 c.p.p.
4. Resta da chiedersi se sia prospettabile l’altra tipologia di nullità assoluta di ordine generale prevista dall’art. 179 comma 1 c.p.p.: quella derivante dall’“omessa citazione” dell’imputato.
È senz’altro sostenibile che nel nostro caso – non essendo neppure stata fissata un’udienza – ci sia stata l’omissione dell’atto di convocazione indispensabile per porre l’indagato nelle condizioni di partecipare personalmente al procedimento ed addurre le proprie ragioni.
Più discutibile se l’“avviso” relativo all’udienza richiesto dall’art. 127 c.p.p. sia equiparabile alla citazione di cui all’art. 179 comma 1. Secondo una linea di pensiero che talvolta riaffiora in giurisprudenza, così non sarebbe. Ma gli argomenti spesi in quest’ultimo senso non appaiono irresistibili.
Si è affermato, in particolare, che si potrebbero ricomprendere nell’orbita applicativa dell’art. 179 comma 1 solo gli atti suscettibili di integrare, se non la forma, perlomeno il contenuto di una citazione, risultando finalizzati “a consentire la partecipazione della parte personalmente all’udienza con la possibilità di esplicare la propria difesa” “in ordine agli addebiti a suo carico formulati”: una “chiamata in causa”, dunque, in cui rientrerebbe al più l’avviso dell’udienza preliminare (art. 419 c.p.p.), ma non l’avviso dell’udienza di riesame del sequestro probatorio, relativa ad un tema incidentale diverso da quello in gioco nel procedimento principale[4].
Si può replicare che il mancato riferimento dell’art. 179 comma 1 all’oggetto della citazione non consente una distinzione del genere: diversamente si sarebbe dovuta impiegare l’espressione “citazione in giudizio”, come ha fatto l’art. 178 lett. c in rapporto alle nullità intermedie relative alla persona offesa e al querelante. La generica dizione legislativa consente una definizione più ampia del concetto, già ribadita due volte dalle Sezioni Unite con le decisioni che hanno incluso l’omesso avviso dell’udienza preliminare fra le cause di nullità assoluta ex art. 179 comma 1: rientrano nella citazione tutti gli “adempimenti” “con i quali l’imputato, l’indagato o il condannato vengono posti in condizione di partecipare ad una fase processuale che si conclude con una decisione”, anche se “antecedente o successiva rispetto al giudizio in senso stretto, come pure incidentale rispetto al procedimento principale”[5].
Si è aggiunto, in senso contrario, che l’indagato non potrebbe eccepire una nullità assoluta per omessa citazione al fine di dolersi del mancato avviso relativo ad un procedimento – come il riesame o, nel nostro caso, l’opposizione – tale da derivare da una sua stessa richiesta, delle cui “cadenze accelerate” egli dovrebbe quindi essere “ben consapevole”[6].
È consentito obiettare che questo elemento distintivo non vale certo a diminuire la gravità della lesione: la quale – a prescindere dal fatto che l’indagato possa o no aspettarsi la fissazione di un’udienza, e abbia comunque già fatto valere le proprie ragioni attraverso la richiesta – consiste tutta nella potenziale ingiustizia di una decisione presa senza la piena esplicazione del contraddittorio.
Si spiega così perché la sanzione della nullità assoluta venga opportunamente invocata dalla Corte di cassazione anche nell’analoga situazione in cui, proposto un incidente di esecuzione, il giudice decida senza fissare un’udienza – così come invece di regola vorrebbe l’art. 666 comma 3 c.p.p. – al di fuori delle ipotesi in cui il procedimento de plano è specificamente contemplato: ossia al fine di dichiarare l’inammissibilità della richiesta (art. 666 comma 2)[7], oppure nei casi indicati dagli artt. 667 comma 4, 672 comma 1 e 676 comma 1 c.p.p.[8].
Né va trascurato che, essendo addirittura mancata la fissazione di un’udienza, sarebbe impossibile applicare al vizio in esame la sanatoria prevista dall’art. 184 comma 1 c.p.p., basata sulla comparizione dell’interessato. Il che conferma ulteriormente come la qualifica della nullità assoluta – contraddistinta dall’insanabilità – sia la più consona alla situazione in gioco.
[1] Su due precedenti censure della Suprema Corte, v. M. Daniele, Ordine europeo di indagine e ritardata comunicazione alla difesa del decreto di riconoscimento: una censura della Cassazione, in Dir. pen. cont., 11 marzo 2019; Id., Il riconoscimento “di fatto” dell’ordine europeo di indagine: un'altra censura della Cassazione, ivi, 16 aprile 2019.
[2] Senza che ad essa possa affiancarsi il riesame previsto dagli artt. 257 e 324 c.p.p. in rapporto ai sequestri interni: cfr. Cass., sez. VI, 14 febbraio 2019, n. 11491; Id., sez. III, 11 ottobre 2018, n. 5940.
[3] Cfr. E. Lorenzetto, L’assetto delle impugnazioni, in M. Daniele – R.E. Kostoris (a cura di), L’ordine europeo di indagine penale. Il nuovo volto della raccolta transnazionale delle prove nel d. lgs n. 108 del 2017, Giappichelli, 2018, 172 s.
[4] Cass., Sez. II, 5 luglio 2019, n. 37614, relativa ad un caso in cui la notifica dell’avviso dell’udienza di riesame di un sequestro probatorio era stata effettuata al difensore solo in proprio, e non come domiciliatario del suo assistito.
[5] Cass., Sez. Un., 24 novembre 2016, Amato, n. 7697; Id., 9 settembre 2003, Ferrara, n. 35358.
[6] Così sempre Cass., Sez. II, 5 luglio 2019, n. 37614.
[7] V. Cass., sez. I, 19 marzo 2019, n. 21425.
[8] Cfr. Cass., sez. I, 17 novembre 2019, n. 49621.