Cass., Sez. VI, sent. 21 gennaio 2020 (dep. 05 marzo 2020), n. 9006, Pres. Ricciarelli, est. Amoroso
1. La Corte di Cassazione, VI Sezione, si è nuovamente pronunciata sul problema della persistenza o meno dell’efficacia della misura di prevenzione atipica del divieto di accesso alle manifestazioni sportive (DASPO) applicata ad un soggetto a seguito di una sentenza di proscioglimento irrevocabile che lo ha assolto con formula piena dal reato che aveva determinato l’applicazione della misura. La Corte di Cassazione è granitica nell’affermare la separazione del piano amministrativo, cui fa capo la misura di prevenzione, dal piano penalistico, specificando conseguentemente quali siano le condizioni per la revoca della misura stessa. Si afferma infatti che «il proscioglimento dai fatti-reato che hanno determinato l'applicazione del divieto di accesso ai luoghi di svolgimento di manifestazioni sportive (DASPO) non determina l'automatica decadenza del provvedimento, in quanto lo stesso non è basato sull'accertamento giudiziale dei fatti presupposti e può essere revocato o modificato, ai sensi dell'art. 6, comma quinto, legge 13 dicembre 1989, n. 401, col venir meno o col mutamento delle condizioni che ne hanno giustificato l'emissione».
Il thema decidendum era più vasto rispetto alla sola questione dell’efficacia della sentenza assolutoria sulla misura di prevenzione atipica, toccando anche altre questioni avanzate nei motivi di ricorso dagli imputati, tutte ugualmente rigettate dai giudici di legittimità.
Ripercorriamo la vicenda processuale.
2. Nel caso di specie, la Corte è stata adita da una pluralità di ricorrenti sollevando una serie di questioni inerenti alla commissione di fatti violenti nel corso di una manifestazione sportiva. Come già si è prima precisato, in questa sede tratteremo solo uno dei motivi di ricorso, quale quello proposto da uno dei soggetti (cfr. par. 3 della sentenza in esame), in relazione alla violazione del provvedimento di DASPO emesso dal questore di Bergamo in data 9/12/2015.
L’imputato lamentava il fatto che la Corte di appello di Brescia non avesse ritenuto rilevante la circostanza che egli fosse stato assolto con sentenza irrevocabile dal reato che aveva costituito il presupposto per l’emissione del provvedimento di DASPO, assimilando erroneamente detto caso a quello in cui sia intervenuto l’annullamento o la revoca di un provvedimento amministrativo.
Secondo il percorso argomentativo della difesa, essendo sopravvenuta l’assoluzione per il reato posto alla base dell’emissione del DASPO, ciò solo sarebbe bastato quindi a provocare la caducazione automatica del provvedimento amministrativo.
3. La Corte non fa altro che riproporre l’argomento speso già nei primi due gradi del giudizio circa la natura amministrativa della misura di prevenzione e conseguentemente sul diverso regime che la connota rispetto alla disciplina del reato che ne ha determinato l’applicazione, richiamando anche alcune precedenti pronunce della terza Sezione. La Corte è ferma nel sostenere quella che potrebbe essere chiamata “la teoria della indipendenza” del fatto di reato e delle vicende processuali penali rispetto a una eventuale revoca della misura di prevenzione e, più in generale, al destino della misura di prevenzione DASPO.
Il nodo su cui si innesta la questione infatti è proprio questo. La Corte accoglie con favore quanto sottolineato dal giudice del primo grado e dalla Corte d’appello di Brescia, richiamando, al pari di quanto avevano fatto i giudici di merito, una precedente pronuncia della Sezione III, 12/07/2018 n. 53972 che afferma: «il principio secondo cui il proscioglimento dai fatti-reato che hanno determinato l'applicazione del divieto di accesso ai luoghi di svolgimento di manifestazioni sportive (cd. Daspo) non determina l'automatica decadenza del provvedimento, in quanto lo stesso non è basato sull'accertamento giudiziale dei fatti presupposti e può essere revocato o modificato, L. n. 401 del 1989, ex art. 6, comma 5, col venir meno o col mutamento delle condizioni che ne hanno giustificato l'emissione, con la logica conseguenza che, fino a quando il provvedimento impositivo del divieto non venga revocato o modificato, lo stesso esplica i suoi effetti per intero». (La sentenza rinvia a Cass. III Sezione, n. 5623 dell’ 08/07/2016).
