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15 Settembre 2020


Rito abbreviato: l’incidenza della riduzione premiale della pena nell’applicazione della continuazione in executivis

Cass., Sez. I, sent. 21 febbraio 2020 (dep. 6 maggio 2020), n. 13756, Pres. Mazzei, Rel. Bianchi



1. Con la decisione che si annota la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in tema di applicazione, in sede esecutiva, della disciplina della continuazione tra reati giudicati tutti separatamente con rito abbreviato, affermando il seguente principio di diritto: “In caso di applicazione della disciplina del reato continuato da parte del giudice dell’esecuzione, ove i reati da unificare siano stati giudicati, tutti, con rito abbreviato, la diminuente ai sensi dell’art. 442 comma 2 terzo periodo cod. proc. pen., nel testo applicabile ai fatti commessi sino a tutto il 20 aprile 2019, può essere calcolata, una volta sola, sulla pena complessiva, solo se resta immutata la specie di pena rispetto a quella applicata dal giudice della cognizione, mentre tale sistema di calcolo non è applicabile se comporta la sostituzione della reclusione con l’ergastolo, trovando applicazione in tal caso la regola generale sul limite dell’aumento della pena principale di cui all’art. 78 cod. pen. e non quella speciale di cui all’art. 73, comma secondo, cod. pen.” .

 

2. La vicenda prende le mosse dall’istanza di un condannato formalizzata alla Corte d’assise d’appello di Salerno, in funzione di giudice dell’esecuzione, di riconoscimento della continuazione ex artt. 81 c.p. e 671 c.p.p. tra due reati separatamente giudicati con rito abbreviato che ne avevano portato alla condanna, con sentenza del 4.4.2012 e del 25.3.2015, alla pena di anni trenta di reclusione per ciascun giudizio, in quanto ritenuto responsabile in entrambe le vicende processuali di omicidio volontario aggravato e altri reati satellite in materia di armi. [1]

Con ordinanza del 23.7.2019, la suddetta Corte d’assise d’appello, riconoscendo la sussistenza delle condizioni di legge previste per l’applicazione del canone di cui all’art. 81 comma 2 c.p. [2], rideterminava la pena complessiva in quella dell’ergastolo.

In particolare, nell’ordinanza poi sottoposta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione veniva individuata quale violazione “più grave”, a parità di pene finali inflitte, quella corrispondente al reato di omicidio volontario pluriaggravato giudicato, unitamente alle connesse violazioni in materia di armi, con sentenza del 25.3.2015, e veniva poi presa quale base di riferimento la pena dell’ergastolo, come previsto da tale sentenza prima della sostituzione in anni trenta di reclusione per la diminuente del rito abbreviato [3].

Su tale pena perpetua, veniva poi applicata la riconosciuta continuazione con l’ulteriore condanna di anni trenta di reclusione emessa con sentenza del 4.4.2012, con conseguente rideterminazione della pena nell’ergastolo con isolamento diurno per anni uno [4] ed infine, in conseguenza della applicazione della diminuente di cui all’art. 442 comma 2 c.p.p. ultimo periodo, applicata la pena finale dell’ergastolo [5].

Alla base del percorso logico argomentativo dell’ordinanza della Corte d’assise d’appello vi era essenzialmente la ritenuta applicabilità della disposizione di cui all’art. 73 comma 2 c.p., secondo cui “quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a 24 anni, si applica l’ergastolo”.

Ravvisava infatti la Corte in tale disposizione una “norma di sbarramento” impeditiva dell’applicazione del tetto massimo di trenta anni di reclusione previsto ex art. 78 c.p. per le pene temporanee, anche in caso di riconoscimento della disciplina della continuazione tra delitti puniti con l’ergastolo, pur se sostituito con la pena della reclusione per la scelta del rito abbreviato, ciò in quanto l’art. 73 c.p. sarebbe norma speciale rispetto a quest’ultima disposizione [6].

 Il difensore dell’imputato ricorreva alla Suprema Corte di Cassazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione di legge ex art. 606 comma 2 lett. b) c.p.p. con riguardo alla errata applicazione degli artt. 73 e 81 c.p., poiché la prima norma presupporrebbe una “pluralità di pene”, mentre con il riconoscimento della continuazione il reato avrebbe dovuto considerarsi “unico”, con conseguente necessaria applicazione dei criteri legali dettati dagli artt. 81 c.p. e 671 c.p.p. che rinviano anche all’art.78 c.p.

Denunciava inoltre l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’assise d’appello nelle modalità di calcolo della pena, per aver applicato la mitigazione dell’art. 442 comma 2 terzo periodo c.p.p. solo dopo aver determinato la pena complessiva.

 

3. La decisione che si annota interviene su una questione particolarmente complessa, riassumibile nell’individuazione dell’ambito di estensione degli effetti premiali della diminuente prevista per il rito abbreviato in rapporto all’applicazione in sede esecutiva della disciplina della continuazione tra reati prevista dagli artt. 671 c.p.p. e 81 c.p. ed alle previsioni codicistiche di natura sostanziale dettate dagli artt. 73 e 78 c.p.

