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20 Maggio 2020


Concorso tra circostanze indipendenti e a effetto speciale: dopo le Sezioni Unite del 2017, la Cassazione esclude l’operatività del cumulo giuridico

Cass., Sez. VI, sent. 7 novembre 2019 (dep. 27 dicembre 2019), n. 52011, Pres. Tronci, Est. Amoroso



 

1. Con la sentenza che qui si segnala, la sesta Sezione penale della Cassazione si è pronunciata sull’annosa questione della disciplina normativa applicabile al concorso omogeneo tra circostanze c.d. “indipendenti” e circostanze ad effetto speciale. In estrema sintesi, nel rigettare i ricorsi dinanzi ad essa proposti, la Suprema Corte, discostandosi dall’orientamento di legittimità finora dominante, ha affermato che “in tema di circostanze aggravanti, il principio di cui all'art. 63, comma quarto, cod. pen., secondo cui in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale non si applica il cumulo materiale, ma la pena per la circostanza più grave aumentata fino ad un terzo, non opera in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale ed aggravanti indipendenti, potendo queste ultime essere assimilate a quelle ad effetto speciale solo allorché comportino un aumento superiore ad un terzo”.

 

2. Giova, innanzitutto, riassumere brevemente il caso concreto da cui trae origine la pronuncia in commento.

Con la sentenza oggetto di ricorso, la Corte di Appello di Napoli, giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione nel novembre 2017, aveva proceduto alla rideterminazione della pena inflitta ai ricorrenti per reati associativi. In particolare, tutti e nove gli imputati erano stati ritenuti responsabili di partecipazione ad associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.), e sette di loro erano stati condannati anche per il delitto di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti di cui all’art. 74, co. 2, d.P.R. 309/90, aggravato dall’utilizzo di armi ai sensi del suo quarto comma (in virtù del quale “se l’associazione è armata la penanon può essere inferiore…, nel caso previsto dal comma 2, a dodici anni di reclusione”; si tratta pertanto di un’aggravante c.d. “indipendente”[1]) e dal «metodo mafioso» ex art. 7 L. 203/91 (il quale, nel prevedere l’aumento di pena “da un terzo alla metà”, configura, anche dopo la sua recente incorporazione nel nuovo art. 416-bis.1 c.p., una circostanza aggravante ad effetto speciale).

Gli imputati proponevano ricorso per cassazione avverso tale provvedimento, lamentando con riguardo alla condanna per il reato in materia di stupefacenti di cui al secondo capo di imputazione – per quel che interessa ai fini della presente trattazione – l’errata applicazione del criterio del cumulo materiale delle due predette aggravanti, in luogo del cumulo giuridico previsto dall'art. 63, co. 4, c.p. per il concorso di più circostanze aggravanti ad efficacia speciale. Più in particolare, la Corte territoriale era giunta a tale esito sul presupposto che la natura c.d. privilegiata dell’aggravante ex art. 7 della L. 203/91[2], sottratta ex lege al giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p., comportasse altresì una deroga al criterio del cumulo giuridico contemplato dal menzionato comma 4 dell’art. 63 . Di conseguenza, il giudice del rinvio - nel determinare gli aumenti della pena per l'ipotesi aggravata di cui all'art.74 co.2 d.P.R. 309/90 - aveva computato, in ossequio alla regola del cumulo materiale, dapprima la pena stabilita da detta disposizione per poi operare sulla stessa l'aumento nella misura minima di un terzo in relazione all’aggravante del metodo mafioso.

 

3. La Suprema Corte, dopo aver dichiarato inammissibili le altre censure mosse dai ricorrenti (concernenti l’entità della pena e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche), sofferma la sua disamina sulla dedotta questione dell’omessa applicazione al caso di specie del cumulo giuridico di cui all’art. 63, co. 4, c.p. (§ 6 ss.).

