Corte cost., sent. n. 3 del 23 novembre 2022 (dep. 20 gennaio 2023), Pres. De Pretis, Rel. Viganò
*Contributo destinato alla pubblicazione sul Fascicolo 2/2023
1. Con sentenza n. 3, decisa il 23 novembre 2022 e depositata il 20 gennaio 2023, la Corte costituzionale torna sul tema della sospensione dell’ordine di carcerazione. La pronuncia in esame si colloca a valle di alcune importanti decisioni della stessa Corte, in cui i giudici della Consulta – dopo aver chiarito che la “soluzione ottimale” richiederebbe un collegamento tra sospensione dell’ordine di esecuzione e possibilità di accesso a misure alternative alla detenzione – avevano riconosciuto che il legislatore, nell’ambito del proprio potere discrezionale, possa prevedere eccezioni a tale regola, laddove specifiche ragioni lo giustifichino. Tuttavia, il vaglio di costituzionalità riservato a tali ipotesi eccezionali è necessariamente “particolarmente stretto” e involve primariamente il rispetto del principio di ragionevolezza e la irrinunciabile tensione rieducativa della pena.
Nel solco di tale orientamento, la sentenza qui segnalata – come meglio si dirà – esclude che sussistano sufficienti ragioni per giustificare il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione in relazione al reato di incendio boschivo colposo di cui all’art. 423-bis, comma 2, c.p., dichiarando pertanto l’illegittimità costituzionale (parziale) dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. – per violazione degli artt. 3 e 27 Cost. – nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione nei confronti del condannato per il suddetto reato.
2. Procediamo, però, con ordine. La norma su cui la Corte è stata chiamata a concentrare la propria attenzione è, come si è detto, l’art. 656 c.p.p.
Il comma 9 di tale articolo prescrive due specifiche eccezioni alla regola generale, sancita dal precedente comma 5, della sospensione automatica dell’ordine di esecuzione della pena detentiva allorché la pena inflitta, anche se costituente residuo di maggior pena, non sia superiore a quattro anni, ovvero a sei anni nei casi previsti dagli artt. 90 e 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
In particolare, per quel che rileva in questa sede, la condizione ostativa di cui al comma 9, lett. a), esclude dal meccanismo sospensivo i condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis Ord. penit., nonché dei condannati per una serie di ulteriori delitti,[1] tra cui quello di incendio boschivo ex art. 423-bis c.p.[2] La ratio di tale preclusione si fonda su un giudizio di speciale pericolosità del condannato per taluno dei delitti indicati, sicché esigenze di tutela della collettività impongono la neutralizzazione immediata del reo mediante la detenzione carceraria, da cui discende – come ovvia conseguenza – il divieto di disporre la sospensione dell’ordine di carcerazione.[3]
In altri termini, il legislatore ha ricollegato alla commissione dei reati specificamente individuati dalla disposizione de qua una presunzione di pericolosità del condannato, che ne impone il contenimento carcerario e che, tendenzialmente, può essere superata solo all’esito di confortanti indicazioni di segno opposto derivanti dall’osservazione intramuraria del reo.[4]
3. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., nella parte in cui la norma non esclude dal catalogo dei reati per i quali non è possibile sospendere l’ordine di carcerazione il reato di cui all’art. 423-bis, comma 2, c.p., è stata sollevata dal Giudice per le indagini preliminari di Savona per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.
Il caso sottoposto al vaglio del giudice a quo riguarda un condannato per incendio boschivo colposo, nei cui confronti il pubblico ministero, invece che ordinare la carcerazione, ha chiesto al giudice di ordinare la sospensione dell’esecuzione, ritenendone irragionevole l’impossibilità, oltre che nell’ipotesi di cui all’art. 423-bis, comma 1, c.p. (incendio boschivo doloso), anche per l’ipotesi di cui al comma 2 (incendio boschivo colposo).