La prima di tali ultime due disposizioni codifica, nell’ambito del concorso di reati, il cd. “cumulo materiale” (o matematico) di pene detentive temporanee (e di pene pecuniarie) stabilendo che “se più reati importano pene temporanee detentive della stessa specie si applica una pena unica per un tempo uguale alla durata complessiva delle pene che si dovrebbero infliggere per i singoli reati. Quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, si applica l’ergastolo…”. Tale ultima previsione pare in perfetta sintonia con la previsione dell’art. 23 c.p. che fissa infatti in 24 anni il tempo massimo di reclusione applicabile per un delitto.

A fronte di tali particolarmente afflittive ipotesi, l’art. 78 c.p. introduce il criterio moderatore noto come “cumulo materiale temperato” di pene temporanee detentive laddove prevede che “…nel caso di concorso di reati preveduto dall’art. 73, la pena da applicare a norma dello stesso articolo non possa essere superiore al quintuplo della più grave fra le pene concorrenti, né comunque eccedere: 1)…trenta anni per la reclusione 2) sei anni per l ‘arresto…”.

Alle due disposizioni in disamina fanno da corollario le previsioni di cui all’art. 72 c.p. in tema di concorso di reati che importano la pena dell’ergastolo: “Al colpevole di più delitti ciascuno dei quali importa la pena dell’ergastolo, si applica la detta pena con l’isolamento diurno da sei mesi a tre anni. Nel caso di concorso di un delitto che importa la pena dell’ergastolo, con uno o più delitti che importano pene detentive temporanee per un tempo complessivo superiore ai cinque anni, si applica la pena dell’ergastolo con isolamento diurno per un periodo di tempo da due a diciotto mesi.” [7]

Il descritto sistema di calcolo trova poi pacifica applicazione anche in sede esecutiva in ragione di quanto espressamente previsto dall’art. 80 c.p. secondo cui: “Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche nel caso in cui, dopo una sentenza o un decreto di condanna, si deve giudicare la stessa persona per un altro reato commesso anteriormente o posteriormente alla condanna medesima, ovvero quando contro la stessa persona si debbono eseguire più sentenze o più decreti di condanna”.

È noto peraltro che particolare centralità in tema di concorso di reati è rivestita dall’art. 81 c.p., che disciplina l’ipotesi di “cumulo giuridico delle pene”, tratteggiando, al comma 1, i contorni del concorso formale di reati (che ricorre quando con una sola azione od omissione siano state violate diverse disposizioni di legge o siano state commesse più violazioni della stessa disposizione di legge ) e, al comma 2, quelli del reato continuato (che ricorre invece quando con più azioni od omissioni, esecutive del medesimo disegno criminoso, siano state commesse anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge ex art. 81 comma 2 c.p.).

Tale norma prevede quale trattamento sanzionatorio l’aumento fino al triplo della pena prevista per la violazione più grave, aumento che trova quale limite invalicabile l’attestazione della pena in misura non “superiore” a quella che sarebbe applicabile “a norma degli articoli precedenti”, con evidente rinvio ai criteri – tutti – dettati in tema di cumulo materiale delle pene. [8]

La continuazione di cui all’art. 81 comma 2 c.p. comporta, dunque, ai soli fini sanzionatori attraverso una “fictio iuris, una operazione che si potrebbe atecnicamente definire di “fusione per aggiunta” tra le pene dei reati posti in continuazione, che vengono a costituirsi come un complesso unitario”, sostanzialmente un “unicum” all’occorrenza però scindibile.

Al complesso normativo testé tratteggiato si affiancano, per l’analisi della questione in esame, le norme processuali in tema di applicazione della continuazione tra reati anche in fase esecutiva ex artt. 187 disp. att. c.p.p., 671 c.p.p., nonché l’art. 442 comma 2 c.p.p., che individua il parametro fisso di riferimento per la diminuente prevista in sede di rito abbreviato. [9]

Ripercorse così brevemente le norme concorrenti la decisione che si annota, si può addivenire ad una prima osservazione.

L’ordinanza adottata dalla Corte d’assise d’appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, è incorsa in un primo evidente errore procedurale, laddove ha individuato la pena della violazione ritenuta più grave, da porre a base del calcolo dell’aumento per la continuazione, prendendo quale riferimento la pena perpetua applicata al reo in via antecedente rispetto alla diminuzione per il rito abbreviato (trenta anni di reclusione) in totale distonia rispetto al citato art. 187 disp. att. c.p.p..

Tale norma invero nel qualificare la violazione più grave, fa espresso riferimento per la sua individuazione “a quella per cui è stata inflitta la pena più grave, anche in caso di giudizio abbreviato[10], lasciando intendere, con tale espressione verbale, la pena da espiare in concreto.

Il citato errore tecnico ha comportato l’applicazione, quale aumento per la continuazione, della sanzione penale dell’isolamento diurno, con una pena finale fissata, in ragione della riduzione per il rito ex art. 442 comma 2 terzo periodo c.p.p., nell’ergastolo “semplice”.