Innanzitutto, i giudici di legittimità procedono a sgombrare il campo dall’assunto, posto a fondamento della decisione della Corte di Appello, per cui le circostanze aggravanti c.d. “privilegiate” dovrebbero considerarsi sottratte non solo al giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti, ma anche alla disciplina dettata dall’art. 63 c.p. secondo quanto affermato dalla sentenza “Chianese” del 2016, richiamata nel testo nella sentenza impugnata[3] (Cass., Sez. II, n. 18278 del 07/12/2016, Rv. 269855). La Corte nega la correttezza di tale principio, ritenendolo “frutto di una errata interpretazione dei precedenti di legittimità richiamati a supporto della tesi seguita, che in realtà si riferivano ad un caso diverso massimato anche in modo fuorviante” e osservando poi che la scelta del Legislatore di escludere la sottoposizione di una determinata circostanza al giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p. (opzione che ricorre appunto nell’art.7 L.203/91) concerne esclusivamente l’istituto del concorso eterogeneo di circostanze (che proprio da tale disposizione codicistica risulta disciplinato) e non ha, invece, alcuna attinenza con il regime di cui all’art. 63 cit., che regola com’è noto la diversa ipotesi del concorso omogeneo di circostanze. Tanto premesso, la Cassazione giunge così a ribadire sul punto il consolidato orientamento (peraltro confermato in tempi recenti da Sez. V, n. 47519 del 17/09/2018, Rv. 274181) per cui “la regola generale prevista dall'art. 63, comma quarto, cod. pen. trova sempre applicazione nel caso di concorso tra aggravanti ad effetto speciale, anche quando si tratti di circostanze per le quali sia escluso il giudizio di bilanciamento”.

 

4. Ciò chiarito, gli Ermellini provvedono a individuare la vera questione problematica in rilievo è cioè quella dell’assimilazione delle circostanze c.d. "indipendenti" alle circostanze ad effetto speciale.

I supremi giudici muovono dalla considerazione che, a seguito della riforma operata dalla L. 400/1984, nel testo dell’art. 63 co.3 c.p. è stato espunto il riferimento normativo alle circostanze indipendenti (oggi richiamate esplicitamente soltanto dall’art. 69 u.c. in materia di concorso eterogeneo), in origine assoggettate alla medesima disciplina delle circostanze c.d. autonome, ovverosia quelle che determinano una pena di specie differente. Per effetto della menzionata novella legislativa, la vigente formulazione della disposizione codicistica in parola menziona soltanto quest’ultima tipologia di circostanze insieme a quella, prima inedita, delle circostanze ad effetto speciale (definite espressamente nell’ultimo periodo del co.3 come “quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo”), ponendo così all’interprete il problema di individuare il regime applicabile alle circostanze indipendenti nell’ipotesi di concorso omogeneo; nodo che potrà sciogliersi soltanto una volta risolta la pregiudiziale questione riportata in apertura di paragrafo.

 

5. Nel rispondere a tale prioritario interrogativo, la Corte ricorda che la vexata quaestio della rilevanza delle circostanze indipendenti e della loro assimilazione a quelle ad effetto speciale era stata oggetto di una recente e fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite del 2017[4]. Sia pure con esclusivo riferimento all’istituto della prescrizione, il supremo organo nomofilattico aveva statuito che «ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze c.d. indipendenti che comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo (nella specie quella di cui all’art. 609-ter, primo comma, cod.pen.), non rientrano nella categoria delle circostanze ad effetto speciale» e quindi non hanno alcun rilievo agli effetti del computo del termine di prescrizione ai sensi dell’art. 157 c.p.. Nell’affermare tale principio di diritto, le Sezioni Unite avevano disatteso l’orientamento di legittimità in base al quale tutte le circostanze indipendenti dovevano essere considerate alla stregua di circostanze ad effetto speciale “perché esse, come le altre, influiscono sulla pena ordinaria del reato, imponendo autonomi limiti edittali, anche se non determinano un aumento della pena superiore ad un terzo”, aderendo all’opposto indirizzo giurisprudenziale che – privilegiando il dato letterale della formula dell’art. 63 co.3 c.p. –, qualificava le circostanze indipendenti che determinano un aumento o una diminuzione della pena inferiore a un terzo come circostanze ad effetto comune, estromettendole pertanto nel calcolo del termine prescrizionale[5] (v. Cass., Sez. III, n. 28638 del 9/06/2009; Cass., Sez. III, n. 41487 del 25/09/2013).