La rilevanza della questione è discesa dalla concreta applicabilità della previsione normativa censurata nel procedimento in essere, atteso infatti che è stato lo stesso pubblico ministero che ha emesso l’ordine di carcerazione a ritenerlo non conforme al dettato costituzionale e a chiederne la sospensione al giudice dell’esecuzione.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente ritiene che, se è vero che la cernita dei reati per i quali il legislatore può, nell’ambito del proprio potere discrezionale, prevedere il divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione incontra un limite nel principio di eguaglianza-ragionevolezza, nonché nella necessaria tensione rieducativa della pena, allora l’inclusione dell’intero art. 423-bis c.p. – quindi anche l’ipotesi colposa di cui al secondo comma – si espone inevitabilmente a censure di incostituzionalità.
In particolare, il giudice a quo ritiene contaminata da indefettibile irragionevolezza la disparità di trattamento che viene a delinearsi fra il delitto di incendio boschivo colposo e altri reati colposi parimenti e più gravi (come l’omicidio stradale, l’omicidio sul lavoro, l’omicidio dovuto a colpa medica, l’incendio ferroviario), sicché la questione di legittimità costituzionale appare non manifestamente infondata in relazione sia all’art. 3 Cost., sia all’art. 27, comma 3, Cost.
Inoltre, il G.i.p. di Savona osserva che, non essendo prevista alcuna distinzione, nell’alveo dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., tra l’ipotesi dolosa e quella colposa di incendio boschivo, la conseguente inclusione anche del delitto di cui all’art. 423-bis, comma 2, c.p. nel novero dei reati per i quali non può essere disposta la sospensione dell’ordine di carcerazione costituisce una aprioristica presunzione di pericolosità del condannato, che travalica il limite costituzionale della ragionevolezza delle scelte legislative.
Per di più, un sistema automatico di carcerazione immediata, senza possibilità di valutazione individualizzata, frustra la finalità rieducativa della pena sancita dall’art. 27, comma 3, Cost., soprattutto in presenza di condotte non particolarmente gravi.
4. La Corte Costituzionale, come anticipato, dopo aver riconosciuto la rilevanza della questione sottoposta al proprio scrutinio,[5] ne ha altresì dichiarato la fondatezza e ha conseguentemente espunto il delitto di incendio boschivo colposo dal novero dei reati per cui l’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. vieta la sospensione dell’ordine di carcerazione.
4.1. Preliminarmente, la Corte rammenta che la disciplina della sospensione dell’ordine di esecuzione della pena e le relative preclusioni (art. 656, commi 5 e 9, c.p.p.) è già stata oggetto di svariate pronunce della Corte stessa, le quali sono approdate ad alcune osservazioni di principio che forniscono le coordinate essenziali per inquadrare correttamente la questione scrutinata.
In particolare, dalle riflessioni elaborate in seno a quella stessa giurisprudenza scaturisce l’idea secondo cui «il tendenziale collegamento della sospensione dell’ordine di esecuzione con i casi di accesso alle misure alternative costituisce un punto di equilibrio ottimale»[6] nella prospettiva del principio di ragionevolezza. Infatti, come spiega perspicuamente la Corte, la soluzione ottimale sarebbe quella di prevedere il meccanismo sospensivo di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p. in tutti quei casi in cui il condannato – che non si trovi già in carcere in stato di custodia cautelare[7] – debba espiare una pena, integrale o residua, contenuta entro i limiti temporali compatibili con l’accesso a misure alternative alla detenzione. In tal caso, infatti, il condannato che proponga tempestivamente istanza di ammissione a taluna di dette misure non sarebbe costretto, nelle more della decisione, a sperimentare comunque la detenzione carceraria.[8]
Invero – osserva la Corte – «l’ingresso in carcere per condannati che si trovano nelle condizioni di poter chiedere una misura alternativa è […] problematico tanto dal punto di vista del principio di eguaglianza-ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., quanto dal punto di vista della necessaria finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.».[9]
In primo luogo, i legami familiari, sociali e lavorativi del condannato subiscono, in caso di detenzione carceraria, una “brusca frattura”, che ostacola il percorso di risocializzazione del reo, potenzialmente intrapreso anche già durante il processo. V’è poi da considerare che, qualora la pena da scontare sia breve, è pronosticabile che la decisione del tribunale di sorveglianza sull’istanza di ammissione a misure alternative pervenga solo quando il condannato abbia già espiato integralmente (o quasi) la propria pena.[10]
In questa prospettiva, la Consulta – con sentenza n. 125 del 2016 – aveva ritenuto incongrua la normativa che, pur prevedendo per la rapina una pena assai più grave rispetto al furto con strappo, riconosceva a chi ne fosse autore un trattamento più vantaggioso in sede di esecuzione della pena, poiché il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione opererebbe per i condannati per il delitto di furto con strappo di cui all’art. 624-bis, comma 2, c.p., ma non rispetto alla rapina non aggravata. La Corte, quindi, aveva concluso per l’illogicità di una disciplina più sfavorevole per chi sia condannato per un reato meno grave, pur se contiguo dal punto di vista criminologico, con conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo.