Tale operazione a ben vedere si pone in insanabile contraddizione anche con il rinvio operato dalla stessa Corte d’assise d’appello alla disciplina dell’art. 73 comma 2 c.p. a giustificazione del proprio decisum, posto che tale norma, come detto, tratta il differente caso del concorso di reati per i quali deve infliggersi una pena detentiva temporanea non inferiore a 24 anni di reclusione, mentre la Corte – ripetesi – risulta aver erroneamente posto a base di calcolo la pena dell’ergastolo, ipotesi da ricondursi eventualmente all’art. 72 c.p..

L’operazione effettuata nell’ordinanza impugnata è dunque tecnicamente errata sotto il duplice profilo descritto.

Calcolo corretto, invece, si ritiene doveva essere quello consistente nell’applicare l’aumento per la continuazione, secondo il canone dell’art. 187 disp. att. c.p.p., individuando quale violazione più grave la pena già ridotta per il rito abbreviato (nel caso di specie quindi trenta anni di reclusione) e ad essa applicare la quota di pena corrispondente al reato posto in continuazione ridotta – solo questa porzione – per il rito ex art. 442 comma 2 c.p.p. [11]

Né potrebbe essere altrimenti, posto che laddove si ritenesse consentito -come afferma la Suprema Corte di Cassazione – applicare la diminuente per il rito abbreviato “una sola volta sulla pena complessivamente individuata dopo l’applicazione dell’aumento per la continuazione”, ponendo a base di calcolo la pena per la violazione più grave già diminuita come impone l’art. 187 disp. att. c.p.p., si verificherebbe un’inammissibile duplicazione dello sconto di pena per quella porzione di sanzione inerente il reato posto a base del calcolo complessivo.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione presenta peraltro un ulteriore e più complesso profilo di criticità, laddove pone l’art. 78 c.p. a sbarramento dell’operazione di aumento di pena ex art. 81 comma 2 c.p. ogni qualvolta tale operazione possa comportare la conversione della pena temporanea detentiva, già comminata nel massimo previsto (trenta anni di reclusione) con quella perpetua dell’ergastolo, che ne deriverebbe secondo l’applicazione dell’ art. 73 comma 2 c.p.

In siffatta evenienza quindi, secondo la Suprema Corte, la pena derivante dalla riduzione di cui all’art. 442 comma 2 terzo periodo c.p.p., rimarrebbe intangibile, non essendo concepibile alcuna modifica in senso peggiorativo della stessa.

E non sarebbe possibile rinviare, secondo tale sentenza, al criterio regolatore di cui all’art. 73 comma 2 c.p. che postula una pluralità di reati o di pene concorrenti, in quanto il reato continuato comporterebbe ai fini sanzionatori l’applicazione di una pena unica.

Tali osservazioni sollevano alcuni dubbi di compatibilità sistematica.

Anzitutto occorre evidenziare, in via d’ordine generale, che l’operazione commutativa di cui si discute è espressamente prevista ed autorizzata dal complesso normativo già richiamato per il concorso di reati, senza che da ciò possa trarsi alcun pregiudizio per il reo o violazione del principio di legalità della pena.

Del resto anche la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che: “…pena legale non è soltanto quella comminata dalle singole fattispecie penali. Lo è … anche quella risultante dalla applicazione delle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio…” . [12]

Conseguentemente anche l’art. 73, esattamente come l’art. 78 c.p., nei diversi ambiti applicativi a ciascuno assegnati, risulti criterio legale di determinazione della pena, tanto che lo stesso art. 671 c.p.p. inerente l’applicazione della disciplina della continuazione in sede esecutiva richiama indistintamente tutte le norme inerenti il concorso di reati – ivi comprese quelle di cui si discute –, disponendo meramente che l’aumento di pena da stabilirsi a cura del giudice dell’esecuzione abbia come unico limite la somma delle pene inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto.

A maggior conforto di quanto detto sovviene l’art. 663 c.p.p., che disciplina l’obbligatoria operazione di cumulo delle pene demandata al pubblico ministero [13], da effettuarsi sempre secondo i crismi dettati dall’impianto normativo esaminato, con doverosità di commutazione della pena nel caso si verta nelle ipotesi di cui all’art. 73 comma 2 c.p.

In conseguenza di quanto detto si ritiene che non possa farsi valere alcuna pretesa di “intangibilità” pro futuro di una pena detentiva solo in quanto applicata nel massimo consentito.

Nè la contraria conclusione può farsi discendere da una non prevista estensione degli effetti premiali derivanti, sotto il profilo sanzionatorio, dalla scelta del rito abbreviato, a maggior ragione laddove si consideri che tale riduzione premiale non sia la conseguenza di quella valutazione positivamente imposta al giudicante ex art. 132 c.p. fondata sull’esame dei dati personologici e fattuali che caratterizzano il fatto di reato ex art. 133 c.p., ma sia semplicemente il risultato di un compromesso normativo predeterminato dal legislatore quale quantificazione della diminuente per il rito abbreviato in caso di astratta applicazione dell’ergastolo per i fatti per cui si è proceduto al giudizio a prova contratta.

Tale asserzione, su cui la Corte di Cassazione sembra aver fondato la declaratoria di annullamento con rinvio dell’ordinanza della Corte d’assise d’appello, porterebbe infatti ad aberranti conseguenze, prima fra tutte il determinarsi di un inammissibile quanto irragionevole doppio beneficio: la diminuente per il rito e l’effetto derogatorio alla disciplina generale dettata dall’art. 73 comma 2 c.p. per i casi ivi previsti, da questa ulteriormente garantito.