Sono in linea con questa giurisprudenza sia alcune pronunce recenti del Tar [1], sia una pronuncia del Consiglio di Stato[2]. Per quanto riguarda le prime, si sottolinea che « ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 401 del 1989, il fatto di aver commesso uno dei reati di cui agli articoli 6 bis e 6 ter della medesima legge costituisce solo il presupposto per valutare l'applicabilità della misura di prevenzione in disamina, la quale è rimessa alla discrezionalità della PA, senza alcun automatismo rispetto alla responsabilità penale, e richiede quindi una distinta e autonoma valutazione della specifica condotta individuale ai fini del giudizio prognostico di pericolosità (...il Questore può disporre...)»[3].Si afferma inoltre «la valutazione discrezionale spettante all'Amministrazione in materia di divieto di accesso a tutti gli impianti sportivi del territorio nazionale e degli altri Stati membri dell'Unione Europea, prevista dall'art. 6 della Legge n. 401/1989, non presuppone l'accertamento penale di un reato, ciò in quanto anche una condotta non integrante una fattispecie di rilevanza penale può essere idonea a creare pericoli per l'ordine pubblico negli impianti sportivi».[4] Emerge chiaramente il rapporto di indipendenza tra il reato per cui il DASPO viene disposto e la stessa misura di prevenzione atipica, che l’autorità amministrativa, quale il Questore, può adottare nella discrezionalità dei suoi poteri. A fortiori, la sentenza di assoluzione intervenuta sul reato che aveva determinato nel Questore il convincimento all’adozione della misura DASPO non determina la caducazione automatica della misura amministrativa. Così come viene anche sottolineato in una massima recente del Consiglio di Stato «il DASPO è una misura di prevenzione che presuppone la pericolosità sociale e non già la commissione di un reato, pertanto, ai fini della sua emissione, è sufficiente l'accertamento di un fumus di attribuibilità alla persona sottoposta alla misura delle condotte rilevanti per la verifica della pericolosità del soggetto»[5]. Da qui è possibile ricavare ancora una volta l’assoluta indipendenza della misura del DASPO, la cui fonte è di natura amministrativa, dal piano processuale penalistico, non potendo una sentenza di assoluzione dell’imputato dal reato presupposto incidere minimamente sulla revoca.
Secondo la tesi della difesa, che per comodità espositiva chiameremo “tesi della dipendenza”, la sopravvenienza della sentenza di assoluzione del reato presupposto che aveva indirizzato l’autorità amministrativa ad adottare contestualmente la misura di prevenzione, avrebbe determinato l’automatica caducazione della stessa. La Corte di Appello avrebbe quindi errato nell’escludere la rilevanza del proscioglimento in relazione al provvedimento amministrativo stesso [6].
4. I giudici di legittimità accolgono “la tesi della indipendenza”, considerando ininfluente la sopravvenienza di una sentenza di assoluzione definitiva. Il DASPO infatti è un provvedimento amministrativo di carattere preventivo che può essere revocato o modificato ex. art. 6, comma 5, l. n.401/1989[7], solo a seguito del venir meno o del mutamento delle condizioni che ne hanno giustificato l’emissione: fino a che il provvedimento amministrativo impositivo del divieto non è revocato o modificato, esso esplica pienamente i suoi effetti. Come specifica la Corte inoltre «è del tutto irrilevante che il proscioglimento sia stato disposto con la formula assolutoria "perché il fatto non sussiste" o "perché l'imputato non lo ha commesso", essendo il provvedimento valido ed efficace fino a quando non ne sia stata disposta la revoca o l'annullamento, come espressamente previsto dal comma 5 dell'art.6 della legge n.401/1989, che ne prevede l'efficacia sino a quando non sia stato revocato o modificato, anche per effetto di provvedimenti dell'autorità giudiziaria, per essere venute meno o per essere mutate le condizioni che ne hanno giustificato l'emissione». Solo la modifica o la revoca dello stesso provvedimento ad opera della stessa autorità amministrativa procedente, determina la sua caducazione che non può quindi essere automatica. La Cassazione ritiene sufficiente ribadire il principio di diritto già affermato in precedenza e da essa richiamato, secondo cui «il proscioglimento dai fatti-reato che hanno determinato l'applicazione del divieto di accesso ai luoghi di svolgimento di manifestazioni sportive (DASPO) non determina l'automatica decadenza del provvedimento, in quanto lo stesso non è basato sull'accertamento giudiziale dei fatti presupposti e può essere revocato o modificato, ai sensi dell'art. 6, comma quinto, legge 13 dicembre 1989, n. 401, col venir meno o col mutamento delle condizioni che ne hanno giustificato l'emissione».