4.2. Benché l’evocato “punto di equilibrio ottimale” risieda nella tendenziale corrispondenza tra il limite di pena stabilito per l’accesso alla misura alternativa e quello stabilito ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione, la giurisprudenza costituzionale ha comunque riconosciuto che appartiene pur sempre alla discrezionalità legislativa selezionare ipotesi di cesura di tale legame, quando ragioni ostative appaiano prevalenti.[11] In altri termini, laddove la scelta del legislatore non appaia irragionevole o incongrua, pur all’esito di un vaglio “particolarmente stretto”,[12] la preclusione della sospensione dell’ordine di carcerazione è immune da censure di costituzionalità.
Così, nella sentenza n. 216 del 2019, i giudici della Consulta avevano dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 della medesima disposizione non può essere disposta nei confronti dei condannati per il delitto di furto in abitazione di cui all’art. 624-bis, comma 1, c.p. In quell’occasione, la Corte costituzionale aveva ritenuto che il divieto di sospensione dell’ordine dell’esecuzione, in ipotesi di furto in abitazione, troverebbe la propria ratio nella discrezionale, e non irragionevole, presunzione del legislatore relativa alla particolare gravità del fatto di chi, per commettere il furto, entri in un’abitazione altrui, ovvero in altro luogo di privata dimora o nelle sue pertinenze, e della speciale pericolosità soggettiva manifestata dall’autore di un simile reato.[13] Infatti, secondo la Consulta, il legislatore avrebbe, con valutazione immune da censure sul piano costituzionale, ritenuto che la pericolosità individuale evidenziata dalla violazione dell’altrui domicilio rappresenti ragione sufficiente per negare in via generale ai condannati per il delitto di cui all’art. 624-bis, comma 1, c.p. il beneficio della sospensione dell’ordine di carcerazione, in attesa della valutazione caso per caso, da parte del tribunale di sorveglianza, della possibilità di concedere al singolo condannato i benefici compatibili con il suo titolo di reato e la durata della sua condanna.[14]
A un esito decisorio analogo è pervenuta più di recente la sentenza n. 238 del 2021, in cui è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 della medesima norma non può essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis Ord. penit., con riferimento al delitto di cui all’art. 291-ter, comma 1, d.P.R. n. 43/73. In tale decisione la Corte, richiamando alcune riflessioni già svolte nella sentenza n. 41 del 2018,[15] ha osservato che, se il tendenziale collegamento della sospensione dell’ordine di esecuzione con i casi di accesso alle misure alternative costituisce un punto di equilibrio ottimale, è comunque rimessa al legittimo esercizio della discrezionalità legislativa la possibilità di individuare, qualora vi siano fondati motivi, ipotesi per cui il meccanismo sospensivo debba essere escluso.[16] Nel caso di specie, è stata ritenuta non irragionevole la preclusione approntata dal legislatore, poiché fondata su un giudizio di particolare pericolosità del reato in esame, nonché sulla considerazione che, per tale delitto, l’accesso alla misura alternativa è soggetto a condizioni così stringenti da rendere tale eventualità meramente residuale, sicché appare tollerabile che venga sottoposto all’esecuzione carceraria chi all’esito del giudizio relativo alla misura alternativa potrà solo con estrema difficoltà sottrarsi alla detenzione.[17]
4.3. I binari su cui indirizzare il proprio giudizio, dunque, erano già stati tracciati dalla stessa Corte. Conseguentemente, nel caso scrutinato nella sentenza qui in esame, la Corte è stata chiamata a verificare se, in base ai parametri definiti nelle pronunce precedenti e, in particolare, alla luce del citato “controllo stretto” di legittimità costituzionale delle scelte discrezionali del legislatore, «sussistano sufficienti ragioni per sottrarre anche i condannati per il delitto di incendio boschivo colposo alla regola generale della sospensione dell’ordine di esecuzione».[18]