Nessuna incidenza dunque può assumere il tipo di procedimento entro cui la pena detentiva massima sia stata applicata, essendo regola, quella dettata dall’art. 73 comma 2 c.p., che non ammette eccezioni, pena il rischio di un evidente disparità di trattamento tra il soggetto la cui condanna a trenta anni di reclusione sia il derivato della diminuzione processuale del giudizio abbreviato (che sottende però in astratto la più grave scelta sanzionatoria dell’ergastolo), rispetto al soggetto la cui condanna a trenta anni di reclusione sia conseguente alla scelta di esercitare appieno il diritto di difesa ex art. 24 Cost. ed accedere al giudizio ordinario; rispetto al quale – stando alla decisione annotata – l’operazione commutativa della pena detentiva in ergastolo ex art. 73 comma 2 c.p. derivante dalla applicazione della disciplina della continuazione in ragione di un nuovo titolo esecutivo non sarebbe censurabile.

Parimenti tale decisum si permea di potenziale irragionevolezza qualora si pensi al caso di reati concorrenti per i quali debba infliggersi una pena superiore ai 24 anni di reclusione, che siano trattati nel medesimo processo di cognizione, all’esito del quale troverebbe certa applicazione il criterio di cui all’art. 73 comma 2 c.p., posto che la celebrazione di un processo unitario a carico del medesimo imputato per più reati a fronte della separazione di procedimenti è evento condizionato dal concorso di circostanze meramente accidentali.

Da ultimo, ma non meno importante, l’ulteriore conseguenza che deriverebbe per colui che, toccato il tetto massimo di pena detentiva previsto, sarebbe mentalmente confortato da una sorta di impunità pro futuro in ragione della tutela derivantegli con riferimento all’assenza di incidenza sulla pena base del reato posto in continuazione.

Più comprensibili sembrano invece gli ulteriori argomenti fondanti la ratio giustificatrice delle conclusioni a cui addiviene la Suprema Corte che rinviano all’essenza della disciplina della continuazione.

Nella sentenza annotata la Corte ha infatti ulteriormente argomentato a sostegno della decisione assunta rinviando anche al concetto di unitarietà del reato continuato ed al regime di favore che ne permea l’essenza. In merito è certo che l’art. 81 c.p. nasca come previsione dagli effetti mitigatori rispetto al cumulo materiale di pene, che pure rimane nel corpo della norma a limite assoluto per la corretta quantificazione della sanzione.

Che l’art. 81 c.p., pur essendo inserito nello stesso reparto sistematico inerente il concorso di reati e di pene, abbia una propria diversa territorialità è provato del resto dal fatto che l’individuazione del quantum di pena da porre in continuazione richiede necessariamente l’intervento dell’organo giudicante, contrariamente a quanto previsto per l’esecuzione di pene concorrenti ex art. 663 c.p.p. ove è il pubblico ministero motu proprio a “determinare la pena da eseguirsi” .

Da sottolineare però che l’applicazione della continuazione è comunque operazione di secondo livello, che presuppone in primis l’esistenza e la predeterminazione di più pene distinte ed eseguibili, sottoposte anch’esse al complesso normativo dettato in tema di concorso di reati o di pene.

Ne deriva che la possibilità di commutazione della pena come esaminata nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione non dipenda tanto dalla gravosità della sanzione inflitta – come invece sembrerebbe dal disposto dell’art. 73 comma 2 c.p. –, quanto piuttosto dal riconoscimento o meno del canone della continuazione, unico idoneo a respingere in concreto la portata afflittiva di una seconda condanna qualora la prima abbia già occupato lo spazio temporale massimo riservato alle pene detentive temporanee.

 

4. La conclusione testé raggiunta, favorevole all’applicazione nel caso in disamina del criterio moderatore dell’art. 78 c.p.[14], sebbene sistematicamente autorizzata, lascia margini di perplessità nel caso in cui la pena posta in continuazione sia attestata su livelli elevati e comunque intorno a quei 24 anni di reclusione richiesti ex art. 73 comma 2 c.p. per la conversione della pena detentiva in pena perpetua, posto che l’art. 81 c.p. non esclude in radice l’applicabilità di quel complesso normativo dettato in tema di concorso di reati [15]. V’è da precisare in ogni caso che la paralisi del criterio regolatore che impone, a certe condizioni, la conversione della pena detentiva nell’ergastolo sarebbe non solo svincolata dalla tipologia di rito scelto dall’imputato per la definizione del procedimento penale pendente a suo carico, ma in ogni caso circoscritta al solo riconoscimento della disciplina della continuazione, operando invece la regola commutativa di cui all’art. 73 comma 2 c.p. ogni qual volta ci si trovi in tema di ordinario concorso reati e di pene. La sostituzione della pena detentiva con l’ergastolo alla ricorrenza delle condizioni previste ex lege è risultata infatti del tutto coerente con il sistema e con il dovere di “rimodulazione” della pena inflitta al reo e di aggiornamento della posizione giuridica nel caso di sopravvenienza di nuovi titoli esecutivi, non essendo il giudicato per tali fini “intangibile[16]. In questo caso, infatti, è lo stesso legislatore che per la particolare gravità del singolo reato commesso consente di addivenire ope legis alla commutazione della pena detentiva temporanea in quella dell’ergastolo, così evidentemente ammettendo il superamento del limite dell’art. 78 c.p. e la modifica del tipo di pena[17] [18].