Il ricorrente avrebbe dunque errato nel considerare la sentenza di assoluzione per lo stesso fatto di reato che aveva determinato l’applicazione della misura amministrativa DASPO come caso di revoca o annullamento del provvedimento amministrativo.
5. La sentenza in esame ripropone quanto già affermato in passato dai giudici di legittimità che, senza mettere in discussione il rapporto “di indipendenza” tra reato presupposto e misura di prevenzione atipica, ribadisce una posizione consolidata, indubbiamente condivisibile da chi scrive. I motivi a sostegno della decisione, condivisi anche dagli indirizzi delle corti amministrative, si fondano del resto sul dettato legislativo che disciplina il DASPO. Esso infatti è chiaro nell’indicare quali siano le uniche situazioni che permettono la revoca della misura di prevenzione, tra le quali non è presente il giudicato penale, neppure di assoluzione. Solo il venir meno o il mutamento delle condizioni che ne giustificano l’emissione permette all’autorità amministrativa di revocarla. La separatezza che contraddistingue il procedimento di prevenzione da quello penale, è stato recentemente ribadito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che nella sentenza Serazin c.Croazia[8], proprio in relazione alla misura del DASPO, ne sottolinea anche ai sensi della Convenzione stessa, la natura amministrativa con finalità preventiva e non punitiva, che ne esclude la assimilazione alla sanzione penale.
Anche sulla base di questo indirizzo, si guarda con favore al percorso argomentativo della Corte circa l’assoluta indipendenza del provvedimento di divieto di accesso alle manifestazioni sportive dalle vicende processuali inerenti al reato presupposto, non determinando, la sentenza di assoluzione, effetti caducatori della misura DASPO, ma richiedendo, così come la legge specifica, che la stessa sia modificata o revocata dall’autorità amministrativa, qualora siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne avevano giustificato l’emissione.
[1] V. Tar Pescara sez. I, 15/10/2018; Tar Lombardia sez. I, 14/10/2019;
[2] V. Consiglio di Stato sez. III, 07/05/2019 n. 2916
[3] Tar Pescara sez. I, 15/10/2018
[4] Tar Lombardia sez. I, 19/10/2019
[5] Consiglio di Stato sez. III, 07/05/2019 n. 2916
[6] V. par. 3 Cassazione penale, sez. VI, 21/02/2020 n. 9006
[7] Cfr. Art. 6 comma 5, L. n. 401/1989 « Il divieto di cui al comma 1 e l'ulteriore prescrizione di cui al comma 2 non possono avere durata inferiore a un anno e superiore a cinque anni e sono revocati o modificati qualora, anche per effetto di provvedimenti dell'autorità giudiziaria, siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne hanno giustificato l'emissione. In caso di condotta di gruppo di cui al comma 1, la durata non può essere inferiore a tre anni nei confronti di coloro che ne assumono la direzione. Nei confronti della persona già destinataria del divieto di cui al primo periodo è sempre disposta la prescrizione di cui al comma 2 e la durata del nuovo divieto e della prescrizione non può essere inferiore a cinque anni e superiore a dieci anni. La prescrizione di cui al comma 2 è comunque applicata quando risulta, anche sulla base di documentazione videofotografica o di altri elementi oggettivi, che l'interessato ha violato il divieto di cui al comma 1. Nel caso di violazione del divieto di cui al periodo precedente, la durata dello stesso può essere aumentata fino a otto anni».
[8] V. C.Edu, I sez., dec. 8 novembre 2018, Serazin c. Croazia