5. La risposta a cui perviene la Corte, come visto in apertura, è negativa.
In primo luogo, la Corte rileva come l’integrale richiamo all’art. 423-bis c.p. da parte dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. comporti che esso ricomprenda anche l’ipotesi colposa, la quale, a ben vedere, costituisce l’unico reato di natura colposa tra quelli considerati dalla disposizione del codice di procedura. Una anomalia che non trova alcuna giustificazione nei lavori preparatori del d.l. 92/2008 (a cui, come visto in precedenza, si deve l’inclusione dell’art. 423-bis c.p. nel catalogo dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p.), di talché sorge il dubbio che la previsione dell’incendio boschivo colposo tra i reati per cui non può essere disposta la sospensione dell’ordine di carcerazione «sia frutto di una mera svista del legislatore».[19]
Ad ogni modo, la Corte osserva che, nell’ipotesi di incendio boschivo colposo, il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione non trova alcuna plausibile giustificazione, in quanto la natura colposa della condotta posta in essere dal condannato impedisce di ritenere che quest’ultimo manifesti una speciale pericolosità, tale da imporre, per esigenze di prevenzione e di neutralizzazione, la sua detenzione carceraria. A conforto di tale assunto, la Corte ricorda che «la generalità degli istituti che, nel vigente sistema penale, comportano aggravamenti della pena o del suo regime esecutivo in relazione alla particolare pericolosità soggettiva dell’autore si basano sulla commissione, da parte sua, di reati dolosi, evidentemente ritenuti gli unici che consentono affidabili prognosi di ulteriore commissione di reati».[20] Così avviene, per esempio, nella disciplina della recidiva, dell’abitualità della delinquenza, dei delitti ostativi all’accesso ai benefici penitenziari, dei delitti rispetto ai quali – in materia di misure cautelari – operano le presunzioni di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere.
Inoltre, il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione rispetto a condannati per il delitto de quo genera una insanabile e irragionevole disparità di trattamento tra l’incendio boschivo colposo e la generalità degli altri delitti colposi, in particolare quelli di pari o maggiore gravità, primo tra tutti il delitto – strutturalmente similare a quello di cui all’art. 423-bis, comma 2, c.p. – di incendio colposo, il quale, benché punito con la medesima cornice edittale, è posto a tutela del ben più importante bene giuridico dell’incolumità pubblica.
Infine, il divieto imposto dalla disposizione censurata costituisce un inutile – poiché ingiustificato – ostacolo alla funzione rieducativa della pena, sancita dall’art. 27, comma 3, Cost. In particolare, nel caso di specie, il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione non è bilanciato da alcuna delle possibili giustificazioni all’imposizione del passaggio in carcere del condannato, individuate dalla giurisprudenza costituzionale nelle sentenze dianzi richiamate: né dalla necessità di far fronte a una spiccata pericolosità del condannato (la quale, come visto, richiede la commissione di un reato di natura dolosa), né dalla necessità di prendere atto di uno speciale sistema di preclusioni che rende «residuale» l’accesso alle misure alternative per i condannati per determinati reati.
6. Per tutte queste ragioni, la Corte conclude che debba essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione nei confronti dei condannati per il delitto di incendio boschivo colposo di cui all’art. 423-bis, comma 2, c.p.
[1] L’odierno catalogo dei reati per i quali non può essere disposta la sospensione dell’ordine di esecuzione è il risultato di svariati interventi ampliativi posti in essere in tempi diversi dal legislatore. Ne consegue che l’elenco completo dei reati per i quali è precluso il ricorso alla sospensione deriva dall’unione di quelli espressamente richiamati nell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. con quelli rientranti nell’art. 4-bis Ord. penit. Cfr. M. Ceresa-Gastaldo, Esecuzione, in M. Bargis (a cura di), Compendio di procedura penale, Cedam, Padova, 2018, p. 1045.