 

 

[1] Nel caso in esame era ancora possibile procedere con giudizio abbreviato anche per reati puniti con la pena dell’ergastolo. Tale possibilità era stata reintrodotta dall’art. 30 comma 1 lett. b) della l. 479 del 16.12.1999, dopo la sua esclusione nell’impianto del nuovo codice di procedura penale dall’intervento della Corte Cost. che, con sentenza n.176 del 1991 (in Arch. n. proc. pen. , 1991, p.177) aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultima parte dell’art. 442 comma 2 c.p.p. per eccesso di delega. Sul tema E. Amodio – N. Galantini, Giudice unico e garanzie difensive, Giuffrè, 2001, p.126; F. Zacchè, Il Giudizio abbreviato, Giuffrè, 2004, p.176; F. Giunchedi, in AA.VV., La giustizia penale differenziata, a cura di C. Santoriello, Giappichelli, 2010, Vol. I, p.716. Tale possibilità è stata nuovamente esclusa dalla L. 12.4.2019 n. 33, in Gazz.. uff., n.93 del 19.4.2019 che vieta appunto ora l’accesso al rito abbreviato per delitti puniti con pena perpetua.

[2] Sulle condizioni di applicabilità della disciplina della continuazione ex art. 81 c.p. e sul concetto di “medesimo disegno criminoso” v. P. De Simone – E. Donato, Esecuzione del reato continuato, Maggioli Ed., 2019, p.36 e ss.; A. Gaito – G. Ranaldi, Esecuzione penale, Giuffrè, 2005, p.215; G. Pavich, Il calcolo della pena, Giuffrè, 2015, p. 146 e ss.; A. Fusi, Manuale dell’esecuzione penale, Giuffrè, 2013. In giurisprudenza, ex multis, Cass. pen., sez. III, 12.1.2016, n.4364; Cass. pen., sez. III, 27.2.2014, n.9623; Cass. pen., sez. VI, 24.10.2012, n.44214.

[3] La Corte d’assise d’appello si richiamava a quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel caso di reati da unirsi nel vincolo della continuazione e giudicati tutti con rito abbreviato, il calcolo della pena andrebbe compiuto procedendo alla determinazione della pena base nella sua entità precedente alla riduzione per il rito, poi all’applicazione dell’aumento per i reati satellite e successivamente alla riduzione sull’intero di pena ottenuto della diminuente per il rito abbreviato, Cass., sez. I, sent. 5.5.2010 n.247616; Cass., sez. I, 19.7.2019 n.276838. Contra, Cass., s.u., 6.12.2007, n. 45583 secondo cui a base di calcolo andrebbe presa la pena già ridotta per il rito ex art. 187 disp. att. c.p.p. Con riguardo invece alle modalità di calcolo della diminuente dell’abbreviato nel differente caso di unificazione di reati oggetto di sentenze emesse in parte con giudizio ordinario e in parte con giudizio abbreviato, è di recente intervenuta la Suprema Corte a dirimere il dibattito sorto in tema, stabilendo come la riduzione per il rito debba essere calcolata solo sulla porzione di pena inerente il reato che sia stato effettivamente oggetto di giudizio abbreviato; (sia esso considerato violazione più grave o reato satellite posto in continuazione); Cass. pen., sez. un., n.35852/2018; conf., Cass., sez. V, 29.4.2014. n. 26593. In dottrina, sul punto, v. G. Cappelletti - C. Buffon, Il rito abbreviato in continuazione esterna, in Diritto penale contemporaneo, 2018, n.2, p.65 e ss. Con riferimento al criterio valutativo da osservare, ai fini dell’individuazione della “violazione più grave” nel caso di continuazione da applicarsi a reati puniti con il medesimo trattamento edittale, v. Cass. pen., sez. III, 4.5.2016, n.43239.

