G.I.P. Salerno, ord. 2 aprile 2020, Giud. Alfonsino
L’emergenza Coronavirus apre nuovi fronti, riscoprendo figure criminose travolte dall’oblio e dimenticate tra la polvere di repertori e commentari. Così è stato per il delitto di epidemia, l’art. 260 R. D. 27.7.1934, n. 1265, ora è la volta dell’art. 501 bis c.p.
La contingenza epidemiologica ha prodotto infatti uno sciame di comportamenti illeciti, che ha imposto una severa riflessione e l’approfondimento in ordine alla riconducibilità a fattispecie penalmente rilevanti. Nel novero, come largamente prevedibile, rientrano le distorsioni delle buone prassi commerciali, in particolare l’ingiustificato rincaro dei prezzi di alcune merci, improvvisamente divenute di primaria importanza per effetto della concomitante circostanza della loro indispensabilità e della estrema penuria e difficoltà di approvvigionamento. Con l’altrettanto immaginabile ricaduta penale, testata sul banco di prova dell’applicazione giurisprudenziale.
Così è avvenuto per le ‘mascherine’; nello specifico, un’interessante ordinanza di convalida e decreto di sequestro preventivo del GIP - Tribunale di Salerno del 2 aprile 2020 ha ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 501 bis c.p. Il caso in esame aveva ad oggetto circa 240 mascherine poste in vendita a un prezzo maggiorato di oltre il triplo.
Il fumus è stato ravvisato sulla base delle seguenti considerazioni:
– la sproporzionata percentuale di rincaro, qualificabile come manovra speculativa;
– l’emergenza in atto permette di considerare le mascherine come beni di prima necessità;
– anche un’unica condotta del singolo imprenditore, in un periodo di straordinaria fibrillazione, è in grado di condizionare il mercato interno, seppur in un’area territorialmente limitata.
A conclusioni diametralmente opposte è pervenuto il Tribunale del Riesame di Lecce con ordinanza del 21 aprile 2020, che ha escluso la sussistenza del reato in un’ipotesi pressoché identica (sequestro di circa 2000 mascherine vendute con un rincaro maggiore del 400%).
La soluzione corretta deve passare attraverso le forche caudine di una puntuale esegesi dell’art. 501 bis c.p., che tenga conto della ratio legis e ne valorizzi la coerenza con il principio costituzionale di offensività.
L’art. 501 bis c.p. ha visto la luce con la Legge 27.11.1976, n. 787 e fu dettato, come noto, per colmare un vuoto normativo all’indomani di una grave crisi economica e dei correlati episodi di accaparramento di beni indispensabili, oggetto di attività produttiva o commerciale. Negli anni a seguire, il reato in questione ha dormito i ‘sonni della ragione’, se si fa eccezione per una improvvisa ma non imprevedibile riscoperta da parte di alcuni ‘pretori d’assalto’ che lo utilizzarono per applicarlo alle case sfitte, creando una singolare ipotesi di aggiotaggio immobiliare. Tesi stravagante, per fortuna bocciata dalla Corte di Cassazione. Il che conferma, per incidens, il famoso brocardo nihil sub sole novi: nel senso che la risposta penale simbolica a situazioni emergenziali è fenomeno tristemente risalente e che l’‘aggiramento’ giurisprudenziale al contenuto della tipicità per allargarne il perimetro applicativo è tentazione purtroppo ricorrente.
Il quesito al quale rispondere è dunque se, nell’analoga emergenza attuale, la vendita al dettaglio a un prezzo gonfiato delle mascherine – più in generale di presidi sanitari – rientri nella fattispecie ex art. 501 bis c.p.
Andando per ordine, restringendo il focus alla casistica in esame, occorre chiedersi se colui che “nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale compie manovre speculative (…) su prodotti di prima necessità, in modo atto a determinarne (…) il rincaro sul mercato interno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 516 a euro 25.822”.
Ebbene, il primo aspetto da considerare riguarda l’assimilabilità della vendita delle mascherine a prezzo gonfiato alle “manovre speculative”. La corretta individuazione di tale requisito, non specificato nella norma, soffre in prima battuta della caratteristica tipica e insita nell’attività commerciale, che di per sé insegue il business e si ispira alla legge del profitto. In altre parole, con il termine ‘manovra speculativa’ deve intendersi una particolare modalità di conduzione imprenditoriale, che oltrepassi i canoni di correttezza, assumendo funzione patologica per il mercato e potenzialmente distorsiva della concorrenza. A ulteriormente profilare il requisito in questione viene in aiuto da un lato il bene giuridico tutelato, cioè la pubblica economia, dall’altro la comparazione con l’art. 501 c.p. (“Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio”). Ed infatti, mentre nell’art. 501 c.p. il legislatore insiste sul profilo fraudolento della condotta incriminata, nell’art. 501 bis c.p. si limita a rappresentare una fenomenologia connessa ad ‘abusi’ del potere economico, intesi per l’appunto quale inammissibile travalicamento dei confini dell’‘uso proprio e tipico’.