[2] In particolare, l’introduzione nel catalogo ex art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. del delitto di incendio boschivo è avvenuta ad opera della l. n. 125/2008, su cui v. A. Diddi, Norme in materia di sequestri ed esecuzione penale, in A. Scalfati (a cura di), Il decreto sicurezza: d.l. n. 92/2008 convertito con modifiche in legge n. 125/2008, Giappichelli, Torino, 2008, p. 140.
[3] L’art. 656, comma 9, lett. b), c.p.p. configura una seconda condizione ostativa al meccanismo sospensivo di cui al comma 5, che ricorre qualora l’ordine di esecuzione sia nei confronti di chi, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trova in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diventa definitiva. Si tratta di una soluzione in sintonia con l’impalcatura voluta dal legislatore: se l’obiettivo è preservare dal passaggio per gli istituti carcerari i condannati che possono beneficiare della concessione di misure alternative alla detenzione, allora lo status libertatis del condannato è condizione genetica del meccanismo sospensivo. Sul tema v. L. Kalb, L. 27.5.1998 n. 165, in Aa. Vv., Processo civile e processo penale. Le riforme del 1998, Ipsoa, Milano, 1998, p. 278, nonché F. Corbi – F. Nuzzo, Guida pratica all’esecuzione penale, Giappichelli, Torino, 2003, p. 116.
[4] Così ex multis F. Caprioli, L’esecuzione delle sentenze di condanna a pena detentiva, in F. Caprioli – D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, Giappichelli, Torino, 2011, p. 152.
[5] La rilevanza della questione emerge pacificamente dalla circostanza che il giudice a quo dovesse ancora pronunciarsi sulla domanda di sospensione ex art. 656, comma 5, c.p.p. proposta dal pubblico ministero, essendosi infatti limitato ad anticipare, interinalmente e nelle more dell’incidente di legittimità costituzionalità, gli effetti della pronosticata pronuncia.
[6] V. Corte cost., sent. 6 febbraio 2018, n. 41, par. 5. del Considerato in diritto.
[7] Altrimenti, infatti, opererebbe la preclusione di cui all’art. 656, comma 9, lett. b), c.p.p.
[8] V. par. 3.2. del Considerato in diritto della sentenza qui in esame.
[9] Id.
[10] Come già osservato dalla Consulta nella sentenza n. 216 del 2019, si tratta di un’eventualità «purtroppo non infrequente, stante il notorio sovraccarico di lavoro che affligge la magistratura di sorveglianza, nonché il tempo necessario per la predisposizione della relazione del servizio sociale in merito all’osservazione del condannato in carcere» (par. 4. Del Considerato in diritto).
[11] V. Corte cost., sent. 6 febbraio 2018, n. 41, par. 5. del Considerato in diritto.
[12] V. Corte cost., sent. 6 febbraio 2018, n. 41, par. 5. del Considerato in diritto. Per una nota a tale decisione, cfr. G. Malavasi, Illegittimo l’art. 656, c. 5, c.p.p. nella parte in cui si prevede la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva non superiore a tre anni, anziché a quattro anni, in Arch. pen., 1/2018.
[13] Corte cost., sent. 20 giugno 2019, n. 216, par. 3.1.1. del Considerato in diritto.
[14] Ibid., par. 3.1.2. del Considerato in diritto.
[15] Pronuncia in cui la Corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, c.p.p., nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni.
[16] Corte cost., sent. 20 ottobre 2021, n. 238, par. 3.4. del Considerato in diritto.
[17] Id.
[18] V. par. 3.4. del Considerato in diritto della sentenza qui in esame.
[19] V. par. 3.4.1. del Considerato in diritto della sentenza qui in esame.
[20] V. par. 3.4.2. del Considerato in diritto della sentenza qui in esame. La Corte osserva che «se non può in assoluto escludersi che anche chi ha commesso il fatto per negligenza, imprudenza o imperizia possa nuovamente incorrere in un’analoga disattenzione o trascuratezza, è solo l’intenzionale violazione della legge penale che può essere posta alla base di presunzioni non arbitrarie, da parte del legislatore, di un pericolo significativo di reiterazione di condotte criminose, tale da giustificare discipline che in via generale aggravino il trattamento sanzionatorio dell’autore, o lo sottraggano a benefici concessi alla generalità dei condannati».