 

6. Tuttavia, ai supremi giudici non sfugge che, proprio qualche mese prima, la terza Sezione penale, intervenuta proprio in tema di concorso di circostanze indipendenti e ad effetto speciale, ha ribadito l’orientamento di legittimità (invero maggioritario) che sostiene l’assimilazione di tutte le circostanze indipendenti a quelle ad effetto speciale, con conseguente operatività della regola del cumulo giuridico di cui all’art. 63, co.4, c.p., per cui trova applicazione soltanto la pena prevista per la circostanza più grave aumentata (eventualmente) fino ad un terzo (Cass., Sez. III, n. 31293 del 08/05/2019, Rv. 276291)[6].

Tale assunto si fonda su due principali argomenti.

Il primo risponde a ragioni di giustizia equitativa, ragionevolezza e proporzionalità del trattamento sanzionatorio. Qualificare le aggravanti indipendenti importanti un aumento pari o inferiore ad un terzo come circostanze ad effetto comune determinerebbe, infatti, l’applicazione della regola del cumulo materiale in luogo del più favorevole criterio del cumulo giuridico previsto per il concorso omogeneo tra circostanze ad effetto speciale (tra cui rientrerebbero quelle indipendenti che involgono un aumento di pena superiore ad un terzo). Si sostiene, inoltre, che il principio di diritto di segno opposto statuito dalle Sezioni Unite del 2017 non potrebbe essere esteso alla materia del concorso omogeneo di circostanze, ma andrebbe circoscritto in via esclusiva a quella del computo dei termini di prescrizione “trattandosi di una interpretazione restrittiva che sarebbe giustificata dalla peculiarità della disciplina del termine di prescrizione che non tollererebbe interpretazioni estensive sfavorevoli all'imputato, per effetto del conseguente allungamento dei termini di prescrizione che la diversa impostazione comporterebbe”.  

Il secondo argomento, invece, di carattere pratico-applicativo, sarebbe rappresentato dal fatto che, ove le circostanze indipendenti non fossero assimilate a quelle speciali in punto di disciplina, “ne deriverebbe l’assenza di una regolamentazione legale del concorso con le altre circostanze”. L’affermazione, visto il carattere squisitamente tecnico, merita – ad avviso di chi scrive – qualche breve precisazione per essere meglio colta. Come noto, il terzo coma dell’art. 63 prevede che, in caso di concorso tra una circostanza ad effetto speciale (o autonoma) e una o più circostanze ad effetto comune, trovi comunque applicazione la regola del cumulo materiale, ma riconosce priorità nel calcolo alla circostanza ad effetto speciale (“quando…si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta”). Laddove però si considerassero le circostanze indipendenti con variazione di pena pari o inferiore ad un terzo (nulla quaestio infatti per le altre essendo, a tutti gli effetti, ad effetto speciale) come circostanze ad efficacia comune e si trovassero a concorrere (come nel caso di specie, ndr) con una circostanza ad effetto speciale o autonoma, il giudice, una volta determinata la pena base ex art. 133 c.p., sarebbe chiamato ad applicare prima quest’ultima e poi la circostanza indipendente ma ciò non sarebbe possibile in concreto – argomenta questa tesi – poiché, come si è detto, le circostanze indipendenti non esprimono una variazione di pena in termini frazionari in quanto prevedono un’autonoma cornice edittale per il reato circostanziato[7]. Risulterebbe quindi giocoforza considerare la circostanza indipendente alla stregua di una circostanza ad effetto speciale, onde risolvere il problema applicativo attraverso l’operatività della regola del cumulo giuridico di cui al co.4 dell’art. 63, ai sensi del quale troverà applicazione soltanto l’aggravante ad effetto speciale frazionaria, salva poi la possibilità per il giudice di aumentare ulteriormente la pena così determinata per tener conto dell’aggravante indipendente “soccombente” in quanto meno grave.