[4] Risulta dalla lettura della sentenza annotata come, sulla pena dell’ergastolo presa a riferimento per l’applicazione della continuazione, la Corte d’assise d’appello abbia applicato un aumento sanzionatorio per l’ulteriore reato separatamente giudicato sempre con rito abbreviato superiore ad anni cinque, avendo applicato – a tale pena base - l’isolamento diurno ex art. 72 coma 2 c.p. per anni uno. Sull’applicazione dell’isolamento in sede esecutiva Cass. pen., sez. I, sent. 31.7.2017, n.38052 secondo cui la norma di cui all’art. 72 c.p. non dovrebbe trovare attuazione nel caso in cui l’ergastolo sia la risultante non di una condanna ma dell’applicazione dell’art. 73 comma 2 c.p.: “ …poichè l’isolamento diurno previsto dall’art. 72 c.p. ha natura giuridica di sanzione penale cioè di inasprimento dell’ergastolo, anche riguardo ad esso deve essere rispettato il principio di legalità della pena: così se anche l’ergastolo è la risultante dell’applicazione di disposizioni di legge che, attraverso meccanismi diversi, incidono sul trattamento sanzionatorio, resta il fatto che ad esso –poiché in sostituzione di specifiche pene detentive temporanee – non può essere ricondotta la disposizione di cui all’art. 72 c.p., la quale si riferisce all’ergastolo come pena direttamente prevista: del resto, anche l’espressione testuale della norma richiamata fa espresso riferimento a delitti che “importano” la pena dell’ergastolo e quindi ad una condanna a pena perpetua direttamente prevista dalla legge come sanzione per una determinata condotta. E’ questo appunto l’ergastolo che può essere inasprito con l’isolamento diurno….” Contra, recentemente, Cass. pen., sez. I, sent. 18.3.2019 n.11934 che sostiene come l’isolamento sia invece applicabile anche nel caso di riconoscimento della continuazione tra una pena perpetua derivante da giudizio abbreviato e altra pena detentiva superiore ad anni cinque, la quale appunto troverebbe attuazione nella forma dell’isolamento diurno. In questa sentenza la Corte ha precisato, condivisibilmente, come il divieto di applicazione dell’isolamento diurno in regime di continuazione non trovi fondamento nell’art. 663 c.p.p. che “…in perfetta sintonia con il disposto dell’art. 80 c.p. dispone che quando la stessa persona è stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi, il pubblico ministero determina la pena inflitta in osservanza delle norme sul concorso di pene…”. Del resto, se non si potesse applicare tale isolamento in fase esecutiva, alcuni reati oggetto di cumulo successivo rimarrebbero impuniti.

[5] Sulla natura processuale della diminuente prevista per il rito abbreviato ex art. 442 comma 2 c.p.p. e sulle modalità di applicazione della stessa in rapporto alla disciplina della continuazione ex art. 81 c.p., R. Brichetti - L. Pistorelli, Il giudizio abbreviato. Profili teorico pratici, Ipsoa, 2005, p.367 e ss.; L. Degl’Innocenti – M. De Giorgio, Il giudizio abbreviato, Giuffrè, 2006, p.197; V. Verenoso – M. Carlisi, Il giudizio abbreviato, Utet, p. 153 e ss.; F. Zacchè, Il giudizio abbreviato, Giuffrè, 2004, p. 167 e ss. In giurisprudenza, Cass., sez. I, 26.5.2010, n.20007; Cass., s.u., 25.10.2007, n.45583; Cass. se. I, 29.5.2009, n.26758; Cass., sez. un. 31.5.1991, in Foro It., 1991, II, p.642; Cass., sez. un., 6.3.1992, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, p.375; Cass. 10.7.2002 in Arch. n. proc. pen., 2003, p.52; Cass. pen., 30 marzo 2004, in C.E.D. Cass., n.228290; Corte cost., sent.31 maggio 1990, n.277, in Giur. cost., 1990, p.1681. V. anche G. Canzio, voce giudizio abbreviato, in Enc. Dir., agg. IV, Milano, 2000, p.629 secondo cui la diminuente non attiene alla valutazione del fatto né alla personalità del reo, risultando del tutto inidonea a contribuire alla determinazione del disvalore del reato, consistendo invece in un “abbattimento fisso, secco e predeterminato connotato da automatismo”. In tema anche la relazione al progetto preliminare del nuovo codice di rito; cfr., Rel. prog. prel. c.p.p. in G. Conso – V. Grevi – G. Neppi Modona, Il nuovo codice di procedura penale. Dalle leggi delega ai decreti delegati, IV, Il progetto preliminare del 1988, Padova, 1990, p. 1021. Ne deriva che la riduzione di pena, risolvendosi in una operazione puramente matematica e predeterminata deve essere eseguita dal giudice temporalmente dopo la determinazione della pena effettuata secondo i criteri e nel rispetto delle norme di natura sostanziale previste dal codice penale, ivi compreso l’art. 78 c.p.; ex multis; Cass., sez. un., 6.12.2007 n.45583; Cass., sez. V, 9.12.2003, in Riv. pen., 2005, p.1006; Cass., 7.4.1994 in Cass. pen. 1995, p.2600. Sui principi generali che soccorrono l’applicazione in concreto della pena v. G. Pavich, Il calcolo della pena, Giuffrè, 2015, p.78 e ss. cit.

[6] Sulla specialità dell’art. 73 c.p. rispetto all’art. 78 c.p. v. Cass. pen., sez. I, 31.7.2017 n.38052 cit. ; Cass. pen. sez. I, sent. 11.2.2016, n.5784; conf. Cass. sez. I, sent. 18.1.2011 n. 6560; Cass., sez. I, 17 giugno 19991, n.2734; Cass., sez. I, 1.3.1991 n. 1074 che ha dichiarato la manifesta infondatezza della eccezione di illegittimità costituzionale proposta con riferimento all’art. 73 comma 2 c.p. e fondata sul contrasto dell’ergastolo con il fine rieducativo della pena e con il principio di legalità ex artt. 27 e 25 Cost.. Non vi sarebbe infatti contrasto con il principio di legalità perché pena legale è quella risultante anche dai vari meccanismi sanzionatori previsti ex lege né vi sarebbe violazione del disposto dell’art. 27 Cost. poiché anche ai condannati all’ergastolo, trascorso un certo periodo di tempo predeterminato, sarebbe comunque consentito l’accesso a determinati istituti come la liberazione condizionale ex art. 176 comma 3 c.p.