L’aumento ingiustificato ed estremamente sostenuto del prezzo del bene, al di fuori di ogni logica commerciale, integra pertanto la nozione di manovra speculativa, se associata a momenti di fibrillazione del tessuto economico del Paese. In senso adesivo, una risalente sentenza della Corte di Cassazione (Cass., 15.5.1989; Cass. Pen., 1992, 2361): “può integrare in astratto una manovra speculativa anche l’aumento ingiustificato dei prezzi causato da un singolo commerciante, profittando delle particolari contingenze del mercato”.
Quanto alle mascherine, rientrano tra i “prodotti di prima necessità”. Invero, l’art. 15 del D. L. 17.03.2020, n. 18 ha autorizzato la produzione, importazione e commercializzazione delle stesse in deroga alle vigenti disposizioni per consentire il necessario approvvigionamento di un fondamentale presidio per la prevenzione del contagio. In maniera conforme l’ordinanza n. 11/2020 del Commissario Straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19.
L’art. 501 bis c.p., nonostante isolate prese di posizione contrarie, per il modo in cui è formulato, rientra tra i reati di pericolo astratto, ma ciò non esclude che l’interprete sia tenuto a saggiare, secondo un giudizio prognostico ex ante, se la manovra speculativa posta in essere si sia concretizzata o si sviluppi secondo modalità fattuali e cronologiche idonee a comportare il “rincaro sul mercato interno”. È chiaro pertanto che la successiva valutazione si sposterà sul terreno degli effetti astrattamente ricollegabili alla vendita della merce con un esagerato sovraccarico. Ed è altrettanto chiaro che la risposta corretta deve tenere presente il quantitativo dei prodotti messi in vendita, le modalità diffusive, le caratteristiche di tempo e di spazio.
Ebbene, la possibilità, ancorché astratta, che il “mercato interno” rimanga influenzato nella politica dei prezzi dall’offerta di un numero esiguo di mascherine è da escludere. Ancora una volta viene a supporto il richiamo al bene giuridico protetto, l’economia pubblica, e quindi un parametro declinabile secondo scenari macro-economici.
Inoltre, per “mercato interno” deve necessariamente intendersi una porzione di territorio sufficientemente estesa, la quale, pur non coprendo l’intero territorio nazionale, interessi significative aree, suscettibili di ‘impensierire’ il ‘mercato’ quale luogo immateriale di scambio di beni governati dalla legge della domanda e dell’offerta e quasi deprivato di una precisa allocazione geografica. Sulla falsariga, la citata decisione della Corte di Cassazione ricordava come “il pericolo della realizzazione degli eventi dannosi deve riguardare una zona abbastanza ampia del territorio dello Stato, in modo da poter nuocere alla pubblica economia”.
Ma non basta.
L’art. 501 bis c.p. mostra i segni evidenti della sua vecchiaia e risulta completamente starato rispetto alle dinamiche commerciali attuali. Esso è figlio di una politica protezionistica, su scala nazionale, completamente superata e lasciata in soffitta, se non altro per il cambio di passo dovuto alla tecnologia. Infatti, oggi, di fronte alla nozione di mercato globale, che fa tramontare per sempre l’idea naif di uno spazio fisico ristretto, di fronte alle potenzialità dell’e-commerce, come correttamente valorizzato dalla pronuncia del Tribunale del Riesame di Lecce, diventa francamente arduo immaginare come il rincaro del costo di beni, ancorché piratesco nella misura, possa provocare un condizionamento sul mercato interno, con effetti a catena emulativi. In parole semplici, l’offerta al pubblico di mascherine a prezzi esorbitanti non è in grado di alimentare un circolo vizioso a mo’ di catena di Sant’Antonio in una porzione del territorio considerevole, in quanto le articolazioni del commercio, sia nella fase dell’approvvigionamento che della vendita, si sviluppano e percorrono molteplici strade, non necessariamente suscettibili di subire influenze.
Resta la natura moralmente illecita di tali comportamenti, profondamente deprecabili nella situazione emergenziale esistente, ma applicare con torsioni interpretative una norma pensata per scenari diversi striderebbe con il principio di offensività, come valorizzato nelle ultime pronunce della Corte Costituzionale e non renderebbe un buon servizio all’idea più nobile e autentica di Giustizia.