 

7. Ricostruito l’orientamento favorevole all’assimilazione dell’intera categoria delle aggravanti indipendenti a quelle ad effetto speciale, la Corte afferma di non poter condividere il primo argomento da esso addotto poiché “introduce una valutazione differenziata della rilevanza giuridica delle circostanze indipendenti, nel senso cioè di assimilarne la disciplina a quelle ad effetto speciale a seconda che si tratti di istituti che abbiano effetti favorevoli o meno nei confronti dell'imputato, con la conseguenza di creare un ibrido giuridico in violazione del principio di legalità”. Per quanto concerne invece l’evidenziato rischio di ingenerare un vuoto di disciplina aderendo alla tesi opposta, il Supremo Collegio supera l’obiezione ritenendo che “il concorso delle circostanze indipendenti sia necessariamente soggetto alla medesima regola fissata dal comma terzo dell'art. 63 cod. pen. per le cd. circostanze autonome, non potendosi all'evidenza che operare l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non sulla pena ordinaria del reato ma sulla pena stabilita per la circostanza indipendente”. In altre parole, il concorso tra circostanze ad efficacia comune e quelle indipendenti, comportanti una variazione pari o inferiore ad un terzo, andrebbe risolto in base alla disciplina stabilita dall’art. 63 co. 3 per le circostanze autonome e quelle ad effetto speciale: il giudice del merito dovrà prima individuare la pena da applicare all’interno della cornice edittale delineata dalla circostanza indipendente e, successivamente, operare sulla stessa l’aumento frazionario previsto dall’aggravante ad efficacia comune.

 

8. Alla luce delle argomentazioni sopra esposte, la Cassazione conclude che il principio affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite in tema di calcolo del termine prescrizionale, secondo cui le circostanze indipendenti possono essere assimilate a quelle ad effetto speciale solo allorché comportino, nel caso delle aggravanti, un aumento superiore ad un terzo, debba, proprio per la pregevole aderenza al dato letterale, valere a maggior ragione in una materia come quella del computo della pena che è governata dal principio di stretta legalità, con la conseguenza che “si deve escludere che la regola del cumulo giuridico prevista dall'art. 63, co.4, cod. pen. possa applicarsi anche al concorso di circostanze indipendenti (importanti un aumento di pena pari o inferiore ad un terzo, ndr) e circostanze ad effetto speciale”.

 

9. Venendo ora all’esame delle circostanze in rilievo nel caso di specie, l’aggravante dell’associazione armata “rientra senza dubbio nella nozione giuridica delle circostanze indipendenti, ma non anche in quella delle circostanze ad effetto speciale” in quanto, a differenza di quella di cui all’art. 7 L.203/90, non comporta un aumento superiore ad un terzo della pena. In effetti, l'art.74 co.4 d.P.R. 309/90, nel prevedere che la pena non possa essere inferiore nel minimo a dodici anni, determina rispetto al minimo edittale pari a dieci anni (previsto per la fattispecie base di cui al co.2) un incremento corrispondente ad un quinto, a parità di massimo edittale (che, non essendo esplicitato dalla norma né per l’ipotesi base né per quella aggravata, risulta per entrambi i casi pari a ventiquattro anni ex art. 23 c.p.). Non vertendosi, dunque, in ipotesi di concorso di più circostanze ad effetto speciale, ne discende – conclude la Corte – che “il concorso della circostanza ad effetto speciale di cui all'art.7 L. 203/91 con la circostanza "indipendente" di cui all'art.74, comma 4, d.P.R. 309/90, è stato correttamente operato dalla Corte di Appello di Napoli, quale giudice di rinvio, in applicazione della disciplina ordinaria del concorso delle circostanze aggravanti comuni”, avendo la stessa provveduto ad individuare prima la pena prevista per l’aggravante indipendente in discorso, sulla quale ha apportato poi l'aumento obbligatorio per la contestata aggravante ad effetto speciale nella misura discrezionale minima di un terzo, fermo restando il rispetto dei limiti di aumento previsti dall'art. 66 c.p.

 

10. In definitiva, la Corte ha ritenuto non censurabile la determinazione di pena effettuata dal giudice del rinvio, ancorché egli fosse giunto alla corretta conclusione dell’inapplicabilità della regola del cumulo giuridico di cui all’art. 63, co.4, c.p. sulla base di un’inesatta argomentazione di diritto, posto che tale esclusione – come si è illustrato – deriva non già dalla natura c.d. privilegiata dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, bensì dall’impossibilità di qualificare l’aggravante dell’associazione armata ex art. 74, commi 2 e 4, d.P.R. 309/90 come aggravante ad effetto speciale, determinando un aumento aritmetico di un quinto rispetto alla pena base prevista per l’ipotesi di cui al comma 2 dello stesso articolo.