[7] Il limite di durata massima dell’isolamento diurno (fissato in tre anni) che ha natura di sanzione penale, può essere superato in caso di sopravvenienze di nuove condanne che prevedano tale sanzione; Cass. pen., sez. I, 24.11.2016, n.39393; cfr. Cass., sez. I., 20.9.2007 n.38491; Cass. sez. I, 12 giugno 2007, n.34564. L’individuazione della durata dell’isolamento diurno, nel caso debba essere applicato ex art. 72 c.p., è rimessa al giudice dell’esecuzione a cu il pubblico ministero deve trasmettere il decreto di cumulo adottato con la relativa richiesta di quantificazione temporale dell’isolamento.

[8] Mentre il Codice Zanardelli del 1889 privilegiava il cumulo giuridico delle pene, il codice Rocco del 1930 reputò necessario un aggravamento di pene nel caso di concorso di reati, optando generalmente per la regola del cumulo materiale. Tale assetto ha subito rilevanti modifiche con la riforma attuata mediante il d.l. n. 99/1974 in base alla quale i due sistemi di computo delle pene sono stati fatti coesistere e soggiacciono a regole applicative concorrenti a seconda che debba seguirsi il criterio tot crimina tot poenae o quello, più favorevole, in cui - alla ricorrenza di certe circostanze - assume valore preminente la condotta criminosa più rilevante.

[9] Sul dibattito avutosi in tema di individuazione della diminuente del giudizio abbreviato nel caso di reati puniti con pena perpetua v. ex multis; F. Zacchè, Il Giudizio abbreviato, Giuffrè, 2004, cit., p.176.

[10] Sulla individuazione della “violazione più grave” ex art. 81 c.p. occorre distinguere. Nel giudizio di merito tale deve ormai intendersi, dopo l’intervento chiarificatore della Suprema Corte a sezioni unite: “…la violazione considerata più grave in astratto e non in concreto, sicchè, allorchè occorra individuare il reato più grave, deve farsi riferimento alla pena edittale , ovvero alla gravità astratta dei reati per i quali è intervenuta condanna, dandosi rilievo esclusivo alla pena prevista dalla legge per ciascun reato…” cfr., Cass., sez. un., 2013, n. 25939. Mentre nel caso in cui la disciplina della continuazione venga applicata in sede esecutiva il canone per individuare la “violazione più grave” risulta essere stato già predeterminato dal legislatore nell’art. 187 disp. att. cp.p. secondo cui è violazione più grave semplicemente quella per la quale è stata applicata la pena più grave in concreto, anche se esitante da giudizio abbreviato. In tema v. anche Cass. pen., sez. VI, 6.6.2018, n.29404;Cass. pen., sez. III, 28.6.2017, n.225; Cass. pen., sez., I, 17 febbraio 2006 n.6362; Cass. pen., sez. I, 21.7.1995 n.3751. In dottrina, P. De Simone – E. Donato, Esecuzione del reato continuato, Maggioli Ed., 2019, cit., p.78; G. Pavich, Il calcolo della pena, Giuffrè, 2015, cit. p. 147. Secondo parte della giurisprudenza poi il giudice dell’esecuzione nell’applicare la continuazione tra reati, sarebbe soggetto solo al limite di cui all’art. 671 c.p.p. e non anche a quello del triplo fissato ex art. 81 comma 1 c.p., trovandosi le due norme in concorso apparente con prevalenza della prima sulla seconda ex art. 15 c.p., e dovendosi evitare che, raggiunto il limite del triplo per una determinata fattispecie concreta, si determini impunità per ulteriori reati dei quali, in successive occasioni, debba essere riconosciuta la pertinenza al medesimo disegno criminoso. V. Cass. pen. sez. I, 21.10.2008, n. 39306; Cass. pen., sez. I, 13.2. 2002, n. 5959; Contra, Cass., sez. un., 28659/2017 che invece ha ribadito la necessità del formale rispetto di entrambe le condizioni sopra dette. Allorché poi sia riconosciuta la continuazione tra più delitti alcuni dei quali punibili con l’ergastolo che sia ritenuto violazione più grave, non essendo consentito infliggere una pena temporanea per quelle ritenute meno gravi e poste in continuazione con esso, dovrà essere applicato l’isolamento diurno dal giudice dell’esecuzione “non escludendosi come effetto favorevole del riconoscimento del vincolo, la possibilità di determinare quest’ultima sanzione anche in misura inferiore a quella minima prevista per il caso di concorso materiale di reati” (Cass. pen., sez. I, 21.9.2006, n.31433).

[11] Cass., sez. V, 4.5.2015, n.43044.