 

 

* * *

 

11. Limitandoci in questa sede ad alcune considerazioni essenziali, ci pare che la soluzione sposata dalla sentenza in commento risulti più coerente sul piano sistematico dopo l’intervento delle Sezioni Unite 2017 in materia di prescrizione. E questo anche per una evidente ragione di carattere letterale: il testo dell’art. 63 c.p. non cita più, come accadeva in passato, le circostanze indipendenti (assoggettandole poi alla medesima disciplina di quelle autonome) e qualifica con la dizione “circostanze ad effetto speciale” soltanto quelle circostanze che importino un aumento o una diminuzione di pena superiore ad un terzo.

Si impone però un’osservazione critica. 

La tesi adottata dalla Suprema Corte nega l’equiparazione tout court delle circostanze indipendenti a quelle ad effetto speciale in relazione alla disciplina del concorso omogeneo, sostenendo che essa possa predicarsi soltanto qualora dette circostanze comportino una variazione di pena superiore ad un terzo. Ma se questo è vero, dovrebbe di conseguenza affermarsi che le circostanze indipendenti che determinino una variazione di pena pari o inferiore ad un terzo vadano considerate, ai fini dell’art. 63 c.p., vere e proprie circostanze ad effetto comune. Pertanto, il concorso tra circostanze ad effetto comune e tali circostanze indipendenti andrebbe a rigore risolto in base alla disciplina di cui al comma 2 dell’art. 63, che disciplina appunto il concorso tra più circostanze aggravanti (o attenuanti) ad effetto comune secondo la regola del cumulo materiale. Non pare quindi condivisibile la sentenza in esame nella parte in cui afferma (a pag. 16) che tale ipotesi di concorso omogeneo vada invece risolta ai sensi del terzo comma dell’art. 63, giungendo di fatto ad un’assimilazione tra dette circostanze indipendenti e quelle autonome, sul presupposto che “l’aumento…conseguente all’applicazione di una aggravante comune deve necessariamente essere operato sulla pena autonomamente determinata per la circostanza indipendente, non essendo praticabile un diverso computo”. Per risolvere tale problema ostativo all’applicazione della regola di cui al co. 2, infatti, si dovrà operare una conversione in termini frazionari dell’aumento di pena espresso in valori numerici (rispetto alla pena del reato non aggravato) dalla circostanza indipendente, esattamente attraverso il procedimento – operato peraltro dalla stessa Corte – che si utilizza per accertare se una data circostanza indipendente comporti o meno una variazione superiore ad un terzo. Così facendo, il giudice potrà applicare sulla pena base indifferentemente prima l’aumento per la circostanza indipendente ovvero quello per la circostanza ad effetto comune.  

Ciò precisato, tre sono gli scenari che potrebbero presentarsi sul punto al giudice di merito:

1) Concorso tra circostanza indipendente con variazione di pena pari o inferiore ad un terzo e una o più circostanze ad effetto comune, al quale si applicherà come appena detto l’art. 63, co.2, c.p. (cumulo materiale), previa trasformazione in termini frazionari della circostanza indipendente;

2) Concorso tra circostanza indipendente con variazione di pena pari o inferiore ad un terzo e circostanza ad effetto speciale, che si risolverà secondo il regime di cui all’art. 63, co.3, c.p. (cumulo materiale, con applicazione prioritaria della circostanza ad effetto speciale);

3) Concorso tra due (o più) circostanze indipendenti che presentano entrambe una variazione di pena pari o inferiore ad un terzo, il quale sarà governato alla stregua del concorso tra più circostanze ad effetto comune, con conseguente applicazione dell’art. 63, co.2, c.p. (cumulo materiale).

In conclusione, non resta che rilevare che l’adozione dell’impostazione in parola esclude in ogni caso l’operatività del cumulo giuridico di cui all’art. 63, co.4, c.p., che avrebbe invece imposto di applicare soltanto l’aumento di pena previsto per l’aggravante più grave (nel caso di specie, quella del metodo mafioso), facoltativamente aumentabile dal giudice fino ad un terzo per l’ulteriore aggravante contestata ai prevenuti (carattere armato dell’associazione criminosa). Tuttavia, non si può certo negare – come rileva l’opposto indirizzo giurisprudenziale –, che così opinando il trattamento sanzionatorio risulterà più severo rispetto a quello previsto per il concorso tra circostanze ad effetto speciale, venendo infatti meno il duplice effetto favorevole per l’imputato rappresentato sia dalla applicazione della sola aggravante più grave che dalla facoltatività dell’aumento previsto per l'ulteriore aggravante. Deve, pertanto, evidenziarsi che, in alcuni casi, escludere l’assimilazione delle circostanze indipendenti con variazione pari o inferiore ad un terzo a quelle ad effetto speciale può determinare un problema di proporzione e di ragionevolezza nella risposta sanzionatoria.

 

 

[1] Com’è noto, per circostanza “indipendente” si intende, secondo la definizione contenuta nell’art. 69 u.c. c.p., quella “circostanza per la quale la legge determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato”. La dottrina maggioritaria e la manualistica riconducono nell’alveo di tale categoria sia le circostanze che, nel contemplare una cornice edittale differente, prevedano una variazione della pena prevista per il reato base superiore ad un terzo sia quelle che determinino una variazione di pena inferiore o uguale ad un terzo.

[2] Il secondo comma dell’art. 7 L. 203/241 prescrive, infatti, che “ Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con l'aggravante di cui al comma 1 non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante”. La medesima previsione risulta oggi contemplata dal comma 2 dell’art. 416-bis.1 c.p., introdotto dal D.Lgs. 1° marzo 2018, n. 21.

[3] In tale occasione, infatti, la S.C., discostandosi dal consolidamento orientamento di legittimità di segno contrario, aveva affermato che “Nell'ipotesi di concorso tra più circostanze aggravanti ad effetto speciale, poiché l'aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152 del 1991 (convertito in L. n. 203 del 1991) è esclusa dal giudizio di bilanciamento, ai fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, non si applica la regola generale prevista dall'art. 63, comma quarto, cod. pen., bensì l'autonoma disciplina derogatoria di cui al citato art. 7, che prevede l'inasprimento della sanzione da un terzo alla metà”.

[4] Il riferimento è a Cass., SSUU, sent. 27 aprile 2017 (dep. 9 giugno 2017), Pres. Canzio, Rel. Gallo. Per un puntuale commento di tale sentenza cfr. A. Melchionda, Circostanze "indipendenti" con variazione edittale di pena non superiore ad un terzo: per le Sezioni Unite non sono "ad effetto speciale" e non rilevano ai fini della prescrizione, in Dir. pen. cont., 27 giugno 2017.

[5] Per una disamina degli opposti orientamenti venutisi a creare prima della pronuncia delle Sezioni Unite, si rinvia ai contributi di R. Bertolesi, La rilevanza delle circostanze c.d. indipendenti ai fini del calcolo del termine di prescrizione: la questione rimessa alle Sezioni Unite, in Dir. pen. cont., 14 marzo 2017, e A. Melchionda, Le circostanze “indipendenti” sono sempre “ad effetto speciale”? Una risposta negativa (non “faziosa”, ma “di parte”), aspettando le Sezioni Unite, ibid., 3 aprile 2017.

[6] Si riporta di seguito il principio di diritto affermato: “In tema di circostanze aggravanti, il criterio di calcolo di cui all'art. 63, comma quarto, cod. pen. secondo cui, in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale, non si applica il cumulo materiale, ma la pena per la circostanza più grave aumentata fino ad un terzo, opera anche in caso di concorso tra circostanze aggravanti indipendenti e circostanze ad effetto speciale, diversamente determinandosi un trattamento sanzionatorio non conforme al principio di legalità ed irragionevolmente più grave di quello previsto per il concorso tra circostanze ad effetto speciale”.

[7] La medesima problematica applicativa si porrebbe, a ben vedere, anche qualora la circostanza indipendente concorresse con una o più circostanze dello stesso segno ad effetto comune, posto che in tal caso il legislatore prevede parimenti la regola del cumulo materiale (art. 63, co.2, c.p.), ma con l’importante differenza che l’ordine con cui il giudice dovrà procedere alle operazioni di aumento o diminuzione risulta del tutto indifferente. Tuttavia – seguendo questa teoria –, pur potendo decidere in astratto di applicare dapprima la circostanza ad effetto comune e poi, sulla pena ottenuta, la circostanza indipendente, egli non potrebbe farlo in concreto posto che la circostanza indipendente non esprime la variazione di pena in termini di frazione ma contempla una propria cornice edittale.