[12] Cass., sez. I, 11.2.2016, n. 5784. Del resto secondo la Suprema Corte: “…In tema di applicazione della disciplina del reato continuato in sede esecutiva, l’interesse del condannato alla riconsiderazione dei fatti giudicati agli effetti dell’art. 671 c.p.p. sussiste anche se non determina immediate e concrete conseguenze rispetto all’entità delle pene da espiare. L’interesse è da ravvisare nella finalità di poter imputare, ove ne sussistano i presupposti, ad altra condanna la pena di fatto espiata oltre la misura rideterminata ex art. 671 c.p.p., di escludere o limitare gli effetti penali della condanna in tema di recidiva e di dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato (…)” Cass. sez. I, 10 gennaio 2007 n.4692.Conf. Cass. pen., sez. V, 20.4.2015, n.200534; Cass. pen. , sez. I, 14.7.2010, n.33535. Ed ancora: “Anche dopo la completa espiazione delle pene inflitte, sussiste sempre l’interesse del condannato a chiedere e ottenere l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, al fine di imputare eventualmente ad altra condanna la pena di fatto sofferta oltre la misura complessiva rideterminata ai sensi dell’art. 671 c.p.p.” cfr., Cass., sez. I, 20.9.1991, in Cass. pen., 1993, 338. Da notare infatti che, seppure la disciplina della continuazione suggerisce una applicazione favorevole della pena, la norma non esclude affatto che l’aumento ex art. 81 comma 2 c.p. possa essere determinato in misura pari al cumulo materiale delle pene laddove pone come limite assoluto solo il divieto di applicare una pena “superiore” a quella che sarebbe stata applicabile seguendo il criterio del cumulo materiale.

[13] Ai sensi dell’art. 663 c.p.p. “ Quando la stessa persona è stata condannata con più sentenze o più decreti penali per reati diversi, il pubblico ministero determina la pena da eseguirsi, in osservanza delle norme sul concorso di pene….”. Trattasi del provvedimento di cumulo che deve essere predisposto dal pubblico ministero competente ex art. 665 comma 4 c.p.p. Tale provvedimento ha carattere amministrativo ed è pertanto suscettibile di essere revocato o modificato al fine di tenere sempre aggiornata la posizione giuridica del condannato (Cass. pen., sez. I, n.47319/2010).

[14] La previsione dell’art. 78 c.p. funge da criterio moderatore con riguardo alla somma tra il residuo pena da espiare e quella nuovamente inflitta ma non impedisce che un soggetto possa essere detenuto per un tempo complessivamente superiore a tale limite (cfr., Cass., sez. I, 2.7.2014, n.37635; Cass., sez. un., 6.12.2007, n. 45583, ).

[15] Cass., sez. un., 6.12.2007, 45583.

[16] Cass. sez. I n.1074 del 1.3.1991.

[17] Nei medesimi termini, Cass. pen., sez. I, 21 ottobre 2015, n.5784 che ha statuito in caso analogo come nell’ipotesi di cumulo di più condanne alla pena di anni trenta di reclusione – così risultanti dalla commutazione di precedenti condanne alla pena dell’ergastolo inflitte all’esito di giudizi abbreviati, non trova applicazione il limite massimo di trenta anni di reclusione previsto dall’art. 78 c.p. per il caso di concorso di reati che importano pene detentive temporanee, bensì il generale criterio regolatore di cu all’art. 73 comma secondo c.p., con conseguente rideterminazione della pena finale da eseguire in quella dell’ergastolo. In merito vale la pena di richiamare quanto precisato anche dalla Suprema Corte a sez. un. N.45583 del 6.12.2007 che, trattando della pretesa disparità di trattamento eccepita dal condannato per l’applicazione dell’isolamento diurno a seguito di applicazione della continuazione su una pena perpetua esitata dal rito abbreviato, ha precisato che: “…la ratio legis dell’art. 442 comma 2 c.p.p. è quella di garantire all’imputato in ogni singolo procedimento un vantaggio conseguente alla scelta strategica del rito alternativo… e questo vantaggio viene assicurato in ciascuno dei processi celebrati con tale rito e conclusosi con la condanna…quest’ultima opera in modo identico per tutti coloro che si trovano nel medesimo contesto processuale ma non può viceversa essere duplicata in sede esecutiva, laddove si debba procedere con il cumulo materiale o giuridico delle pene inflitte per più reati in distinti procedimenti, nei quali l’imputato ha di volta in volta ritenuto di attivare o non la scelta deflattiva del rito speciale. ..Trattasi di disparità di moduli applicativi nelle sequenze procedurali di determinazione della pena che trova solida e razionale base giustificativa nella oggettiva diversità delle situazioni processuali (giudizio di cognizione e di esecuzione) e nell’efficacia preclusiva derivante dal principio di intangibilità del giudicato”; conf., Cass., sez. I, 29.3.2006, n.11108.

[18] Del resto che la manipolazione anche in senso più afflittivo della pena sia possibile è confermato anche da altre disposizioni codicistiche tra cui l’art. 184 c.p. laddove è previsto, al primo comma, che nel caso di estinzione per effetto di amnistia, indulto o grazia, della pena dell’ergastolo si riespanda (con modifica certamente più afflittiva) la pena detentiva temporanea inizialmente inflitta - nel caso di cui all’art. 72 comma 2 c.p. sotto forma di isolamento diurno - per il reato concorrente, che andrà eseguita “per intero”.